Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

I beni culturali. Storia, tutela e valorizzazione - Carlo Tosco, Appunti di Storia Contemporanea

riassunto del libro "I beni culturali. Storia, tutela e valorizzazione" utile per il ripasso

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 19/12/2022

Guido.Saporetti
Guido.Saporetti 🇮🇹

4.5

(55)

13 documenti

1 / 20

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica I beni culturali. Storia, tutela e valorizzazione - Carlo Tosco e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! I BENI CULTURALI - STORIA, TUTELA E VALORIZZAZIONE Carlo Tosco Negli ultimi anni grazie agli interventi UNESCO sono state emanate norme internazionali per quanto riguarda i beni culturali, le istituzioni europee stanno lavorando per superare i limiti di una tutela troppo ristretta: proprio in Europa sono stati elaborati i modelli attuali di tutela e hanno trovato prima in Francia poi in Italia i paesi di gestazione. Lo studio di tali beni è incentrato su una triade concettuale: STORIA - TUTELA - VALORIZZAZIONE. STORIA Auschwitz è riconosciuto patrimonio Unesco: non è un bene tutelato per i suoi caratteri artistici e non è una “testimonianza di civiltà”: è un simbolo, contro ogni dittatura e forme di violenza sulla libertà. La sua tutela rappresenta la volontà di trasformare un luogo di dolore in monumento. Si capisce che oggi il concetto di bene culturale ha assunto un estensione molto ampia rispetto a quella originale, il suo riconoscimento sottrae il bene a una dimensione solo estetica per restituirlo a un valore civile: come testimonianza. Nella storia occidentale è nei periodi di crisi che sembra svilupparsi una sensibilità nuova, proprio quando il patrimonio appare minacciato. Il pericolo genera una reazione e stimola una riflessione culturale. Custodire il sacro Nelle società arcaiche la presenza del sacro segna uno spazio di rispetto e conservazione. I luoghi di culto mantengono nel tempo un aura inviolabile, garantita da leggi non scritte, difesa dalle popolazioni locali e protetta da autorità religiose. Solitamente poi la garanzia di tutela fosse estesa ai fenomeni naturali presenti nella zona (acque, alberi, piante), coinvolgendo quindi il contesto paesaggistico. L’area di rispetto è in genere delimitata da segni sul territorio, che tracciano un confine tra sacro e profano. L’idea di tutela parte da questa dimensione sacra e primigenia. Al tutela verrà, successivamente, secolarizzata, laicizzata. Nelle società arcaiche le architetture, strade, montagne e la vegetazione formavano un paesaggio centrato sul santuario, dove si sedimentava il deposito di una cultura orale, custodito nel culto e nella religiosità delle popolazioni. Erodoto aiuta a comprendere: nel 480 a.C. l’esercito persiano al comando di Serse era giunto presso la località di Alo, in Acaia, le guide avevano riferito agli invasori una lunga tradizione legata al tempio di Zeus Lafistio, riguardante un antica storia di sacrifici umani e di regole culturali. Serse aveva ascoltato con interesse tutto il racconto e quando l’esercito persiano giunse al bosco sacro ordinò di non violarlo e di accamparsi con rispetto fuori dal recinto del tempio. Nella Atene arcaica si conservava la nave di trenta remi con cui Teseo era tornato vittorioso da Creta dopo aver ucciso il Minotauro. Plutarco racconta che periodicamente la nave veniva sottoposta a manutenzione dalle autorità cittadine, sostituendo le tavole invecchiate e le parti degradate: ciò che oggi definiremmo “restauro programmato”. Roma e la nascita di una coscienza di tutela È qui che si delineano le basi di una prima codificazione giuridica sulla salvaguardia delle opere d’arte, percepite come beni della collettività: accade quando Roma diventa il centro di raccolta di opere d’arte delle regioni conquistate: la “preda di guerra” suscita rispetto ma anche percezione di un distacco culturale. Dopo la conquista di Siracusa (212 a.C.) vennero per la prima volta portati a 1 Roma capolavori del mondo greco. Da qui il collezionismo, delle élite, prese piede e i meno tradizionalisti si procurarono opere provenienti dalla Grecia per abbellire le proprie residenze. Cicerone, in Verrine, ostenta il disprezzo verso le opere d’arte greca: ma si tratta di un artificio retorico. Durante l’età augustea (27 a.C. - 14 d.C.) si delinearono iniziative pubbliche di tutela promosse da uomini di cultura, che assumono ruoli importanti nelle istituzioni. Giulio Cesare aveva deciso di esporre pubblicamente i dipinti di sua proprietà presso il tempio di Venere Genitrice, in modo che i cittadini ne potessero godere. Marco Vispanio Agrippa, pronunciò un orazione che chiedeva di rendere pubblica la proprietà dei quadri e delle statue di Roma. L’iniziativa è lodata da Plinio il Vecchio, che condanna la privatizzazione del patrimonio. 39 a.C. Asinio Pollione istituisce a Roma la prima biblioteca pubblica aperta a tutti i cittadini. Una norma del giurista Ulpiano, stabiliva che le statue erette dai privati in luoghi pubblici fossero considerate res populi romani. Anche i monumenti che ricordavano la storia di Roma venivano religiosamente conservati, ad esempio le memorie di Romolo sul Palatino, con la casa Romuli, e tratti di mura della Roma delle origini, nei pressi della casa di Augusto; anche gli elementi naturali, come piante secolari, mantenevano valore sacrale. Plinio racconta che, sul colle Vaticano, era venerato un esemplare di leccio: considerato più antico della stessa fondazione di Roma, che portava nel tronco una lamina di bronzo con iscrizioni etrusche. Imperatori cristiani e templi pagani Nella tarda antichità è il cambiamento epocale di confessione religiosa che segna una crisi del rapporto con i resti del passato. Quando il cristianesimo si afferma nasce una consapevole esigenza di salvaguardia verso gli antichi templi pagani che rischiavano di cadere in rovina. Fenomeni di spoliazione delle decorazioni, crolli dovuti alla mancanza di manutenzione appaiono sempre più diffusi. La prassi del reimpiego, che si afferma a partire dal 300, era controllata almeno inizialmente dalle istituzioni. Le prime basiliche del Vaticano e del Laterano vennero realizzate con marmi provenienti dai monumenti più antichi. Il reimpiego non fu un fenomeno unitario, ma un lungo processo dettato da ragioni differenti, tra cui non solo motivazioni utilitarie ma anche una volontà di conservare i materiali antichi, anche solo come frammenti. Una prima legislazione in difesa dei templi pagani compare con Teodosio I, in una costituzione del 382 in cui si stabiliva che il tempio di Edessa non fosse abbandonato all’incuria. Onorio, nel 399, ordinò che ogni spoliazione doveva finire. La nuova capitale, Costantinopoli, divenne sin dalla sua fondazione un centro di raccolta e in un ala del palazzo imperiale, il Lauseum, si era formata una collezione di statue e marmi greci. 476, e poi con Teodorico, la legislazione in materia confluirà nei codici Giustinianei. La cultura monastica: salvare le biblioteche Durante la Tarda Antichità, negli uomini di cultura, nonostante le distruzioni, era viva la coscienza che almeno il patrimonio librario poteva essere salvato. Nel 410, pochi mesi dopo il saccheggio di Roma, Rufino di Aquileia concludeva la sua monumentale traduzione delle opere di Origene dal greco al latino, per portare a termine il suo lavoro si era rifugiato in Sicilia e, nel mentre, assisteva a Reggio Calabria bruciare assediata dai Goti. Tradurre era un modo di conservare, così come trascrivere: sono azioni di tutela che hanno preservato le basi del sapere occidentale. IV e V secolo il passaggio alla pergamena assicurava una capacità di conservazione maggiore. Aurelio Cassiodoro, segretario del Re Teodorico: politica culturale indirizzata in favore della conciliazione tra barbari e quello che rimaneva della società romana, nelle sue lettere forti richiami alla tutela dei monumenti, al restauro dei pubblici ornamenti, al recupero del patrimonio edilizio. 2 di opere, o stili, o periodi: il patrimonie ingloba ogni prodotto culturale depositato dal passato come “tesoro della nazione”, questo’utlima è un espressione che torna ancora oggi. Patrimonio è il termine affermato nelle lingue romanze, mentre nel mondo anglosassone l’espressione è resa da Heritage. Con Napoleone e il suo dominio in Italia la storia della tutela registra un incremento nella Roma Pontificia. Pio VII tentò di mettere un freno alle spoliazioni, nel 1802 con l’editto Doria - Pamphilij. Queste pietre miliari della storia della tutela erano eredi di una matura esperienza. Anche l’apporto della recente cultura francese era importante, con i principi di tutela ribaditi da Quatremere de Quincy nelle sue Lettere a Miranda, alla base delle quali c’era l’idea che le opere d’arte e i reperti archeologici formassero un sistema contestuale, radicato nel loro territorio d’origine, e che ogni forma di asportazione o alienazione fosse da considerarsi un grave danno per la cultura di tutta l’umanità. Monumenti e Identità Nazionali 1810, distruzione della facciata ovest dell’abbazia di Cluny per ricavare materiale da costruzione con poca spesa: il medioevo era ancora guardato con disprezzo e non rappresentava un periodo di interesse; era un vandalismo diverso, non violento come quello rivoluzionario ma lento ed erosivo, che sacrifica i monumenti per interessi economici. L’industrializzazione divenne così una minaccia per il patrimonio: i progetti stradali e ferroviari rappresentavano una minaccia per gli edifici che si trovavano sulle linee dei nuovi tracciati. Non è un caso che le prime leggi moderne di tutela siano state varate dall’Inghilterra e dalla Francia. Il clima romantico, favoriva queste prese di posizione, si assiste a un ribaltamento di prospettive e i monumenti medievali diventano emblema delle nazioni. Negli anni 1830 in Francia vennero creati: un funzionario col compito di compilare il catalogo nazionale dei monumenti che necessitavano di restauri e di ripartire i fondi disponibili destinati ai progetti di recupero, e un Comitato con funzioni consultive, i cui consigli erano seguiti dal Ministero dell’Educazione nazionale. Solo dopo la caduta di Napoleone III la tutela verrà organizzata in un quadro normativo stabile. L’Italia unita In Italia la questione del patrimonio si pone alla vigilia dell’unità nazionale. I monumenti presto riconosciuti come risorsa simbolica per fondare le basi della nazione. 1862, Cavalcaselle indirizza al ministro Matteucci uno scritto pioneristico sulla conservazione delle opere d’arte denunciando l’urgenza di un intervento da parte del nuovo Stato. Il problema più immediato era la soppressione delle congregazioni religiose, di cui lo stato aveva acquisito i patrimoni. I mercanti d’arte stranieri, sopratutto inglesi, erano già all’opera sul territorio italiano per accaparrarsi le opere rese disponibili in assenza di leggi protettive. Per una politica di tutela nel campo dei beni mobili, opere d’arte e reperti archeologici bisognerà attendere ancora diversi anni. Dopo l’annessione di Roma venne riconosciuta l’urgenza di un intervento dello Stato per preservare il patrimonio artistico della nazione: al ministero della pubblica istruzione spettavano le competenze di tutela, al ministero dell’Interno gli Archivi e il Restauro dei Monumenti. Il Culto dei Monumenti 1800 dal valore estetico al valore storico. Il criterio estetico è elitario, limitato all’attenzione di un pubblico colto e di intenditori d’arte. Il criterio storico assume carattere nazionalistico, un valore identitario per più ampie fasce di popolazione Nel 1903, Alois Riegl, ne il culto moderno dei monumenti scriveva una riflessione sui valori che il monumento assume per la contemporaneità. Si ripresenta quella dimensione sacra e primigenia dell’opera, ma una differenza sostanziale distingue il culto moderno da quello antico: il monumento non è sacro per le sue caratteristiche intrinseche ma per i valori che la società gli attribuisce. 5 Dal monumento al bene culturale Nel corso del 1900 il concetto di monumento, al centro della cultura ottocentesca,assume significati più vasti. Nuove parole chiave segnano il progresso della tutela: si affermano i concetti di bene culturale, bene immateriale e paesaggio. Nella tradizione occidentale il valore dei monumenti ha segnato la nascita della tutela. Il termine latino monumentum esprimeva grande ricchezza di significati, riferito in genere al sepolcro, alla memoria funeraria. L’etimologia rimanda al verbo monere “far ricordare”, il richiamo del passato per il presente. Il monumento si riferisce quindi a tutto ciò che testimonia una memoria. Successivamente il monumento assume anche una valenza storiografica: il monumento diviene documento, oggetto del passato in grado di fornire informazioni sulla civiltà che lo ha prodotto. Nasce così nel Settecento l’espressione “monumento storico”. Diversa è invece l’origine di “bene culturale”. Il suo riconoscimento a livello internazionale si registra soltanto nel dopoguerra, per la prima volta utilizzato nel linguaggio giuridico con la Convenzione dell’Aia del 1954, dedicata alla protezione dei beni in caso di conflitto armato. Passaggio dall’idea di monumento all’idea di testimonianza: il concetto di bene culturale si presta meglio a esprimere la complessità del patrimonio, includendo anche i beni immateriali. Nel nostro paese l’espressione si afferma con la Commissione Franceschini, istituita dal Parlamento nel 1964. Nel 1974 infine nasce il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. Nella legislazione italiana bene culturale: “testimonianza materiale avente valore di civiltà”, la parola “materiale” sarà poi rimossa dal codice dei beni culturali e del paesaggio (2004) Quale cultura? Il riconoscimento di un bene meritevole di tutela non deriva da una scelta individuale ma dalla società che lo elegge a deposito della sua memoria. In senso generico certamente tutto può essere bene culturale, perché ogni opera dell’uomo appartiene alla sua storia e ogni paesaggio antropizzato è segno della cultura. Per fare chiarezza occorre quindi definire “cultura”. Il termine muta i suoi significati a seconda dell’ambito disciplinare, in generale però è possibile stabilire che il concetto di cultura assunto nell’ambito della tutela deriva dall’antropologia. Con tale disciplina la cultura diviene un oggetto di ricerca scientifica. In questo caso Cultura = Civiltà e non Erudizione. Bronislaw Malinowski “La cultura comprende gli artefatti, i beni, i processi tecnici, le idee, le abitudini e i valori che vengono trasmessi socialmente”, Trasmissione, Eredità. Se la cultura è un bagaglio ereditato, essa si radica nel passato. La cultura a cui fanno riferimento i beni culturali è quella alla quale il bene è ascritto in quanto oggetto di tutela. Un reperto romano è un bene culturale in quanto tutelato dalle nostre leggi, recuperato con i nostri criteri, valorizzato nei nostri musei. Gli oggetti rinvenuti dagli archeologi in buche di scarico, intenzionalmente eliminati come rifiuti all’epoca della loro deposizione, divengono per noi dei beni culturali in quanto testimonianze sul gruppo umano che li ha prodotti. I beni culturali si configurano così come una categoria unitaria, che raccoglie oggetti di natura differente e all’interno della quale non esistono gerarchie. Ogni periodo storico esprime nella prassi una precisa politica di tutela e di selezione, ogni epoca ha il suo concetto di cultura. I beni immateriali I beni culturali sono stati a lungo considerati esclusivamente materiali. Un salto decisivo si verifica quando vengono inserite nel patrimonio anche quelle manifestazioni immateriali, intangibili, che formano gli elementi caratteristici di una cultura. É nella Germania del romanticismo che si creano le basi per un autentica riscoperta, e Herder è il primo filosofo a utilizzare il concetto di Kultur des Volkes, “cultura popolare”, sul modello elaborato dai tedeschi, anche in italia verranno realizzate le prime raccolte dei canti popolari, ma soltanto dopo l’Unità gli studi sul folklore assumeranno un carattere più scientifico. 6 È grazie alle ricerche etnografiche che i beni culturali si aprono al patrimonio immateriale, l’etnografia aveva sviluppato due grandi ambiti di studio: - Le popolazioni extraeuropee sprovviste di scrittura - Le tradizioni popolari ancora vive nelle regioni rurali dell’Europa industrializzata Lo studio delle tradizioni popolari ha assunto un ruolo sempre più vasto con la nascita dei primi centri universitari di ricerca e dei programmi ministeriali intenzionati a preservare i tratti più caratteristici della cultura nazionale. Il patrimonio delle tradizioni popolari è ormai riconosciuto come patrimonio in via di estinzione. Nel linguaggio odierno tale categoria del patrimonio è identificata con i beni demoetnoantropologici, che comprende tutte le manifestazioni della cultura popolare: oggetti materiali e beni immateriali. La loro salvaguardia è stata potenziata dagli interventi dell’UNESCO. Nel 1997, nel quadro UNESCO, è nata la Section of Intangible Heritage, che opera a livello mondiale per la salvaguardia di questo settore del patrimonio: si è così affermata la nozione di intangible heritage. Perché la tutela giuridica abbia corso, si richiede però che il bene immateriale abbia trovato un estrinsecazione, che in qualche modo sia espresso in termini materiali. Inoltre per i beni materiali la tutela avviene in rapporto all’esclusiva appartenenza al soggetto che ne è l’autore riconosciuto, mentre i beni immateriali sono il frutto di una collettività. Come può essere tutelato il bene immateriale? - tutelare il suo rilevamento, cioè la documentazione che conserva la traccia del bene - Conservazione delle loro condizioni performative La tutela consiste essenzialmente nel rendere disponibili per il futuro queste manifestazioni e la valorizzazione nel renderle comunicabili all’esterno. Il superamento della materialità comporta un altro distacco decisivo: quello della storia. Il progresso delle ricerche ha posto al centro dell’attenzione l’attualità della cultura popolare. Il Paesaggio AMBIENTE: lo spazio che circonda una cosa o una persona e in cui essa vive; l’insieme delle condizioni fisicochimiche e biologiche che permettono e favoriscono la vita degli esseri viventi L’Ambiente è definito in senso relazionale. Dal punto di vista ecologico è descritto da fattori biotici e abiotici ecologici che hanno influenza diretta e significativo sugli organismi a cui ci si riferisce. TERRITORIO: porzione di terra di estensione abbastanza considerevole; la terra diventa territorio quando è tramite di comunicazioni, quando è mezzo e oggetto di lavoro, di produzioni, di scambi, di cooperazione Nell’abitare i propri territori, le comunità umane producono valori che si svincolano almeno in parte dai dati ambientali, perché discendono dall’interazione continua dei processi sociali con i processi ambientali. PAESAGGIO: porzione di territorio considerata dal punto di vista della prospettiva o della descrizione oppure da quello geografico; panorama, vista, veduta; un tratto di terra con le sue caratteristiche distintive, risultato di processi e di modificazioni causate da agenti naturali Oggi un paesaggio è inteso come: Un aspetto essenziale del quadro di vita delle popolazioni, che concorre all’elaborazione delle culture locali e che rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell’Europa (Convenzione Europea del Paesaggio, 2000). L’idea di paesaggio nasce nell’ambito dell’estetica e delle arti figurative. Con l’apporto dei geografi tedeschi e della cultura romantica assume un significato più vasto che segna l’incontro tra l’opera dell’uomo e la natura. Ognuno di noi percepisce le forme del paesaggio soggettivamente, in un esperienza plurisensoriale che coinvolge non soltanto la vista. Esiste però anche una dimensione oggettiva del paesaggio, descritta tramite l’analisi scientifica degli elementi che lo compongono. Le due dimensioni si 7 L’organizzazione della tutela, dopo le prime leggi post unitarie, si era fissata in epoca fascista, con l’opera del ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, che condivideva la filosofia di Gentile. Con la sua firma vengono promulgate due leggi fondamentali, che resteranno anche nella futura repubblica: quella sulla protezione delle cose di interesse artistico e storico e quella sulla protezione delle bellezze naturali, entrambe del 1939. L’organizzazione della tutela in Italia, già segnata da un impianto fortemente centralizzato, venne confermata con il nuovo ordinamento firmato dal ministro Bottai. Il regime fascista aveva favorito il rafforzamento autoritario delle pubbliche istituzioni, superando le resistenze sui diritti della proprietà privata, difese dai precedenti governi liberali. Questa politica attribuiva allo stato la promozione della cultura e la responsabilità sul patrimonio, considerato un bene inalienabile della nazione. Con l’avvento della Repubblica l’architettura delle leggi Bottai non verrà smantellata, ma rimarrà in piena attività fino alle riforme degli anni più recenti. La Costituzione, art. 9, confermava il ruolo centrale della Nazione per la tutela del paesaggio e del patrimonio storico - artistico. Nel periodo successivo, com’è noto, questi strumenti non impediranno le aggressioni al paesaggio italiano. L’espansione edilizia ai danni delle aree rurali, la devastazione di ampie fasce del patrimonio ambientale, segnano tristemente la storia del nostro territorio dal dopoguerra ad oggi. Per tentare di porre un freno al degrado, il controllo sulle aree più minacciate verrà rafforzato con la legge n. 431 del 1985 o Legge Galasso, che comportava l’imposizione del vincolo paesaggistico su determinati settori del territorio nazionale (zone montane, sponde fluviali, fasce litoranee e lacustri, vulcani). L’impianto verticale di tutela venne però intaccato dalle politiche di decentramento regionale. La tensione crescente tra Stato e Regioni sul tema dei beni culturali venne alla fine regolamentata con una riforma di stampo “federalista mitigato”, nel 2001, assegnando: - Allo Stato: tutela dei beni culturali, dell’ambiente e dell’ecosistema - Alle Regioni: competenza legislativa concorrente in merito alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali Nel 2004 il Codice dei beni culturali e del paesaggio: una risistemazione unitaria del diritto in tutto il settore competente, che armonizzava le normative e teneva conto dell’intervenuta riforma costituzionale. Il testo però presento alcuni limiti e si resero necessarie alcune successive integrazioni, nel 2008. Nelle intenzioni del legislatore il rapporto tra Stato ed enti territoriali si configurava come una “cooperazione” alla tutela del patrimonio, con la previsione di accordi e intese. Alla cooperazione tra gli enti territoriali è dedicato l’art. 5 del Codice: alle regioni sono riservate competenza di tutela molto ridotte, limitate a “manoscritti, autografi, carteggi, documenti, incunaboli, raccolte librarie, libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato”. Regioni: redazione di piani paesistici Stato: responsabilità dei vincoli paesaggistici La nascita delle regioni in italia ha segnato l’inizio di un processo di decentramento nella gestione dei beni culturali. I primi piani territoriali, in senso paesaggistico, vennero promulgati dalla Liguria nel 1984 ed Emilia Romagna nel 1988. l’Emilia Romagna aveva creato, nel 1974, l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali (IBC) protagonista di un lavoro efficace di coordinamento con i comuni e con le forze più attive sul territorio. Il rafforzamento delle autonomie locali e l’assenza di un efficace controllo da parte dello Stato, in molti casi, ha provocato fenomeni di degrado e di sfruttamento inadeguato dei beni. Per quanto riguarda il paesaggio e la sua tutela, avviene tramite la pianificazione, da parte delle regioni: il che ha senso se si pensa che anche la convenzione europea pone al centro dei valori del paesaggio le comunità locali. Tuttavia le migliori garanzie per la salvaguardia del paesaggio vengono da una collaborazione tra enti locali, associazioni di cittadini e Stato. 10 Se il bene è un bene collettivo, che appartiene a tutti i cittadini, non può che essere attribuito alle competenze dello stato. La comunità che detiene un bene sul suo territorio non può vantare maggiori diritti rispetto a tutta la nazione. Diversa può essere la situazione per quei beni “liminari”, riconosciuti importanti da parte di singole comunità. Su un altro piano si pone invece la questione della valorizzazione. In questo caso non c’è dubbio che il territorio è in grado di assumere un ruolo guida nelle iniziative di promozione e delle potenzialità furtive. Processi di globalizzazione La politica UE nel settore dei beni culturali si muove lentamente. Soltanto con il trattato di Maastricht nel 1992 è stata introdotta una competenza comunitaria nel settore: con tale trattato l’UE ha dichiarato di incoraggiare la cooperazione tra Stati e di promuovere la conservazione e la salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, pur nel rispetto delle diversità nazionali e regionali. Negli ultimi anni si distinguono iniziative interessanti, come il progetto Cultural Routes of the Council of Europe, che promuove la valorizzazione di itinerari storici in una dimensione internazionale. Le difficoltà operative dell’UE risultano alla fine bilanciate, a livello globale, dal ruolo crescente dell’ONU. Negli ultimi anni infatti si assiste a un fenomeno di grande portata per la salvaguardia del patrimonio, che coinvolge in modo sempre più incisivo la gestione dei beni culturali. Il protagonista di queste iniziative è l’UNESCO, l’agenzia dell’ONU impegnata nello sviluppo della formazione, della scienza e della cultura. Il regime giuridico dei beni culturali tende sempre di più ad assumere caratteri globalizzanti, l’idea di patrimonio come identità della nazione viene intaccata da una nuova dimensione sovranazionale. L’UNESCO di fatto limita la sovranità dei singoli stati. Esso opera principalmente tramite prestigiose organizzazioni internazionali, dotate di rappresentanze nei 5 continenti: - ICOM (International Council of Museums) - ICOMOS (International Council of Monuments and Sites) nel settore del restauro Nell’ambito della tutela internazionale un ruolo centrale è assunto dalla: - World Heritage Convention, istituita nel 1972, ha come fine la salvaguardia del patrimonio culturale mondiale, attuata tramite un sistema di cooperazione attiva tra paesi membri. Ogni stato che aderisce alla Convenzione è tenuto a rispettarne i principi e a collaborare con gli altri Stati per la salvaguardia del patrimonio mondiale (Italia ha aderito nel 1977). Il sistema di tutela si concretizza nella World Heritage List, il catalogo dei siti UNESCO, e rientrano soltanto quei siti che presentano un valore straordinario o universale in grado di esprimere interesse su scala planetaria. Stato Nazionale = Tutela / UNESCO = Controllo Negli ultimi anni si segna l’aumento di interesse delle Nazioni Unite e UNESCO verso i valori dell’ecologia, dei beni culturali diffusi e delle pratiche tradizionali di adattamento delle popolazioni con l’ambiente. L’inclusione nella lista avviene tramite un procedimento di candidatura, proposta dalle rappresentanze dei singoli Stati Membri, al Comitato Internazionale Unesco spetta la decisione di accettare o rifiutare le singole candidature. L’ingresso comporta un forte impatto mediatico per la promozione dei siti, favorito dalla stampa e da Internet e offre la possibilità di accedere ai finanziamenti del Fondo per il Patrimonio Mondiale. Una volta ottenuto il riconoscimento si apre una seconda fase che prevede l’applicazione di un piano di gestione e la verifica della periodicità dello stato di conservazione. Di recente è stata compilata anche una List of Wolrd Heritage in Danger, nel 2013 sono stati iscritti 6 siti della Siria. l’UNESCO programma severe misure di controllo e la delisting, l’esclusione del sito dalla lista, questa eventualità contribuisce a mantenere alta l’attenzione degli organismi preposti alla tutela. 11 Del 2012 è la minaccia di escludere un monumento come il Cremlino, di fronte al progetto di nuove strutture di servizio per gli uffici presidenziali. Il comitato UNESCO si è opposto, ricordando che edificare nei siti protetti è severamente vietato. Nel 2002, nel corso di una sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale, è stata adottata la Dichiarazione di Budapest, che fissa i criteri da seguire nella redazione dei piani. Tutela Attiva Lo strumento fondamentale di ogni azione di tutela sui singoli beni è la dichiarazione pubblica di interesse culturale, emessa come provvedimento amministrativo da parte dell’autorità competente: - in Italia la competenza spetta allo Stato, esercitata tramite il ministero e i suoi organi periferici. La dichiarazione comporta l’imposizione di un vincolo: una limitazione d’uso prescritta al suo proprietario, privato o pubblico che sia. Il vincolo impone la vigilanza da parte degli enti pubblici di tutela e obbliga il proprietario a garantire l’integrità del bene. Le forme della tutela presentano alcune varianti amministrative nei diversi paesi europei. In italia permane una distinzione di principio fra i beni di proprietà pubblica e quelli appartenenti a privati: - per sottoporre il vincolo a beni privati è sempre richiesta una preventiva dichiarazione ministeriale - Per i beni pubblici si presuppone l’interesse culturale fino all’avviamento di un processo di verifica. Sono esclusi da verifica i beni pubblici di cui già sussiste l’interesse culturale, elencati all’articolo 10 del Codice. In altri paesi: - USA: è previsto il National Register of Historic Places, dove trovano posto i siti maggiori, e un catalogo di segnalazioni, il National Historic Landmark - SAPGNA: si distingue tra i bienes catalogados, di rilevanza locale e sottoposti a licenza amministrativa, e bienes de interes cultural, che richiedono un autorizzazione preventiva degli organi di governo delle comunità autonome - FRANCIA: il catalogo nazionale individua due tipi di provvedimento amministrativo, e di conseguenza due categorie di beni: il classement e l’inscription. Nel primo caso il vincolo è completo, nel secondo è una misura meno restrittiva che impone ai proprietari di comunicare preventivamente al ministero qualsiasi tipo di intervento si voglia fare sul bene. Negli ultimi due decenni il concetto di tutela è stato profondamente rinnovato. L’aspetto più significativo è il passaggio da una concezione passiva della tutela a una concezione attiva: la tutela non è considerata più come una prassi soltanto vincolistica, come un intervento difensivo a posteriori, imposto da condizioni di degrado, ma come un programma preventivo di monitoraggio. Il degrado dovrebbe essere visto come un processo continuo e inevitabile, un azione quotidiana di “erosione”, dovuta alla materialità del bene, che richiede una cura costante. Si deve a Cesare Brandi la prima teorizzazione del “restauro preventivo”, sarà però il suo allievo Giovanni Urbani (ministro dei beni culturali dal 2001 al 2005) a elaborare in modo compiuto la teoria e la prassi della “conservazione programmata”. Secondo Urbani l’attenzione della tutela non deve essere indirizzata al singolo bene ma all’ambiente che lo ospita e all’esame delle possibili cause di deterioramento derivanti dal contesto territoriale in cui si trova. Pochi anni più tardi si arrivò all’elaborazione di metodi per l’analisi del rischio ambientale. Il metodo si basava sull’individuazione dei danni potenziali che derivano dall’ambiente in cui è collocato il bene, dipendenti dall’azione antropica o dalle dinamiche del suolo, acqua e aria. Cataloghi aperti Lo strumento indispensabile per la tutela è il catalogo, con le funzioni di: 1. Censimento beni 2. Assicurare un monitoraggio preventivo 3. Programmare interventi di manutenzione e restauro 12 I governi sono chiamati a investire nella valorizzazione del patrimonio, nella qualificazione del personale, comunicazione, infrastrutture. Una matura politica culturale dovrebbe prevedere forme di valutazione dei risultati degli investimenti, attraverso monitoraggi periodici, che comportino come conseguenza incentivi o correzioni in base ai risultati ottenuti. Ogni ente culturale è dotato di un bilancio che può essere esaminato come strumento aziendalistico, ma anche come strumento per lo sviluppo di attività culturali. Dal momento che ben difficilmente i centri di cultura sono in grado di autofinanziarsi sarà indispensabile un sostegno esterno, coadiuvato ove possibile da un incremento delle attività di valorizzazione. Le entrate degli istituti culturali possono quindi ripartirsi in 3 categori: - Finanziamenti pubblici - Mecenatismo privato - Rendite proprie (ingressi a pagamento, attività commericiali) In USA e GB gli enti culturali utilizzano il loro patrimonio per sviluppare attività di merchandising nella prospettiva di attrarre sponsor privati. Ma, mentre negli USA sono i finanziatori privati che orientano le politiche culturali, in GB prevale un maggiore equilibrio tra pubblico e privato. Lo Stato sostiene economicamente diverse istituzioni che, di fatto, possono contare su una notevole libertà di gestione delle loro risorse. Esempio, il Victoria and Albert Museum di Londra, fondato nel 1852 è finanziato per il 50% dallo Stato e il resto dei suoi introiti provengono dalle attività di gestione. Anche in Francia e Germania si è assistito a un incremento delle attività commerciali legate ai musei. Lo stesso Louvre ha avviato progetti di sviluppo utilizzando il suo nome a scopo pubblicitario, con l’apertura di una sorta di succursale ad Abu Dhabi nel 2017. Le scelte avviate dal Louvre si ispirano ai modelli americani e alla politica di impresa della Fondazione Guggenheim di New York. Più interessante, sul piano culturale, è stata un altra iniziativa varata dal Louvre: quella di promuovere una sede del Louvre a Lens, un ex bacino carbonifero segnato dal degrado e dalla crisi post industriale: la nuova struttura inaugurata nel 2012, è un progetto che incide sul territorio e punta alla riqualificazione di un paesaggio urbano. In Italia la situazione è molto diversa: si è iniziato a considerare i beni culturali come risorsa solo a partire dagli anni ’80. Il patrimonio culturale veniva presentato come una miniera nascosta: con grande ingenuità, i beni culturali venivano reclamati come “il petrolio d’Italia”. Nel 1986 per la prima volta il patrimonio entrava nei programmi ministeriali come una risorsa per lo sviluppo del paese, ma con un enfasi commerciale che non ha favorito un corretto utilizzo. Come ha ricordato Tommaso Montanari, l’opera d’arte non può mai essere un mezzo nelle politiche di valorizzazione ma soltanto un fine. Ogni progetto di valorizzazione dovrebbe prevedere una serie direzione scientifica che garantisca la validità culturale delle azioni previste. Le iniziative non dovrebbero puntare sui “grandi eventi” e sulle “grandi opere”, ma piuttosto sul tessuto connettivo del patrimonio diffuso, sui sistemi locali, sulla riscoperta delle potenzialità culturali presenti nei nostri territori. Il contributo dei privati e delle fondazioni Oggi i privati non sono in grado di intervenire in modo molto diversi nel grande ambito del patrimonio. I beni culturali rischiano infatti di cadere nella rete delle privatizzazioni di valori e servizi. In linea di principio occorre distinguere tra i contributi dei privati al patrimonio culturale, un fatto di per se positivo, e una gestione privatistica del bene, dove prevale la logica del profitto e dell’interesse speculativo rispetto a quello pubblico. Anche quando il bene è di proprietà privata, il suo impiego economico non può perdere di vista il suo valore sociale. In termini generali, i processi di privatizzazione possono coinvolgere i beni e le attività culturali in 3 forme differenti: 1. Interventi di soggetti privati 15 2. Interventi di soggetti misti pubblico - privati 3. Alienazioni di parti del patrimonio in proprietà dello Stato o di enti locali. Mentre ogni forma di alienazione è una pratica da condannare, altre strade sono praticabili. L’alienazione di parti del patrimonio viene talvolta ammessa in alcuni paesi: in USA e ENG si segnalano casi di deaccessioning da parte di istituzioni museali, vendite di opere per rispondere a esigenze di gestione, ma si tratta di fenomeni rari e isolati. In Italia la proprietà demaniale delle collezioni museali sancisce alienazione. Il Codice impone l’obbligo, per tutti beni di proprietà pubblica, di verifica dell’interesse culturale. Esistono quindi, almeno in linea teorica, garanzie giuridiche per la sorveglianza sulle pratiche di alienazione. Diversa è invece la considerazione rispetto a progetti che comportano l’impegno di soggetti privati nella valorizzazione del patrimonio. L’affidamento a privati di attività e servizi connessi al patrimonio culturale è una pratica abbastanza usuale. Le sperimentazioni più significative si sono verificate nei progetti di gestione mista pubblico - privato, realizzati sopratutto tramite lo strumento delle fondazioni, secondo un modello di derivazione USA. Le fondazioni assumono oggi un ruolo di crescente importanza, se in origine operavano principalmente come soggetti di riferimento per il mecenatismo, negli ultimi anni hanno dimostrato un impegno più attivo nella gestione e nei progetti di valorizzazione. A differenza delle imprese, che mirano alla generazione di profitti, le fondazioni hanno come scopo le attività sociali. L’importanza maggiore si registra naturalmente nelle fondazioni di origine bancaria (es. il sistema Gallerie d’Italia). L’efficienza delle fondazioni è garantita dalla competenza tecnico - scientifica dei membri dei consigli di amministrazione, che andrebbero scelti tra esperti nei diversi settori. Molte fondazioni non bancarie hanno dimostrato un impegno di coordinamento, come la fondazione Benetton Studi Ricerche. Esperienze innovative si sono verificate, soprattutto nell’ultimo decennio, con l’affidamento della gestione di enti museali ad apposite fondazioni. Un esempio di collaborazione tra pubblico e privato si configura anche nel circuito delle Residenze Sabaude, un progetto di valorizzazione che include 10 residenze reali dislocate intorno a Torino, riconosciute patrimonio UNESCO. L’iniziativa nasce grazie al sostegno di enti pubblici (MIBAC, Regione Piemonte, Comuni) e privati (Compagnia di San Paolo, Fondazione 1563). Ancora in ambito privato, una fondazione come il FAI, gestisce con attenzione il proprio patrimonio monumentale, ma ha anche dimostrato di saper gestire i beni culturali pubblici che ha ricevuto in concessione. Le diverse esperienze dimostrano che le forme di privatizzazione (escludendo del tutto i propositi di alienazione del patrimonio) ottengono buoni risultati soltanto quando sono collegate alle istituzioni, alla ricerca e alla rete delle potenzialità locali. È nel settore della fruizione che l’apporto dei privati può essere importante, rendendo disponibili competenze e conoscenze di settore: - offrire esperienza manageriale per la gestione del bene - Fornire conoscenze per progetti strategici, analisi fattibilità, stima degli investimenti - Intervenire nella gestione di servizi connessi come attività di ristorazione, ricezione turistica, bookshop, vendita prodotti - Sostenere con contributi finanziari i progetti di valorizzazione Un capitale umano importante è rappresentato dalle figure professionali che hanno sviluppato, competenze specifiche nel management dei beni culturali, anche grazie alle possibilità di specializzazione post laurea attivati nel settore. In una prospettiva di formazione integrata andrebbe superata la rigidità delle distinzioni tradizionali: il conservatore dovrebbe acquisire capacità manageriali, e il manager dovrebbe sviluppare una sensibilità da cultore d’arte. 16 Luci e Ombre del mecenatismo È sempre bene distinguere il mecenatismo puro dalle forme di sponsorizzazione: nel primo caso si suppone che il donatore agisca in modo disinteressato, mentre nel secondo l’impresa si aspetta un tornaconto di immagine. In Italia un ruolo di innovazione è stato assunto dall’Olivetti, che ha puntato sulla cultura come fattore di sviluppo per una società privata. Il mecenatismo d’impresa mira a un tornaconto per il suo impegno nel settore, e nel caso delle sovvenzioni si tratta di 2 obiettivi: ritorno di immagine - benefici fiscali. Inoltre il mecenatismo può concretizzarsi in forme diverse, non soltanto con sovvenzioni finanziarie, ma anche fornendo servizi (macchinari, tecnologie) e competenze specifiche da parte di personale specializzato. In diversi paesi questi interventi sono regolamentati in modo chiaro, e un modello europeo è rappresentato dalla legge francese sui finanziamenti privati, la Loi Mecenat del 2003. In Italia il Codice garantisce la possibilità di sponsorizzazioni da parte di soggetti privati, in forme compatibili “con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da valorizzare”. La forma più auspicabile e più democratica di sostegno dei privati alla cultura è quella del mecenatismo diffuso. Nasce dall’iniziativa spontanea dei cittadini, che contribuiscono tramite personali elargizioni, con piccoli ma numerosi contributi. Si tratta di una forma di sostegno molto affermata all’estero, in grado di promuovere forme di fidelizzazione tra il singolo e le istituzioni culturali. Beni culturali e sviluppo locale In definitiva, i beni culturali non sono in grado di concorrere al benessere economico non tanto generando profitti, quanto favorendo lo sviluppo. Per valutare il fenomeno con maggiore attenzione occorre ripensare il concetto stesso di sviluppo, che non comporta soltanto una crescita economica, ma mira a un miglioramento globale della qualità di vita dei cittadini, al rispetto per l’ambiente, al benessere della collettività. I beni culturali rappresentano, in tale contesto, un fattore importante in quanto risorsa insostituibile e caratteristica dei luoghi. La partecipazione è quindi la chiave per questo tipo di sviluppo. Per passare da una fase di latenza ad una fase di riscoperta attiva è necessario un incremento che non può essere decretato dalle istituzioni pubbliche, ma deve nascere “dal basso”, dall’impegno delle libere associazioni, dal volontariato, dall’azione collettiva di gruppi e comitati che intendono sfruttare un deposito di cultura che fa parte della loro storia. Si riconosce così l’importanza delle reti, sia interne sia esterne al sistema. Pensare in modo adeguato i beni culturali in una rete di valorizzazione significa non soltanto potenziare le forme di interconnessione tra i beni stessi (musei e monumenti, siti e paesaggi), ma anche potenziare quel complesso di relazioni che connette il patrimonio culturale con il tessuto socioeconomico di una comunità. In sostanza il patrimonio culturale può essere valorizzato pienamente ricorrendo alle potenzialità globali di un territorio, estese al sistema turistico-ricettivo, alla produzione di prodotti tipici, all’artigianato, alle tradizioni del folklore, ai caratteri naturalistici e paesaggistici dell’area. Fruizione Aperta Soltanto a partire dal 1998 però la valorizzazione è stata introdotta in modo organico nel nostro ordinamento giuridico e oggi rappresenta uno dei termini chiave del Codice. I rischi di confusione tra tutela e valorizzazione sono innegabili, soprattutto nel contesto normativo italiano, che offre definizioni non troppo chiare e in parte sovrapponibili. D’altra parte la distinzione giuridica ha favorito una diramazione di competenze disciplinari: i giuristi s’interessano soprattutto di problemi relativi alla tutela, mentre gli economisti indirizzano le loro ricerche alla valorizzazione. 17
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved