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Hegel (con approfondimento sull'hegelismo di Croce e di Gentile), Appunti di Filosofia

La filosofia di Hegel e la sua concezione della realtà come Spirito, un insieme organico e dinamico costituito da parti che trovano il loro autentico fine e significato nella totalità. La dialettica hegeliana è un ordine contemporaneamente logico e ontologico, dove tutto ciò che è reale è razionale. La filosofia svolge una funzione interpretativa, portando alla luce la razionalità che in quell'epoca si è già espressa nella realtà. anche la vita e le opere di Hegel.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 15/12/2022

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Scarica Hegel (con approfondimento sull'hegelismo di Croce e di Gentile) e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! Hegel Che cos'è la realtà? Con Georg Wilhelm Friedrich Hegel, la parabola dell'idealismo tedesco giunge al suo culmine, ovvero alla costruzione di un sistema filosofico in cui la realtà è descritta dal punto di vista della totalità. La realtà per Hegel è Spirito, termine con cui intende sottolineare che si tratta di un insieme organico e dinamico, cioè costituito di parti che soltanto nella totalità trovano il loro autentico fine e significato. Più precisamente, anche per Hegel la realtà si presenta come unità di soggetto e oggetto. Tuttavia, mentre per Fichte l'oggetto era il risultato di un'attività produttiva del soggetto, e per Schelling sia il soggetto sia l'oggetto erano espressione di un originario e indifferenziato, per Hegel la loro unità può invece essere acquisita soltanto passando attraverso la loro separazione. Ciò significa che, in generale, la realtà può essere concepita correttamente soltanto come il progressivo superamento di tutte le differenze che la caratterizzano, le quali tuttavia non vanno smarrite o eliminate, perché ne costituiscono la ricchezza e la vitalità. Dall'unità di soggetto e oggetto derivano per Hegel due conseguenze fondamentali: la razionalità è destinata a non rimanere una caratteristica peculiare del solo soggetto, ma si estende all'oggetto, trovando in esso la sua concreta ed effettiva attuazione; dall'altro, l'oggetto non può più essere considerato impermeabile alla razionalità del soggetto, e la realtà deve essere concepita non più come un mero dato di fatto privo di senso e significato, bensì come qualcosa che è pervaso da una razionalità profonda, che lo governa dall'interno. Si spiega così: «ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale». Identità di reale e razionale coincide e si sovrappone con l’identità di finito e infinito nella dialettica. La dialettica hegeliana, concetto fondamentale, è un ordine contemporaneamente logico e ontologico, perché tutto ciò che è reale è razionale, dove reale sta con logico e razionale sta con ontologico. Dunque la dialettica per Hegel è il sistema di funzionamento della realtà e contestualmente il sistema di comprensione della realtà, sia quella materiale che quella spirituale. Come si riconosce la razionalità del reale? La consapevolezza della razionalità del reale può essere acquisita per Hegel soltanto attraverso un lungo e complesso cammino della coscienza. Soltanto alla fine di questo percorso essa avrà raggiunto la piena consapevolezza di costituire l'intera realtà, e soltanto allora sarà capace di ricostruire le strutture razionali di quella stessa realtà. Più precisamente, nella logica le strutture razionali della realtà vengono delineate nella loro purezza, prima della loro effettiva e concreta realizzazione; nella filosofia della natura quelle stesse strutture sono analizzate in quanto si manifestano esteriormente nello spazio e nel tempo, ovvero nel mondo fisico; infine, nella filosofia dello spirito si indagano la dimensione umana e le forme della cultura, in cui la ragione trova la sua più alta manifestazione. Qual è il ruolo della filosofia? Il momento culminante e conclusivo dell'intero sviluppo dello Spirito è la filosofia. Anzi, la filosofia è lo Spirito stesso nella sua essenza, ovvero la realtà in quanto si manifesta a sé stessa nella propria razionalità immanente; è la Ragione che pensa sé stessa: “pensiero di pensiero”, secondo l'antica formula aristotelica. Schelling lo chiama “silente meditazione su sé stesso”. La filosofia supera i limiti dell'arte e della religione (che conoscono lo Spirito nelle forme ancora inadeguate), e si presenta nella modalità concettuale del sapere assoluto. Ma per poter cogliere la complessità del reale, la filosofia non può affidarsi a una qualche capacità intuitiva: Hegel diffida dell'intuizione e del sentimento, e preferisce ricorrere alla forza del lógos, ovvero della ragione discorsiva. Il pensiero filosofico non deve tuttavia avere la pretesa di imporre la razionalità al mondo, come avevano tentato di fare gli intellettuali illuministi: il suo compito è quello di riconoscere la Ragione che già opera nel mondo. La filosofia svolge una funzione interpretativa, portando alla luce la razionalità che in quell'epoca si è già espressa nella realtà. La vita e le opere Hegel nasce nel 1770 a Stoccarda, da un alto funzionario del ducato del Württemberg. Hegel si iscrive all'Università di Tubinga e viene ammesso al Seminario teologico protestante, dove condivide la stanza prima con Hölderlin e poi con Schelling, di cinque anni più giovane, con cui si lega di profonda amicizia. Insofferenti verso la disciplina vigente nel collegio, in quegli anni i due amici celebrano insieme gli anniversari della Rivoluzione francese. Diventato magister philosophiae si laurea in teologia e si guadagna da vivere come precettore, ma con la morte del padre entra in possesso di una piccola eredità che gli consente di tentare la carriera accademica: due anni dopo ottiene la libera docenza presso l'Università di Jena grazie all'appoggio dell'amico Schelling. L'insegnamento di Hegel non ottiene inizialmente un grande successo; molti studenti gli rimproverano l'incomprensibilità delle lezioni. Il filosofo è costretto ad abbandonare Jena, occupata dalle truppe di Napoleone. Insegna presso il ginnasio di Norimberga, poi ottiene una docenza universitaria a Heidelberg. Poi diventa insegnante presso l'Università di Berlino occupando la cattedra che era stata di Fichte. Dell'ateneo berlinese Hegel diviene anche rettore: questo è il momento della massima celebrità e influenza del suo pensiero filosofico in tutta Europa. Nel 1831 muore, probabilmente vittima dell'epidemia di colera. Le opere I primi testi hegeliani vertono soprattutto sulla religione: è intorno al 1800 che Hegel si orienta decisamente verso la filosofia. Pubblica la Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, mentre con l'uscita della Fenomenologia dello Spirito, manifesta un pensiero pienamente autonomo. La Fenomenologia si presenta come un'introduzione al vero e proprio sistema hegeliano, che si articola in tre sezioni: logica, filosofia della natura e filosofia dello Spirito. Hegel pubblica la Scienza 1 della logica; altri testi saranno in seguito dedicati alla filosofia dello Spirito; in nessuno scritto verrà invece specificamente trattata la natura. Alla filosofia dello Spirito è invece dedicata gran parte delle sue lezioni universitarie che vertono in particolare sulla filosofia della religione, sulla storia della filosofia e sull'estetica, e che saranno pubblicate postume. L'intero sistema hegeliano si trova invece esposto nell'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Oltre Fichte e Schelling, verso l'idealismo assoluto Fin dai primi scritti propriamente filosofici Hegel manifesta un'esplicita adesione ai principi dell'idealismo e istituisce un confronto fra le posizioni di questi due grandi pensatori, schierandosi a favore del secondo. Se il nucleo fondamentale dell'idealismo era costituito dal riconoscimento di un'identità sostanziale tra soggetto e oggetto, Fichte e Schelling ne avevano fornito interpretazioni diverse. - Fichte aveva inteso quell'identità come il risultato della produzione dell'oggetto da parte del soggetto; in tal modo, tuttavia, l'oggetto aveva perso consistenza. Quello di Fichte si presenta agli occhi di Hegel come un idealismo soggettivo, incapace di rendere conto della specificità dell'oggetto, cioè della natura. - Per Schelling soggetto e oggetto non derivavano l'uno dall'altro, ma si configuravano come la differenziazione interna di un principio superiore. La concezione di Schelling consente di comprendere entrambe le dimensioni, ma ben presto prenderà le distanze anche da Schelling. I temi e i concetti fondamentali La rottura con l'idealismo schellinghiano si consuma ufficialmente nel 1807, con la pubblicazione della Fenomenologia dello Spirito, che costituisce la prima espressione pienamente autonoma della riflessione filosofica di Hegel. Prima di procedere all'analisi dei contenuti della Fenomenologia, è però necessario chiarire alcuni concetti fondamentali che risultano indispensabili alla comprensione del sistema hegeliano, orientato a ricondurre a unità gli aspetti disparati e contrapposti della realtà. Concreto e astratto I primi due concetti che devono essere chiariti sono quelli di “concreto” e “astratto”. Nel linguaggio comune si indica con il termine "concreto" ciò che può essere colto sensibilmente e con il termine "astratto" ciò che può essere oggetto soltanto del pensiero. Hegel utilizza i significati facendo riferimento al loro senso letterale: concreto deriva dal verbo latino concrescere, cioè "crescere insieme", mentre astratto deriva da abstrahere, che indica l'atto di "separare" qualcosa da qualcos'altro. Interpretare le cose in modo astratto significa dunque, per Hegel, concepirle come separate le une dalle altre, senza tener conto delle relazioni reciproche che le connettono; al contrario, una concezione concreta prende in considerazione tutte quelle relazioni, come studiare il corpo umano. Per farlo è necessario conoscere le singole parti, ma per acquisire comprensione dell'organismo nella sua complessità bisogna fare riferimento anche alla funzione che ognuno di essi svolge rispetto al tutto. Questo tipo di considerazione consentirà di pervenire a una più adeguata conoscenza del corpo umano, ma anche dei singoli organi. Secondo Hegel, la semplice descrizione delle differenti parti che costituiscono la realtà è una descrizione astratta, mentre un'analisi che prenda in considerazione anche l'insieme delle relazioni offre una comprensione concreta. Due diversi modi di essere È importante notare che nell'idealismo hegeliano la concretezza e l'astrazione non devono essere intese soltanto come due possibili modi di interpretare il mondo. Anche i vari aspetti della realtà possono essere più o meno astratti o concreti. Un organismo vivente è in sé più concreto di un meccanismo. Nel primo, infatti, le parti dipendono dal tutto e il tutto dipende dalle parti: queste ultime non possono funzionare se non in relazione con il tutto, e la loro stessa esistenza non ha senso a prescindere dal tutto. Al contrario, in un orologio le molle e gli ingranaggi possono funzionare anche senza riferimento al meccanismo: in questo caso il tutto dipende dalle parti, ma le parti non dipendono dal tutto. Una considerazione analoga vale per le realtà sociale: una società in cui gli individui conducono la propria vita isolati è più astratta di una in cui i singoli si sentono e si comportano come parti integranti di realtà collettive più ampie. Intelletto e ragione Strettamente connesso al binomio "astratto-concreto" è "intelletto-ragione". Hegel riprende per alcuni aspetti la concezione kantiana: per entrambi i filosofi l'intelletto è la facoltà del finito, mentre la ragione mira a cogliere l'assoluto e l'infinito. Tuttavia, Kant aveva guardato con sospetto alle pretese della ragione, prescrivendo un uso regolativo, mentre Hegel ritiene che grazie alla ragione l'uomo sia in grado di attingere l'infinito e l'assoluto. Per Kant la cosa in sé era inattingibile, perché rimaneva qualcosa di estraneo: l'unico punto di contatto tra il soggetto e la realtà esterna era per Kant il fenomeno. Nella prospettiva di Hegel le barriere tra soggetto e oggetto vengono a cadere, aprendo la possibilità di una conoscenza della realtà nella sua completezza. Per Hegel l'intelletto è la facoltà conoscitiva del finito: esso coglie i singoli enti e i singoli aspetti della realtà in quanto singoli, ovvero nella loro reciproca separazione, senza tener conto delle relazioni dinamiche che li legano tra loro. In questo senso l'intelletto è una facoltà astratta. Al contrario, la ragione è la facoltà dell'infinito e della totalità: essa è capace di una comprensione più adeguata della realtà proprio in quanto supera l'astrattezza dell'intelletto ed è in grado di far emergere i nessi dinamici: è una forma di conoscenza concreta. La fiducia nutrita da Hegel nella conoscenza razionale non si configura come una negazione o un rifiuto di quella intellettuale, bensì come un suo superamento, dal momento che la prima presuppone sempre la seconda. La comprensione 2 totalizzante che per Schelling costituiva la realtà e in cui si sarebbe dovuta riconoscere l'identità di soggetto e oggetto era stato da lui descritto come un'unità indifferenziata, nella quale si smarriva del tutto la specificità che caratterizza i molteplici aspetti del reale. Citando un proverbio tedesco, Hegel paragona l'Assoluto schellinghiano alla «notte in cui tutte le vacche sono nere»: come al buio tutti gli animali sembrano uguali, così nell'Assoluto di Schelling si smarrisce ogni differenza: esso, pertanto, non può essere considerato un valido principio esplicativo della realtà, che è sempre molteplice e variegata. Secondo Hegel, questa concezione dell'Assoluto dipende a sua volta dal metodo scorretto adottato da Schelling per coglierne la natura. Egli aveva ritenuto di poterlo attingere tramite l'intuizione, una forma di conoscenza diretta e immediata, che a suo parere poteva superare i limiti dell'intelletto, considerato capace di afferrare gli enti finiti, ma non l'infinito e l'Assoluto. Così, in Schelling l'identità di soggetto e oggetto costituiva il punto di partenza di tutta la sua filosofia, colto fin dall'inizio con un'intuizione, ma una volta identificato il principio del Tutto con un'unità assoluta e indifferenziata, Schelling si era mostrato incapace di derivarne la molteplicità. Hegel pensa che l'intuizione, proprio per la sua pretesa di raggiungere immediatamente l'Assoluto non sia in grado di rendere conto delle differenze che caratterizzano la realtà: il metodo schellinghiano gli appare quindi una scorciatoia inutile e illusoria, che non consente di cogliere la ricchezza del reale. Il metodo corretto è per lui esattamente opposto: l'identità di soggetto e oggetto non devono essere semplicemente presupposte, bensì dimostrate attraverso un lungo percorso; quell'identità, insomma, è il punto di arrivo di un processo in cui tutte le differenze vengono superate, ma non eliminate. Insomma, la concezione idealista - secondo cui l'intera realtà è Spirito - è presupposta dall'intero processo fenomenologico hegeliano; ma essa non può essere esplicitamente affermata fin dall'inizio, ma deve essere in qualche modo conquistata, presentata come il frutto e il punto di arrivo dello stesso processo. In altri termini il soggetto è da sempre identico all'oggetto, ma di tale identità deve diventare consapevole, e può farlo soltanto grazie al percorso descritto dalla Fenomenologia. Un percorso di formazione Ma perché è importante che il singolo soggetto ripercorra le tappe che lo Spirito stesso ha attraversato per acquisire consapevolezza di sé? Si potrebbe dire che il percorso fenomenologico svolge per Hegel la funzione che nelle diverse società è riservata alle istituzioni formative. La nostra società è giunta all'attuale livello culturale attraverso una storia millenaria, che ha assistito allo sviluppo della scienza, nonché dei principi etici. Ogni individuo, nel proprio percorso scolastico ripercorre lo stesso itinerario di formazione che l'umanità ha realizzato in migliaia di anni, giungendo all'attuale livello di conoscenza e di consapevolezza. La lettura della Fenomenologia consente di rivivere in forma riassuntiva tutte le tappe del "viaggio" compiuto dalla Coscienza umana, attraverso una serie di esperienze individuali e collettive, per conquistare il punto di vista privilegiato dell'idealismo, dal quale osservare e interpretare l'intera realtà con consapevolezza. In questo senso, la Fenomenologia è stata intesa da alcuni interpreti anche come il lavoro preventivo che è necessario svolgere prima di affrontare lo studio della totalità in tutti i suoi molteplici aspetti. Essa svolgerebbe una funzione per alcuni aspetti analoga a quella svolta dal Discorso sul metodo di Cartesio e dalla Critica della ragion pura di Kant. Fra la prospettiva di Hegel e quella di questi due pensatori esiste una differenza fondamentale. Per Hegel, infatti, la pretesa di definire a priori il metodo, prima di affrontare l'effettiva indagine della realtà, è frutto di un atteggiamento astratto, che egli rimprovera a Kant: l'impostazione kantiana del problema conoscitivo è paragonabile, secondo Hegel, al comportamento di chi vuole imparare a nuotare senza entrare in acqua, poiché non è possibile definire il punto di vista più maturo e consapevole da cui osservare e studiare la realtà senza affrontare quello studio. In questo senso la Fenomenologia è un'esposizione metodica preliminare, ma al tempo stesso è già un'applicazione del metodo individuato, realizzata ripercorrendo le tappe attraverso le quali l'umanità ha costruito il suo sapere. Le figure e la struttura Il percorso della Fenomenologia si articola in alcune fasi fondamentali, ognuna delle quali prevede a sua volta una serie di passaggi che derivano l'uno dall'altro secondo le leggi della dialettica. Data la complessità del testo hegeliano non è sempre facile riconoscere chiaramente la tipica struttura triadica hegeliana, anche perché le diverse tappe riguardano di volta in volta aspetti della coscienza individuale, ma anche della storia della civiltà e della cultura. Soprattutto in quest'ultimo caso, esse si presentano sotto forma di figure, ovvero di immagini o descrizioni suggestive, che incarnano i momenti più significativi dello sviluppo umano. Le figure indicano il percorso che deve compiere anche lo spirito individuale. La Fenomenologia dello Spirito si sviluppa in due blocchi fondamentali, ciascuno dei quali è diviso in tre tappe. L’opera descrive il passaggio dello Spirito attraverso sei momenti, rispettivamente dedicati alla Coscienza, all'Autocoscienza e alla Ragione, quindi allo Spirito, alla Religione e al Sapere assoluto. La Coscienza e i suoi momenti Come emerge dallo schema, la Coscienza si articola in tre momenti: certezza sensibile, percezione e intelletto. La certezza sensibile rappresenta dunque il punto di partenza dell'intero percorso fenomenologico: si tratta della situazione in cui il soggetto è più lontano dalla consapevolezza della propria identità con l'oggetto. Nella certezza sensibile il soggetto si trova di fronte all'oggetto, che considera come contrapposto ed estraneo a sé. Tale forma di conoscenza si riduce alla mera constatazione del dato dei sensi e proprio per questo motivo potrebbe sembrare la modalità conoscitiva più sicura e più ricca di contenuto. In realtà il soggetto ha a che fare con un semplice "questo", cioè con un oggetto individuale specifico, e in quanto tale privo di quelle determinazioni che ne caratterizzano l'essenza. La certezza sensibile, se analizzata in profondità, si manifesta come la conoscenza più povera. Tale povertà e vuotezza viene superata nella percezione, in cui l'oggetto non è più considerato come un indeterminato 5 "questo", ma come una "cosa" di cui è predicata una serie di attributi. Infine ci si rende conto che il processo conoscitivo non può prescindere da un intervento attivo del soggetto conoscente; anzi, si comprende che l'oggetto esiste in quanto è "costruito" dal soggetto. Con il momento dell'intelletto, si è dunque già raggiunto un traguardo verso il superamento della separazione fra soggetto e oggetto, perché il primo, per conoscere il secondo, rivolge l'attenzione su di sé e sulla propria attività. Si conclude così la fase della Coscienza in senso stretto, che si è ormai trasformata in Coscienza di sé, ovvero Autocoscienza. L'Autocoscienza e la figura servo-padrone Se i momenti della Coscienza corrispondono a tre differenti atteggiamenti che il soggetto conoscente può assumere nei confronti del proprio oggetto, i momenti dell'Autocoscienza hanno invece una natura pratica. L'Autocoscienza si esprime come desiderio, come tentativo di appropriarsi delle cose che la circondano, assimilando a sé il proprio oggetto (si pensi al caso della fame, che spinge a nutrirsi). Tuttavia, l'Autocoscienza si rende conto di potersi affermare e costituire come tale soltanto nel confronto con un'altra Autocoscienza: il soggetto può prendere coscienza di sé soltanto relazionandosi con un altro soggetto. Nascendo dall'appetito - volontà di affermazione di sé e di assimilazione dell'alterità a sé -, tale confronto tra Autocoscienze assume un aspetto conflittuale. Hegel per parlare dell’autocoscienza, usa un paragone: è come se fosse il primo uomo comparso sulla terra. Inizialmente è onnivora e risolve tutto in sé stessa: il bambino, infatti, conosce attraverso la bocca. Quando incontra un’altra autocoscienza, viene per la prima volta un uomo: capisco cosa sono io per chi é fuori da me. Capisco chi sono, ma vedo anche i miei limiti: vedo per la prima volta la mia morte negli occhi di un altro. Si crea però un conflitto tra le due autocoscienze, in cui ognuna tende ad affermare sé stessa e la propria indipendenza. Ma il conflitto non può condurre all'annientamento di uno dei due contendenti, perché altrimenti verrebbe meno l'elemento di confronto necessario alla costruzione dell'identità del soggetto. Lo scontro tra Autocoscienze - prototipo di ciò che si presenta come guerra - porta all'asservimento dell'una all'altra. In effetti, dal conflitto esce vittoriosa l’Autocoscienza che non ha paura di mettere a rischio la propria esistenza pur di continuare a essere libera; al contrario, l'Autocoscienza che è disposta a perdere la propria libertà soccombe al valore del proprio avversario e ne diventa serva. Nasce così la relazione di dipendenza fra servo e padrone. Il rapporto servo-padrone, o schiavo-signore costituisce una delle figure più celebri e importanti dell'intera Fenomenologia dello Spirito, in cui Hegel analizza non soltanto un modello teorico, ma un fenomeno storicamente attuatosi. Nell'analisi hegeliana, il rapporto servo-padrone non è statico, ma tende a capovolgersi: se inizialmente il padrone domina il servo, con il tempo questa posizione di forza si trasforma in una posizione di inferiorità. Ciò accade perché il padrone, abituandosi a sfruttare il lavoro dei servi, dipende in tutto da essi. Inoltre, mentre il servo riconosce nel padrone una persona, quest'ultimo vede in lui poco più di una cosa o - come avrebbe detto Aristotele - uno strumento animato. Nel confronto tra queste due Autocoscienze, è dunque soltanto il servo a maturare una piena consapevolezza di sé. In questo percorso di emancipazione gioca un ruolo fondamentale il lavoro, che permette al servo non soltanto di realizzare un aspetto imprescindibile della propria natura umana, ma anche di instaurare un rapporto con il mondo naturale: mentre il padrone assume nei confronti della natura un atteggiamento di passività, in quanto si limita a consumarne i frutti, il servo la trasforma attraverso il proprio lavoro. Il contributo della teoria sull’autocoscienza E’ una cosa su cui si è fatta dell’ironia: il luogo dove l’autocoscienza diventa ragione implicitamente è la mente di Hegel. Il suo sistema sembra essere l’ultimo e definitivo, ma la differenza rispetto ai filosofi del passato è che mentre le teorie erano schemi interpretativi del mondo, quella di Hegel viene alla fine di un’evoluzione e quindi è come se Hegel dicesse l’ultima battuta. Nell’europa di fine Ottocento si pensava infatti di essere arrivati al culmine della ragione. Si passa quindi dall’ambito del singolo a quello dell’intellettualità universale. La nostalgia è la percezione da parte del singolo che vi sia un assoluto, tuttavia la sensazione è infelice perché esso è irraggiungibile. E’ irraggiungibile perché è un’alterità, che non si fonde con l’anima. Hegel coglie la contraddizione e la supera. Con la modernità e il superamento del Medioevo si giunge a questa consapevolezza e Hegel mette dentro molto protestantesimo, perché Lutero raccontava che prima della riforma si sentiva oppresso da Dio, e dunque Hegel afferma che la coscienza infelice risente della sensazione spirituale di Lutero prima della riforma, di un cristianesimo che vive male la religione. La riforma, percepita da Hegel come ingresso nella modernità. Nel passaggio cattolicesimo-protestantesimo c’è implicito il rapporto tra cattolicesimo - protestantesimo. Lo stoicismo, lo scetticismo e la figura della coscienza infelice. Dopo il momento dell'appetito, e dopo quello successivo dell'asservimento di un soggetto all'altro, lo sviluppo dell'Autocoscienza prosegue con un altro passaggio dialettico, il cui punto di partenza è costituito da quello stesso lavoro che favorisce la maturazione del servo. Configuratosi in prima battuta come un momento di affermazione dello spirito sulla natura, il lavoro manifesta anche un aspetto negativo, determinato dal fatto che in esso l'uomo si estrania da sé stesso, in quanto trasferisce una parte della propria essenza in ciò che realizza: in qualche modo disperde sé stesso nella realtà esteriore, negli oggetti, dai quali si trova a dipendere. È proprio questa condizione di estraniazione di sé e di dipendenza dalle cose a spingere l'Autocoscienza a cercare di liberarsi. Di tale tentativo sono espressione le due scuole filosofiche dello stoicismo e dello scetticismo. Per lo stoicismo le condizioni esteriori e materiali dell'esistenza umana sono irrilevanti: a testimonianza di tale autonomia dello Spirito, Hegel cita il fatto che poterono essere esponenti significativi l'imperatore Marco Aurelio e lo schiavo liberato Epiteto. Lo scetticismo compie un passo ulteriore: nato da un'esigenza di liberazione dell'Autocoscienza dalla subordinazione al mondo esterno, porta questa esigenza alle estreme conseguenze, giungendo attraverso una critica corrosiva a negare l'esistenza stessa di quel mondo. Anche questa condizione 6 finisce per rivolgersi contro l'Autocoscienza e inducendola a un nuovo passaggio dialettico. Svuotata del proprio oggetto, l'Autocoscienza si ritrova in una situazione di autocontraddizione, dal momento che nega di percepire ciò che percepisce. Essa si trova in una condizione di scissione da sé, che Hegel tratteggia nella figura della coscienza infelice. La coscienza è "infelice" perché è svuotata dallo scetticismo, e si ritrova davanti a qualcosa di sconosciuto, che ha cercato di negare e che invece le si erge di fronte, come un Assoluto dinanzi a cui essa si sente un nulla. Dal punto di vista storico, tale condizione è fatta corrispondere da Hegel a quella propria del cattolicesimo medievale, nel quale il credente concepiva sé stesso come una nullità rispetto a una divinità. E’ difficile capire che, quando Hegel dice che la coscienza sente sé stessa, intende contestualmente che l’uomo singolo sente sé stesso nell’assoluto, ma anche che l’assoluto sente sé stesso nell’uomo singolo. La parola coscienza, il puro animo, intende contemporaneamente l’animo signolo e l’animo di dio, come se quest’ultimo si riconoscesse in una parte di me. La frattura e la contrapposizione tra uomo e Dio, tra finito e infinito, tra soggetto e oggetto, è alla base dell'infelicità della coscienza, che è destinata a capovolgersi dialetticamente: tipica della religiosità medievale è l'estasi mistica, nella quale la divinità rapisce la coscienza umana e la assorbe in sé. In tal modo l'Autocoscienza recupera quell'identità con l'Assoluto il cui mancato riconoscimento ne aveva determinato la condizione di infelicità. “Dio è pensiero di pensiero” va superato con Hegel: se fosse così si sarebbe considerato distaccato. Riconoscendo il Dio come singolo la coscienza ne dissolve l’assolutezza. Leopardi dice la stessa cosa nell’Infinito: si scioglie l’identità di Leopardi nell’assoluto. La coscienza infelice non naufraga dolcemente nel mare di Dio, ma riconosce Dio costantemente come separato. La Ragione Con il misticismo si realizza un nuovo superamento dialettico, che conduce all'uscita dall'Autocoscienza e all'entrata nella nuova fase della Ragione, che è anche l'ultima della triade che costituisce la prima parte del percorso fenomenologico (Coscienza-Autocoscienza-Ragione). Hegel definisce la Ragione come la certezza di essere ogni realtà. Si tratta di una certezza ancora astratta, di una verità che ha bisogno di essere giustificata: la Ragione deve tentare di ritrovarsi in quella stessa realtà in cui in astratto è arrivata a riconoscersi. Dapprima, come «ragione osservativa», essa cerca sé stessa nella natura, individuando le leggi che la governano: è questo il momento storico della nascita dell'indagine scientifica e dei suoi grandi successi nei primi secoli dell'età moderna. Ma questo primo tentativo appare insufficiente: il soggetto si rende conto, infatti, di non potersi limitare all'osservazione di un mondo naturale regolato da leggi immutabili, e cerca di realizzarsi come ragione attiva nel mondo umano. Anche in questa nuova fase il soggetto sperimenta il fallimento e la delusione di fronte a una realtà che non sembra poter soddisfare la sua aspirazione alla felicità. Questo passaggio è illustrato da Hegel attraverso la figura di Faust, personaggio della tradizione popolare tedesca su cui stava lavorando Goethe. Faust è un medico che, deluso dalla scienza, accetta di vendere la propria anima al diavolo in cambio della possibilità di sperimentare tutti i piaceri offerti dal mondo. Egli conoscerà l'illusorietà di una tale pretesa: la felicità è una condizione interiore, che non può derivare da qualcosa di esteriore. Il fallimento dell'atteggiamento faustiano genera a sua volta l'illusione di trovare dentro di sé, nella «legge del cuore», un progetto di miglioramento del mondo: alla ricerca del piacere personale si sostituisce la ricerca del benessere collettivo, ma non ci si accorge che si tratta di una visione del bene soggettiva e parziale. Dal superamento dell'individualità faustiana nasce insomma la «virtù», assimilata da Hegel alla morale kantiana, ovvero alla sua pretesa di imporre il dovere-per-il-dovere al corso del mondo e all'azione degli uomini. La Ragione acquisisce la consapevolezza di non potere e di non dovere imporsi dall'esterno alla realtà, ma di risiedere nella concretezza della vita collettiva delle società umane: tale riconoscimento consente il passaggio allo Spirito, che apre la seconda parte del percorso fenomenologico. Il sistema hegeliano e i suoi momenti Il titolo completo della Fenomenologia hegeliana è Sistema della scienza. Parte I. La Fenomenologia dello Spirito: questo significa che Hegel intendeva quest'opera come il primo momento di una trattazione più ampia, definita appunto «sistema della scienza». La Fenomenologia costituisce non tanto la prima parte, quanto l'introduzione, nella quale si trova riassunto l'itinerario che l'umanità ha percorso per acquisire il punto di vista del «Sapere assoluto», da cui interpretare la totalità del reale. Con il termine sistema hegeliano si intende il tentativo grandioso compiuto da Hegel di comprendere tutta la realtà dentro a un unico principio di spiegazione dialettico, lo schema triadico. Le opere che Hegel ha scritto sulla cultura sono state le opere che hanno decretato il successo di Hegel. L’aspetto vincente è che, nelle opere scritte da Hegel e in quelle dei suoi studenti, è descritto lo schema triadico, ovvero la comprensione e l’inserimento di ogni elemento della realtà nel movimento di autocomprensione di sé stesso da parte dello spirito. Solo alcune opere sono quelle che Hegel ha pubblicato, mentre poi ci sono tante altre opere che sono i Corsi universitari di un ventennio a Berlino prima di morire di colera, pubblicati dagli studenti. Tutte queste opere descrivono pezzi della triade: l’unica opera in cui viene descritto tutto insieme è Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, l’antitesi è la filosofia della natura. Perché sistema? Usando il termine sistema, Hegel vuole sottolineare non soltanto che la propria indagine ha la pretesa di rendere conto dell'intera realtà, ma anche che queste non verranno trattate elencandole e giustapponendole, bensì evidenziandone le connessioni dialettiche. Alla trattazione del sistema hegeliano nel suo complesso è dedicata l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, opera uscita nel 1817. Il titolo evoca la francese Encyclopédie: sebbene siano accomunate dall'ambizione di esaurire l'intero scibile umano, queste due "enciclopedie" presentano alcune differenze. L'Enciclopedia illuminista era la raccolta di una serie di voci, 7 individualità trapasseranno nell'esteriorità della dimensione intersoggettiva e collettiva: sarà questo l'aspetto caratterizzante dello Spirito oggettivo. Lo Spirito oggettivo Rispetto a quello soggettivo, lo Spirito oggettivo rappresenta un momento di uscita da sé e di realizzazione nell'esteriorità, in modo simile a quanto era avvenuto con l'estraniazione dell'Idea nella natura; ma qui siamo di fronte a una manifestazione dello Spirito e le realtà istituzionali, collettive in cui si esprime la vita umana si presentano ricche di razionalità. Le articolazioni dello Spirito oggettivo sono il diritto, la moralità e l'eticità. Nel diritto, in particolare, gli uomini si relazionano fra loro secondo quanto imposto dalle norme giuridiche, le quali sono volte a tutelare i rapporti di proprietà. Nell'ambito del diritto, ciò che conta è il comportamento esteriore: non importa se un cittadino rispetta una norma perché è convinto della sua utilità e correttezza, o se lo fa soltanto per evitare le sanzioni previste per la sua violazione. Tale atteggiamento cambia nella moralità, negazione del diritto, dal momento che in essa è fondamentale l'intenzione interiore, mentre risultano irrilevanti le sue conseguenze esterne. L'atteggiamento morale, secondo Hegel, è ben espresso dalla concezione kantiana, che egli qui critica esplicitamente, considerandola espressione di un tipo di moralità incapace di realizzare concretamente il bene. Diritto e moralità risultano unilaterali e si caratterizzano come momenti tipicamente astratti, che devono quindi essere superati nella concretezza dell'eticità. Nella dimensione etica, infatti, il soggetto trova la ragione del proprio agire non già in un adeguamento esteriore alla legge, né in una moralità individuale incentrata sull'interiorità della coscienza, bensì nella propria collocazione nell'ambito della collettività. Nel linguaggio comune si parla spesso di etica professionale, ad esempio nel caso del medico o dell'insegnante, ai quali competono specifici doveri, non solo e non tanto in quanto sono genericamente esseri umani. Le interpretazioni dello spirito oggettivo Qui c’è il tentativo di Hegel di spiegare tutto in un unico sistema: lo spirito oggettivo è la dimensione solo mondana e terrena e in cui si chiude l’hegelismo per la sua interpretazione marxista. L’interpretazione marxista è andata per la maggiore e fino a tempo fa si leggeva hegel come premessa a Marx, ideatore di un sistema materialista di cui la fine di tutto si risolveva in uno stato comunista, in cui si realizzava la felicità dell’uomo. Questa idea dello stato etico è fondamentale: esso può avere un’interpretazione marxista o fascista. Per stato etico si intende il luogo in cui diritto e morale si fondono. Una persona è intimamente conformata a quello che prevede la comunità, infatti si dice etica professionale. La dimensione etica è di più: si tratta di un momento in cui individuo e comunità sono perfettamente integrati ed è la forma mondana della dissoluzione del finito nell’infinito. Nell’eticità di Hegel, nella dimensione dell’eticità, l’individuo e la comunità coincidono e si realizza che il tutto è maggiore della somma delle parti. La triade dell’eticità è famiglia, società civile e stato, perché il primo luogo in cui l’individuo si fonde con la comunità è la famiglia. La società civile è l'insieme delle famiglie e Hegel la fa coincidere con la società borghese in cui sono gli interessi a valere, e come livello supremo ha lo stato etico. Quando parla di stato Hegel non intende l’apparato esteriore, ma il volksgeist: un uomo è tale solo dentro la comunità. Gentile, da hegeliano, dice che il maestro elementare è il simbolo dello spirito assoluto. Hegel arriva a dire che lo stato è Dio in terra, perché la comunità coesa è la più alta manifestazione oggettiva, materiale dello spirito assoluto. Qui c’è una manifestazione assoluta perché l’ultima triade di Hegel si manifesta in arte, religione e filosofia. Il sapere assoluto per Hegel è la filosofia. Le espressioni dell'eticità: dalla famiglia alla società civile Le tre articolazioni dell'eticità sono la famiglia, la società civile e lo Stato. La famiglia rappresenta il primo momento della dimensione etica dell'uomo perché è la forma più semplice di aggregazione collettiva, ma anche e soprattutto perché ha una base naturale nell'attrazione tra i sessi, nella generazione della prole. Su tale fondamento si sviluppa poi un legame affettivo e spirituale fra i suoi membri. Proprio la crescita dei figli costituisce tuttavia, dialetticamente, il compimento e al tempo stesso la negazione della famiglia: quando diventa adulto, l'individuo è infatti portato ad allontanarsene. La formazione di più nuclei familiari dà corpo alla società civile, nella quale gli individui sono legati fra loro da una rete di interessi e bisogni: nella sua analisi Hegel ha in mente soprattutto la società capitalistica e borghese. L'aggettivo tedesco bürgerliche significa infatti tanto "civile" quanto "borghese", per Hegel, insomma, la società borghese è quella in cui si manifestano nella forma più tipica le caratteristiche della società civile. In essa ogni individuo persegue i propri interessi esercitando la sua professione, ma al tempo stesso produce beni e servizi atti a soddisfare i bisogni di tutti gli altri. Presupposto di tale meccanismo è la divisione del lavoro: dal momento che nessuno è in grado di realizzare da sé tutto ciò che gli serve, ognuno si specializza in un’attività e deve contare sul lavoro di altri per ottenere tramite lo scambio dei beni che non può produrre. Dalla società civile allo Stato La fitta rete di relazioni di interdipendenza che caratterizza la società civile è di relazioni esteriori e astratte, perché fondate sulla ricerca dell'interesse individuale. Per questo motivo anche la società civile è destinata a essere superata nel momento conclusivo e supremo dell'eticità, lo Stato. Se Hegel condivide con Locke la distinzione fra società civile e Stato, tuttavia rifiuta la concezione contrattualistica del filosofo. Per Hegel, infatti, lo Stato non nasce da un patto, ma va al di là del sistema di bisogni e interessi che sta a fondamento della società civile, perché l'appartenenza degli individui allo Stato non trova la propria ragione nei vantaggi materiali, ma in un senso di appartenenza spirituale. La società civile esiste in funzione degli individui e si risolve in ultima istanza nella loro somma e nell'insieme dei legami di interesse che li uniscono; nello Stato gli individui esistono soltanto in funzione della 10 loro appartenenza ad esso. Detto in altri termini, se nella società civile il rapporto delle parti con il tutto è di tipo meccanicistico, lo Stato deve invece essere concepito come una realtà organica. Riprendendo una famosa metafora hobbesiana, Hegel giunge ad affermare che lo Stato è un vero e proprio Dio in terra. Rispetto alla concezione di Hobbes, tuttavia, Hegel sottolinea non tanto che nella vita terrena l'uomo può attendersi protezione e salvezza dallo Stato, quanto che esso costituisce la più alta espressione dell'Assoluto e dello Spirito. In quanto forma più elevata dell'eticità e in quanto espressione dell'Assoluto stesso, lo Stato hegeliano vanta un primato sugli individui che lo compongono: alcuni interpreti hanno parlato di uno Stato etico che sembra lasciare poco spazio alla libertà di scelta dell'individuo, il quale parrebbe dover sacrificare il proprio bene e i propri interessi in nome di un bene e di un interesse superiori, ovvero quelli statali. In realtà, secondo Hegel la libertà del singolo trova la sua espressione più compiuta proprio nello Stato: esso, infatti, non si impone dall'esterno sull'individuo ma costituisce l'occasione della piena realizzazione della sua natura. Ognuno trova quindi nell'appartenenza allo Stato e nell'adesione alle sue leggi la propria libertà, ben diversa da quella individuale, che si illude di esprimersi in contrasto con le imposizioni statali e che in questo modo si rivela invece del tutto astratta. Hegel conservatore? La concezione dello Stato esemplifica la celebre affermazione hegeliana secondo cui ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale. Tale affermazione è stata spesso interpretata come espressione di un radicale conservatorismo, secondo cui, se tutto è razionale, allora si devono considerare razionali anche le istituzioni politiche e sociali in cui lo Stato si esprime, e di conseguenza si deve respingere qualsiasi tentativo di modificarle. La questione del conservatorismo hegeliano è complessa e delicata. Si può osservare che i suoi scritti giovanili sembrano esprimere una concezione più progressista; e che le sue riflessioni sviluppate durante le lezioni appaiono più critiche nei confronti della realtà esistente rispetto a quanto non lo siano le affermazioni presenti nelle opere. Queste diverse sfumature non dipendono da un oscillare delle convinzioni del filosofo, bensì dall'oggettiva complessità della questione. - In primo luogo, la concezione hegeliana si presenta come una forma di panlogismo, secondo cui l'intera realtà è espressione della Ragione. Ciò è evidente in tutti e tre i grandi momenti in cui la Ragione si sviluppa: dall'Idea come razionalità pura, ma destinata a calarsi nella realtà come suo principio immanente, alla natura come razionalità esteriorizzata e materializzata, e infine allo Spirito come razionalità che ritorna in sé. Tuttavia, proprio questa struttura triadica Idea-natura-Spirito suggerisce che l'identità fra la Ragione e la realtà non è data immediatamente, ma è il risultato di un processo dialettico. La prima parte dell'affermazione hegeliana - ciò che è razionale è reale - non significa dunque che l'Idea sia già realtà, ma che essa deve diventare reale. La piena razionalità della realtà, insomma, se per un verso è implicita fin dall'inizio, per un altro verso diventa esplicita e consapevole soltanto al termine del percorso dell'Idea. Il significato razionale della realtà può essere colto soltanto concependo la realtà stessa nella complessità dinamica di tutte le sue articolazioni. - In secondo luogo, nella frase hegeliana il termine italiano "reale" sta per il tedesco wirklich, che non indica il mero dato di fatto, bensì la realtà effettuale, ovvero la realtà in quanto dotata di senso e permeata da una ragione intrinseca. Ciò significa che Hegel respinge la tentazione intellettualistica e astratta di "imporre dall'esterno" la razionalità alla realtà: quest'ultima è già di per sé permeata dalla Ragione. Non ogni singolo aspetto della realtà deve essere considerato razionale. Per tornare allo Stato, non si può escludere la possibilità di sovrani incapaci, o di norme inique, ma ciò non deve impedire di cogliere la verità essenziale secondo cui lo Stato è in sé l'espressione più alta e compiuta dello Spirito oggettivo. Lo Spirito assoluto Abbiamo visto che lo Stato è la più alta espressione dello Spirito oggettivo; in quanto tale, esso viene superato dialetticamente nello Spirito assoluto. Questo rappresenta il momento conclusivo dell'intero sistema di Hegel, nel quale lo Spirito ritorna in sé nella forma che gli è più propria, cioè quella della piena autoconsapevolezza. Si tratta, in sostanza, della dimensione strettamente culturale dell'umanità, che Hegel concepisce come manifestazione più elevata della vita collettiva di un popolo. Le articolazioni interne dello Spirito assoluto sono l'arte, la religione e la filosofia, che si distinguono per le loro diverse modalità. Più precisamente, poiché lo Spirito assoluto è l'Idea giunta ormai alla consapevolezza della propria infinità e assolutezza, l'arte, la religione e la filosofia non sono altro che le forme attraverso le quali lo Spirito infinito si esprime. L'arte e il suo sviluppo Nell'arte, lo Spirito infinito si raffigura in forma sensibile, e in ciò consiste il limite dell'arte, perché la sensibilità risulta in sé inadeguata a esprimere l'infinità della dimensione spirituale. Hegel individua tre fasi storiche nello sviluppo dell'arte: l'arte simbolica, propria delle antiche civiltà orientali; quella classica del mondo greco-romano; e infine quella romantica, espressione della civiltà cristiano-germanica del Medioevo e della modernità. Tale tripartizione si intreccia con un'altra, fondata sui diversi generi artistici: all'arte simbolica corrisponde l'architettura; a quella classica la scultura; a quella romantica corrispondono la pittura, la musica e la poesia. - Nell'antico mondo orientale lo Spirito si concepiva ancora in maniera inadeguata: per questo motivo veniva evocato in maniera simbolica. Allo Spirito si rimandava in forma architettonica, con la costruzione di templi quali dimore della divinità, luoghi in cui l'Assoluto non veniva raffigurato, ma chiamato a manifestarsi; 11 - con l'arte classica, lo Spirito si esprime nella raffigurazione statuaria della divinità in forma di uomo. Le sculture greco-romane rappresentano un momento di perfezione nella storia dell'arte, perché in esse è raggiunto un armonico equilibrio fra il contenuto spirituale espresso dall'opera (cioè la consapevolezza dell'identità fra uomo e Dio) e la sua forma sensibile (cioè la figura umana che impersona la divinità). Nell'arte classica lo Spirito si concepisce e si esprime ancora come finito, tanto da trovare la propria raffigurazione nella forma sensibile di un singolo essere umano. Per questo motivo, quando, con l'avvento del cristianesimo, arriva a concepirsi adeguatamente come infinito, l'arte classica deve cedere il posto a quella romantica; - l'arte medievale e romantica ritorna a essere simbolica, in quanto allude allo spirito come proprio oggetto. Non si tratta tuttavia di un ritorno alle forme espressive del mondo orientale, perché in quelle l'esigenza di ricorrere a simboli era conseguenza dell'inadeguatezza con cui si concepiva l'Assoluto; nell'arte del mondo cristiano-germanico, invece, essa dipende dalla consapevolezza che lo Spirito è una realtà infinita, che non può essere ristretta in una raffigurazione sensibile, ma soltanto evocata per suo tramite. L'arte romantica esprime una più alta concezione dello Spirito e dell'Assoluto anche rispetto all'arte classica, ma proprio per questo non può aspirare a essere la forma più perfetta di arte in quanto tale: questo titolo spetta comunque all'arte greca, che sola realizza appieno l'equilibrio e l'armonia tra forma e contenuto. La consapevolezza dell'Assoluto come infinito, propria della religione cristiana, porta inoltre a preferire generi che mirano a "smaterializzare" l'espressione artistica. Con l'arte romantica il tentativo di emanciparsi dalla dimensione sensibile si accentua: nel passaggio dalla scultura alla pittura, la raffigurazione diventa bidimensionale e la terza dimensione è resa soltanto indirettamente; nella musica è eliminato il supporto materiale dell'espressione artistica; nella poesia ci si allontana ulteriormente dalla sensibilità. Con la poesia l'arte giunge infatti al limite estremo delle sue capacità espressive, e proprio in virtù dell'uso del linguaggio passa ormai nella dimensione del pensiero, che caratterizzerà i successivi momenti dello Spirito assoluto, ovvero la religione e la filosofia. Nella concezione hegeliana dell'arte, e nella delineazione del suo passaggio da un genere all'altro fino alla sua "smaterializzazione" nella poesia romantica, alcuni interpreti hanno visto una teorizzazione della «morte dell'arte», nel senso che tale forma dello Spirito assoluto sarebbe condannata a estinguersi. In realtà, analogamente a quanto accade ai diversi popoli nella storia, secondo Hegel l'arte continuerà a esistere, ma, mentre nel mondo greco rappresentava la forma più alta di autoconsapevolezza dell'Assoluto, nella nuova temperie culturale ha ormai perso questo ruolo, che è stato assunto dalla religione e dalla filosofia. La religione La religione è già una modalità di pensiero, ma ancora in forma rappresentativa. Nella religione lo Spirito non si esprime ancora per mezzo di concetti, bensì per mezzo di rappresentazioni, quali possono essere i miti e le narrazioni. Ad esempio, l'identità di finito e infinito, di umano e divino si presenta nella religione come racconto dell'incarnazione di Dio in Gesù. Religione e filosofia presentano il medesimo contenuto, sia pure nelle forme diverse del pensiero rappresentativo e del pensiero concettuale. Come già l'arte, anche la religione ha uno sviluppo storico che si articola in tre tappe: - la prima tappa è quella della religione naturale propria dei popoli dell'antico Oriente, in cui la divinità si presenta come espressione delle forze della natura, impersonale; - nella seconda tappa Dio si manifesta come una realtà personale, come avviene nella religione ebraica e in quella greco-romana; - la terza tappa, infine, è costituita dal cristianesimo, ovvero da una religione rivelata in cui il soggetto divino, incarnandosi nell'uomo, si manifesta. Il cristianesimo per Hegel è la forma di religione più matura, corrispondente nei suoi contenuti al momento più alto della riflessione filosofica, ovvero all'idealismo assoluto. Non deve quindi stupire il fatto che il filosofo, per illustrare alcuni aspetti del proprio pensiero, utilizzi talvolta espressioni derivate dalla dottrina cristiana. Il dogma cristiano della Trinità (secondo cui Dio sarebbe nello stesso tempo una sola persona e tre persone) si configura come la rappresentazione dei tre momenti dialettici che stanno alla base del sistema hegeliano: l’Idea corrisponderebbe a Dio Padre prima della creazione; la natura corrisponderebbe al Cristo, ovvero al Lógos divino che si "aliena" assumendo le fattezze finite; e lo Spirito corrisponderebbe allo Spirito Santo, terza persona della Trinità. La religione è una delle forme in cui lo Spirito si manifesta e si comprende. Hegel critica la cosiddetta teologia negativa, cioè l'insieme di quelle forme di riflessione su Dio che avevano insistito sulla ineffabilità della natura divina, considerata troppo elevata per essere colta dal pensiero. Secondo Hegel, invece, è proprio dello Spirito il manifestarsi: esso, anzi, è costitutivamente manifestazione di sé a sé; e lo Spirito si credenza per ogni rivela anche all'uomo: propriamente parlando, dunque, ogni autentica religione, più che individuata da un Dio trascendente, è religione disvelata, in cui l'Assoluto esprime se stesso. La grande triade è formata da Dio, spirito e mondo. Dio (Spirito o Assoluto) sussiste da solo in modo astratto, concettuale (è un in sé). L’antitesi di Dio è il mondo, ma poi Dio torna a conoscere sé stesso attraverso la complessa vicenda dell’umanità. Dunque lo spirito è sia la tesi che la sintesi, mentre il mondo è l’antitesi. Quando l’umanità, in una lunga gestazione, giunge a conoscere pienamente Dio, scopre che Dio ha ritrovato sé stesso. Così ogni forma culturale alta è una teofania, manifestazione di Dio, “fenomeno dello spirito”. Nel caso dello spirito, la teologia cristiana afferma che Dio non è Dio senza un’umanità che lo riconosca come tale. La vicenda dell’umanità in cui sta tutto, è il modo in cui Dio arriva a conoscere sé stesso e prende coscienza di sé. Noi lo facciamo con l’esperienza della vita: noi da anziani saremo noi in modo più consapevole. Il sistema hegeliano guarda all’universo dal punto di vista di Dio. 12 essere utile ricorrere all'esempio del confronto tra il mondo greco e la Repubblica romana tra il II e il I secolo a.C. Potrebbe sembrare un'ingiustizia della storia il fatto che la civiltà greca, culturalmente e artisticamente più evoluta di quella romana, abbia dovuto soccombere alla forza militare di quest'ultima. Ma grazie alla sconfitta subita la cultura greca ha potuto diffondersi portata in quei territori proprio dai Romani. Nella prospettiva hegeliana, questo significa che la civiltà greca aveva esaurito la sua funzione nella storia dell'umanità, ed era ormai giunto il momento di quella romana. Per Hegel il progresso storico è quindi il risultato dell'azione di un unico attore universale, lo Spirito del mondo. Ma questo si incarna di volta in volta nello Spirito dei singoli popoli, ognuno dei quali rappresenta in una determinata fase storica il momento più avanzato della civiltà umana: la guerra segna il "passaggio di consegne" fra i diversi popoli, come se lo Spirito del mondo si trasferisse dall'uno all'altro. Ciò non vuol dire che la nazione sconfitta militarmente sia condannata alla scomparsa, ma è comunque destinata a un ruolo storico marginale. Il senso della storia Per Hegel il senso della storia va individuato nel progressivo affermarsi della libertà. Da questo punto di vista, la storia si articola in tre momenti fondamentali, che si susseguono secondo un ordine cronologico, ma anche lungo una direzione geografica che da est si sposta verso ovest. 1. Il primo momento è quello dei grandi imperi orientali. In questo tipo di ordinamenti politico-sociali, a essere libero è un solo individuo, il sovrano, il quale esercita il proprio potere come un despota. 2. Il secondo momento è rappresentato dal mondo classico greco-romano, in cui una élite di cittadini liberi si contrappone a una maggioranza di schiavi. 3. Il terzo e conclusivo momento è costituito dal mondo cristiano-germanico, nel quale tutti gli uomini sono liberi. Quest'ultima fase storica si è originata a partire dalla crisi dello Stato romano, favorita da un lato dall'affermarsi della nuova religione cristiana, e dall'altro dalla penetrazione delle tribù germaniche nei territori dell'Impero. Il cristianesimo, sostenendo che l'uomo è stato creato «a immagine e somiglianza» di Dio, ha rivendicato la dignità e la libertà dell'essere umano in quanto tale. Quanto ai Germani, Hegel sottolinea la sostanziale assenza della schiavitù presso quei popoli. Per quanto avviato nella tarda antichità, il riconoscimento della libertà di tutti gli uomini è inizialmente una mera affermazione di principio. Perché possa giungere a realizzarsi, occorre arrivare all'età moderna. In tale processo gioca un ruolo centrale la Rivoluzione francese, che mette radicalmente in discussione il sistema di privilegi, anche se rappresenta un momento di lacerazione, in cui la libertà cerca di affermarsi contrapponendosi alla razionalità incarnata dallo Stato. La possibilità di una realizzazione concreta della libertà viene riconosciuta da Hegel nell'epoca a lui contemporanea, e in particolare all'affermarsi della monarchie costituzionali presso gli Stati europei. Realizzata nella libertà la propria finalità intrinseca, il compito della filosofia è quello di interpretare la storia cercando di individuarne la razionalità profonda: tale riflessione si rivolge al passato e al presente, e non si propone di prevedere il futuro. Ciò che giunge a conclusione non è la vicenda storica in quanto tale, ma la filosofia hegeliana della storia, intesa come tentativo di trovare un senso al modo in cui tale vicenda si è dipanata. Il ruolo degli individui cosmico-storici Per Hegel gli individui sono legati al contesto storico e sociale a cui appartengono, e rispetto a tale contesto svolgono e devono svolgere una funzione conservatrice. Il singolo è chiamato a contribuire al mantenimento del sistema: non si tratta, insomma, di trasformarlo, ma piuttosto di farlo funzionare nel modo migliore. Coloro che si oppongono all'ordine costituito devono essere considerati fuorilegge. Hegel ammette l'esistenza di alcuni casi eccezionali. Nei momenti storici di transizione, infatti, quando un determinato sistema politico e sociale ha ormai esaurito le proprie potenzialità, e al suo interno sono ormai maturate le condizioni per l'affermazione di un nuovo ordine, possono emergere i cosiddetti personaggi cosmico-storici: figure straordinarie, che hanno la capacità di cogliere e interpretare il nuovo mondo già presente e vitale: sanno percepire lo Spirito della nuova epoca che bussa alla porta della storia. Esempi di questo tipo di personaggi sono per Hegel Alessandro Magno, che ha posto fine al mondo ormai in crisi della pólis e inaugurato l'età ellenistica o Napoleone Bonaparte, che con le armi ha esportato la Rivoluzione. Nei confronti dell'ordine costituito, tali figure si presentano come criminali politici. Tuttavia i semplici ribelli e fuorilegge falliscono e periscono nei loro tentativi, mentre ai personaggi cosmico-storici arride un successo inarrestabile. Ancora una volta, si potrebbe osservare che Hegel sembra assumere un atteggiamento giustificazionista, riconoscendo il successo di un rivolgimento storico-politico come il fondamento della sua legittimità. Per Hegel i personaggi cosmico-storici non trovano la giustificazione della propria azione nel successo delle loro imprese, ma riescono nel loro intento eversivo. E’ questo l'unico caso in cui lo Spirito del mondo non agisce per mezzo di attori collettivi come i popoli, ma si incarna in singoli individui. Il filosofo, avendo avuto occasione di scorgere da lontano Napoleone, poté dire di avere visto lo Spirito del mondo a cavallo. L'astuzia della Ragione In genere, i personaggi cosmico-storici non sono pienamente consapevoli del reale significato del loro ruolo: agiscono per dare soddisfazione alle loro ambizioni personali. È lo Spirito del mondo, che agisce attraverso di loro, a fare di tali ambizioni lo strumento per l'attuazione dei propri scopi. A questa capacità dello Spirito, Hegel dà il nome di astuzia della Ragione, espressione che rappresenta il corrispettivo della "divina provvidenza". Una volta realizzato il proprio fine, lo Spirito del mondo abbandona il personaggio cosmico-storico al suo destino, lasciandolo scomparire rapidamente dalla scena della storia, e spesso facendogli concludere precocemente la propria esistenza. 15 Neoidealismo, storicismo e marxismo nel pensiero italiano del primo Novecento All'inizio del Novecento, nella cultura italiana emergono segni di insoddisfazione per il positivismo, che era stato l'orientamento filosofico dominante nella seconda metà dell'Ottocento. Un tentativo di rinnovamento ha luogo a Firenze, per iniziativa di un gruppo di intellettuali che fondano la rivista "Leonardo", alla quale farà seguito "La Voce". A "Leonardo" dà contributi significativi Giovanni Vailati, un filosofo di formazione scientifico-matematica che aveva preso le distanze dal positivismo, per esplorare nuove concezioni della scienza. È in questo contesto che iniziano a diffondersi le idee di pensatori come Kierkegaard, Nietzsche e Bergson. Lo stesso anno in cui a Firenze nasce "Leonardo", Benedetto Croce fonda a Napoli "La Critica", una rivista che si avvale della collaborazione di Giovanni Gentile e che costituirà un decisivo punto di riferimento per il neoidealismo. Questo nome deriva dal fatto che sia Croce sia Gentile si ispirano ai grandi sistemi dell'idealismo tedesco, in particolar modo a quello di Hegel, del quale in Italia aveva dato una rilettura Bertrando Spaventa. Sviluppando il tentativo di Spaventa di contrapporre la dialettica hegeliana al positivismo, Croce e Gentile propongono una concezione della realtà in cui il divenire storico e l'atto di pensiero risultano prioritari in rapporto al mondo di fatti bruti su cui vertono le scienze naturali. In particolare, nella filosofia di Croce è la storia a occupare la posizione centrale, tanto che il suo neoidealismo si presenta come uno storicismo, mentre nella filosofia di Gentile, in cui risulta dominante l'atto di pensiero, il neoidealismo prende il nome di attualismo. Lo storicismo di Croce Benedetto Croce, dopo la morte della famiglia, è accolto dal suo zio paterno, il senatore Silvio Spaventa, il cui fratello, Bertrando, era all'epoca il principale esponente dell'hegelismo italiano. Senza aver concluso gli studi universitari, si dedica autonomamente alla ricerca e alla scrittura, potendo contare su un patrimonio di famiglia. L'esito principale di questa prima fase di attività filosofica è Materialismo storico ed economia marxistica. Croce fonda "La Critica", una rivista di storia, letteratura e filosofia alla quale collabora anche Giovanni Gentile. Croce viene nominato ministro della Pubblica Istruzione nel governo guidato da Giovanni Giolitti. Con la presa del potere da parte del partito fascista, il sodalizio tra Croce e Gentile volge al termine. Gentile dà il suo sostegno a Mussolini e viene nominato ministro al posto di Croce, che mantiene invece un atteggiamento distaccato e poi un dissenso. Croce rimane una delle poche voci critiche tollerate dal regime. Pur non partecipando attivamente alla vita politica, continua a pubblicare libri e articoli, in cui all'occorrenza ribadisce la sua concezione liberale contro l'autoritarismo mussoliniano. Alla caduta del regime, Croce torna a contribuire in prima persona alla politica nazionale, prima come presidente del partito liberale e poi come senatore della neonata Repubblica. Le quattro forme dello spirito Alla base dell'idealismo di Croce c'è la concezione della realtà come spirito, cioè come processo storico in cui si dispiega la razionalità. Croce definisce idealismo assoluto la tesi per cui l'unica realtà è lo spirito, mentre chiama storicismo assoluto la tesi complementare per cui lo spirito è un processo storico. Croce dissente con l'idea hegeliana che lo spirito proceda secondo un unico principio, la «dialettica degli opposti», in base alla quale ogni stadio del suo sviluppo è seguito da un nuovo stadio che gli si oppone, lo contraddice e infine lo supera pur conservandolo. Per Croce, lo spirito ha un'articolazione più complessa di quella ipotizzata da Hegel. Da una parte, esso si manifesta secondo un modo che può essere teoretico (riguardante il conoscere) oppure pratico (riguardante il volere); dall'altra, si dispiega secondo un grado che può essere individuale (avente una localizzazione) o universale (indipendente dalla localizzazione). Incrociando modi e gradi, Croce ottiene le quattro forme in cui si articola la realtà: 1. l'estetica (il conoscere rivolto all'individuale), 2. la logica (il conoscere rivolto all'universale), 3. l'economia (il volere rivolto all'individuale), 4. l'etica (il volere rivolto all'universale). La relazione che sussiste fra queste quattro forme dello spirito richiede una nuova dialettica dei distinti, tale per cui le quattro forme risultano reciprocamente autonome e nessuna prevale sull'altra. Si assiste piuttosto a uno sviluppo circolare, nel quale lo spirito passa da una forma all'altra per poi fare ritorno alla forma di partenza. La dialettica degli opposti di Hegel rimane tuttavia uno strumento prezioso per indagare quel che accade "all'interno" delle quattro forme dello spirito. In ciascuna di esse, infatti, è all'opera un'opposizione fondamentale che la contraddistingue: nell'estetica, il bello si contrappone al brutto; nella logica, il vero al falso; nell'economia, l'utile all'inutile; nell'etica, il buono al cattivo. L'estetica come scienza dell'espressione In quanto conoscenza dell'individuale, l'estetica comprende tutte le attività dello spirito che si basano sulla percezione, la memoria, l'immaginazione e le emozioni. Per caratterizzare l'attività propria di tale dimensione, Croce parla di espressione, l'attività mediante la quale un certo soggetto giunge alla conoscenza dell'individuale, articolandola in modo da renderla accessibile anche ad altri. Posto che l'espressione è il momento centrale dell'estetica, e che il linguaggio e l'arte sono gli ambiti primariamente deputati all'espressione, è su questi che l'estetica di Croce si focalizza. Insita già nel linguaggio, l'espressione giunge al suo massimo perfezionamento nell'arte, e in maniera esemplare nella poesia. Egli caratterizza l'arte come intuizione lirica, cioè come la capacità, da parte dell'artista, di esprimere non soltanto una propria intuizione, ma anche il sentimento che tale rappresentazione ha suscitato in lui. Si noti però che per Croce il sentimento costitutivo dell'intuizione lirica non deve essere qualcosa di soggettivo. D'altra parte, per Croce l'intuizione lirica è qualcosa che si compie già nell'interiorità dell'artista, e la cui manifestazione esteriore è un momento secondario e accidentale, che concerne la tecnica più che l'arte. Croce elabora il suo metodo di critica letteraria. Egli 16 distingue gli scrittori che realizzano l'intuizione lirica da quelli che lo fanno soltanto in parte: ritiene che la produzione di Carducci sia superiore a quella di Leopardi. Carducci è un poeta che punta all'espressione del sentimento. In Leopardi, invece, Croce vede un poeta che sacrifica il suo talento lirico a elucubrazioni filosofiche. Anche nel valutare le singole opere d'arte, Croce distingue i momenti di intuizione lirica da quelli in cui prevale invece la dimensione teorica: ad esempio, nella Divina commedia egli seleziona alcuni passi che giudica di "vera poesia", isolandoli dall'opera, una riflessione teorica. L'attualismo di Gentile Giovanni Gentile inizia da giovane la sua corrispondenza con Croce ed entrambi si propongono di rinnovare dall'interno la filosofia idealistica. Le concezioni filosofiche di Croce e Gentile entrano in rotta di collisione: quando la rivista fiorentina "La Voce" ospita un loro dibattito Croce accusa Gentile di trasformare l'idealismo in un misticismo; Gentile ribatte che si tratta dell'idealismo stesso, portato alle sue estreme conseguenze. Con la presa del potere da parte di Mussolini, Gentile - che vede nel fascismo il coronamento degli ideali del Risorgimento - si dedica all'attività politica. E’ ministro della Pubblica Istruzione, mentre negli anni successivi coordina insieme con l'editore Giovanni Treccani il grande progetto dell'Enciclopedia Italiana. Nel 1943, alla caduta del regime fascista, Gentile resta fedele a Mussolini e l'anno successivo viene ucciso dai partigiani. La fiamma eterna Gentile afferma che nulla esiste al di fuori dell'atto di pensiero. Se proviamo a concepire qualcosa che esista indipendentemente dal pensiero, lo stiamo già pensando, e così facendo ne sveliamo la dipendenza dal pensiero. Da qui l'immagine del pensiero come «combustione», cioè come un processo che necessita di un combustibile da bruciare, ma non si riduce a quest'ultimo. L'immagine della combustione illustra efficacemente la concezione idealistica del pensiero ma va trattata con cautela. Presa alla lettera, essa suggerisce infatti l'idea che esista un combustibile preesistente alla combustione. Invece per Gentile il pensiero è una combustione perenne (una fiamma eterna), che coincide con il combustibile stesso, ovvero con l'intera realtà. Non c'è un combustibile che preceda la combustione: il combustibile è da sempre in fiamme, la combustione è da sempre in atto. In questo senso, per Gentile la realtà è sia soggetto sia oggetto di pensiero; essa è spirito. Il compimento dell'idealismo L'esistenza di un mondo oggettivo indipendente dal pensiero è per Gentile soltanto un'astrazione, il frutto della separazione fittizia di qualcosa che invece è unito. Hegel è andato vicino a cogliere questa essenziale unità di pensiero e pensato, ma secondo Gentile non si è spinto fin dove avrebbe dovuto, finendo così per trattare la natura come qualcosa di "esterno" al pensiero. Per questa ragione, Gentile ritiene necessaria una riforma della dialettica hegeliana, di passare dalla dialettica che tratta ciò a cui il pensiero si rivolge, la natura, come un momento esterno, alla dialettica che considera il pensiero nella totalità delle sue manifestazioni, trattandolo non come cosa ma come atto. Nella concezione che ne risulta, la realtà è pensiero pensante, che si realizza e si rinnova continuamente, anziché acquietarsi nell'oggettività di ciò che è pensato. Da qui la caratterizzazione dell'idealismo di Gentile come attualismo. Dove c'è realtà oggettiva, c'è il pensiero che la pensa. Ma questo non vuol dire che il pensiero crei la realtà, perché il pensiero, in quanto «combustione» è tale soltanto in presenza della realtà, che è il suo «combustibile». Lo spirito è precisamente questo nesso inestricabile di pensiero e realtà. Dalla contemplazione all'azione Nel quadro teorico dell'attualismo, il pensiero non nasce dall'incontro fra un soggetto e un oggetto che preesistono al pensiero stesso. All'opposto, l'atto di pensiero è il momento originario, mentre le nozioni di "soggetto" e "oggetto" si possono ricavare soltanto in seconda battuta. Gentile parla a questo proposito di tre momenti essenziali dello spirito, cioè posizione del soggetto, posizione dell'oggetto, e posizione della loro sintesi. Il soggetto a sé stante e l'oggetto a sé stante non hanno alcuna esistenza genuina; si palesano soltanto nelle operazioni di astrazione compiute dal pensiero nel riflettere su sé stesso, ma in realtà sono legati. Il pensiero non va dunque inteso come la contemplazione di una realtà oggettiva, secondo un modello che risale a Platone e ad Aristotele, e di cui Kant e Hegel continuano a essere debitori. Pensare non vuol dire contemplare la realtà, bensì darle vita: il pensiero è un volere, come Vico e Marx hanno sottolineato. Mentre la distinzione tra conoscere e volere è la chiave di volta del sistema crociano, Gentile unifica il conoscere e il volere nel pensiero come atto puro. Arte, religione e filosofia Ai tre momenti del pensiero - soggetto, oggetto e loro sintesi - corrispondono l'arte, la religione e la filosofia. Poiché soggetto e oggetto non esistono di per sé, l'arte e la religione sono forme di coscienza parziali, che colgono soltanto un aspetto della realtà (rispettivamente il soggetto e l'oggetto), senza riconoscere che la realtà è sintesi. Nell'arte, il soggetto prevale sull'oggetto, riducendo quest'ultimo a un pretesto. Nella religione accade l'opposto: il soggetto si consegna interamente all'oggetto, che è Dio. In tal senso il culmine della religione è il misticismo, in cui il soggetto nega sé stesso per affermare la verità del divino in cui crede. Mentre nell'arte prevale la particolarità del singolo soggetto, nella religione si impone l'oggetto divino. Con la filosofia si ha invece il superamento sia dell'unilateralità soggettiva dell'arte sia dell'unilateralità oggettiva della religione. Il filosofo riconosce che il soggetto e l'oggetto sono inscindibili, e che vi è vera conoscenza soltanto quando si coglie la loro unione. Gentile supera la distinzione crociana tra particolare e universale. Tale distinzione vale dal punto di vista dell'arte, che si focalizza sul particolare; e vale anche dal punto di vista della religione, che si rivolge all'universale. Per la filosofia, invece, particolare e universale sono 17
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