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HEROIDES traduzione e paradigmi epistole I, II, III, VII, VIII, IX, XIII, XIV, XX, XXI, Traduzioni di Letteratura latina

HEROIDES traduzione letterale e paradigmi (con alcune note di analisi) epistole I (Penelope a Ulisse), II (Fillide a Demofonte), III (Briseide ad Achille), VII (Didone a Enea), VIII (Ermione a Oreste), IX (Deianira a Ercole), XIII (Laodamia a Protesilao), XIV (Ipermestra a Linceo), XX (Aconzio a Cidippe), XXI (Cidippe ad Aconzio) Il mio esame preparato su questo materiale è stato valutato da 30/30

Tipologia: Traduzioni

2022/2023

In vendita dal 23/11/2023

mmartina-3
mmartina-3 🇮🇹

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Scarica HEROIDES traduzione e paradigmi epistole I, II, III, VII, VIII, IX, XIII, XIV, XX, XXI e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! HEROIDES I – PENELOPE A ULISSE TRADUZIONE La tua Penelope manda questa (lettera) a te che sei lento, o Ulisse. Non importa che tu mi riscriva, purché tu venga (vieni tu stesso). Troia certamente è caduta, odiosa alle donne greche; Priamo e l’intera Troia valevano appena tanto. O se allora, quando navigava verso Sparta con la flotta, l’adultero fosse stato sommerso dalle onde infuriate! Io non avrei giaciuto fredda in un letto deserto, abbandonata non avrei lamentato il trascorrere dei giorni lenti, e a me che cercavo di ingannare la lunga notte, la tela pendente non avrebbe stancato le (mie) mani vedovili. Quando non ho temuto rischi più gravi del vero (di quelli veri)? L’amore è una cosa piena di tormentosa paura. Contro di te immaginavo che i Troiani si scagliavano violenti; ero sempre pallida (impallidivo) quando veniva pronunciato il nome di Ettore, e se qualcuno narrava che Antiloco era stato ucciso da Ettore, Antiloco era la causa delle nostre paure. E se (qualcuno narrava) che il figlio di Menezio fosse caduto su le armi che non gli appartenevano, piangevo che l’inganno potessero mancare di successo. Tlepolemo aveva intiepidito di sangue la lancia licia: con la morte di Tlepolemo la mia angoscia è stata rinnovata. Chiunque nel campo acheo era ucciso il mio cuore di donna innamorata diventava più freddo del ghiaccio. Ma un dio giusto verso l’amore casto mi fu favorevole: Troia è ridotta in cenere con il mio sposo sano e salvo. I comandanti argivi (rediere sta per redierunt: infinito storico) sono ritornati e gli altari fumano (in segno di devozione e gratitudine); il bottino dei barbari è posto davanti agli altari dei nostri dei patri (moto a luogo figurato). Le giovani spose portano offerte di ringraziamento per i mariti che si sono salvati e i mariti cantano il destino di troia vinto dal loro stesso destino. Sia i vecchi onesti sia le donne in trepidazione le guardano con ammirazione: la sposa pende dalle labbra del marito che racconta. E qualcuno, sulla tavola apparecchiata, racconta le battaglie sanguinose e con poco vino disegna l’intera Pergamo: “di qua scorreva il simoenta, questa è la regione di sigeo; qui invece si trovava la reggia eccelsa del vecchio priamo ; là aveva disposto il suo accampamento Eiacide, di là Ulisse. Qui Ettore ridotto a brandelli spaventò i cavalli a briglie sciolte. tutto infatti aveva raccontato il vecchio nestore a tuo figlio, mandato a cercare te, e lui a me. Raccontò di Reso e Dolone uccisi con la spada, e come uno fosse stato colto nel sonno, l’altro con l’inganno. Tu invece hai osato, troppo dimentico dei tuoi (cari), entrare con una astuzia notturna negli accampamenti traci, e trucidare tanti uomini tutti insieme aiutato solamente da un'unica persona! Ma tu eri cauto, e memore principalmente di me! Il cuore continuava a battere per la paura finchè mi fu detto che tu eri tornato vincitore nel campo alleato con i cavalli ismari. Ma a che mi giova che Ilio sia stata distrutta dalle vostre braccia e che adesso è suolo quello che fu muro, se io resto nella stessa condizione di quando troia rimaneva, lo sposo di cui sono priva è lontano da me per sempre. Per gli altri Pergamo è stata distrutta; solo per me resta/è ancora in piedi, quella (Pergamo) che il colono vincitore ara con il bue catturato. C’è già il grano dove sorgeva troia e la terra fertile per il sangue frigio è rigogliosa, pronta per essere tagliata dalla falce. Le ossa semisepolte degli eroi sono ferite dagli aratri ricurvi e l’erba nasconde le case ormai diroccate. Tu vincitore sei assente né a me è lecito (in posizione enfatica a fine del distico) sapere quale sia la causa del tuo tardare (del tuo ritardo) o su quale mondo tu crudele ti nascondi. Chiunque rivolga la nave straniera verso questi lidi se ne va interrogato da me di te a lungo e una lettera scritta con le mie mani viene affidata a lui affinché la consegni a te semmai in qualche luogo ti incontrerà. Ho inviato a Pilo, terra nelea del vecchio Nestore, e da Pilo sono tornate notizie incerte. Ho mandato anche a Sparta: anche sparta è ignare della verità. Quale terra tu abiti, o dove prolunghi la tua assenza (lett.: in quale luogo duraturo manchi)? Sarebbe più utile che le mura di Febo fossero ancora in piedi e mi adiro io che sono incoerente verso i miei stessi desideri! Saprei dove combatti e soltanto la guerra temerei e il mio lamento sarebbe congiunto con quello di molti. Ignoro di che cosa avere paura e intanto temo tutto e un ampio spazio si offre alle mie angosce nella mia follia. Qualunque pericolo presenta il mare, qualunque pericolo la terra, e io sospetto che essi siano causa di un così prolungato ritardo, e mentre io stolta temo queste cose, tu puoi essere catturato da un amore straniero, che ti piace. Forse mentre tu narri quanto è rustica tua moglie, la quale non permette che le lane non vengano raffinate. Possa io sbagliarmi, e che questo sospetto si perda nell’aria leggera e non accada che tu libero di poter far ritorno a casa che tu voglia rimanere lontano. Mio padre icario costringe me di abbandonare il letto vedovile e rimprovera la mia interminabile attesa. Che mi biasimi pure io sono tua ed è utile che io continui ad esser detta tua, per sempre sarò penelope, sposa di Ulisse, il padre però si lascia commuovere dalla mia devozione e dalle oneste preghiere e modera le sue pressioni. I proci Dulichii, i sami e quelli che l’alta Zacinto generò mi assalgono, turba dissoluta e regnano nella tua reggia senza che nessuno glielo impedisca, dilapidano i nostri beni che sono le tue ricchezze. Perché ti devo raccontare di Pisandro, di Polibio e del crudele Medonte, delle mani avide di Eurimaco e di Antinoo e di tutti gli altri, i quali, essendo tu assente ingiustificatamente, tu stesso nutri con i tuoi beni procurati con il tuo stesso sangue? Iro, il mendicante e Melanzio che porta il gregge destinato ai banchetti, l’onta suprema, si aggiungono alla tua rovina. Noi siamo tre soltanto, e indifesi, una moglie senza forze, il vecchio Laerte e il fanciullo Telemaco. Questo (Telemaco), recentemente, c’è mancato poco che mi fosse portato via per dei tranelli, quando si preparava a partire per Pilo essendo tutti contrari. Gli dei vogliano ciò, e io li prego, che secondo il corso naturale dei fati (andando i fati con ordine), egli chiuda i miei occhi e anche i tuoi! Da questa parte stanno il custode dei buoi e la vecchia nutrice; come terzo il fedele guardiano del porcile immondo, ma Laerte poiché (ut dà valore causale alla relativa impropria) è inabile a causa degli anni, non può tenere il comando in mezzo ai nemici. Telemaco, purchè viva, raggiungerà un’età più robusta, e ora quell’età doveva essere protetta dal sostegno del padre, né io ho le forze per cacciare i nemici di casa. Vieni presto, porto e salvezza per i tuoi! Tu hai un figlio e io ti prego che nei suoi teneri anni deve essere educato nelle arti del padre. Guarda Laerte: affinché tu possa chiudere i suoi occhi, egli prolunga l’ultimo giorno che gli è stato assegnato dal fato. E io certamente, che quando tu partisti ero una fanciulla, se tu dovessi venire subito, ti sembrerò fatta (diventata) una vecchia. PARADIGMI: [mitto], mittis, misi, missum, mittĕre [rescrībo], rescrībis, rescripsi, rescriptum, rescrībĕre [attĭnĕo], attĭnes, attinui, attentum, attĭnēre [vĕnĭo], vĕnis, veni, ventum, vĕnīre [iăcĕo], iăces, iacui, iăcēre [pĕto], pĕtis, petii, petitum, pĕtĕre [obrŭo], obrŭis, obrui, obrutum, obrŭĕre [quaero], quaeris, quaesii, quaesitum, quaerĕre [ĕo], is, ii, itum, ire [rĕlinquo], rĕlinquis, reliqui, relictum, rĕlinquĕre [fallo], fallis, fefelli, falsum, fallĕre [lasso], lassas, lassavi, lassatum, lassāre [tĭmĕo], tĭmes, timui, tĭmēre [fingo], fingis, finxi, fictum, fingĕre [narro], narras, narravi, narratum, narrāre [cădo], cădis, cecidi, cădĕre [flĕo], fles, flevi, fletum, flēre [cărĕo], căres, carui, cărēre [tĕpĕfăcĭo], tĕpĕfăcis, tepefeci, tepefactum, tĕpĕfăcĕre [nŏvo], nŏvas, novavi, novatum, nŏvāre [iŭgŭlo], iŭgŭlas, iugulavi, iugulatum, iŭgŭlāre HEROIDES II – FILLIDE A DEMOFOONTE TRADUZIONE Io, Fillide, tua ospite del Redope, o Demofonte, lamento che tu sia lontano più a lungo di quanto avevi promesso (del promesso). Quando le corna della luna una buona volta si fossero riunite in un cerchio intero ( = un mese), la tua ancora era stata promessa alle nostre spiagge. La luna si è nascosta quattro volte, quattro volte è ricresciuta fino al colmo (lett. ablativo assoluto, essendo colmo il cerchio), ma l’onda sitonia non porta qui navi attiche. Se tu calcoli il tempo e noi amanti lo sappiamo calcolare bene, il nostro lamento non sarà prematuro. Anche la mia speranza si affievolisce; tardi crediamo a ciò che ci fa male credere: tu sei colpevole pur essendo contraria colei che ti ama (ablativo assoluto). Spesso fui menzognera con me stessa per te (per giustificarti, complemento di vantaggio), spesso ho pensato che i venti tempestosi respingessero le tue vele bianche. Ho maledetto Teseo, perché non voleva che tu partissi, ma forse non lui trattenne la tua partenza. Talvolta ho temuto che mentre tu ti dirigi verso i fondali dell’Ebro, la tua nave, naufragata, fosse stata sommersa (FORET STA PER ESSET, CONG IMPF DI SUM; MERSA FORET = CONG PPF DI MERGO) nei flutti biancheggianti. Spesso ho supplicato gli dei affinché tu, o scellerato, stessi bene, li onorai con preghiere e sacrifici fumanti di incenso. Spesso vedendo venti favorevoli sia in cielo che sul mare, mi sono detta: “Se lui sta bene, verrà”. Alla fine, ciò che ostacola a chi si affretta , il mio amore fedele lo ha pensato, e sono stata ingegnosa a trovare delle ragioni (ho fantasticato le cause possibili per le quali tu eri impedito). Ma tu ostinato sei assente (sei assente a lungo/prolunghi la tua assenza), né gli dei su cui hai giurato ti riportano qui, né ritorni spinto dal nostro amore. Demofoonte, hai dato al vento sia le parole sia le vele. Lamento che le vele manchino del ritorno, le parole della fedeltà. Dimmi, che cosa ho fatto se non amarti con poca sapienza? Con questo mio errore avrei potuto obbligarti a me. In me c’è solo una colpa, cioè quella di aver accolto te, o scellerato. Ma questa colpa ha il peso e il valore (INSTAR: nominativo indeclinabile) di un merito (l’accoglienza doveva essere un titolo di merito, non una colpa, ma per Fillide si rivela tale perché è stata la causa della sua sfortuna). I giuramenti, la fedeltà e la destra congiunta alla destra (la stretta di mano) dove sono ora? E quel dio (dov’era) (uso avverbiale di plurimus, che intensifica la quantità del termine a cui si riferisce: si riferisce a un solo dio, Cupido, dio dell’amore) che molte volte ricorreva sulla tua bocca menzognera. Dov’era l’Imeneo (l’imeneo è il dio delle nozze, e spesso indica anche per metonimia il letto stesso delle nozze) promesso per gli anni insieme che per me era ancora garanzia e pegno di matrimonio? Mi giurasti sul mare che è tutto agitato da venti e onde, attraverso il quale tu stesso più volte eri venuto (IERAS: seconda persona singolare del piuccheperfetto indicativo di eō) e attraverso il quale eri destinato a venire (PERIFRASTICA ATTIVA), e sul tuo avo mi giurasti e se anche lui non è finto, il quale placa le acque agitate dai venti, (mi giurasti) su Venere e le armi troppo efficaci su di me – sia l’arma dell’arco sia l’arma delle torce – su Giunone che presiede propizia ai talami nuziali e sui misteri sacri della dea che porta la fiaccola. Se tra tutti questi (dei) offesi, ciascuno degli dei vorrà vendicare il suo proprio nume, non sarai sufficiente da solo per tutti questi castighi. Ma io, folle, riparai anche le tue navi malconce affinché fosse saldo la nave dalla quale/per la quale sono stata abbandonata, ho fornito anche i remi, con cui tu saresti fuggito da me. Ahimè, soffro ferite fatte dalle mie stesse frecce. Ho creduto (1^ persona plurale: PLURALE MAIESTATIS) alle tue parole dolci, di cui tu ne hai in abbondanza (sottinteso est = dativo di possesso). Ho creduto alla tua stirpe e ai nomi illustri dei tuoi antenati, ho creduto anche alle (tue) lacrime, o forse si impara a fingere anche queste? E anch’esse hanno una tecnica, sgorgano a comando (lett. sgorgano dove sono comandate). Ho creduto anche agli dei. Per quale motivo mi hai dato tanti pegni d’amore? Da una parte qualunque dei quali io potevo essere catturata/essere sedotta, non rimpiango di aver aiutato con un porto e con un rifugio, doveva essere il massimo della mia generosità. Mi pento di aver aggiunto indecorosamente all’ospitalità il letto coniugale e di aver condiviso il mio fianco al tuo. La notte che fu prima di quella avrei preferito che fosse stata la mia ultima notte, finché potevo morire come Fillide onesta. Ho sperato di meglio perché pensavo di meritarlo: ogni speranza che viene dal merito è giusta. Ingannare una fanciulla disposta a credere non è una gloria faticosa; la mia ingenuità era degna di maggior riguardo. Sono stata ingannata dalle tue parole sia come donna sia come amante: facciano gli dei che questo sia il massimo della tua fama! Ti si innalzi una statua nella città tra i discendenti di Egeo e ti stia davanti tuo padre, splendido dei suoi titoli di fama. Essendo stato letto (cum e congiuntivo, fuerit sta per sit per ragioni metriche, congiuntivo pf passivo) di Scirone e del minaccioso Procrustre e di Sini e della forma mista di toro e uomo e di Tebe domata in guerra e dei bimembri Centauri vinti e di quando egli bussò al fosco palazzo del dio nero, dopo tutte queste cose, la tua immagine sia segnata da questo titolo: “QUI GIACE COLUI LA CUI AMANTE CHE LO OSPITO’ TRASSE IN INGANNO”. Fra tanta moltitudine di imprese e di gesta di tuo padre, l’abbandono della donna cretese ti è rimasto nella mente. Ammiri in lui solo ciò di cui hai da scusarti, ti comporti, o traditore, come un erede della malizia del padre. Ma lei, e io non la invidio, si gode un migliore marito e adesso siede baldanzosa su tigri legate al guinzaglio; i Traci disprezzati fuggono le nozze con me, perché si dice che ho preferito uno straniero ai miei stessi. E qualcuno dice: “vada ora alla dotta Atene; sarà un altro colui che governerà la Tracia bellicosa: l’esito giustifica le imprese”. Vorrei che mancasse di successo chiunque pensa che i fatti devono essere giudicati dal risultato, ma se il nostro mare spumeggiasse al colpo dei tuoi remi, si dirà che ho provveduto a me e ai miei. Ma io non ho provveduto, né ti sarà più a cuore la mia reggia, né laverai le stanche membra nell’acqua Bistonia (della Tracia). Rimane fissa nei miei occhi l’immagine di te che te ne vai, mentre la flotta pronta ad allontanarsi affollava i miei porti. Hai osato abbracciarmi e, piegato sul collo della tua amante, unire strette le bocche in lunghi indugi e confondere le mie lacrime alle tue, e lamentare che il vento fosse propizio alle vele e, partendo, hai osato dire (a me) a gran voce (con solenni parole): “Fillide, ricorda, aspetta il tuo Demofoonte!”. > N.B.: fac = ricorda, viene qui quasi degradato a particella, molto familiare nel parlato ed è un nesso asindetico col congiuntivo; infatti è seguito da expectes. Dovrei aspettare (te) che partisti per non vedermi mai più, dovrei aspettare di nuovo le vele rifiutate al mio mare? Aspetto, tuttavia. Torna, anche se tardi, al tuo amore (alla tua amante), affinché la tua promessa sia rimandata soltanto per un po’ di tempo! Ma che prego a fare, o me infelice? Già un’altra sposa, forse, ti trattiene e l’amore che mi fu poco favorevole. Da quando ti sono sfuggita dalla mente, non conosci più nessuna Fillide, immagino. Ahimè se tu domandi chi è Fillide e da dove viene, io che a invece a te, o Demofoonte, sbattuto da un lungo errare qua e là, ho dato il porto tracio e l’ospitalità, le ricchezze del quale (Demofoonte) accrebbero le mie (come sogg.) , feci molti doni a te che eri in difficoltà, e molti ancora te ne avrei dati; io che ti ho offerto i grandi regni di Licurgo, a stento adatto ad essere regnato dal nome di donna (il cui governo è a malapena adatto a un nome di donna), dove il glaciale Rodope si estende fino all’Emo ombroso e l’Ebro sacro sospinge le acque agitate: a te che, sotto infausti presagi, la mia verginità sacrificai, e la casta cintura fu slacciata dalla tua mano ingannevole. Tisifone (era una delle erinni) protettrice delle nozze (Tisifone e non Venere: dettaglio sinistro) ululò in quel talamo e l’uccello solitario cantò un lugubre canto; era presente Alecto, avvolta intorno al corpo (con il collo cinto) di serpentelli, le luci nuziali furono agitate dalla torcia sepolcrale. Afflitta, tuttavia, calpesto gli scogli e i lidi pieni di cespugli, ovunque la distesa marina si apre ai miei occhi, sia quando la terra si allenta al giorno, sia quando brillano le fredde stelle, osservo quale vento smuove le onde, e ogni volta che vedo avvicinarsi una vela da lontano subito mi auguro che quella vela siano i miei dei. Mi spingo avanti verso il mare e trattenendomi a malapena i flutti, dove l’acqua mobile spinge le prime onde. Quanto più (quo + comparativo = quanto) si avvicinano, tanto meno mi sostengo (lett. sto utile), mi abbandono e cado io che devo essere presa dalle ancelle (gerundivo con valore attributivo). C’è un golfo, appena incurvato come un arco tirato: le punte estreme si ergono in scogliere a pizzo. Mi è venuto l’impulso di gettare il mio corpo da lì nelle onde soggiacenti; e poiché tu continui a ingannarmi, così succederà. I flutti spingono me prostrata ai tuoi lidi e io giunga senza sepoltura davanti ai tuoi occhi. Pur superando la durezza del ferro e dell’acciaio e te stesso, dirai: “non così, o Fillide, dovevi seguirmi!”. Spesso ho sete di veleni; spesso sarebbe utile morire di una morte cruenta, trafitta dalla spada; o anche può essere utile avvolgere i lacci al mio collo, poiché (il collo) si è offerto da stringere (gerundivo predicativo) alle tue braccia infedeli. Sono pronta/decisa a riscattare il tenero pudore con una morte anzi tempo (morte matura): nella scelta della morte non indugerò a lungo (ci saranno pochi indugi). Tu sarai indicato sul mio sepolcro come il responsabile odioso; sarai noto o con questo epitaffio o con un altro simile: “Demofoonte diede alla morte Fillide, lui ospite (diede alla morte) lei che lo amava; quello diede la causa, lei la mano.” PARADIGMI: [quĕror], quĕrĕris, questus sum, quĕri [cŏĕo], cŏis, coii, coitum, cŏire [păcisco], păciscis, pactum, păciscĕre / [pango], pangis, pepigi, pactum, pangĕre [lătĕo], lătes, latui, lătēre [rĕcresco], rĕcrescis, recrevi, recretum, rĕcrescĕre [vĕho], vĕhis, vexi, vectum, vĕhĕre [nŭmĕro], nŭmĕras, numeravi, numeratum, nŭmĕrāre [laedo], laedis, laesi, laesum, laedĕre [crēdo], crēdis, credidi, creditum, crēdĕre [nŏcĕo], nŏces, nocui, nocitum, nŏcēre [pŭto], pŭtas, putavi, putatum, pŭtāre [dēvŏvĕo], dēvŏves, devovi, devotum, dēvŏvēre nolo, non vis, nolui, nolle [tĕnĕo], tĕnes, tenui, tentum, tĕnēre [tĭmĕo], tĭmes, timui, tĭmēre [tendo], tendis, tetendi, tentum, tendĕre [mergo], mergis, mersi, mersum, mergĕre [vălĕo], văles, valui, valitum, vălēre [vĕnĕro], vĕnĕras, vĕnĕrāre [făvĕo], făves, favi, fautum, făvēre [prŏpĕro], prŏpĕras, properavi, properatum, prŏpĕrāre [obsto], obstas, obstiti, obstāre [fingo], fingis, finxi, fictum, fingĕre [rĕdūco], rĕdūcis, reduxi, reductum, rĕdūcĕre [rĕdĕo], rĕdis, redii, reditum, rĕdire [do], das, dedi, datum, dāre [cărĕo], căres, carui, cărēre [ămo], ămas, amavi, amatum, ămāre [dēmĕrĕo], dēmĕres, demerui, demeritum, dēmĕrēre [rĕcĭpĭo], rĕcĭpis, recepi, receptum, rĕcĭpĕre [committo], committis, commisi, commissum, committĕre [ăgĭto], ăgĭtas, agitavi, agitatum, ăgĭtāre [iūro], iūras, iuravi, iuratum, iūrāre [concĭĕo], concĭes, concitum, concĭēre [mulcĕo], mulces, mulsi, mulcēre [praesĭdĕo], praesĭdes, praesedi, praesessum, praesĭdēre [laedo], laedis, laesi, laesum, laedĕre [vindĭco], vindĭcas, vindicavi, vindicatum, vindĭcāre [rĕfĭcĭo], rĕfĭcis, refeci, refectum, rĕfĭcĕre [dēsĕro], dēsĕris, deserui, desertum, dēsĕrĕre TRADUZIONE La lettera, che tu leggi, giunge da Briseide rapita, con la mia mano da barbara (straniera) fu scritta a malapena. Qualunque macchia che vedrai le hanno fatte le mie lacrime, però anche le lacrime hanno il peso delle parole. Se mi è lecito lamentarmi un po' di te, sia mio padrone sia mio uomo, mi lamenterò un poco del mio padrone e del mio uomo. Che io sia stata consegnata così prontamente al re che mi reclamava non è colpa tua, sebbene anche questa colpa sia tua. Infatti, appena Euribate e Taltibio mi chiamarono, fui consegnata come compagna a Euribate e Taltibio volgendo lo sguardo uno sul volto dell'altro, si chiedevano in silenzio dove fosse mai finito il nostro amore. Potevo essere rinviata, un ritardo della esecuzione mi sarebbe stato gradito, partendo neppure ti diedi un bacio, ma piansi senza fine e mi strappai i capelli: infelice mi sembrò di essere stata catturata nuovamente. Spesso ingannando la guardia avrei voluto tornare, ma c'era il nemico che avrebbe ripreso me timorosa. Se fossi uscita di notte, temevo di essere presa e mandata come schiava a qualche nuora di Priamo. Ma che io sia pure data, perché dovevo esser data. Da tante notti sono assente, ma non sono reclamata: indugi, e la tua ira è lenta. Lo stesso figlio di Menezio (Patroclo), mentre io ero consegnata, mi disse all'orecchio: "Perché piangi? Sarai qui tra poco tempo". Non reclamarmi è poco; tu ti batti Achille, per non riavermi indietro. Vai, allora, e adesso hai il titolo di amante appassionato. Sono giunti da te i figli di Telamone e Amintore, l'uno a te parente per legami di sangue (lett: l’uno piuttosto vicino a te per legami di sangue), l'altro come compagno, e il seme di Laerte (Ulisse), in loro compagnia io sarei dovuta tornare, e grandi doni aggiunsero forza alle loro dolci preghiere, venti bacini fulvi di bronzo lavorato e sette tripodi uguali sia per peso sia per lavorazione artistica; a questi sono stati aggiunti dieci talenti d'oro, dodici cavalli abituati a vincere sempre e, cosa superflua, le fanciulle di Lesbo dalla bellezza speciale, fatte prigioniere quando la loro casa venne distrutta. Oltre a tutto questo, sebbene tu non hai bisogno di una moglie, venne aggiunta come sposa una fanciulla delle tre figlie di Agamennone. Ti rifiuti di accettare quelle cose che avresti dovuto dare se tu avessi dovuto riscattarmi dall'Atride con un prezzo. Per quale colpa, o Achille, ho meritato di esser diventata a te vile? Dove è fuggito, (lontano) da noi, così presto l'amore incostante? O forse, una sorte funesta incalza senza tregua gli infelici, e non viene, un tempo più favorevole (a certi mali), quando le sciagure hanno inizio? Ho visto le mura di Lirnesso abbandonate dalla tua furia guerresca, e io ero stata una parte importante della mia patria. Ho visto cadere tre compagni, uguali di nascita e di morte che avevano un'unica madre, che era la mia; ho visto il mio sposo disteso sul suolo arrossato di sangue, che agitava il petto che traboccava sangue. Pur essendo stati persi tanti (cioè “malgrado tante perdite”), tuttavia ho trovato il compenso in te solo (“compensare amissis aliquem” = “trovare il compenso di tanti perduti”); tu eri il mio signore, il mio sposo, mio fratello. Tu giurando sulla divinità di tua madre marina, mi dicevi che fosse utile un vantaggio che io sia stata catturata. Certo per respingermi, sebbene fornita di dote, per sfuggire con me le ricchezze che ti sono offerte! Piuttosto, sento dire, quando risplenderà la prossima aurora, che tu voglia dare le vele ai Noti portatori di nubi. Appena quest’empietà (questo infame proposito), a me misera, ha toccato le mie orecchie timorose mi si è svuotato il petto di sangue e di respiro. Te ne andrai, o me infelice, a chi mi lascerai, brutale Achille? Chi sarà a me abbandonata di dolce sollievo? Che io sia inghiottita, io lo prego, da una voragine improvvisa della terra, oppure che io sia bruciata da un fuoco rutilante di un fulmine mandato, prima che senza di me il mare biancheggi ai remi di Ftia e io, abbandonata, veda le tue navi partire (cfr. Fillide). Se ormai ti sta a cuore il ritorno e i padri penati, io non sono un grande fardello per la tua flotta; seguirò da prigioniera il vincitore, non da sposa il marito. Ho mani capaci di lavorare la lana. La più bella , di gran lunga, tra le donne achee entrerà come sposa nel tuo talamo: e così sia. Una nuora degna del suocero, del nipote di Giove e di Egina, e a cui il vecchio Nereo voglia essere prosuocero. Io, umile tua schiava, filerò la lana assegnata e il mio filo assottiglierà le conocchie cariche. Ti supplico, affinché tua moglie non si dia a perseguitarmi, lei che in qualche modo non mi sarà benevola e non permettere che davanti a te mi strappi i capelli e dica sottovoce "anche questa è stata mia". O permettilo pure, purchè non mi abbandoni disprezzata: questo terrore a me, o misera, scuote le mie ossa. Quindi che cosa aspetti? Agamennone si pente per la sua ira e la Grecia afflitta giace davanti ai tuoi piedi. Vinci il rancore e la tua ira, tu che vinci ogni altra cosa, perché l'instancabile Ettore strazia tutte le forze dei Danai. Prendi le armi, Eacide, ma ripresa prima me e, con il favore di Marte, scaccia i guerrieri in fuga. L'ira è esplosa a causa mia, a causa mia abbia fine. Che io sia la causa e il confine della tua tristezza e non ritenere vile cedere alle mie preghiere. Il figlio di Eneo si convinse alle armi con la preghiera della sposa. Questa cosa io l'ho sentita con le mie orecchie e a te è ben nota. Privata dei fratelli la madre maledisse il futuro e la testa del figlio e ci fu la guerra. Lui feroce si ritirò deposte le armi, e negò il soccorso alla patria con animo inflessibile (rigidamente). Soltanto la sposa piegò il marito. O lei più felice! Ma le mie parole cadono senza alcun effetto. Tuttavia, non mi ribello, e non mi sono comportata da moglie, io serva chiamata spesso sul letto del mio padrone. Una certa prigioniera, mi ricordo, mi chiamava padrona: "Alla mia schiavitù" io dissi "tu aggiungi il peso di un nome". Tuttavia, per le ossa di mio marito malcoperte da un frettoloso sepolcro, ossa da rispettare sempre secondo il mio giudizio, per le anime forti, miei numi, dei miei fratelli che per la patria e con la patria sono ben (gloriosamente) caduti, e per la mia testa e per la tua testa, che abbiamo unito in una e anche per le tue spade, armi ben conosciute ai miei, giuro che il Miceno abbia mai spartito il letto con me. Che tu voglia abbandonare me che ti inganno. Se ora ti dicessi: “Giura anche tu, o coraggioso, che senza di me non hai provato quelle gioie”, tu lo rifiuteresti. Però i Danai ti credono in lutto, mentre invece sono suonate le cetre e una tenera amica ti tiene sul tiepido grembo. E qualcuno chiede: “Perché ti rifiuti di combattere?” La guerra fa male, la chitarra e la notte e venere ti giovano. È più sicuro giacere sul letto, abbracciare una fanciulla, far vibrare sotto le dita la lira tracia che sostenere con le mani lo scudo e la lancia dalla punta aguzza e l’elmo che schiaccia i capelli. Ma a te piaceva le azioni gloriose al posto di quelle sicure e ti era dolce la fama procurata in battaglia (combattendo), oppure forse le truci battaglie hai apprezzato mentre mi conquistavi e insieme alla mia patria giace sconfitta anche la tua gloria militare? Gli dei ne sanno di più. E scagliata, ti prego, dal tuo braccio possente, lancia di Pelio, trapassi il fianco di Ettore. Mandate me, o Danai, come ambasciatrice supplicherò il mio padrone e porterò molti baci insieme ai messaggi. Credetemi, io farò più che Fenice più che Ulisse eloquente più che il fratello di Teucro (Aiace). E per me vale qualcosa toccare con il collo con le solite braccia e rammentare ai suoi occhi della persona che è di fronte. Sebbene tu sia spietato e più aspro delle onde di tua madre, anche se io tacessi sarai piegato (comminuere è indicativo futuro passivo) dalle mie lacrime. Anche adesso, e così compia allora tuo padre peleo tutti i suoi anni, e Pirro vada alle armi con i tuoi stessi buoni auspici, volgi lo sguardo all’ansiosa Briseide, o coraggioso Achille, e non bruciare tu, duro come il ferro, la poveretta con la tarda attesa, oppure se il tuo amore si è trasformato in noia di me che costringi a vivere senza di te, costringimi a morire. E mi costringerai per quello che fai: il mio corpo e il mio colorito se ne sono andati. E una sola speranza di te sostiene un po’ di anima (animae legato a hoc): se sarò abbandonata da questa, cercherò i fratelli e lo sposo, né sarà una cosa bella aver imposto a una donna di morire. Ma perché ordinarla? Assali il mio corpo con la spada sguainata, ho sangue che sgorgherà dal mio petto trafitto. Quella tua spada mi colpisca, (la spada) che se la dea lo avesse consentito sarebbe penetrata nel petto dell’Atride. Piuttosto salvala questa mia vita, che è un tuo dono, da vincitore avevi donato ciò a me che ero una nemica, adesso te lo chiedo come amica. La nettunia Pergamo offra chi meglio tu possa mandare a morte, cerca dal nemico alimento della tua strage. Quanto a me, sia che tu ti prepari a spingere con i remi la flotta, sia che tu rimani, col diritto del padrone, ordinami di venire con te. PARADIGMI [răpĭo], răpis, rapui, raptum, răpĕre [aspĭcĭo], aspĭcis, aspexi, aspectum, aspĭcĕre [quĕror], quĕrĕris, questus sum, quĕri [posco], poscis, poposci, poscĕre [trādo], trādis, tradidi, traditum, trādĕre [quaero], quaeris, quaesii, quaesitum, quaerĕre [diffĕro], diffĕrs, distuli, dilatum, diffĕrre [discēdo], discēdis, discessi, discessum, discēdĕre do, das, dedi, datum, dare [rumpo], rumpis, rupi, ruptum, rumpĕre videor, videris, visus sum, videri [dēcĭpĭo], dēcĭpis, decepi, deceptum, dēcĭpĕre [rĕvertor], rĕvertĕris, reversus sum, rĕverti [prĕndo], prĕndis, prendi, prensum, prĕndĕre [prōgrĕdĭor], prōgrĕdĕris, progressus sum, prōgrĕdi, capio, is, cepi, captum, capere timeo, es, timui, timere [rĕpĕto], rĕpĕtis, repetii, repetitum, rĕpĕtĕre [cesso], cessas, cessavi, cessatum, cessāre [trādo], trādis, tradidi, traditum, trādĕre [flĕo], fles, flevi, fletum, flēre pugno, as, avi, atum, are [reddo], reddis, reddidi, redditum, reddĕre [rĕdĕo], rĕdis, redii, reditum, rĕdire [cŏmĭto], cŏmĭtas, comitavi, comitatum, cŏmĭtāre [augĕo], auges, auxi, auctum, augēre [addo], addis, addidi, additum, addĕre vinco, is, vici, victum, vincere [ēverto], ēvertis, everti, eversum, ēvertĕre [rĕdĭmo], rĕdĭmis, redemi, redemptum, rĕdĭmĕre [dēbĕo], dēbes, debui, debitum, dēbēre [accĭpĭo], accĭpis, accepi, acceptum, accĭpĕre [nĕgo], nĕgas, negavi, negatum, nĕgāre [mĕrĕo], mĕres, merui, meritum, mĕrēre [fĭo], fis, factus sum, fieri [fŭgĭo], fŭgis, fugi, fugitum, fŭgĕre [urgĕo], urges, ursi, urgēre incipio, is, incepi, inceptum, ere [cădo], cădis, cecidi, cădĕre [fundo], fundis, fudi, fusum, fundĕre [compenso], compensas, compensavi, compensatum, compensāre [iūro], iūras, iuravi, iuratum, iūrāre [rĕpello], rĕpellis, reppuli, repulsum, rĕpellĕre [dōto], dōtas, dotavi, dotatum, dōtāre [fŭgĭo], fŭgis, fugi, fugitum, fŭgĕre [fulgo], fulgis, fulsi, fulgĕre [contingo], contingis, contigi, contactum, contingĕre relinquo, is, reliqui, relictum, relinquere [dēsĕro], dēsĕris, deserui, desertum, dēsĕrĕre precor, aris, precatus sum, precari [dēvŏro], dēvŏras, devoravi, devoratum, dēvŏrāre [crĕmo], crĕmas, cremavi, crematum, crĕmāre [cānesco], cānescis, canui, cānescĕre [plăcĕo], plăces, placui, placitum, plăcēre [mollĭo], mollis, mollii, mollitum, mollīre [trăho], trăhis, traxi, tractum, trăhĕre [mĭnŭo], mĭnŭis, minui, minutum, mĭnŭĕre [exăgĭto], exăgĭtas, exagitavi, exagitatum, exăgĭtāre [nescĭo], nescis, nescii, nescitum, nescīre [scindo], scindis, scidi, scissum, scindĕre [pătĭor], pătĕris, passus sum, păti [contemno], contemnis, contempsi, contemptum, contemnĕre [concŭtĭo], concŭtis, concussi, concussum, concŭtĕre expecto, as, avi, atum, are feroci ti hanno generato oppure il mare, come lo vedi anche ora agitato dai venti e sul quale ti prepari ad andare nonostante la corrente contraria. Dove fuggi? La tempesta te lo impedisce: il favore della tempesta mi venga in soccorso! Guarda come l’Euro muove le acque sconvolte. Quel che avrei preferito dovere a te, lascia che io lo debba alle tempeste: il vento e le onde sono più giusti del tuo stesso animo. Non valgo tanto? Perché mi valuti ingiustamente? Che tu debba morire, mentre fuggi da me sul mare vasto. Tu pratichi a gran prezzo un odio importante e ostinato, se pur di liberarti di me non ti importa di morire. Ormai i venti si calmeranno e sulla superficie spianata Tritone ugualmente correrà per mare con i suoi cavalli cerulei. O se fossi anche tu mutevole insieme con i venti e lo sarai se non vinci in durezza le querce. E che cosa addirittura faresti se non conoscessi che cosa può fare il mare infuriato. Così sconsideratamente ti affidi alle onde che tante volte hai sperimentato. Anche se con il mare invitante sciogli gli ormeggi, la vasta superficie riserva molte sciagure e non giova a chi tenta le onde aver violato i giuramenti. Quel luogo esige la punizione degli spergiuri, soprattutto quando l’amore è stato offeso, perché si dice che la madre degli amori sia nata nuda dalle acque di Citera, rovinata temo di causare la rovina e nuocere a chi mi ha danneggiato e che il mio nemico naufrago bevi le acque del mare. Vivi, ti perderò meglio così che con la tua morte; tu piuttosto sarai considerato la causa della mia morte. Immagina suvvia di essere preso da un fulmine rapido e che il tuo presagio sia vano. Che penserai allora (lett. quale pensiero avrai? dativo di possesso, mentis è nominativo) ? Subito ti verranno alla mente gli spergiuri della tua lingua bugiarda e Didone costretta a morire per la perfidia frigia. Davanti agli occhi avrai l’immagine della tua donna ingannata, triste e sanguinolenta e con i capelli scomposti. Cosa c’è di tanto importante che tu dica: “l’ho meritato: perdonatemi!”, che tu creda che i fulmini che cadranno sono stati scagliati contro di te. Concedi un breve spazio (tregua) alla crudeltà del mare e alla tua. Un viaggio sicuro sarà il grande prezzo del tuo ritardo. Non ti preoccupare di te (dativo di possesso: non sia a te la preoccupazione), risparmia il piccolo Iulo, ti è sufficiente la gloria della mia morte. Che cosa hanno commesso di male il piccolo Ascanio, o i Penati? Gli dei sottratti al fuoco li sommergerà l’onda? Ma tu non li porti con te, né le cose di cui, spergiuro, con me ti vanti, né gli oggetti sacri, né tuo padre, non hanno gravato le tue spalle. Tu menti su tutto e la tua lingua non inizia a ingannare da me. Non sono io punita per prima, se vuoi sapere dove sia la madre del bel Iulo, da sola si uccise abbandonata da un marito insensibile. Questo mi avevi raccontato, ma questo mi commosse (movere sta per moverunt). Brucia me, che lo merito: la punizione sarà inferiore alla mia colpa. In cuor mio non ho dubbi che i tuoi dei ti condannino, il settimo inverno ti sbatte per mare e per terra. Sfuggito ai flutti, ti ho accolto in un rifugio sicuro, a malapena udito il tuo nome ti concessi il mio regno. Magari mi fossi accontentata di questi favori, e il mio buon nome non fosse stato sepolto dalla (nostra) unione! Quel giorno mi ha rovinato, (quel giorno) in cui un oscuro temporale, con i suoi scrosci improvvisi, ci spinse sotto il pendio in una grotta (nell’antro di una grotta). Avevo sentito una voce: pensai che avessero ululato le ninfe; (dedere per dederunt) furono invece le Eumenidi a dare il segnale del mio destino. Pretendi la mia punizione, o pudore violato, e i diritti coniugali profanati e mia buona fama che non ho conservato fino alle mie ceneri, e anche voi miei mani, e anche l’anima e la cenere di Sicheo, dal quale o me infelice vado piena di vergogna. (ha già capito che vuole morire, quindi è lei che si rivolge verso l’anima di Sicheo). In un tempio di marmo è stato consacrato da me un monumento di Sicheo, fronde e bende di bianca lana lo coprono sul davanti; da lì io mi sono sentita chiamare quattro volte da una voce conosciuta: lui (Sicheo), con un sussurro, mi disse: “Elissa, vieni!”. Nessun indugio, vengo, vengo a te tua sposa legittima; tuttavia sono trattenuta (tarda a venire) per il pudore della mia colpa. Perdona la mia colpa! Un uomo degno mi ha ingannato, egli limita l’odiosità della mia colpa. La madre dea e il vecchio padre, pio fardello del figlio, mi diedero la speranza che sarebbe rimasto mio marito, come era giusto. Se bisognava sbagliare, l’errore ha cause oneste: aggiungi la fedeltà, non dovrà pentirsi per alcun motivo (cioè “non avrebbe alcun motivo di pentirsi”; perifrastica passiva con il verbo assolutamente impersonale “piget”). Il tenore del fato che fu mio in passato perdura fino alla fine, e mi accompagna fino agli ultimi istanti della mia vita, il mio sposo morì trucidato presso gli altari di casa, e mio fratello si gode i premi di un delitto così grande. Sono spinta esule (sono costretta all’esilio), e abbandono le ceneri dello sposo e la patria, e mi incammino in strade pericolose inseguita dal nemico. Approdo fra sconosciuti, e sfuggita al fratello e al mare, acquisto un lido che ti ho donato, o perfido traditore. Ho fondato una città e ho innalzato mura che si estendono ampiamente, oggetto di invidia per le città vicine. Ci sono fermenti di guerre: sono insidiata dalle guerre, sono straniera e donna. Inesperta a fatica predispongo le porte della città e le armi. Sono piaciuta a mille pretendenti, i quali si allearono lamentando che avessi anteposto ai loro talami un non so chi. Che cosa aspetti a consegnarmi incatenata al Getulo Iarba? Io offrirei le mie braccia al tuo gesto scellerato. Ho anche un fratello, la cui empia mano, macchiata dal sangue di mio marito, desidera macchiarsi del mio sangue. Deponi gli dei (i mani), e i sacri che tangendo tu profani: non è opportuno che una mano empia onori i sovrani celesti. Se dovevi esser tu a onorare gli dei sfuggiti alle fiamme (di Troia), spiace che siano sfuggiti alle fiamme. O scellerato, è probabile che tu abbandoni Didone gravida, e che una parte di te si nasconda chiusa nel mio corpo. Al destino della madre si aggiungerà un bambino infelice, e tu non sarai responsabile della morte di un figlio non ancora nato: insieme a sua madre, morirà il fratello di Iulo, e un’unica punizione porterà via due uniti. “Ma un dio comanda di partire”. Vorrei che ti avesse impedito di venire e che la terra punica non fosse stata calpestata dai troiani! Sotto il comando di questa divinità, certamente, sei trascinato da venti contrari e consumi lunghi anni tra i flutti rabbiosi? Con così tanta fatica a malapena tu dovevi ritornare a Pergamo, se Pergamo fosse ancora quel che era quando Ettore era in vita. Non il patrio Simoenta tu cerchi, ma le onde del Tevere: evidentemente ammesso che tu giunga dove desideri, sarai uno straniero. Poiché la terra che cerchi è nascosta e si sottrae sempre nascosta alle tue navi, ti toccherà a malapena da vecchio. Rinunciando al tuo girovagare (ambagis = giro di parole, enigma; in questo caso = girovagare), accogli piuttosto in dote questi popoli e le ricchezze di Pigmalione che ho portato con me. Trasferisci, con una sorte più favorevole, Troia nella città tiria e assumi già ora il trono del re e lo scettro sacro. Se il tuo animo è bramoso di guerra, se Iulo cerca il motivo da cui scaturisca il trionfo preparato col suo ardore (per metonimia < Marte), affinché nulla manchi, procureremo un nemico da battere: qui c’è spazio per le leggi di pace, c’è spazio anche per le armi. Soltanto tu, per tua madre e per le armi di tuo fratello, le frecce, e per i divini compagni della tua fuga, cioè gli dei Dardanii, così sopravvivano tutti coloro del tuo popolo che porti con te e quella guerra crudele sia la fine delle tue disgrazie e Ascanio compia felicemente i suoi anni e le ossa del vecchio Anchise riposino serenamente. Abbi pietà, te ne prego, della casa, che si consegna a te da dominare (habendam è gerundivo predicativo). Quale colpa tu mi attribuisci se non l’averti amato? Io non sono di Ftia, né nativa della grande Micene, il mio sposo e mio padre non combatterono contro di te. Se ti vergogni di me come moglie, che io non sia detta sposa, ma ospite. Pur di essere tua, Didone sopporterà di essere qualsiasi cosa. Mi sono note le onde che infrangono il litorale africano: a momenti determinati consentono o negano il passaggio. Quando il vento permetterà il viaggio, spiegherai le vele ai venti; ora le alghe leggere trattengono la nave incagliata. Affidami il compito di osservare il tempo: partirai con maggior sicurezza e io stessa non ti impedirò di restare anche se tu lo desideri. Anche i tuoi compagni cercano un po’ di riposo, e la flotta distrutta, riparata a metà, necessita di un breve rinvio. Per i miei meriti e per qualcos’altro che ti dovrò, per la mia speranza di nozze, ti chiedo solo poco tempo, finché il mare e il mio amore si plachino, finché col tempo e con l’uso io possa imparare a saper sopportare con forza le mie disgrazie. Diversamente, ho nell’animo di togliermi la vita: non pupi essere crudele a lungo verso di me. Che tu vedessi l’immagine di me che scrivo: io scrivo, e sul grembo ho la spada troiana e lungo le guance le lacrime scorrono giù sulla spada sguainata, la quale sarà bagnata dal sangue al posto delle lacrime. Come ben si conformano i tuoi doni al mio destino, con poca spesa mi prepari il mio sepolcro. Né per la prima volta il mio petto è trafitto da una lancia: quel luogo (il petto) reca già la ferita di un crudele amore. Anna, sorella Anna, tristemente consapevole della mia colpa, darai presto alle mie ceneri i doni estremi. Consumata sul rogo, non sarà indicata come Elissa, moglie di Sicheo, ma sul marmo della mia tomba ci sarà questa iscrizione: “Enea ha fornito la causa della morte e la spada; Didone si è uccisa con la sua stessa mano”. (cfr. Fillide). PARADIGMI: accipio, is, accepi, acceptum, ere [mŏrĭor], mŏrĕris, mortuus sum, mŏri voco, as, avi, atum, are [ăbĭcĭo], ăbĭcis, abieci, abiectum, ăbĭcĕre [concĭno], concĭnis, concinui, concĭnĕre spero, as, avi, atum, are moveo, es, movi, motum, movere adloquor, adloqueris, adlocutus sum, adloqui perdo, is, perdidi, perditum, perdere relinquo, is, reliqui, relictum, relinquere solvo, is, solvi, solutum, solvere nescio, is, nescii, nescitum, nescire sequor, sequeris, secutus sum, sequi [cresco], crescis, crevi, cretum, crescĕre tango, is, tetigi, tactum, tangere [trādo], trādis, tradidi, traditum, trādĕre fugio, fugis, fugi, fugitum, fugere quaero, is, quaesii, quaesitum, quaerere teneo, es, tenui, tentum, tenere [resto], restas, restiti, restāre fallo, is, fefelli, falsum, fallere condo, is, condidi, conditum, condere [ēvĕnĭo], ēvĕnis, eveni, eventum, ēvĕnīre [mŏror], mŏrāris, moratus sum, mŏrāri [ūro], ūris, ussi, ustum, ūrĕre [indūco], indūcis, induxi, inductum, indūcĕre [addo], addis, addidi, additum, addĕre [ĭnhaerĕo], ĭnhaeres, inhaesi, inhaesum, ĭnhaerēre [cărĕo], căres, carui, cărēre cogito, as, avi, atum, are odi, odisti, odisse [quĕror], quĕrĕris, questus sum, quĕri [parco], parcis, peperci, parsum, parcĕre [amplector], amplectĕris, amplexus sum, amplectĕre [mīlĭto], mīlĭtas, militavi, militatum, mīlĭtāre coepi, coepisti, coepisse dedignor, dignaris, dignatus sum, dignari [praebĕo], praebes, praebui, praebitum, praebēre [iacto], iactas, iactavi, iactatum, iactāre [dissĭdĕo], dissĭdes, dissedi, dissĭdēre [prōgigno], prōgignis, progenui, progenitum, prōgignĕre agito, as, avi, atum, are paro, as, avi, atum, are [obsto], obstas, obstiti, obstāre [prōsum], profues, prōfui, profuesse [aspĭcĭo], aspĭcis, aspexi, aspectum, aspĭcĕre [concĭto], concĭtas, concitavi, concitatum, concĭtāre [ēverto], ēvertis, everti, eversum, ēvertĕre malo, mavis, malui, malle [censĕor], censēris, census sum, censēri [pĕrĕo], pĕris, perii, pĕrire:- sto, stas, steti, statum, stare PUDET [frango], frangis, fregi, fractum, frangĕre eicio, is, eieci, eiectum, eicere [contĭnĕo], contĭnes, continui, contentum, contĭnēre [observo], observas, observavi, observatum, observāre [mando], mandas, mandavi, mandatum, mandāre maneo, es, mansi, mansum, manere sino, is, sivi, situm, sinere posco, is, poposci, poscere [lănĭo], lănĭas, laniavi, laniatum, lănĭāre postulo, as, avi, atum, are [mītesco], mītescis, mītescĕre [ēdisco], ēdiscis, edidici, ēdiscĕre [effundo], effundis, effudi, effusum, effundĕre [aspĭcĭo], aspĭcis, aspexi, aspectum, aspĭcĕre [stringo], stringis, strinxi, strictum, stringĕre labor, laberis, lapsus sum, labi [tingo], tingis, tinxi, tinctum, tingĕre [instrŭo], instrŭis, instruxi, instructum, instrŭĕre [fĕrĭo], fĕris, fĕrīre [consūmo], consūmis, consumpsi, consumptum, consūmĕre [concĭdo], concĭdis, concidi, concĭdĕre [părĭo], păris, peperi, partum, părĕre [ūtor], ūtĕris, usus sum, ūti HEROIDES VIII – ERMIONE A ORESTE TRADUZIONE Io, Ermione, mi rivolgo a te, poco fa cugino e marito, ora solo cugino: ora un altro ha il nome di marito. Pirro, figlio di Achille, violento a modello del padre, mi tiene rinchiusa contro ogni legge e giustizia naturale. Ciò che ho potuto, l’ho respinto, affinché io non fossi trattenuta mio malgrado; le mie mani di donna non valsero per altre cose. “Che fai, Eacide? Io non sono senza un difensore” gli dissi; “tu hai questa fanciulla che è sotto il suo padrone” Egli più sordo del mare mentre gridavo il nome di Oreste mi trascinò in casa sua con i capelli scomposti. Cosa avrei dovuto sopportare di più come schiava se, presa Sparta, un’orda di barbarsi avesse rapito le donne greche? L’Acaia (Grecia) vittoriosa maltrattò meno Andromaca, quando il fuoco dei Danai bruciava le ricchezze frigie. Ma tu, Oreste, se ti tocca un (pensiero) pio di me (verso di me), poni sui tuoi diritti le mani non paurose! Oppure, se qualcuno, aperte le stalle, ti ruba il bestiame, prendi le armi e invece rapita la moglie sei indifferente? Sia d’esempio il suocero che reclamava la sposa rapita, per il quale (suocero) la fanciulla fu la giusta causa della guerra. Se mio padre ignavo posse rimasto coricato nel suo palazzo vuoto, mia madre sarebbe ancora moglie di Paride, com’era prima. E tu non preparare (imperativo negativo; pararis sta per paraveris, congiuntivo perfetto) mille navi e vele sinuose né moltitudini di soldati greci: vieni tu stesso! Così, tuttavia, anche io dovevo essere reclamata, e non è turpe per uno sposo sopportare aspre guerre per il caro letto. Che dire del fatto che Atreo, figlio di Pelope è lo stesso avo per noi e se non mi fossi sposo, mi saresti comunque cugino? Come sposo, ti prego, soccorri la sposa, come cugino (soccorri) la cugina! I due nomi incombono sul tuo dovere. Tindaro, autorevole guida per la sua vita e i suoi anni, mi consegnò a te: lui, come nonno, aveva l’arbitrio sulla nipote. Mio padre, però, ignaro di quel fatto, mi aveva promesso all’Aeacide: mio nonno però, che è precedente nella gerarchia, aveva anche più potere di lui. Quando ero promessa a te (come sposa) la mia fiaccola nuziale non recava danno a nessuno; ma se io mi unirò a Pirro, tu sarai ferito da me. Anche il padre Menelao perdonerà il nostro amore: lui stesso cedette alle frecce del dio alato. L’amore che concesse a se stesso lo permetterà al genero: mia madre amata (da lui) ci gioverà col suo esempio. Tu sei per me quello che mio padre è per mia madre; il ruolo che un tempo aveva svolto lo straniero Dardanio, ora lo svolge Pirro. Lui può insuperbirsi senza fine delle azioni del padre; ma anche tu hai gesta del padre che riferisci. Il figlio di Tantalo regnava su tutti, e anche sullo stesso Achille. Questo era parte dell’esercito, quello era il capo dei capi. Anche tu hai come antenati Pelope e il padre di Pelope: se conti coloro che sono nel mezzo, sarai il quinto da Giove. E non ti manca il valore: hai preso le armi odiose; ma tu che cosa potevi fare? il padre te le mise addosso. Vorrei che tu fossi stato forte in una materia migliore; ma la causa per la tua azione non è stata scelta, ma ti è stata imposta. Tuttavia, tu l’hai compiuta ed Egisto, squarciata la gola, insanguinò il palazzo, che tuo padre prima (aveva insanguinato). Te lo rinfaccia l’Eacide, e volge in colpa un’azione onorevole, e tuttavia egli sostiene il mio sguardo. Io mi distruggo, e insieme col cuore mi si gonfia il volto e il petto mi duole bruciato da fuochi intimi. Davanti a Ermione qualcuno rimprovera Oreste, e io non ho forze, né è vicina una spada spietata? Certamente posso piangere: piangendo verso l’ira e le lacrime scorrono sul petto come un fiume. Queste sole io ho sempre, e sempre le verso; le guance disadorne sono bagnate da un fonte perenne. Dunque per il destino della stirpe, che si aggira fino ai nostri giorni, noi donne Tantalidi siamo ottenute con il rapimento? Io non ricorderò l’inganno del cigno fluviale né lamenterò che Giove si sia rifugiato in quelle piume. Dove l’Istmo, esteso a lungo, separa due mari, Ippodamia fu rapita da un carro straniero. Grazie a Castore di Amicle e all’amicleo Polluce, la sorella Tenaride fu restituita alla città di Mopsopo. Tenaride, rapita oltre il mare dall’ospite Ideo, spinse alle armi – in suo favore – le schiere argoliche. Lo ricordo appena, ma lo ricordo: tutto era in lutto, tutto era pieno di angoscia e paura. Il nonno piangeva, e la sorella Febe e i fratelli gemelli, Leda pregava gli dei e il suo Giove. E io, anche allora scomposta nei miei capelli non lunghi, gridavo: “senza di me, senza di me, o madre, te ne vai?” Infatti il marito era lontano. Affinché io non sia creduta non discendente di Pelope, ecco che anche io fui preparata come preda per Neottolemo. Oh, se il Pelide avesse schivato l’arco di Apollo! Il padre avrebbe condannato il gesto impudente del figlio: un tempo non piacque ad Achille, e non gli piacerebbe neanche ora, che un uomo pianga privo/vedovo della sposa rapita. Quale mia colpa mi rese ostili gli dei? O me misera, di quale astro mi devo lamentare che mi sia avverso? Io sono stata piccola senza mia madre, mio padre portava le armi: essendo entrambi vivi, io ero priva di entrambi. A te, mia madre, non ho detto nei miei primi anni parole piacevoli con bocca incerta da bimba, non ti ho stretto il collo con le mie piccole braccia e non ho seduto sul tuo grembo, peso gradito; non ti è stato a cuore il mio ornamento, e io non sono entrata, promessa al marito, nel nuovo talamo, preparata dalla madre. Io avanzavo di fronte a te che tornavi – ti dirò la verità – ma non mi era noto il viso della madre. Tuttavia sentii che tu eri Elena perché eri bellissima; e tu stessa chiedevi chi era tua figlia. Questa sola parte mi toccò (in sorte) felicemente, il marito Oreste: anch’egli, se non combatte a suo vantaggio, mi sarà tolto. Pirro mi tiene prigioniera, anche tornato il padre e vincitore: a me la caduta di Troia diede questo dono! Almeno quando il Titano incalza alto coi suoi cavalli raggianti, godo, infelice, di un male più leggero; quando la notte chiuse me nel talamo che grido e che lamento le avversità e crollai sul triste letto, allora invece del sonno gli occhi provano/subiscono le lacrime che sorgono, e per quanto posso, mi sottraggo dall’uomo così come da un nemico. Spesso sono stordita dai mali e dimentica del luogo e delle cose, e tocco con la mano ignara le membra scirie, e appena sento l’orrore, abbandono il corpo toccato sciaguratamente, e mi sembra di avere le mani sporche (lett. “sono creduta da me/da parte mia di avere le mani sporche). Spesso, invece del nome di Neottolemo, esce il nome di Oreste, e amo l’errore della mia voce come un presagio. Io giuro sulla stirpe infelice e sul padre della stirpe, che scuote i mari e le terre e i suoi regni, sulle ossa di tuo padre, a me zio, che devono a te il fatto che giacciono dentro una tomba, vendicate valorosamente: o io morirò prematuramente e mi estinguerò nella prima giovinezza oppure io figlia di Tantalo sarò sposa a te figlio di Tantalo. PARADIGMI: [inclūdo], inclūdis, inclusi, inclusum, inclūdĕre teneo, es, tenui, tentum, tenere [rĕnŭo], rĕnŭis, renui, rĕnŭĕre [vălĕo], văles, valui, valitum, vălēre [clāmo], clāmas, clamavi, clamatum, clāmāre [trăho], trăhis, traxi, tractum, trăhĕre [ĭnorno], ĭnornas, ĭnornāre rapio, is, rapui, raptum, rapere vexo, as, avi, atum, are uro, is, ussi, ustum, urere tango, is, tetigi, tactum, tangere [ĭnĭcĭo], ĭnĭcis, inieci, iniectum, ĭnĭcĕre [ădĭmo], ădĭmis, ademi, ademptum, ădĭmĕre iaceo, es, iacui, iacere paro, as, avi, atum, are repeto, is, ii e ivi, itum, ere [succurro], succurris, succurri, succursum, succurrĕre [insto], instas, institi, instāre trado, is, tradidi, traditum, tradere promitto, is, promisi, promissum, promittere [nūbo], nūbis, nupsi, nuptum, nūbĕre [nŏcĕo], nŏces, nocui, nocitum, nŏcēre iungo, is, iunxi, iunctum, iungere HEROIDES IX – DEIANIRA A ERCOLE TRADUZIONE: Io lettera, complice della mente, sono mandata all’Alcide da sua moglie, se Deianira è tua moglie. Mi rallegro che Ecalia si aggiunga ai nostri titoli; ma mi lamento che il vincitore abbia ceduto alla vinta. La fama corrotta giunse all’improvviso nelle città pelasge, che le tue azioni devono smentire: colui che mai Giunone e la serie infinita di fatiche hanno frantumato/vinto, a questo Iole impose il giogo. Questo vorrebbe Euristeo, questo vorrebbe la sorella del Tonante, la matrigna sarebbe lieta per questa macchia della tua vita; ma non lo vorrebbe colui al quale una sola notte (se si crede) non fu sufficiente perché tu fossi generato (conciperere sta per concipereris = congiuntivo imperfetto passivo da concipio) così grande (genitivo di stima). Più di Giunone a te ha nociuto Venere: quella opprimendo (te, ti) innalzò, questa tiene il collo sotto il piede meschino. Osserva il mondo pacificato dalle tue forze vendicatrici, dove l’azzurro Nereo circonda la vasta terra. A te sono debitori (debeo + dativo = essere debitori) la pace della terra e i mari sicuri; con i tuoi meriti hai riempito entrambe le dimore del sole. Il cielo che ti porterà, tu stesso prima l’hai portato: dopo che era stato sottoposto Ercole, Atlante sorresse la volta stellata. Che cos’è se non notorietà cercata per la tua triste vergogna, se tu copri le azioni precedenti con una macchia turpe? Non si dice che tu soffocasti con forza due serpenti quando eri un bambino in culla già degno di Giove? Hai cominciato meglio di come finisci: le ultime azioni sono inferiori alle prime: quest’uomo e quel fanciullo sono diversi. Colui che né mille bestie, né il nemico figlio di Stenelo, né Giove riuscì a piegare, lo piega l’amore. Eppure si dice che io sono ben sposata (costruzione personale di feror), perché sono chiamata moglie di Ercole e mio suocero è colui che tuona alto coi cavalli veloci. Quanto giungono male all’aratro giovenchi disuguali, tanto è schiacciata da grande marito una sposta inferiore (a lui). Non è un onore ma un peso, una forma che rovinerà chi la porta: se vuoi sposarti adeguatamente, sposa uno pari (a te). Mio marito è sempre lontano e come ospite mi è più noto che come sposo, e insegue mostri e terribili fiere. E io, nella casa vuota, occupata in caste preghiere, mi affliggo nel timore che mio marito cada a causa di un nemico terribile; tra i serpenti, i cinghiali e i leoni avidi mi agito e cani che con tre bocche staranno alle costole. Mi turbano le viscere degli animali e i fantasmi vani dei sogni e i presagi cercati nella notte misteriosa. Io, infelice, cerco avidamente i mormorii della fama incerta e nella speranza dubbia viene meno il timore, e nel timore viene meno la speranza. Tua madre è lontana e si duole di essere piaciuta al dio potente, tuo padre Anfitrione non è vicino né tuo figli Illo. A mio danno, è sentito Euristeo ministro dell’ira di Giunone crudele e la collera ostinata della dea. Per me è poco tollerare queste cose: tu aggiungi amori stranieri, e qualunque donna può essere madre da te (di causa). Io non ricorderò Auge violentata nelle valli del Partenio, né il tuo parto, o ninfa di Ormeno. non saranno per te una colpa le sorelle, moltitudine discendente da Teutrante, della cui schiera nessuna è stata lasciata da te. Un’amante soltanto, un’offesa recente, sarà ricordata da me, da cui io sono stata resa matrigna di Lamo di Lidia. Il Meandro, tante volte errante nelle stesse terre, che spesso ritorce su di sé le acque stanche, ha visto collane pendere dal collo di Ercole, quello per cui il cielo fu un peso piccolo. Non ti sei vergognato a chiudere con oro le tue forti braccia e ad aver messo davanti le gemme ai solidi muscoli? Eppure sotto queste braccia spirò il flagello nemeo, da cui la tua spalla sinistra ha un mantello. Hai osato cingere con una mitra gli irsuti capelli! Il bianco pioppo era più adatto alla chioma di Ercole. E non pensi che sia stato indegno di te essere cinto, secondo l’uso di una fanciulla lasciva, di una cintura Meonia? Non ti sovviene l’immagine del selvaggio Diomede, che ferocemente nutrì le cavalle con vivande umane? Se Busiride ti avesse visto in questo ornamento, tu, vincitore, avresti dovuto vergognarti del vinto. Anteo strapperebbe i nastri dal duro collo per non vergognarsi di aver ceduto a un uomo imbelle. Si dice che tu (Tu sei detto + infinito) abbia tenuto il cestello della lana tra le fanciulle della Ionia, e abbia avuto paura delle minacce della padrona. Non rifiuti, Alcide, di poggiare sui levigati cestelli la mano vittoriosa di mille (agg. indeclinabile) fatiche, e col robusto pollice fai scorrere grossi fili di lana e ripaghi alla bella padrona una quantità di lana assegnata uguale? Ah! Quante volte, mentre torci i fili con le rozze dita, le mani molto robuste hanno spezzato i fusi! […] Davanti ai piedi della tua padrona […] e raccontavi fatti che avresti dovuto nascondere: cioè che gli enormi serpenti, soffocate le fauci, avevano avvolto la tua mano da infante con le code, come il cinghiale Tegeo abiti sull’Erimanto pieno di cipressi e danneggi la terra col suo vasto peso. Non vengono dimenticate da te le teste inchiodate alle case di Tracia, né le cavalle pingue per il sacrificio degli uomini, né il triplice prodigio, Gerione ricco di un armento iberico, sebbene in tre era uno solo; diviso in altrettanti cani da un solo tronco, Cerbero con le chiome intrecciate di serpe minacciosa, né l’idra che derivava dalle ferite feconde; fertile e ricca da se stessa per le sue perdite; e colui che restò sospeso, fardello gravoso, tra il fianco sinistro e il braccio sinistro, serrata la gola (= soffocata), e la schiera equestre, che disgraziatamente confidava nei piedi e nella forma bimembre, ricacciata sulle cime (i monti) della Tessaglia. Tu puoi raccontare questi fatti, adornato con un manto Sidonio? Non tace la lingua frenata dall’abbigliamento? La ninfa figlia di Iardano si è anche ornata con le tue armi, e ha portato illustri trofei dall’eroe prigioniero. Vai ora, innalza il coraggio e passa in rassegna le valorose gesta; poiché tu non lo sei, l’uomo a buon diritto fu lei. Di quella sei tanto inferiore quanto vincere te, il più grande tra tutti, era più di (vincere) quelli che tu vincesti. Passa a lei la dimensione dei tuoi beni: rinuncia ai beni; l’amica è erede della tua gloria. O vergogna! Una ruvida pelle, strappata alle costole di un irsuto leone, coprì un fianco delicato. Ti inganni e non lo sai: quelle spoglie non sono di un leone, ma tue, tu sei vincitore della fiera, lei di te. Una donna ha portato le frecce annerite dal veleno lerneo, (una donna) a malapena capace di portare la pesante conocchia di lana, ha munito la sua mano della clava domatrice delle fiere, e ha visto nello specchio le armi di suo marito! Tuttavia avevo sentito parlare di queste cose, potevo non crede alla voce, e un dolore lieve dalle orecchie giunse ai sensi. Davanti ai miei occhi viene condotta una concubina straniera, e io non posso dissimulare quello che soffro. Tu non permetti che sia allontanata: la prigioniera viene in mezzo alla città e i miei occhi controvoglia devono guardarla. E non viene con i capelli incolti, secondo l’uso delle prigioniere, confessando nel volto nascosto la sua condizione; avanza rifulgente attorno per il molto oro, (ornata) come anche tu eri ornato in Frigia. Porge il volto al popolo, altera come se Ercole fosse stato vinto: penseresti che Ecalia stia in piedi, essendo vivo suo padre. E forse, cacciata l’Etolide Deianira, deposto il nome di concubina sarà moglie, e uno screditato/infame imeneo unirà i corpi indegni di Iole figlia di Eurito e dell’Acide dell’Aonio. La mente sparisce al ricordo/pensiero e un gelo mi percorre le membra e la mano, resa languida, mi giace sul grembo. Anche a me fra molte mi hai amata, ma senza colpa; non dispiacerti, due volte io fu per te la causa della guerra. Acheloo piangendo raccolse le corna sulle umide rive e immerse le tempie mutilate nell’acqua limacciosa; il semi-uomo Nesso perì nell’Eveno mortale, e macchiò le acque col suo sangue equino. Ma perché io racconto queste cose? A me che scrivo giunge una notizia messaggera/che annuncia che lo sposo muore per il veleno della mia tunica. Ahimè, che cosa ho fatto? A che cosa la follia spinse me, innamorata? O empia Deianira, perché esiti a morire? Forse il tuo sposo sarà straziato nel mezzo dell’Eta, mentre tu, la causa di così grande delitto, sarò superstite? E che cosa ho ancora, di ciò che ho fatto, perché io sia creduta moglie di Ercole? La mia morte sarà il pegno del matrimonio. Anche tu, o Meleagro, riconoscerai in me (tua) sorella! O empia Deianira, perché esiti a morire? Ah, maledetta casa! Agrio siede sull’alto trono; una misera vecchiaia opprime Eneo abbandonato; (mio) fratello Tideo è esule sui lidi sconosciuti, l’altro (fratello) da vivo dipese (sum + in + ablativo) dal fuoco fatale, la madre conficcò un pugnale nel suo cuore. O empia Deianira, perché esiti a morire? Solo di questo ti prego, per i sacri diritti del talamo, e non sembri che io abbia teso insidie al tuo destini. Nesso, quando il suo petto bramoso fu colpito dalla freccia, mi disse: “Questo sangue ha potere sull’amore”; ti ho inviato la tunica unta del veleno di Nesso. O empia Deianira, perché esiti a morire? Stammi bene ormai, vecchio padre e sorella Gorge, e patria e fratello strappato alla tua patria, e tu luce di questo giorno, ultimissima per i miei occhi, e tu sposo – o se tu potessi! – e tu piccolo Illo, addio! PARADIGMI: mitto, is, misi, missum, mittere [grātŭlor], grātŭlāris, gratulatus sum, grātŭlāri accedo, is, accessi, accessum, accedere [succumbo], succumbis, succubui, succubitum, succumbĕre queror, quereris, questus sum, queri [infĭtĭor], infĭtĭāris, infitiatus sum, infĭtĭāri frango, is, fregi, fractum, frangere credo, is, credidi, creditum, credere [concĭpĭo], concĭpis, concepi, conceptum, concĭpĕre noceo, es, nocui, nocitum, nocere teneo, es, tenui, tentum, tenere tollo, is, sustuli, sublatum, tollere respicio, is, respexi, respectum, respicere paco, as, avi, atum, are ambio, is, ambivi, ambitum, ambire impleo, es, implevi, impletum, implere fero, fers, tuli, latum, ferre [fulcĭo], fulcis, fulsi, fultum, fulcīre cumulo, as, avi, atum, are premo, is, pressi, pressum, premere coepi, coepisti, coepisse [dēsĭno], dēsĭnis, desii, desitum, dēsĭnĕre[cēdo], cēdis, cessi, cessum, cēdĕre nomino, as, avi, atum, are tono, tonas, tonui, tonare [laedo], laedis, laesi, laesum, laedĕre [nūbo], nūbis, nupsi, nuptum, nūbĕre persequor, persequeris, secutus sum, sequi operor, aris, atus sum, ari [torquĕo], torques, torsi, tortum, torquēre cado, is, cecidi, cadere iacto, as, avi, atum, are moveo, es, movi, motum, movere [aucŭpor], aucŭpāris, aucupatus sum, aucŭpāri placeo, es, placui, placitum, placere sentio, is, sensi, sensum, sentire [addo], addis, addidi, additum, addĕre [tĕmĕro], tĕmĕras, temeravi, temeratum, tĕmĕrāre relinquo, is, reliqui, relictum, relinquere [rĕtorquĕo], rĕtorques, retorsi, retortum, rĕtorquēre [suspendo], suspendis, suspendi, suspensum, suspendĕre [pŭdĕo], pŭdes, pudui, puditum, pŭdēre [cŏhĭbĕo], cŏhĭbes, cohibui, cohibitum, cŏhĭbēre edo, is, edidi, editum, edere audeo, es, ausus sum, audere [rĕdĭmĭo], rĕdĭmis, redimii, redimitum, rĕdĭmīre dedeceo, es, dedecui, dedecere [succurro], succurris, succurri, succursum, succurrĕre [pasco], pascis, pavi, pastum, pascĕre detraho, is, detraxi, detractum, detrahere PIGET succumbo, is, succubui, succubitum, succumbere [pertĭmesco], pertĭmescis, pertimui, pertĭmescĕre fugio, is, fugi, fugitum, fùgere [rĕpendo], rĕpendis, rependi, repensum, rĕpendĕre torqueo, es, torsi, tortum, torquere [commĭnŭo], commĭnŭis, comminui, comminutum, commĭnŭĕre narro, as, avi, atum, are dissimulo, as, avi, atum, are [ēlīdo], ēlīdis, elisi, elisum, ēlīdĕre HEROIDES XIII – LAODAMIA A PROTESILAO TRADUZIONE La tessala Laodamia manda saluti allo sposo tessalo e, amandolo, desidera che giunga dove è mandata. C’è la voce che ti trattieni in Aulide, trattenendo(ti) il vento; ma quando lasciavi me, dove era questo vento? Allora i flutti dovevano fare resistenza ai vostri remi, quello era il tempo opportuno per il mare impetuoso. Avrei dato al mio sposo più baci e più raccomandazioni, e sono tante le cose che volevo dirti. Ma tu sei stato portato via da qui velocemente, era il vento che chiamava le tue vele, che i marinai desiderano, non io. Il vento era adatto ai marinai, non all’amante; sono sciolta dal tuo abbraccio, o Protesilao, e la lingua lasciò le parole di raccomandazione incompiute (lett: parole di me che raccomandavo). A stento ho potuto dirti quel triste “addio”. Borea piombò, e tese le vele trascinate via, e già il mio Protesilao era lontano. Finché potei guardare il mii sposo, giovava guardare, e a lungo seguii i tuo i occhi con i miei; quando non potevo vedere te, potevo vedere le tue vele, e le vele trattenne a lungo i miei sguardi; ma quando non vidi né te né le tue vele fuggenti, e ciò che contemplavo non era altro se non mare, con te se ne andò anche la luce e sul far della notte si dice che caddi esangue sulle ginocchia piegate. A stento il suocero Ificlo, a stento il longevo Acasto, a stento mia madre dolente mi rianimarono con acqua fredda; fecero un pietoso servizio, ma per me inutile: mi indigno che a me infelice non fu permesso di morire. Come tornò la coscienza, tornarono insieme i dolori; un amore legittimo tormentava il mio casto petto. Non ho più cura di porgere i miei capelli da pettinare e non mi piace che il mio corpo sia coperto da una veste dorata. Come quelle che si crede abbia toccato con la lancia pampinea il dio bicorne, io vado di qua e di là, dove il furore mi spinse. Si radunano le donne di Fillo e mi gridano: “Indossa, Laodamia, le vesti regali!”. Ma io stessa porterò su me stessa vesti tinte di porpora e lui farà la guerra sotto le mura di ilio? Io sarò pettinata nei capelli e quello sarà schiacciato nella testa (acc. di relazione) dall’elmo? Io porterò nuove vesti, il mio uomo le dure armi? Per quanto posso, si dica che io abbia imitato nello squallore le tue sofferenze e passerò triste questo tempo di guerra. Maledetto figlio di Priamo, bello a danno dei tuoi, che tu sia tanto nemico inetto quanto eri ospite sleale! Vorrei che avessi biasimato il volto della sposa Tenaria, o che a lei fosse spiaciuto il tuo. E tu, Menelao, che troppo ti affanni per donna rapita, ahime!, quanto sarà infelice per molti la tua vendetta. O dei, vi prego, allontanate da voi il presagio sinistro, e il mio sposo offra le sue armi a Giove che riporta indietro. Ma temo, ogni volta che si presenta alla mente la guerra funesta; e scorrono lacrime come neve che si scioglie al sole. Ilio e Tenedo e Simoenta e Xanto e Ida sono nomi da temere quasi con il suono stesso. E l’ospite non avrebbe osato rapirla se non avesse potuto difendersi: egli conosceva le sue forze. Come si narra, era venuto splendido di molto oro, e questo (nesso relativo) portava sul suo corpo la ricca frigia, potente per flotta ed eroi, per la quale si compiono guerre feroci – e quanta parte del suo regno segue ciascuno? Per queste cose, o figlia di Leda, sorella ai gemelli, sospetto che tu sia stata vinta; e queste cose penso che possano nuocere ai Greci. Temo un tale Ettore: Paride disse che Ettore guida le guerre feroci con mano cruenta; da Ettore, chiunque egli sia, se io ti sono cara, stai in guardia. Tieni impresso (quel) nome nel petto memore. Quando avrai evitato/(vitaris sta per vitaveris, futuro anteriore; se lo consideriamo come indicativo presente passivo: una volta sfuggito a) costui, ricorda di evitare anche gli altri, e pensa che lì ci sono molti Ettori, e considera di dire, ogni volta che ti preparerai alla battaglia: “Laodamia mi ha ordinato di avere pietà di lei.” Se è destino che Troia cada sotto i soldati argivi, cada senza che tu abbia nessuna ferita! Menelao combatta e si opponga contro i nemici posti di fronte per rapire a Paride la donna che Paride prima (rapì) a lui. Vada all’assalto e vinca anche con le armi colui che ha già vinto nella controversia. Il marito deve reclamare la sposa dal mezzo dei nemici. La tua causa è diversa: tu combatti solo per vivere e poter tornare al pio grembo della donna! Risparmiate, vi prego, o Dardanidi, tra tanti nemici lui solo (parco regge il dativo), affinché dal mio corpo non sgorghi il mio sangue. Non è colui a cui si addice combattere con la spada sguainata, e portare contro gli uomini contrapposti (opporre contro gli uomini) un petto feroce. Egli può amare molto più fortemente di quanto combatte: la guerra la facciano gli altri, Protesilao ami! Ora lo confesso: volevo richiamarti indietro, e l’animo mi spingeva, ma la lingua si arrestò per timore di un cattivo auspicio. Quando tu volevi uscire dalle porte della casa paterna per (andare) a Troia, il tuo piede, urtata la soglia, diede un presagio. Come lo vidi, gemetti e disse nel petto in silenzio: “Che questi siano segni, io prego, del mio sposo che sta per ritornare”. Ora ti racconto queste cose perché tu non sia impetuoso in battaglia. Fa’ che tutta questa mia paura svanisca nei venti. Anche la sorte contrassegna con un destino crudele colui, non so chi, che per primo tocchi la terra troiana: oh infelice colei che piangerà per prima l’uomo perduto! Li dei facciano sì che tu non voglia essere ardito! Tra mille navi la tua poppa sia la millesima e per ultima tormenti le acque ormai affaticate. Anche questo ti raccomando: dalla nave scendi ultimissimo; non è per te la terra paterna verso cui affrettarti. Quando verrai, muovi la nave col remo e la vela e arresta sulla tua spiaggia il corso veloce. Sia che Febo è nascosto sia che si innalzi più in alto della terra, tu ti presenti come dolore sia di giorno sia di notte: tuttavia più di notte che di giorno: la notte è cara alle fanciulle delle quali il collo è riposto su un braccio posto sotto/il cui collo un braccio posto sotto trattiene. Nel letto celibe cerco sogni ingannevoli; mentre manco di quelle vere, giovano le gioie fittizie. Ma perché mi viene incontro la tua immagine pallida? Perché dalle tue parole viene un lungo lamento? Mi scuoto dal sonno e adoro i fantasmi della notte; nessun altare della Tessaglia manca del mio fumo (dei sacrifici): offro incenso e lacrima, bagnata dalla quale la fiamma risplende, come è solita innalzarsi versato il vino. Quando io, abbracciata a te ritornato con braccia bramose, mi scioglierò languida per la mia stessa gioia? Quando accadrà che ben stretto in un solo letto con me tu riferirai le splendide gesta del tuo esercito? Mentre mi racconterai queste (nesso relativo), sebbene mi piacerà sentirle, tuttavia mi strapperai molti baci, molti me ne darai: sempre in queste situazioni opportunamente le parole che narrano si arrestano e, per il dolce indugio, la lingua è più propensa a raccontare. Ma quando mi vengono in mente Troia, i venti e l’onda, la buona speranza cade vinta da ansioso timore. Anche questo mi turba, che i venti impediscano alle navi di salpare: vi preparate a partire con le acque avverse. Chi vorrebbe tornare in patria, opponendosi il vento (quando il vento si oppone)? E voi dalla patria spiegate la vela, proibendolo il mare (sebbene il mare ve lo proibisca). Lo stesso Nettuno non vi offre la strada verso la sua città. Dove correte? Tornate ognuno alle vostre case. Dove correte, o Danai? Ascoltate i venti che proibiscono: questo ritardo non è di un caso improvviso, ma di un dio. E che cosa, se non un’adultera turpe, si reclama con così grande guerra? Finché è possibile, volgete le vele, o navi di Inaco! Ma che cosa faccio? Vi chiamo indietro? Il presagio del richiamo non ci sia, e una brezza soave assecondi le acque tranquille. Invidio le donne troiane, che se vedranno i tristi funerali dei propri cari e il nemico non sarà vicino, la sposa novella, lei stessa con le sue mani metterà l’elmo al forte marito e gli darà le armi dardanie. Gli darà le armi e mentre gliele darà insieme prenderà baci: questo tipo di servizio sarà dolce per entrambi, e accompagnerà il marito e gli raccomanderà di tornare e gli dirà: “Fai in modo di riportare a Giove quest’arma”. E lui, portando con sé i recenti consigli della donna, combatterà con cautela e volgerà lo sguardo alla casa; e questa toglierà lo scudo a colui che fa ritorno e gli slaccerà l’elmo, e accoglierà nel suo seno il corpo stanco. Noi siamo incerte, noi un ansioso timore ci spinge a ritenere accadute tutte le cose che possono accadere. Tuttavia, finché tu, come soldato, porterai le armi in un mondo lontano, io ho un’immagine di cera che ricorda i tuoi tratti: a lei io dico tenerezze, a lei (dico) le parole che ti sono dovute, e quella riceve i miei abbracci. Credimi, l’immagine è più di quella che sembra: aggiungi alla cera la voce, sarà Protesilao. Io la guardo e la tengo al petto come il mio vero marito, e come se potesse riferirmi parole, mi lamento. Lo giuro sul tuo ritorno e sul tuo corpo, i miei numi, e sulle fiaccole uguali del cuore e del matrimonio, e sulla tua testa, affinché io possa vederla imbiancare di capelli canuti, e tu possa riportarla con te, io verrò con te come compagna, ovunque tu sia chiamato, sia – ahimè, quel che temo – sia che tu sarai superstite. La fine della lettera si chiuda con una piccola raccomandazione: se tu hai cura di me, abbi cura di te! PARADIGMI [rĕtĭnĕo], rĕtĭnes, retinui, retentum, rĕtĭnēre moror, moraris, moratus sum, morari fugio, is, fugi, fugitum, fugere debeo, es, debui, debitum, debere [obsisto], obsistis, obstiti, obstitum, obsistĕre cupio, is, cupii, cupitum, cupere solvo, is, solvi, solutum, solvere relinquo, is, reliqui, relictum, relinquere valeo, es, valui, valitum, valere [incumbo], incumbis, incubui, incubitum, incumbĕre [abrĭpĭo], abrĭpis, abripui, abreptum, abrĭpĕre tendo, is, tetendi, tentum, tendere specto, as, avi, atum, are sequor, eris, secutus sum, sequi [dētĭnĕo], dētĭnes, detinui, detentum, dētĭnēre [ăbĕo], ăbis, abii (abivi), abitum, ăbire [ŏbŏrĭor], ŏbŏrīris, obortus sum, ŏbŏrīri [prōcumbo], prōcumbis, procubui, procubitum, prōcumbĕre liceo, es, licui, licere redeo, redis, redii, reditum, redire [mordĕo], mordes, momordi, morsum, mordēre [pecto], pectis, pexui, pexum, pectĕre [praebĕo], praebes, praebui, praebitum, praebēre LIBET [tĕgo], tĕgis, texi, tectum, tĕgĕre tango, is, tetigi, tactum, tangere convenio, is, veni, ventum, venire [indŭo], indŭis, indui, indutum, indŭĕre gero, is, gessi, gestum, gerere [prĕmo], prĕmis, pressi, pressum, prĕmĕre [ĭmĭtor], ĭmĭtāris, imitatus sum, ĭmĭtāri culpo, as, avi, atum, are [displĭcĕo], displĭces, displicui, displĭcēre laboro, as, avi, atum, are removeo, es, removi, remotum, removere timeo, es, timui, timere [sŭbĕo], sŭbis, subii, subitum, sŭbire [mădĕo], mădes, madui, mădēre rapio, is, rapui, raptum, rapere audeo, es, ausus sum, audere [dēfendo], dēfendis, defendi, defensum, dēfendĕre nosco, is, novi, notum, noscere gero, is, gessi, gestum, gerere [suspĭcor], suspĭcāris, suspicatus sum, suspĭcāri [nŏcĕo], nŏces, nocui, nocitum, nŏcēre [căvĕo], căves, cavi, cautum, căvēre vito, as, avi, atum, are [parco], parcis, peperci, parsum, parcĕre iubeo, es, iussi, iussum, iubere cado, is, cecidi, cadere [tendo], tendis, tetendi, tentum, tendĕre [inrŭo], inrŭis, inrui, inrŭĕre [rĕdĕo], rĕdis, redii, reditum, rĕdire [concurro], concurris, concurri, concursum, concurrĕre [fătĕor], fătēris, fassus sum, fătēri [subsisto], subsistis, substiti, subsistĕre Certo l’ira di Giunone persiste da quel (momento), in cui fu resa giovenca da essere umano e dea da giovenca. Eppure è punizione sufficiente (genitivo partitivo) che una tenera fanciulla abbia muggito e che, ancora bella, non possa piacere a Giove. Si arrestò, la nuova giovenca, sulla sponda del fiume del padre, e vide nell’acqua paterna corna non sua. Tentando la bocca di lamentarsi, emise dei muggiti e fu atterrita dall’aspetto e dalla sua voce. Perchè sei furiosa, infelice? Perchè ti guardi nell’acqua? Perchè conti i piedi fatti per le tue nuove membra? Tu, amante del grande Giove, temibile per la sorella, attenui la grande fame con fronde ed erbe, bevi alla fonte e guardi stupita la tua figura e temi che ti feriscano le armi che porti. Tu che poco fa eri ricca, che potevi sembrare degna di Giove, ti corichi nuda sul letto nudo. Corri per mare, per terre e fiumi che ti sono parenti: il mare, i fiumi, la terra ti danno una via. Qual è per te la causa della fuga? Perchè tu vai errando sui flutti vasti? Tu non potrai sfuggire al tuo stesso aspetto. Figlia di Inaco, dove ti affretti? Tu segui e fuggi te stessa: tu sei guida a te compagna, tu sei compagna a te guida. Il Nilo, che sbocca per sette foci nel mare, liberò il volto dell’amante dalla giovenca infuriata. Ma perchè ricordo cose lontane, delle quali mi fu testimone fu la bianca vecchiaia? I miei anni mi danno di che lamentarmi. Mio padre e mio zio sono in guerra; siamo cacciati dal regno e dal palazzo, respinti ci trattiene il luogo più lontano del mondo. Della schiera dei cugini resta una minima parte. Piango sia coloro che sono stati offerti alla morte, sia coloro che li diedero. Infatti quanti cugini, altrettante sorelle per me se ne andarono: l’una e l’altra schiera accolga le mie lacrime. Ed ecco che io, perchè sei vivo, che devo essere torturata, sono riservata alla punizione: ma che cosa accadrà a me colpevole, essendo accusata colpevole di un’azione gloriosa , e io che un tempo fui la centesima della schiera dei parenti, rimanendo un solo cugino, infelice cadrò? Ma tu, Linceo, se hai qualche riguardo per la tua pietosa cugina, e sei degno dei benefici che a te io ho concesso, o porti aiuto o uccidimi, e il mio corpo defunto dalla vita ponilo sopra a un rogo segreto, e seppellisci le mie ossa bagnate dalle lacrime fedeli, e sul mio sepolcro sia incisa questa breve iscrizione: “Ipermestra, esule, come ingiusto prezzo della pietà, ella stessa prese la morte che allontanò dal fratello”. Vorrei scrivere altre cose, ma la mano è stanca per il peso della catena e lo stesso timore mi toglie le forze. PARADIGMI: coerceo, coerces, coercui, coercitum, coercere [extĭmesco], extĭmescis, extimui, extĭmescĕre [praesto], praestas, praestiti, praestatum, praestāre placeo, es, placui, placitum, placere [ūro], ūris, ussi, ustum, ūrĕre [adsum], ades, adfui, adesse [tendo], tendis, tetendi, tentum, tendĕre [iŭgŭlo], iŭgŭlas, iugulavi, iugulatum, iŭgŭlāre trado, is, tradidi, traditum, tradere cado, is, cecidi, cadere [effĭcĭo], effĭcis, effeci, effectum, effĭcĕre [sŏlĕo], sŏles, solitus sum, solitum, sŏlēre sequor, eris, secutus sum, sequi [păvĕo], păves, pavi, păvēre [praepĕdĭo], praepĕdis, praepedii, praepeditum, praepĕdīre [fungor], fungĕris, functus sum, fungi [expĕrĭor], expĕrīris, expertus sum, expĕrīri accipio, is, accepi, acceptum, accipere [collūcĕo], collūces, colluxi, collūcēre [praecingo], praecingis, praecinxi, praecinctum, praecingĕre fugio, is, fugi, fugitum, fugere cedo, is, cessi, cessum, cedere [impĕdĭo], impĕdis, impedii, impeditum, impĕdīre iaceo, es, iacui, iacere [vĕrĕor], vĕrēris, veritus sum, vĕrēri vibro, as, avi, atum, are quatio, is, quati, quassum, quatere [trĕmo], trĕmis, tremui, trĕmĕre [excŭtĭo], excŭtis, excussi, excussum, excŭtĕre [ērĭgo], ērĭgis, erexi, erectum, ērĭgĕre loquor, eris, locutus sum, loqui tollo, is, sustuli, sublatum, tollere [rĕccido], rĕccidis, reccidi, rĕccidĕre sino, is, sivi, situm, sinere obsto, obstas, obstiti, obstare [lănĭo], lănĭas, laniavi, laniatum, lănĭāre imitor, aris, atus sum, ari [caedo], caedis, cecidi, caesum, caedĕre mereo, es, merui, meritum, merere LICET cado, is, cecidi, cadere expello, is, expuli, expulsum, expellere surgo, is, surrexi, surrectum, surgere sino, is, sivi, situm, sinere moror, moraris, moratus sum, morari maneo, es, mansi, mansum, manere [dīnŭmĕro], dīnŭmĕras, dinumeravi, dinumeratum, dīnŭmĕrāre [abstrăho], abstrăhis, abstraxi, abstractum, abstrăhĕre mugio, is, mugii, mugitum, mugire adsto, as, adstiti, adstare [terrĕo], terres, terrui, territum, terrēre [ēdo], ēdis, edidi, editum, ēdĕre [mĕtŭo], mĕtŭis, metui, metutum, mĕtŭĕre [bĭbo], bĭbis, bibi, bibitum, bĭbĕre ferio, feris, ferire [rĕcumbo], rĕcumbis, recubui, rĕcumbĕre [curro], curris, cucurri, cursum, currĕre [exŭo], exŭis, exui, exutum, exŭĕre pello, is, pepuli, pulsum, pellere eicio, is, eieci, eiectum, eicere resto, restas, restiti, restare pereo, is, perii, perire [crŭcĭo], crŭcĭas, cruciavi, cruciatum, crŭcĭāre [rĕservo], rĕservas, reservavi, reservatum, rĕservāre fio, fis, factus sum, fieri addo, is, addidi, additum, addere [perfundo], perfundis, perfudi, perfusum, perfundĕre [sculpo], sculpis, sculpsi, sculptum, sculpĕre depello, is, depuli, depulsum, depellere [subtrăho], subtrăhis, subtraxi, subtractum, subtrăhĕre HEROIDES XX – ACONZIO A CIDIPPE TRADUZIONE [Accogli, o Cidippe, il nome di Aconzio disprezzato, di colui che ti ingannò con la mela.] Abbandona la paura Qui non giurerai di nuovo a nessuno che ti ama: è sufficiente che tu sia stata promessa a me una vola. Leggi fino alla fine! Così la malattia si allontani dal tuo corpo. Poiché sentire dolore in qualche parte è un mio dolore. Perché il rossore si avvicina al viso? Infatti, come già nel tempio di Diana, sospetto che le tue gote pudiche siano arrossite. Ti chiedo il matrimonio e la fedeltà promessa, non un crimine; ti amo come un marito legittimo, non come un adultero. Puoi ripetere le parole che il frutto staccato dall’albero, che io ho gettato, portò alle tue mani caste; lì troverai che mi prometti ciò che desidero che tu ricordi, o fanciulla, piuttosto che la dea. Anche ora … lo stesso, ma quello stesso … più acutamente: la fiamma ha acquistato forze e nell’attesa è aumentata e l’amore che non era mai stato piccolo, con il lungo tempo la speranza che tu mi avevi data, è cresciuto. Tu mi avevi dato speranza, e questo mio ardore credette in te: non puoi negare che ciò sia accaduto, essendo testimone la dea. Ella era lì, e presente com’era, notò le tue parole e sembrò che le avesse ricevute, mossi i capelli. Potrai anche dire che tu sia stata ingannata dalla mia frode, purchè l’amore sia mostrato come la causa della mia frode. Che cosa cercava la mia frode, se non ad essere comunque unito a te sola? Ciò di cui ti lamenti può congiungere me (con te). Io non sono tanto astuto né per natura né per abitudine: credimi, fanciulla, tu mi rendi accorto. Amore ingegnoso ti legò a me con parole, se pure io ho fatto qualcosa, scritte da me. Con queste parole dettate da lui io feci il patto nuziale, e io fui scaltro, essendo amore il giureconsulto della legge. E questa azione abbia il nome di frode, e io sia detto ingannevole, se tuttavia è inganno il voler prendere ciò che si ama. Ecco, scrivo di nuovo e invio parole che supplicano: questa è un’altra frode, e hai di che lamentarti. Se sono dannoso, lo confesso, perché ti amo, lo sarò senza e fine e io ti bramerò sempre, anche se tu ti tieni lontano dall’essere bramata. Gli altri hanno rapito le fanciulle amate con le spade, e per me sarà una colpa una lettera scritta prudentemente? Gli dei facciano in modo che io possa importi più nodi, così che la tua fiducia non sia libera in nessuna parte! Mille stratagemmi restano – sudo in fondo alla salita; il mio ardore non permetterà che nulla sia intentato. Sia pure una cosa dubbia se tu possa essere conquistata; ma certamente si cercherà di prenderti. L’esito dipende dagli dei (sum + in + abl = dipendere da), ma tuttavia sarai conquistata. Anche se tu eviti una parte, non eviterai tutte le reti che Amore ti tese, più numerose di quanto credi. Se non gioveranno gli artifici, verremo alle armi e tu, rapita, sarai portata al petto bramoso di te. Non sono colui che suole biasimare l’azione di Paride, né di chiunque che fu (si comportò da) marito, affinché potesse esserlo. Anche io… ma taccio. Anche se la morte sia la pena di questo ratto, sarà minore del fatto di non averti avuta. Oppure dovresti essere meno bella, saresti bramata più moderatamente. Sono costretto ad essere audace dal tuo aspetto. Tu provochi questo, e i tuoi occhi, ai quali gli astri fiammanti si arrendono, che furono la causa della mia passione; i biondi capelli e la nuca d’avorio provocano ciò, e le mani che, prego, arrivino al mio collo (= abbràccino), e la grazia e il volto pudico senza rozzezza e i tuoi piedi, credo che a stento siano come (quelli) di Teti. Se potessi lodare le altre cose, sarei più felice, e non dubito che l’opera intera sia pari a se stessa. Io spinto da questo aspetto, non è strano se ho voluto avere una garanzia della tua parola. Insomma, purchè tu sia costretta a confessarti rapita, sii una fanciulla rapita dalle mie insidie. Sopporterò l’odiosità: a chi la sopporta siano dati i suoi premi. Perché la sua ricompensa è lontana da così grande colpa? Telamone conquistò Esione, Achille Briseide; entrambe certo seguirono il vincitore come signore. Accusami quanto vuoi e sii pure adirata, finché, seppur adirata, io possa goderti! Io stesso, che provoco la tua collera, la dissolverò, avendola provocata, purchè ci sia una piccola occasione di addolcirti. Mi sia PARADIGMI [despĭcĭo], despĭcis, despexi, despectum, despĭcĕre [discēdo], discēdis, discessi, discessum, discēdĕre doleo, es, dolui, dolere [suspĭcor], suspĭcāris, suspicatus sum, suspĭcāri [ērŭbesco], ērŭbescis, erubui, ērŭbescĕre posco, is, poposci, poscere [dēmo], dēmis, dempsi, demptum, dēmĕre [iăcĭo], iăcis, ieci, iactum, iăcĕre [spondĕo], spondes, spopondi, sponsum, spondēre adsumo, is, sumpsi, sumptum, sumere [augĕo], auges, auxi, auctum, augēre [cresco], crescis, crevi, cretum, crescĕre decipio, is, decepi, deceptum, decipere adstringo, is, strinxi, strinctum, stringere [fătĕor], fătēris, fassus sum, fătēri noceo, es, nocui, nocitum, nocere [capto], captas, captavi, captatum, captāre [răpĭo], răpis, rapui, raptum, răpĕre resto, restas, restiti, restare sudo, as, avi, atum, are effugio, is, effugi, ere fallo, is, fefelli, falsum, fallere [sŏlĕo], sŏles, solitus sum, solitum, sŏlēre [rĕprĕhendo], rĕprĕhendis, reprehendi, reprehensum, rĕprĕhendĕre [tăcĕo], tăces, tacui, tacitum, tăcēre [pĕto], pĕtis, petii, petitum, pĕtĕre [cōgo], cōgis, coegi, coactum, cōgĕre cedo, is, cessi, cessum, cedere [rĕor], rēris, ratus sum, rēri dubito, as, avi, atum, are compello, is, compuli, compulsum, compellere patior, pateris, passus sum, pati capio, is, cepi, captum, capere accuso, as, avi, atum, are [īrascor], īrascĕris, iratus sum, īrasci [frŭor], frŭĕris, fructus sum, frŭi [tĕnŭo], tĕnŭas, tenuavi, tenuatum, tĕnŭāre placo, as, avi, atum, are [consisto], consistis, constiti, consistĕre soleo, es, solitus sum, solitum, solere [vĕrĕor], vĕrēris, veritus sum, vĕrēri tendo, is, tetendi, tentum, tendere [argŭo], argŭis, argui, argutum, argŭĕre [perpĕtĭor], perpĕtĕris, perpessus sum, perpĕti timeo, es, timui, timere [laedo], laedis, laesi, laesum, laedĕre [compesco], compescis, compescui, compescĕre satio, as, avi, atum, are [servĭo], servis, servii, servitum, servīre [tŭor], tŭĕris, tuitus sum, tŭĕri [mĕrĕo], mĕres, merui, meritum, mĕrēre reddo, is, reddidi, redditum, reddere decipio, is, decepi, deceptum, decipere rubeo, es, rubere condo, is, condidi, conditum, còndere careo, es, carui, carere [rĕpĕrĭo], rĕpĕris, repperi, repertum, rĕpĕrīre oborior, oboriris, obortus sum, oboriri [adsto], adstas, adstiti, adstāre moneo, es, monui, monitum, monere [nūbo], nūbis, nupsi, nuptum, nūbĕre [iăcĕo], iăces, iacui, iăcēre [consŭlo], consŭlis, consului, consultum, consŭlĕre [lăbōro], lăbōras, laboravi, laboratum, lăbōrāre [cŭpĭo], cŭpis, cupii, cupitum, cŭpĕre fio, fis, factus sum, factum, fieri [existo], existis, exstiti, existĕre [tempto], temptas, temptavi, temptatum, temptāre corrigo, is, correxi, correctum, corrigere [parco], parcis, peperci, parsum, parcĕre [corrumpo], corrumpis, corrupi, corruptum, corrumpĕre servo, as, avi, atum, are fruor, frueris, fructus sum, frui [subsum], subes, suffui, subesse repugno, as, avi, atum, are [nūbo], nūbis, nupsi, nuptum, nūbĕre [torquĕo], torques, torsi, tortum, torquēre [mācĕro], mācĕras, maceravi, maceratum, mācĕrāre doleo, es, dolui, dolere [quaeso], quaesis, quaesĕre evenio, is, eveni, eventum, evenire [rĕquīro], rĕquīris, requisii, requisitum, rĕquīrĕre prosum, profui, prodesse [mĭnistro], mĭnistras, ministravi, ministratum, mĭnistrāre [effingo], effingis, effinxi, effictum, effingĕre [insĭdĕo], insĭdes, insedi, insessum, insĭdēre adsum, ades, adfui, adesse [adsĭdĕo], adsĭdes, adsedi, adsessum, adsĭdēre [tempto], temptas, temptavi, temptatum, temptāre [sălĭo], sălis, salui, saltum, sălīre [contrecto], contrectas, contrectavi, contrectatum, contrectāre [praecerpo], praecerpis, praecerpsi, praecerptum, praecerpĕre [sūmo], sūmis, sumpsi, sumptum, sūmĕre tollo, is, sustuli, sublatum, tollere [ēlĭgo], ēlĭgis, elegi, electum, ēlĭgĕre vindico, as, avi, atum, are credo, is, credidi, creditum, credere recito, as, avi, atum, are [exĕo], exis, exii, exitum, exire [văco], văcas, vacavi, vacatum, văcāre [pango], pangis, pepigi, pactum, pangĕre testificor, aris, atus sum, ari [cŭbo], cŭbas, cubui, cubitum, cŭbāre valeo, es, valui, valitum, valere adsum, ades, adfui, adesse pugno, as, avi, atum, are [rĕdĕo], rĕdis, redii, reditum, rĕdire iaceo, es, iacui, iacere suspicio, is, suspexi, suspectum, suspicere [săpĭo], săpis, sapii, săpĕre [sŭbĕo], sŭbis, subii, subitum, sŭbire moveo, es, movi, motum, movere cado, is, cecidi, cadere repello, is, reppuli, repulsum, repellere damno, as, avi, atum, are [sisto], sistis, stiti, statum, sistĕre [pŏtĭor], pŏtīris, potitus sum, pŏtīri [cŏlo], cŏlis, colui, cultum, cŏlĕre [gaudĕo], gaudes, gavisus sum, gavisum, gaudēre [praesto], praestas, praestiti, praestatum, praestāre [vălĕo], văles, valui, valitum, vălēre [excĭdo], excĭdis, excidi, excĭdĕre admoneo, es, monui, monitum, monere [tempto], temptas, temptavi, temptatum, temptāre fallo, is, fefelli, falsum, fallere soleo, es, solitus sum, solitum, solere [rĕpĕto], rĕpĕtis, repetii, repetitum, rĕpĕtĕre [rĕquīro], rĕquīris, requisii, requisitum, rĕquīrĕre promitto, is, promisi, promissum, promittere iuro, as, avi, atum, are laboro, as, avi, atum, are [flĕo], fles, flevi, fletum, flēre [cognosco], cognoscis, cognovi, cognitum, cognoscĕre conspicio, is, conspexi, conspectum, conspicere noto, as, avi, atum, are resto, restas, restiti, restare figo, figis, fixi, fixum, figere miror, aris, atus sum, ari [vincĭo], vincis, vinxi, vinctum, vincīre precor, aris, atus sum, ari iungo, is, iunxi, iunctum, ere quaero, is, quaesii, quaesitum, ere consulo, is, consului, consultum, consulere cingo, is, cinxi, cinctum, cingere [prŏbo], prŏbas, probavi, probatum, prŏbāre [despĭcĭo], despĭcis, despexi, despectum, despĭcĕre [argŭo], argŭis, argui, argutum, argŭĕre orior, oriris, ortus sum, oriri [appĕto], appĕtis, appetii, appetitum, appĕtĕre noceo, es, nocui, nocitum, nocere misereor, eris, miseritus sum, misereri [contingo], contingis, contigi, contactum, contingĕre [sŏno], sŏnas, sonui, sonitum, sŏnāre tingo, is, tinxi, tinctum, tingere [testor], testāris, testatus sum, testāri lasso, as, avi, atum, are [claudo], claudis, clausi, clausum, claudĕre l’amore falsamente, offri incenso per me: mi aiutino, quelle mani che mi hanno fatto del male! Perché lei che sia adira che non è ancora tua la fanciulla promessa a te, si comporta affinché tu non possa diventarlo? Tu devi sperare tutte le cose da me viva; perché la dea crudele togli a me la vita e a te la speranza di me? E tu non credere (congiuntivo esortativo) che quello, a cui sono destinata come moglie, massaggi le membra malate con la mano messa sopra. Egli certamente si siede vicino, quanto gli viene permesso, ma ricorda che è il mio letto di vergine. E ormai mi sembra che si sia accorto di non so che su dite; infatti spesso cadono lacrime, essendo nascosta la causa, e mi corteggi a meno audacemente e mi strappa baci rari e con voce timida mi chiama sua. E non mi stupisco che se ne sia accorto, svelandomi con fatti manifesti/palesi: mi volto sul lato destro, quando lui arriva, e non parlo e celato lo sguardo ( = chiusi gli occhi), il sonno è simulato, e respingo la sua mano che cerca di prendere contatto. Egli geme e sospira nel petto silenzioso e ritiene che io sia offesa, sebbene lui non lo meriti. Ahimè, tu ti rallegri di ciò e ti piace +questo diletto+! Ahimè, poichè ti ho confessato i miei sentimenti! Ma, se io ne avessi, tu a buon diritto saresti degno della mia ira, (tu) che mi tendevi le reti. Tu scrivi che ti è consentito visitare il mio corpo malato: sei lontano da me, e anche da lì tuttavia mi farai male. Mi stupivo perché tu avevi il nome di Aconzio: tu hai un acume che arreca ferita da lontano. Certo io non sono ancora guarita da tale ferita, come da un giavellotto sono stata colpita da lontano dalla tua lettera. Ma perché tuttavia dovresti venire qui? Certamente affinché tu veda un corpo pietoso, due volte trofeo del tuo ingegno! Mi abbatto per la magrezza, il colorito è senza sangue, quale riporto alla mente (ricordo) che era sulla tua mela, e il mio candido viso non risplende di rossore soffuso: tale suole essere l’aspetto del marmo nuovo, tale è il colore dell’argento nei banchetti, che toccato impallidisce per il freddo delle acque gelide. Se tu mi vedessi ora, negheresti che io sia stata vista prima, e dirai “Costei non deve essere cercata dalla mia astuzia” e dimenticherai la fede della promessa, affinché io non debba essere unita a te e desidererai che la dea non se la ricordi. Forse farai anche in modo che io giuri di nuovo cose contrarie, mi manderai altre parole che io leggerò. Ma tuttavia vorrei che mi vedessi come tu stesso chiedevi e +apprendi+ le membra languide della tua promessa sposa. Pur avendo un cuore più duro del ferro, o Aconzio, tu chiederesti il perdono per le mie parole. Affinché tuttavia tu non lo ignori, si chieda al dio che a Delfi predice il destino, in quale modo io possa guarire. Anche lui come testimone lamenta, come ora mormora una fama diffusa, che non so chi/ qualcuno ha una promessa trascurata. Questo dicono il dio e il vate, questo dice anche la mia lettera, ma al tuo desiderio non manca alcun verso! Da dove ti (viene) questo favore? A meno che, forse non sia stata trovata una nuova lettera che, letta, inganna i grandi dei. E vincolando tu gli dei, io seguo la volontà degli dei, e favorevole offro le mani vinte ai tuoi desideri; a mia madre ho confessato il patto della lingua ingannata, tenendo fissi a terra gli occhi pieni di vergogna. Il resto è tua premura; anche questo [è] più [di quanto dovrebbe essere] fatto da una fanciulla (oppure “anche quest’azione [è] più [di quanto dovrebbe essere fatto] da una fanciulla”), poiché la mia lettera non ha esitato a parlare con te (oppure se si considera “quod“ con valore dichiarativo, “anche questo, cioè che la mia lettera non hai esitato a parlare con te, [è] più [di quanto dovrebbe essere] fatto da una fanciulla”). Ho ormai stancato abbastanza le membra infiacchite con la penna, e la mano malata rifiuta un ufficio più lungo. Che cosa resta, se non che (nisi ut = eccetto/ se non che) la mia lettera aggiunga l’”addio”/augurio di buona salute, che desidero ormai che a me arrivino con te? PARADIGMI: [consuesco], consuescis, consuevi, consuetum, consuescĕre [insĭdĭor], insĭdĭāris, insidiatus sum, insĭdĭāri [pertĭmesco], pertĭmescis, pertimui, pertĭmescĕre [capto], captas, captavi, captatum, captāre fateor, fateris, fassus sum, fateri scio, is, scii, scitum, scire [augĕo], auges, auxi, auctum, augēre [făvĕo], făves, favi, fautum, făvēre cupio, is, cupii, cupitum, cupere credo, is, credidi, creditum, credere vindico, as, avi, atum, are [vĕrĕor], vĕrēris, veritus sum, vĕrēri [appārĕo], appāres, apparui, appārēre [haerĕo], haeres, haesi, haesum, haerēre [adiŭvo], adiŭvas, adiuvi, adiutum, adiŭvāre levo, as, avi, atum, are accedo, is, accessi, accessum, accedere [sentĭo], sentis, sensi, sensum, sentīre [sĕdĕo], sĕdes, sedi, sessum, sĕdēre [dormĭo], dormis, dormii, dormitum, dormīre [dēsĭno], dēsĭnis, desii, desitum, dēsĭnĕre [excrĕo], excrĕas, excreavi, excreatum, excrĕāre propero, as, avi, atum, are [tĕgo], tĕgis, texi, tectum, tĕgĕre fatigo, as, avi, atum, are aspicio, is, aspexi, aspectum, aspicere [pĕrĕo], pĕris, perii, pĕrire [lŏquor], lŏquĕris, locutus sum, lŏqui [contingo], contingis, contigi, contactum, contingĕre [ĕgĕo], ĕges, egui, ĕgēre [gĕmo], gĕmis, gemui, gemitum, gĕmĕre perdo, is, perdidi, perditum, perdere [vulnĕro], vulnĕras, vulneravi, vulneratum, vulnĕrāre [cēdo], cēdis, cessi, cessum, cēdĕre obsto, as, obstiti, obstare iacto, as, avi, atum, are [prōpello], prōpellis, propuli, propulsum, prōpellĕre insto, as, institi, instare pulso, as, avi, atum, are mereo, es, merui, meritum, merere [accĭdo], accĭdis, accidi, accĭdĕre [contendo], contendis, contendi, contentum, contendĕre lateo, es, latui, latere pateo, es, patui, patere [plecto], plectis, plectĕre [dēcĭpĭo], dēcĭpis, decepi, deceptum, dēcĭpĕre [nŏcĕo], nŏces, nocui, nocitum, nŏcēre [laedo], laedis, laesi, laesum, laedĕre servo, as, avi, atum, are [ēlĭgo], ēlĭgis, elegi, electum, ēlĭgĕre fingo, is, finxi, fictum, fingere cognosco, is, cognovi, cognitum, cognoscere deduco, is, deduxi, deductum, deducere procedo, is, processi, processum, procedere [pingo], pingis, pinxi, pictum, pingĕre [tango], tangis, tetigi, tactum, tangĕre [texo], texis, texui, textum, texĕre [rĕdĕo], rĕdis, redii, reditum, rĕdire consto, as, constiti, constare moveo, es, movi, motum, movere propero, as, avi, atum, are [vīso], vīsis, visi, visum, vīsĕre transeo, is, ii, itum, ire fugio, is, fugi, fugitum, fugere [lābor], lābĕris, lapsus sum, lābi [insto], instas, institi, instāre [pĕrăgo], pĕrăgis, peregi, peractum, pĕrăgĕre [dēmo], dēmis, dempsi, demptum, dēmĕre [cōmo], cōmis, compsi, comptum, cōmĕre [indŭo], indŭis, indui, indutum, indŭĕre egredior, egrederis, egressus sum, egredi [tingo], tingis, tinxi, tinctum, tingĕre [ingĕro], ingĕris, ingessi, ingestum, ingĕrĕre [sĕco], sĕcas, secui, sectum, sĕcāre [spătĭor], spătĭāris, spatiatus sum, spătĭāri miror, aris, atus sum, ari sto, stas, steti, statum, stare [strŭo], strŭis, struxi, structum, strŭĕre [părĭo], păris, peperi, partum, părĕre [nītor], nītĕris, nisus sum, nīti specto, as, avi, atum, are redeo, redis, redii, reditum, redire tollo, is, sustuli, sublatum, tollere [confundo], confundis, confudi, confusum, confundĕre sentio, is, sensi, sensum, sentire [ērŭbesco], ērŭbescis, erubui, ērŭbescĕre [dēfīgo], dēfīgis, defixi, defixum, dēfīgĕre teneo, es, tenui, tentum, tenere gaudeo, es, gavisus sum, gavisum, gaudere [ēlūdo], ēlūdis, elusi, elusum, ēlūdĕre consto, as, constiti, constare [sūmo], sūmis, sumpsi, sumptum, sūmĕre exulto, as, avi, atum, are [corrumpo], corrumpis, corrupi, corruptum, corrumpĕre [exōro], exōras, exoravi, exoratum, exōrāre [prŏfĭtĕor], prŏfĭtēris, professus sum, prŏfĭtēri cogo, is, coegi, coactum, cogere [testĭfĭcor], testĭfĭcāris, testificatus sum, testĭfĭcāri coniuro, as, avi, atum, are addo, is, addidi, additum, addere [vălĕo], văles, valui, valitum, vălēre [exĭgo], exĭgis, exegi, exactum, exĭgĕre decipio, is, decepi, deceptum, ere [succēdo], succēdis, successi, successum, succēdĕre [plăcĕo], plăces, placui, placitum, plăcēre [confĭtĕor], confĭtēris, confessus sum, confĭtēri timeo, es, timui, timere [laedo], laedis, laesi, laesum, laedĕre suspicor, aris, atus sum, ari cado, is, cecidi, cadere [rĕsurgo], rĕsurgis, resurrexi, resurrectum, rĕsurgĕre [corrĭpĭo], corrĭpis, corripui, correptum, corrĭpĕre [stillo], stillas, stillavi, stillatum, stillāre [trăho], trăhis, traxi, tractum, trăhĕre [tango], tangis, tetigi, tactum, tangĕre [cerno], cernis, crevi, cretum, cernĕre
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