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I canoni dello sguardo, Hans Belting , Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto completo del testo "I canoni dello sguardo. Storia della cultura visiva tra oriente e occidente" di Hans Belting. (Esame di Gnoseologia, professoressa Paschi)

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 17/07/2017

francesca_pagliari
francesca_pagliari 🇮🇹

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9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica I canoni dello sguardo, Hans Belting e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Hans Belting I canoni dello sguardo Storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente I. La prospettiva come questione dell'immagine Percorsi tra oriente e occidente 1. Che cos'è una forma simbolica ? È fondamentale affermare inanzi tutto che il modo in cui le diverse culture fanno uso delle immagini e comprendono il mondo in immagini ci porta al centro delle loro differenze di pensiero. Durer fu il primo a far conoscere pubblicamente in Germania la “prospettiva lineare” o matematica; dove la parola prospettiva rimanda a “guardare attraverso”. Durer dava una grande importanza alla misurazione. Nel caso della prospettiva si ha una misurazione dello sguardo così che questo venga ricostruito nell'immagine; in questo modo l'artista facendo uso della prospettiva simula la visione dello spettatore, ricostruisce cioè lo sguardo dell'osservatore che guarda l'immagine. L'invenzione della prospettiva rappresenta una vera e propria rivoluzione. È proprio grazie alla prospettiva che lo sguardo diviene immagine. L'immagine prospettica rappresenta lo sguardo che l'osservatore rivolge al mondo, trasformando il mondo in uno sguardo sul mondo. La pittura prospettica avanzava la pretesa di rispecchiare la nostra percezione: con la prospettiva non si ha uno sguardo rivolto a immagini, bensì lo sguardo diviene immagine. La prospettiva cioè traspone nell'immagine lo sguardo stesso . Ma questo si tratta pur sempre di una finzione. La prospettiva come forma simbolica1: La prospettiva non solo modificò l'arte, ma trasformò un'intera cultura. La prospettiva è una forma simbolica in cui ha trovato espressione la cultura dell'età moderna. La prospettiva è cioè il modo in cui si esprime lo spirito dell'età moderna. L'arte occidentale dell'età moderna grazie all'invenzione della prospettiva si è differenziata in modo sostanziale dall'arte di altre culture così come dalla propria storia anteriore. È paradossale che lo spazio prospettico è prodotto soltanto nello sguardo e per lo sguardo, in quanto esiste esclusivamente su una superficie che di per sé non è spazio e non ha spazio. Il nostro sguardo vede in maniera corporea e spaziale, ma la prospettiva lo simbolizza a due dimensioni. La prospettiva va quindi a costruire uno spazio che non è spazio. È fondamentale quindi comprendere la differenza che vi è tra la costruzione di uno spazio matematico e e la prospettiva da una parte e la nostra percezione dell'altra. La prospettiva deve quindi essere considerata un'invenzione e non una scoperta. La prospettiva rinascimentale è caratterizzata da una base matematica e da una finalità scientifica, per questo motivo un simile procedimento non poteva darsi nel mondo antico, in quanto mancavano le cognizioni matematiche che soltanto la teoria araba avrebbe trasmetto all'occidente. In alcuni testo del mondo antico si fa ad esempio riferimento all'inganno dei sensi la dove l'occhio vede una fila di colonne ridursi progressivamente senza capirne la ragione. La prospettiva ha causato una vera e propria “rivoluzione cognitiva”: con la prospettiva viene attribuita all'osservatore una posizione privilegiata di fronte all'immagine e nel mondo. La prospettiva diviene espressione di un pensiero antropocentrico. Il rinascimento va così a celebrare il 1 È stato lo storico dell'arte Panofsky a definire la prospettiva come forma simbolica prendendo a prestito il concetto di Cassirer. Quest'ultimo ne La filosofia delle forme simboliche individua in tutta l'arte in generale, così come nella lingua e nel mito una forma simbolica,ma non cita mai la prospettiva. soggetto umano sia attraverso la prospettiva sia attraverso il ritratto. La figura umana nel ritratto appare con il proprio volto, nella prospettiva con lo sguardo che rivolge al mondo. Prospettiva e ritratto sono quindi entrambe forme simboliche. In filosofia la posizione prospettica è concepita, in senso metaforico, come posizione di una visione del mondo considerata valida, corretta. Proprio per questo viene criticata da Nietzsche: una simile posizione non esiste, esistono tane posizioni quante se ne vuole, l'una diversa dall'altra. Per Nietzsche ogni posizione è arbitraria: non esiste alcun angolo dal quale sia possibile osservare il mondo nella giusta prospettiva. L'arte moderna rigettò la prospettiva come un bagaglio superfluo, colpevole di ostacolare il progresso. Questo ha avvio con Cézanne (1839-1906) il quale lottò contro la prospettiva che da troppo tempo aveva incatenato la pittura. Gli artisti moderni si ribellano così al realismo prospettico e nel XX secolo la prospettiva viene aborrita come stereotipo di un banale realismo. Paradossalmente in altri parti del mondo questo stesso realismo veniva introdotto nello stesso periodo: è importante comprendere che la prospettiva è uno dei modi inventati dall'uomo di proiettare davanti a sé il mondo percepito, e non un suo esatto ricalco. La prospettiva non è universale, bensì è legata ad una determinata cultura. I mass media utilizzano la prospettiva per far apparire le illusioni come delle verità documentarie. I media soddisfano il nostro bisogno di illusione. Il metodo della prospettiva: E' possibile paragonare il metodo della prospettiva ad una finestra: una vetrata è al tempo stesso una superficie e un'apertura prodotta su una parete, verso lo spazio esterno. Allo stesso tempo il dipinto del Rinascimento è una superficie sulla quale è proiettato uno spazio immaginario, come se fosse possibile riprodurre un facsimile dell'immagine percepita dal nostro sguardo. Nell'Enciclopedia del 1618 l'autore Robert Fludd presenta la prospettiva: (figura 2) uno schermo a griglia (tabula) riporta la veduta di una città, mentre la distanza tra essa e l'occhio (oculus) dell'osservatore è precisamente calcolata. All'occhio è fissata la matita da disegno (stilus) che traspone in scala, un riquadro dopo l'altro, l'immagine visiva. Così sulla carta da disegno (carta) appoggiata al tavolo nasce l'immagine. (figura 3) Nella prospettiva si ha l'idea di una piramide visiva: il vertice della piramide è sito nell'occhio, mentre l'ipotetica sezione (l'immagine) può trovarsi in qualsiasi punto della piramide. Nel testo di architettura di Sebastiano Serlio vediamo come dall'occhio si irradi il ventaglio di raggi visivi. L'occhio rappresenta il punto fisso da cui misurare le distanze del mondo reale. L'occhio viene quindi concepito come un punto geometrico che non si trova tanto nel corpo, quanto di fronte ad esso. Questo aspetto è fondamentale poiché la prospettiva in quanto modello geometrico di rappresentazione funziona secondo le leggi della matematica, non della fisiologia. (figura 4) Egnatio Danti nel 1583 pubblica Due regole della prospettiva prattica, regole elaborate dall'architetto Vignola: punto di vista= vertice dei raggi visivi punto di fuga = punto verso il quale le linee parallele sembrano convergere punto di distanza= distanza del corpo dal piano dell'immagine piano dell'immagine= sezione piana che attraversa la piramide visiva Nella prospettiva dunque lo spazio non è nient'altro che mera immagine e esiste soltanto nello sguardo. Lo spazio e il piano dell'immagine divengono sinonimi nello sguardo, pur essendo due cose di fatto differenti. Nella prospettiva noi guardiamo un piano e vediamo uno spazio. Si tratta di una questione di scelte: scegliere tra la costruzione su regole matematiche e la nostra percezione. 4. La globalizzazione della prospettiva La prospettiva fu imposta ad altre culture prevaricando le loro consuetudini visive anche dall'azione dei missionari cristiani. Cina: dopo che i gesuiti conseguirono i loro primi successi in Cina, intorno al 1583 venne integrato nella campagna per la fede, al fine di conquistare nuovi adepti, anche il disegno prospettico. Agli inizi del 1600 i gesuiti istituirono così a Pechino una biblioteca in cui accolsero non meno di diciannove libri sulla prospettiva. A causa della barriera linguistica i cinesi non potevano ancora essere lettori, tuttavia ammiravano l'estraneo realismo delle immagini. Giappone: tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600 vennero allestiti i primi laboratori per far apprendere la prospettiva agli artisti locali, tuttavia la moda della prospettiva riuscì ad affermarsi soltanto nel XVIII secolo. Il pittore e incisore giapponese Shiba Kokan (1747-1818) riflettendo sulla prospettiva scrisse: “vi è un solo modo corretto di vedere, e a quel fine i quadri occidentali vengono incorniciati e appesi. Chi vuole osservarli deve collocarsi di fronte ad essi. È inoltre fondamentale che l'orizzonte “che separa cielo e terra” si trovi esattamente all'altezza dell'occhio, ed è altrettanto importante osservare il quadro dalla giusta distanza. Qualora ci si attenga a tali regole il quadro non si distinguerà più dalla realtà ” In Giappone i quadri dipinti secondo le regole dalla prospettiva presero il nome di “immagini fluttuanti” (ukie). L'osservatore giapponese aveva l'impressione che lo sguardo fluttuasse fin dentro il quadro, oppure aveva la sensazione di sprofondare lui stesso in uno spazio fittizio. Se da una parte il realismo europeo venne introdotto nella cultura asiatica, è altrettanto vero che nell'arte occidentale crebbe l'affinità con alcune tecniche peculiari del mondo artistico asiatica, come ad esempio la pittura a china. Ad esempio Van Gogh intorno al 1880 cominciò a tradurre in quadri ad olio alcune xilografie3, tra cui Il ponte sotto la pioggia di Hiroshige. 5. Scambio di sguardi: Orhan Pamuk e la prospettiva come tradimento Nel mondo islamico la prospettiva dovette scontrarsi con la resistenza dell'ortodossia religiosa. La prospettiva infatti è strettamente connessa alle immagini, ma l'oriente non rappresentava il mondo sottoforma di immagini. Pochi decenni dopo l'invenzione della prospettiva, diversi artisti veneziani la introdussero alla corte di Istanbul. La prima accademia d'arte in cui si poteva apprendere la tecnica della prospettiva venne aperta ad Istanbul nel 1881, mentre al Cairo nel 1908. Lo scrittore e saggista turco Orhan Pamuk ci spiega che la prospettiva occidentale indice a gettare sulle immagini uno sguardo proibito e a infrangere così un tabù. La pittura islamica infatti osserva l'universo dall'alto, da dove lo guarda Allah, e su tale base segna la linea dell'orizzonte. Coloro che nei loro quadri utilizzano la prospettiva invece osano guardare il mondo “attraverso la prospettiva di un lurido cane di strada”, trovandosi così a dipingere una moschea non più grande di un tafano, accampando la scusa che questa appare sullo sfondo. Dipingere secondo la tecnica della prospettiva è dunque una perversione diabolica. Portare il disegno dallo sguardo di Allah a quello di un cane randagio significa perdere la propria purezza divenendo schiavi degli infedeli. Non solo la prospettiva, ma anche il ritratto dipinto è legato ad un tabù, in quanto esige uno sguardo frontale, un confronto faccia a faccia con un'immagine senza vita che rappresenta una persona. 3 La xilografia giapponese è una tecnica di incisione artistica unica nel panorama mondiale. Si tratta di una tecnica non tossica perché utilizza, per creare le immagini, legni naturali, colori ad acqua e carta fatta a mano. Diverse sono invece le regole che valgono per i libri, qui quali il lettore deve chinarsi. Nelle miniature era infatti consentito raffigurare figure umane, anche se solamente i sultani che dovevano essere riconoscibili dall'abbigliamento e dalle insegne del potere. (figura 18) Il pittore di corte Osman nel 1579 da vita ad una miniatura del sultano Selim. La miniatura è palesemente destinata d un libro, e il sultano vi è rappresentato a figura intera. Nonostante Osman conoscesse la tecnica della prospettiva egli rinuncia al realismo occidentale per dare vita ad una miniatura unidimensionale che si basa su una teoria del carattere: il sultano viene rappresentato con un occhio d'aquila, una natura leonina ecc. per Osman il ritratto, al quale si affianca il testo, doveva al pari di quello raccontare qualcosa. In caso contrario si sarebbe stati in balia di un idolo che aveva preso il posto della persona vera. II. L'occhio domato Critica della visione dell'Islam 1. Divieto di immagini e religione Nonostante nel mondo islamico il divieto delle immagini non fu mai generale4, è anche vero che nel contesto religioso si ha un tabù legato sia alle immagini antropomorfe5 sia a quelle tridimensionali. Questo divieto può essere spiegato poichè l'osservatore, guardando frontalmente, le tavole appese, può essere indotto a scambiarle per esseri viventi. Non soltanto è quindi vietato riprodurre tali immagini, ma anche il semplice guardarle costituisce peccato, per il timore che l'osservatore riconosca in esse creature viventi, quali invece non sono. Tali immagini sono una contraffazione della vita, pertanto chi produce e chi possiede immagini si rende colpevole di blasfemia, in quanto vuole scimmiottare la creazione di Dio. Il divieto alle immagini ha un ruolo centrale anche nel conflitto con il cristianesimo: se Gesù è soltanto u profeta, e dunque un essere umano, adorarne l'immagine equivale a un gesto di idolatria, poiché un idolo non è degno di essere rappresentato. Se invece Gesù è Dio, allora non è lecito rappresentarlo, giacchè per il monoteismo Dio è invisibile. Nel mondo islamico non abbiamo dunque la presenza di immagini antropomorfe o tridimensionali, tuttavia si ha la presenza di decorazioni vegetali o motivi astratti. Questo perchè nei testi delle hadit6 è scritto che piante e alberi non sono esseri viventi, pertanto il divieto delle immagini non li tocca. 2. Le immagini come tradimento del vivente E' importante notare che nel Corano non vi è alcun accenno alle immagini. Il Corano non riesce nemmeno a concepire che le immagini possano costituire una minaccia. Pertanto è possibile far risalire il tabù delle immagini alla ristretta cerchia vicino a Profeta Maometto. Perchè le immagini vengono vietate? La creazione divina raggiunge il suo apice negli esseri viventi che di conseguenza sono semplici creature, quindi non possono essere a loro volta creatori. Gli uomini sono creature dotate di soffio 4 Come abbiamo visto negli ambienti di corte era possibile rappresentare i sultani nelle miniature, quindi soltanto nei libri in cui le illustrazioni sono subordinate al testo. 5 Nell'antica chiesa di Santa Sofia di Istanbul è adesso possibile ammirare gli antichi affreschi bizantini che erano stati nascosti per secoli sotto l'intonaco. Nel 1847 l'edificio era ancora adibito a moschea e il sultano di allora, propenso alle riforme, aveva riportato alla luce i mosaici cristiani. La leggenda vuole che alla loro vista avesse esclamato: “come sono belli! Eppure devono essere coperti di nuovo, perchè sono vietati dalla nostra religione”. 6 Racconti sulla vita del profeta Maometto. vitale, dunque dotate di sguardo, di movimento e di voce, attributi che invece mancano agli alberi e alle piante. Le piante sebbene create da Dio non posseggono questa manifestazione di vita. Il concetto di natura quale creazione di Dio esclude ogni manufatto umano. Le immagini e le statue quindi possono soltanto rappresentare la natura, ma non sono natura. Le immagini degli esseri viventi quindi offendo Dio in quanto, mancando del soffio vitale, si limitano a plagiare la creazione. Infrangendo il divieto alle immagini, i pittori che non sono altro che semplici creature, si atteggiano a creatori. Nel giorno in cui gli esseri umani risorgeranno la loro infrazione diverrà palese: se Dio invitasse loro a far vivere ciò che hanno creato essi sarebbero costretti ad ammettere con vergogna di non poterlo fare, poiché hanno prodotto solamente l'apparenza del vivente. Se gli artisti vogliono esprimersi per immagini devono limitarsi alle immagini di alberi o di oggetti senza soffio vitale. Il divieto alle immagini è legato anche alla questione dello sguardo: i testi islamici escludevano tutte le rappresentazioni che esigessero o sollecitassero lo sguardo. Le immagini non devono sedurre l'osservatore per mezzo dello scambio di sguardi, poiché ciò può accadere soltanto tra persone viventi. Bastava dare anche solo un'occhiata a tali immagini per considerarle tacitamente degli esseri viventi o per scambiarle per tali. I testi islamici accusano le immagini di essere falsificazioni, dal momento che entrano in competizione con la vita. Per questo motivo il divieto di guardare immagini è altrettanto importante del divieto di produrre immagini. Lo sguardo non è invece sedotto da immagini che conducono un'esistenza inappariscente su pavimenti o tappeti. Queste immagini poiché vengono calpestate non vengono guardate e men che meno riconosciute come viventi. Invece nel momento in cui si appendo un'immagine ad una parete questa diviene un idolo. Un credente non deve quindi neanche entrare in uno spazio in cui vi siano simili immagini. È tuttavia possibile proteggersi dalle raffigurazioni degli esseri viventi decapitandole, asportandone il volto, poiché immagine vuol dire testa. Se la testa è staccata l'immagine non è più tale. Nell'immagine è la testa che guarda, ecco perchè può essere confusa con la vita. Ma priva di sguardo l'immagine non è più un tabù, si tratta solo di un oggetto, di una decorazione neutra. I termini greci dell'ambito pittorico devono sicuramente scandalizzare il mondo islamico: zoographia= pittura zoographos= pittore in queste parole compare il termine zoon, cioè vita e graphein, cioè dipingere o scrivere. Questi termini stanno ad indicare che è come se la pittura catturasse o attirasse a sé la vita autentica, cosa che nessun altra arte è in grado di fare. La mimesis della pittura era già stata criticata da Platone, il quale criticava anche la scrittura. Platone accusa la scrittura e lo scrivere poiché queste falsificano la parola viva, come le immagini falsificano la vita. Nel Fedro Platone afferma che la scrittura sia da rifiutarsi quanto la pittura. La parola scritta e le immagini spacciano se stesse per viventi, tuttavia se interpellate “se ne restano zitte”. Entrambe esercitano un'illusione vitale. 3. Parola di Dio e Scrittura nel Corano La parola Corano deriva dall'arabo Qur'an, parola che deriva dal verbo “leggere”, “recitare”: la parola di Dio doveva infatti essere recitata ai fedeli affinchè costoro la imparassero a memoria, al pari di ogni Hafiz, cioè custode del Corano. A tal fine, il mezzo della scrittura era necessario per fissare e salvaguardare la parola. Mentre Mosè ricevette i comandamenti in forma scritta, al Profeta Maometto la Parola non fu trasmessa in forma scritta, ma in forma orale. Il Profeta era analfabeta, egli non entrò quindi in possesso di un testo divino e dovette ricorrere al lavoro degli scrivani per far poter mettere la Rivelazione per iscritto. Di fondamentale importanza era che la scrittura non ricadesse sul singolo scrivano e sul suo gusto personale, bensì doveva essere unitaria e vincolata in modo da proteggerne l'autenticità e rappresentare attraverso di essa l'autorità soprannaturale della III. Alhazen e la misurazione della luce Gli arabi inventano la camera oscura 1. “Perspectiva”: il manuale di ottica di Alhazen Il matematico arabo Alhazen7 fu autore del testo intitolato Perspectiva, testo dedicato all'ottica. La sua opera smentisce l'opinione secondo cui gli arabi si sarebbero limitata a trasmettere la scienza degli antichi. Egli stesso afferma in una sua opera di essersi lasciato alle spalle i greci per concentrarsi sulle conoscenze che poteva trarre dai proprio esperimenti. Poichè il concetto di immagine era estraneo alla scienza araba (dove invece primeggia la geometria), il termine perspectiva mutò radicalmente il suo significato, tanto che il nome di Alhazen è del tutto assente nelle ricerche della prospettiva del Rinascimento. Alhazen fu inoltre l'inventore della camera oscura: una camera oscura può essere composta da una semplice scatola chiusa, avente un piccolo foro stenopeico su una faccia che lascia entrare la luce. Questa luce proietta sulla faccia opposta all'interno della scatola l'immagine capovolta di quanto si trova di fronte al foro. Più il foro è piccolo e più l'immagine risulta nitida e definita. Il pregio maggiore di una camera così semplice è che tutti gli oggetti paiono a fuoco (anche se nessuno lo è), a prescindere dalla loro distanza dal foro. Prima di Alhazen, le teorie ottiche avevano sempre parlato di immagini e di corpi. Secondo gli antichi aristotelici infatti, le immagini (eide e eidola) che si formano nell'occhio sarebbero una copia delle cose. Queste teorie della visione spiegano la percezione facendo riferimento ad una sorta di immagine riflessa che prenderebbe ad esistere nell'occhio come se questo fosse uno specchio. I greci non riuscirono mai a stabilire se in questo specchio noi incontriamo la realtà oppure un mero abbaglio, cioè se vediamo corpi o soltanto immagini. Lo specchio dunque provoca insicurezza ed incute paura, basti guardare alla vicenda di Narciso che scambia immagine e identità nell'ingannevole somiglianza dello specchio d'acqua, suscitando così la paura di perdersi in un'immagine. Cercare la propria immagine in uno specchio comporta il rischio di alterazione, perfino di alienazione. Lo stesso Euripide8 ritiene che l'immagine inanimata dello specchio è talmente simile a ciò che riproduce, che le manca soltanto la parola. Se nell'antichità si parla di un mondo di immagini, nella cultura araba la presenza della luce spoglia il mondo dalle immagini. Alhazen, vivendo in una cultura priva di immagini, ricondusse la percezione ad una teoria della luce, dando un nuovo fondamento all'antica teoria della visione. Egli attribuì consistenza alla luce e ne riconobbe la funzione dominante per la nostra percezione, inoltre dimostrò che i raggi luminosi possono essere calcolati su base matematica. La visibilità deriva dalla luce e sono i raggi luminosi che ci consentono di percepire le cose. Secondo l'ottica araba lo specchio è un mezzo di trasmissione della luce, non dei corpi che appaiono su di esso. Nello specchio si possono studiare le traiettorie della luce e le loro deviazioni. Quindi se nell'antichità il rispecchiamento era in primo piano, Alhazen dedicò invece la massima attenzione al fenomeno della rifrazione, ritenendo che la percezione dipenda proprio dalle leggi della rifrazione. Rifrazione: fenomeno per cui i raggi luminosi, passando da un mezzo all'altro, subiscono una deviazione della loro traiettoria. Riflessione: quando la superficie incontrata è perfettamente riflettente non si verifica la rifrazione, e l'angolo di incidenza è uguale a quello di riflessione. 7 Egli nacque nel 965 a Bassora, nell'odierno Iraq. Morì nel 1040. 8 Drammaturgo greco (485-407 a.C.) Rifrazione Riflessione 3. Traiettorie della luce e caratteristiche delle cose Nella percezione si ha un collegamento tra fisica e matematica: noi vediamo con i sensi proprio della nostra natura fisica, ma le cose si attengono alle leggi della matematica e della geometria. Noi percepiamo secondo linee rette che corrono tra la superficie delle cose e la superficie dell'occhio. Noi non possiamo percepire cose minuscole sebbene abbiano un'esistenza fisica, come la pupilla dell'occhio della zanzara, né possiamo percepire cose troppo lontane. Inoltre la nostra percezione dipende anche dal colore e dall'illuminazione, ad esempio possiamo vedere delle navi anche molto lontane, a patto che le loro vele siano bianche. Come è fatto il nostro occhio: l'occhio, a differenza dei corpi non viventi (cioè le cose),possiede un cristallino che è un organo sensibile alla luce. Il corpo cristallino, che è un corpo sferico, si colloca sulla superficie dell'occhio, la cornea. Il cono visivo si allarga e si restringe assieme alla pupilla, ed ha il suo vertice nel centro oculare. Il corpo cristallino è sensibile soltanto ai raggi che penetrano ortogonalmente, cioè che formano con esso un angolo retto. Coma abbiamo detto la percezione dipende dalla luce e dalle leggi della rifrazione. Il movimento della luce ha una natura geometrica. La luce per il fatto che dispone della forza della rifrazione non può essere fermata nel suo propagarsi nel mondo. La luce, assieme al colore, si propaga dalla superficie delle cose, attraverso il corpo trasparente dell'aria, fino a raggiungere l'occhio. Nel Mondo di Alhazen sono presenti soltanto aria, acqua e vetro che veicolano e deviano in vario modo i raggi luminosi. Nel mondo opera solamente la luce che non conosce limiti spaziali e non ha immagini. Tramite i sensi noi percepiamo sulle cose unicamente luce e colore, mentre tutte le altre proprietà, come le dimensioni e la forma, le riconosciamo nel centro visivo, che ha sede nel cervello. Quindi occhio e anima devono collaborare tra loro perchè noi possiamo rappresentarci l'essere delle cose. Termini fondamentali: sura: questo termine viene tradotto in latino come species ed indica la forma visiva, cioè la forma che si imprime nell'occhio a partire dalle cose. Khaya: copia o riproduzione di una cosa. ma'ani: questo termine indica i segni distintivi, le particolarità, delle cose. Il termine è al plurale poiché noi percepiamo contemporaneamente particolarità diverse. Alcune di queste sono inerenti alle cose stesse: dimensione, densità, trasparenza, numero; altre sono di natura accidentale e non descrivono la natura vera e propria delle cose, e in ogni situazione appaiono nuove e diverse: luce, colore, distanza, angolo visivo, movimento, quiete. Anche la bellezza e la bruttezza sono particolarità delle cose. Secondo la cultura araba la luce di per sé produce bellezza, per questo troviamo belli il sole, la luna e le stelle. Anche i colori luminosi ci sembrano più belli degli altri, poiché stimolano maggiormente l'occhio. Anche la grandezza fa parte della bellezza, per questo la luna ci appare più bella delle stelle. Come abbiamo già detto, attraverso i nostri sensi noi percepiamo luce e colore. Affinchè i tratti distintivi delle cose, come la dimensione e la forma, si integrino c'è bisogno dell'immaginazione: è solo grazie all'immaginazione che si produce l'immagine con cui le cose si imprimono nell'anima. Per percepire realmente le cose è cioè necessario integrare all'attività dell'occhio, la prescienza che abbiamo delle cose stesse. La percezione ha quindi luogo grazie alla prescienza delle cose. Poichè siamo continuamente esposti ad apparenze mutevoli ed ingannevoli (come abbiamo appena visto molte qualità delle cose hanno una natura accidentale), è fondamentale che intervenga l'idea che già abbiamo delle cose, in modo che i sensi interni cooperino con quelli esterni. Le immagini che abbiamo delle cose prendono ad esistere soltanto nella sintesi mentale. Le immagini che abbiamo delle cose si formano nel cervello, che mantiene la distanza dai sensi esterni. Nella cultura araba l'immagine è un'entità puramente mentale, di conseguenza non può trovare analogia nelle raffigurazioni iconiche che possiedono un'esistenza fisica. Per conoscere la vera essenza delle cose, è fondamentale andare oltre la semplice facoltà sensoriale e fare intervenire la facoltà di giudizio. Poiché tutte le cose sono soggette a perenne mutamento, non è detto che una seconda volta percepiamo le cose esattamente come la prima. Soltanto la percezione ripetuta rende l'anima capace di fissare in un determinato oggetto nella sua forma, e di attribuirlo a un genere particolare. Esercitandoci impariamo a riconoscere e a comprendere le cose nella loro interezza, poiché la nostra anima impara a riconoscerle da alcuni segni distintivi. Così siamo anche in grado di riconoscere cose il cui aspetto si è modificato. Il tabù delle immagini nella cultura islamica: Alhazen annovera l'arte tra le forme di illusione a cui la nostra percezione è esposta. Le figure dei pittori assomigliano a piante e animali, nonostante compaiono su una superficie piana, poiché chi le ha realizzate sa usare magistralmente il colore e i tratti per suggerire una somiglianza. I pittori creano un'illusione di autenticità, imitando la pelle ruvida o pelosa degli esseri viventi, sebbene la superficie delle loro opere sia piana e liscia. I pittori fanno inoltre affidamento sulla nostra immaginazione che rende capaci di considerare simile ciò che è dissimile. Rapporto tra cono visivo e piramide visiva: come abbiamo visto il cono visivo è quell'area che rappresenta la parte del mondo esterno visibile quando si fissa un punto. La piramide visiva nel dipinto prospettico, invece è quella piramide costituita dai raggi visuali che vanno dall’occhio dell’osservatore (in una vista monoculare e fissa) ai vari punti degli oggetti osservati. La differenza fondamentale è che “l'illusione prospettica” ha luogo davanti agli occhi, e non nell'occhio. Il quadro prospettico sembra annullare la distanza tra fuori e dentro, ma è solo un manufatto. 2. Prima della prospettiva: lo sguardo nella pittura di Giotto L'arte italiana, nel secolo che precedette la prospettiva, è legata al nome del fiorentino Giotto di Bondone (1267-1337). La prospettiva lineare verrà inventata cento anni dopo a Firenze da Brunelleschi e verrà descritta da Leon Battista Alberti. Tuttavia nella pittura di Giotto è possibile riscontrare il naturale. Anche in natura esistono infatti distanza, luminosità, angolo visivo, elementi che dipendono dall'occhio di ciascuno. Pertanto la pittura naturale era quella pittura che simulava l'angolo visivo di un ipotetico spettatore. (Figura 46) Anche se la prospettiva matematica ancora non era stata inventata, Giotto compie esperimenti e cerca di creare lo spazio attraverso le piastrelle del pavimento o le travi del soffitto. Attraverso questi esperimenti gli artisti volevano introdurre lo sguardo dell'osservatore quale elemento strutturante il quadro. 3. Pelacani inventa lo spazio matematico Biagio Pelacani14 era in netta contrapposizione con il “prospettivismo” di Bacone. I prospettivisti affermavano il valore relativo della conoscenza della realtà, indissolubilmente legata all’assunzione di uno specifico punto di vista. Secondo Pelacani era invece un errore argomentare che gli oggetti appaiono più grandi o più piccoli a seconda dell'angolo visivo dal quale li si osserva. Egli riteneva che che la disputa tra vista e conoscenza potesse essere risolto alla luce della matematica,visto che la distanza e le dimensioni delle cose sono misurabili. Pelacani riconduce tutti i corpi ad una forma geometrica15, quantificabile in senso matematico, poiché se ne possono calcolare le dimensioni. Ogni realtà è caratterizzata da numeri e proporzioni, quindi il mondo fisico è misurabile ed esiste così come noi lo percepiamo. Pelacani riconduce la conoscenza al processo visivo, per lui vedere e sapere sono la medesima cosa, poiché la capacità visiva comprende anche una forza cognitiva. Pelacani attribuisce cioè all'occhio la facoltà di conoscere (e affinchè ciò sia possibile è necessario che il mondo fisico consenta la possibilità di acquisire conoscenze certe). Così anche l'immagine prospettica garantisce allo sguardo che tutto è effettivamente come esso lo vede. La conoscenza che acquisiamo tramite la vista è sì una conoscenza oggettiva, ma è destinata ad un soggetto. Il riferimento al soggetto che guarda è fondamentale. Pelacani introdusse lo spazio vuoto nella teoria visiva: lo spazio è una grandezza matematica. Questo viene definito in base all'estensione e alla posizione dei corpi che sono presenti in esso. Lo spazio quindi viene misurato assieme alle cose, e al tempo stesso è riferito ad un soggetto che guarda, che lo riconosce in base alle cose che esso contiene. Altro elemento fondamentale per Pelacani sono i raggi visivi. I raggi visivi non sono visibili, ma sono ciò che rendono visibile il mondo. Egli dimostra la loro esistenza mediante lo specchio: se i raggi visivi non esistessero, afferma, non potrei vedere qualcuno che sta dietro di me. Se ho di fronte uno specchio, i raggi visivi emessi dalla persona che sta alle mie spalle sono convogliati sul mio specchio, da quest'ultimo sono ridiretti verso il mio occhio. In questo modo possiamo vedere dinanzi a noi qualcuno, del quale in verità sappiamo che si trova dietro di noi. È fondamentale comprendere che ciò che appare nello specchio non è soltanto un'illusione, ma quello che vediamo nello specchio è ciò su cui lo specchio è diretto. Se è vero che la superficie dello specchio mostra all'osservatore soltanto un'immagine, è altrettanto vero che questa è la sua immagine, dunque una testimonianza della sua presenza. Poiché noi abbiamo un corpo, il riflesso nello specchio non fa altro che dirigere il nostro sguardo su noi stessi. 14 Biagio Pelacani, noto anche come Biagio da Parma (1355 – 1416), è stato un matematico e filosofo italiano. 15 Pelacani utilizza il termine figura per riferirsi agli oggetti che vediamo nella loro interezza, oggetti che possiedono una connotazione geometrica. 4. I Commentarii di Ghiberti e l'arte matematica di Piero Durante il Rinascimento il termine ars si arricchì di un nuovo significato. Inizialmente ars era un termine che veniva utilizzato per riferirsi all'abilità artigianale, con il Rinascimento venne a connettersi con la teoria e con il metodo. Gli artisti grazie alla prospettiva si fecero degli scienziati ed iniziarono a produrre dipinti intesi come un facsimile dell'immagine visiva. La pittura si trasformò così in un procedimento per fabbricare immagini. Come abbiamo visto il concetto di prospettiva è nato nel contesto della teoria ottica, durante il Rinascimento divenne anche un concetto della teoria artistica dell'immagine. Uno dei primi a parlare di prospettiva in questa sua duplice accezione, fu lo scultore fiorentino Lorenzo Ghiberti16. Dai suoi Commentarii emerge come egli considerasse l'arte figurativa una vera e propria disciplina del sapere. Uno dei suoi obbiettivi era quello di conciliare arte e scienza ottica: il fare immagini doveva tramutarsi in arte per tenere il passo con la scienza. Egli riteneva che mediante l'atto visivo, i raggi visivi penetrano nell'occhio e trasmettono a questo una forma della cosa visibile. Le immagini che rimangono nell'occhio vengono da lui chiamate simulacri o forme visive (species). Piero della Francesca17 è il primo artista a scrivere un trattato sulla prospettiva: il “De prospectiva pingendi”. La filosofia di Pelacani non ha mai trovato traduzione artistica più coerente di quella compiuta da Piero. Pelacani affermava che la realtà può essere sempre calcolata da cifre e proporzioni, e Piero accompagna i propri disegni con lunghe colonne di numeri. Come possiamo vedere (figure 54-55) nel testo sulla prospettiva accanto ad ogni disegno compare il calcolo stereometrico18. La chiave per capire il pensiero di Piero è il concetto di commensuratio: egli ritiene che soltanto una misurazione corretta consenti di disporre nel quadro il posto che esse occupano anche nella realtà. Poiché il nostro occhio vede in maniera tridimensionale, la prospettiva lo aiuta a vedere nello stesso modo anche le cose dipinte. Sul quadro è possibile determinare il modo in cui vediamo gli oggetti nella realtà. La misurabilità ci mette al riparo dalle trappole della percezione e ci consente di vedere in maniera oggettiva e corretta. Piero riesce a tradurre la realtà in arte grazie alla geometria che sta alla base dei suoi quadri. Piero sottopone il mondo fisico ad una decostruzione matematica, per poi ricostruirlo fedelmente attraverso la pittura. 5. Scambio di sguardi La prospettiva nacque all'interno della teoria della visione nel mondo arabo, per poi trasformarsi in una teoria dell'immagine in Occidente. La prospettiva applicata all'arte incontrò nel mondo islamico una forte resistenza, poiché la prospettiva è inevitabilmente connessa alle immagini. La prospettiva portò ad una vera e propria svolta antropocentrica poiché presuppone un osservatore che guarda da una determinata posizione. L'osservatore è nel mondo con il suo corpo, tuttavia con il suo sguardo si colloca, per scelta, in una posizione che sta davanti al mondo. L'occhio del soggetto ha il controllo sul mondo e l'immagine prospettica diviene lo specchio con cui lo sguardo raffigura se stesso. 16 Lorenzo Ghiberti (1378 – 1455) è stato uno scultore, orafo, architetto e scrittore d'arte italiano. Poiché egli era uno scultore doveva affrontare problemi differenti da quelli dei pittori. Per ottenere diverse profondità di campo egli deve utilizzare l'alto e il basso rilievo, giocando con le proporzioni delle figure (figura 53). 17 Piero di Benedetto de Franceschi (1416/1417 – 1492), è stato un pittore e matematico italiano. La sua attività può senz'altro essere caratterizzata come un processo che va dalla pratica pittorica, alla matematica e alla speculazione matematica astratta. La sua produzione artistica è caratterizzata dall'estremo rigore della ricerca prospettica, dalla plastica monumentalità delle figure e dall'uso in funzione espressiva della luce. 18 La stereometria è quella parte della geometria che si occupa dello studio e della misurazione dei solidi. V. Brunelleschi misura lo sguardo La prospettiva matematica e lo spettacolo teatrale 1. Due inventori a Firenze La prospettiva fu inventata da Filippo Brunelleschi19 e teorizzata da Leon Battista Alberti20. L'invenzione della prospettiva è ciò grazie alla quale le arti figurative divennero arti liberali, come già da lungo tempo erano le scienze. Brunelleschi sancì la nascita della prospettiva con due esperimenti allestiti uno in piazza del Duomo e l'altro davanti al Palazzo dei Signori. Questi esperimenti vennero descritti da Manetti, autore della biografia di Brunelleschi21. Con l'esperimento di Brunelleschi, agli occhi del pubblico, la piazza dipinta e quella edificata vennero a coincidere come per magia: il dipinto sembrava sostituire la realtà stessa. L'immagine dipinta sembrava riflettere il mondo come uno specchio. I dipinti prospettici hanno una base matematica e geometrica. (figura 53) Il pittore poteva infatti realizzare la prospettiva solo in un reticolato, una sorta di scacchiera composta da linee e angoli retti. Di fronte ad un quadro prospettico la distanza di fatto che abbiamo rispetto alla tela, si trasforma nella distanza fittizia rispetto al mondo dipinto. Il dipinto prospettico mostra il mondo in condizioni visive reali, ma poiché si ha sempre riferimento ad un soggetto e alla sua posizione, questo nuovo modo di dipingere diviene antropomorfo. L'osservatore viene infatti rappresentato dal punto di vista davanti all'immagine e dal punto di fuga nel quadro. Tra gli infiniti segni il punto di fuga è quello fondamentale: è il punto di fuga ad organizzare l'immagine prospettica per l'osservatore. 2. Lo spazio: un'architettura dello sguardo La prospettiva oltre alle arti visive trasformò anche l'architettura. Rudolf Wittkower22 nei suoi “Principi architettonici nell'età dell'Umanesimo” apparenta l'architettura al corpo umano, le cui membra compongono un insieme armonico (criterio antropomorfo); inoltre apparenta l'architettura ad un immagine, entrambe esigono un osservatore e divengono antropomorfe nello sguardo di quest'ultimo. La prospettiva non ha infatti un ruolo solamente nella pittura ma anche nell'architettura, come metodo di misurazione e proiezione. Questo appare evidente nei disegni architettonici. Gli architetti non possono non conoscere matematica e pittura, tanto è vero che è più semplice comprendere un edificio partendo proprio dal suo disegno. Quando si parla di prospettiva in relazione all'architettura diviene fondamentale il concetto di spazio: mentre nel quadro lo spazio è dipinto, in architettura lo spazio è costruito, ma in entrambi i casi lo sguardo trasforma questo spazio in immagine. Lo spazio costruito dall'architetto diviene spazio visivo, al pari dei dipinti. Ad esempio nel momento in cui Brunelleschi utilizzò il Battistero per dimostrare la prospettiva piana, questo fu riscoperto in quanto immagine visiva. Grazie alla prospettiva si viene a creare uno spazio che si impone a tal punto all'osservatore, che questi lo concepisce come un'immagine. Nell'architettura, grazie alla prospettiva, si ha uno spazio come immagine. 19 Filippo Brunelleschi (Firenze1377 – 1446), è stato un architetto, ingegnere, scultore, matematico, orafo e scenografo italiano del Rinascimento. 20 Leon Battista Alberti (1404- 1472) è stato un architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano; fu una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento. 21 Brunelleschi fu il primo artista al quale fu dedicata una biografia. 22 Rudolf Wittkower (Berlino, 22 giugno 1901 – New York, 11 ottobre 1971) è stato uno storico dell'architettura, storico dell'arte e saggista tedesco. una vera e propria rivoluzione antropocentrica. La prospettiva, secondo la concezione di Alberti, non è soltanto una tecnica, ma è anche un simbolo del proprio vedere. Di front4e all'immagine prospettica l'osservatore si sente sovrano nei confronti del mondo, proprio come si immaginava che fosse Dio. Vi è tuttavia una differenza fondamentale: nei dipinti l'occhio di Dio è rappresentato a se stante, quasi egli fosse al di sopra e al di fuori del mondo; lo sguardo dell'uomo invece è all'interno del mondo. In un certo senso lo sguardo prospettico si separa dal corpo poiché entra nell'immagine. Si ha una sorta di oculocentrismo. (figura 88) Nell'occhio raffigurato da Alberti, il ciglio superiore ha due ali d'aquila, come se l'occhio volesse liberarsi dal corpo levandosi in volo. Contrariamente all'occhio di Dio, la vista umana è limitata: se vuole vedere una certa cosa, l'occhio è costretto a spostarsi. L'occhio è tuttavia più veloce del corpo al quale appartiene. Le ali rappresentano la mobilità di cui l'uomo ha bisogno per esplorare lo spazio. Nel volo dell'occhio non si ha alcun punto di vista fisso (l'occhio infatti volendo è in continuo movimento), che è invece un elemento fondamentale della prospettiva piana, ma si hanno vedute sempre diverse. L'occhio alato per Alberti rappresenta un soggetto che attraverso lo sguardo vuole affermare la propria sovranità. L'uomo si appropria della conoscenza vedendo e osservando: “l'occhio è la più potente, la più veloce, la più nobile di tutte le cose, è il primo e principale, il sovrano e il quasi dio di tutti i nostri organi”. L'occhio di Alberti è unico e separato dal corpo, il suo occhio isolato contraddice quindi la natura fisica dei nostri occhi. Fino ad allora, l'occhio isolato era l'occhio di Dio, che posava il suo sguardo sul mondo. Alberti con il suo occhio realizza una mimesi di Dio. Quell'occhio è insieme voyer e voyager (vedente e viaggiatore). Sotto l'occhio di Alberti compare il motto “Quid tum?” “e ora che succede?”. L'occhio diviene agente e soggetto del mondo, questa nuova libertà porta tuttavia ad interrogativi al quali non si hanno risposte. L'impulso a vedere porta con se incertezze e domande. Leonardo da Vinci, proprio come Alberti, afferma il primato dell'occhio. Egli afferma che con gli occhi è possibile comprendere la bellezza dell'universo. Egli celebra l'occhio, cosa che non si ritrova nella cultura islamica, che dell'occhio poco si fida. Con la prospettiva l'occhio assume due significati contrapposti l'uno all'altro: 1. l'occhio è il soggetto che cattura il mondo in immagini; 2. l'occhio rinvia all'organo della vista, che soggiace agli stimoli ottici al punto di esserne talvolta sopraffatto. (figura 90) Questo secondo significato è connesso alla metafora della freccia, in quanto viene rappresentato da un arciere che tira la propria freccia nell'occhio. L'arciere rappresenta il pittore che con la prospettiva obbliga l'occhio dell'osservatore a scambiare il dipinto per il mondo reale. Dopo il Rinascimento, a partire dal XVII secolo, l'occhio non sarà più emblema dello sguardo né rappresenterà più il soggetto, ma simboleggerà la scienza ottica. In epoca Barocca invece, l'occhio diviene emblema della pittura come arte, e non più del soggetto nella pittura. L'occhio non rappresenta più lo sguardo dell'osservatore, ma la pittura in quanto arte rivolta agli occhi. La pittura è divenuta uno strumento estetico. 2. Cusano e la sovranità dello sguardo di Dio Niccolò Cusano24 è autore del “De visione Dei”, trattato che assume una posizione critica e contrapposta rispetto alla concezione di Alberti. Cusano respinge l'autonomia dello sguardo rivendicata dalla prospettiva, e contrappone lo sguardo 24 Nicola Cusano, noto anche come Niccolò Cusano (1401 – 1464), è stato un cardinale, teologo, filosofo, umanista, giurista, matematico e astronomo tedesco. infinito di Dio alla sguardo finito delle sue creature. (figura 93) Nel 1453, Cusano manda una copia del sui trattato ai monaci di un convento in Germania. Egli allega al testo un'icona di Dio e suggerisce ai monaci di condurre con essa un esperimento. I monaci avrebbero dovuto tutti insieme porsi di fronte all'icona, ciascuno di loro avrebbe avuto la sensazione che lo sguardo divino si posasse su di lui, qualunque fosse l'angolo da cui si osservasse. Poiché l'icona doveva essere fissata alla parete, ogni confratello si sarebbe meravigliato del mutamento avvenuto in uno sguardo immutabile. Lo sguardo avrebbe accompagnato di continuo ogni monaco. Se ciascun monaco, pur occupando un posto diverso da ogni altro di fronte all'icona, vede la medesima cosa dei confratelli, se ne può dedurre un solido motivo per contrastare la prospettiva che si basa su un punto di vista unico. Ogni monaco si rende conto che il proprio sguardo è limitato e sostituibile. Lo sguardo umano risulta asservito allo sguardo dell'icona, che rappresenta metaforicamente lo sguardo assoluto di Dio. Se è vero che lo sguardo dipinto può osservare simultaneamente tutti, ancora di più questo vale per lo sguardo assoluto di Dio, nel quale si annullano tutti gli sguardi umani. Cusano, a differenza di Alberti e Leonardo da Vinci, sottolinea i limiti dell'organo visivo. Egli afferma: “la vista di uno di noi è più acuta che in un altro. Uno discerne appena le cose vicine, mentre un altro discerne quelle più distanti”. Lo sguardo assoluto di Dio supera i limiti della facoltà visiva dell'uomo. Lo sguardo dell'uomo è sempre circoscritto ad un determinato campo visivo, non può vedere tutto simultaneamente e ha vedute parziali. L'angolo visivo dell'uomo è limitato, a differenza dello sguardo assoluto di Dio. Lo sguardo di Dio si contrappone così all'immagine prospettica, in cui si ha un punto di vista unico. Dio è l'unico che può abbracciare ogni cosa con il suo sguardo. Cusano parla anche dello specchio. Egli afferma che nessun osservatore può vedere nell'immagine iconica le proprie sembianze, come avviene invece guardando nel vetro di uno specchio. Tuttavia quello che vediamo guardando nello specchio dell'eternità, che è Dio, non è figura, ma verità, mentre figura è colui che guarda. Guardando l'icona di Dio è colui che ci ha creati a guardarci. Nel pensiero di Cusano l'essere finito (l'uomo) si specchia nell'infinito (Dio), così come lo sguardo finito dell'uomo si specchia nello sguardo illimitato di Dio. Cusano contrappone all'antropocentrismo della prospettiva, in cui lo sguardo del soggetto si sente autonomo, l'argomento teocentrico. 3. Il soggetto come nuovo Narciso Alberti da una nuova interpretazione del mito di Narciso, ribaltandolo. Alberti parla di Narciso quale inventore della pittura, pur essendo consapevole che Narciso è un osservatore. Nell'antica versione del mito, Narciso non sa di osservare la propria immagine riflessa, né ha idea di che cosa sia un'immagine. Nella versione di Alberti, Narciso non si perde nella propria immagine, ma ritrova se stesso attraverso l'arte. Nella pittura prospettica il soggetto ritrova il proprio sguardo: la prospettiva introduce infatti per la prima volta lo sguardo nel dipinto. Con Alberti il mito viene quindi rovesciato in positivo. L'antico Narciso pensa di osservare un altro, non se stesso. Il Narciso di Alberti invece ritrova nell'immagine prospettica se stesso, ed è in grado di comprendere il carattere simbolico di tale immagine. Alberti paragona il dipinto prospettico alla superficie dell'acqua. Alla pari della prospettiva la superficie dell'acqua riflette la realtà tridimensionale. Con la sua arte il pittore non fa che imitare quello che osserva in natura. Lo sguardo e lo specchio sono elementi molto negativi nell'antichità: Narciso perde la vita nello specchio d'acqua (ad ucciderlo non è stato quindi l'amore di sé, ma lo sguardo); Orfeo perde per la seconda volta Euridice quando si volge indietro per vederne l'ombra; lo sguardo di Medusa trasforma gli uomini in pietre prive di sguardo. L'antichità considerava con terrore l'atto visivo. Il vedere era considerato un atto funesto, violento, di natura sessuale. Lo sguardo frontale era proibito, così come era proibito guardarsi nello specchio e si pensava che chi non fosse capace di rinunciare a tali sguardi potesse cadere vittima di un incantesimo fatale. Nell'antichità l'esperienza di sé nell'immagine porta alla morte, gli specchi sono oggetti di terrore e incantamento. Esiste anche una versione cristianizzata del mito di Narciso, risalente al Medioevo. Narciso qui deve comprendere che, proprio perchè dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza, troverà l'immagine di se stesso nella propria anima, e nel nel corpo mortale. Viene quindi punito con la morte a causa dell'illusione di cui cade vittima. Il piacere degli occhi gli preclude ogni conoscenza superiore, poiché lo conduce inevitabilmente all'idolatria. La versione del mito di Narciso di Alberti si distanzia sia da quella antica sia da quella medievale, segnalando una svolta antropocentrica. Lo sguardo nello specchio non rappresenta più un tabù, ma anzi conduce il soggetto alla conoscenza della realtà e di se stesso. Lungi dal perdersi nell'acqua, lo sguardo ritrova se stesso nella pittura prospettica. Lo specchio diviene quindi un concetto chiave, ma la pittura ha un vantaggio rispetto a questo: la pittura è infatti in grado di fermare (come farà anche la fotografia) l'immagine speculare e il fuggevole riflesso nello specchio. Il dipinto è un nuovo specchio capace di fornire un'immagine speculare permanente25. Con l'invenzione della prospettiva lo sguardo esce dal mondo, sentendosi padrone della percezione. 4. L'orizzonte e lo sguardo dalla finestra Connessi con la prospettiva sono l'orizzonte e la finestra: entrambi sono legati allo sguardo e fanno riferimento l'uno all'altra, come il punto di vista e il punto di fuga26 27. L'orizzonte (punto di fuga) simboleggia il limite dello sguardo e dello spazio. È inoltre il simbolo di una presenza in quanto presuppone un osservatore nel cui sguardo l'orizzonte stesso prende ad esistere. Legato all'orizzonte è il punto di fuga, che in esso è situato. Si può affermare che il punto di fuga ha trasformato il mondo delle immagini, così come lo zero ha trasformato l'algebra. Nella rappresentazione prospettica il punto di fuga è il punto zero, a partire dal quale si possono calcolare tutte le grandezze e tutte le distanze. Questo non lo si può rappresentare, sebbene l'intera rappresentazione trovi in esso il suo punto di riferimento. La finestra (punto di vista) simboleggia la posizione del soggetto che affacciandosi guarda verso il mondo. La finestra diviene quindi simbolo del soggetto, e introduce il suo sguardo nel dipinto. In una finestra vera gli oggetti che vediamo appaiono dietro l'apertura. Nel disegno prospettico invece le cose stanno al contrario: Leonardo da Vinci suggerisce ai pittori di disegnare il contorno di un albero su un vetro (in questo caso quindi il vetro è dietro). Dopo di che il pittore deve mettere a confronto il disegno, che sta davanti al vetro, con l'albero vero, che sta dietro al vetro. Il quadro prospettico è quindi come un vetro piano e ben trasparente, sulla superficie del quale sono disegnate tutte le cose che gli stanno dietro. Alberti parla dell'occhio come finestra: il globo oculare è come uno specchio rotondo, sulla cui superficie si riflette il mondo che ci circonda, ma nella pupilla nera lo sguardo fuoriesce, come dalla finestra. 25 Così anche il ritratto fissa l'immagine in modo che essa sopravviva alla persona raffigurata. 26 Nel modello prospettico punto di vista e punto di fuga hanno un'ubicazione fissa. 27 Tra il punto di vista e il punto di fuga è compreso uno spazio che si può misurare: uno spazio visivo.
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