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I cognomi degli italiani, Dispense di Storia

I cognomi degli italiani, Una storia lunga 1000 anni di Roberto Bizzocchi. Il testo è composto da brevi capitoli sconnessi tra di loro, con eventi più o meno cronologici. Personalmente l'ho trovato molto complicato, anche nello stesso capitolo c'erano argomenti sconnessi quindi di conseguenza anche il riassunto lo è. In ogni caso è un testo intuitivo e penso di aver racchiuso tutta la sua essenza.

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 03/11/2020

Alessiannnnn
Alessiannnnn 🇮🇹

4.5

(126)

38 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica I cognomi degli italiani e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! I cognomi degli italiani 1. OCCHIO AI FANTASMI Il libro osi propone di indagare sul rapporto tra storia dei cognomi e le sue fonti. Il medioevo comporta molti problemi di autenticità. Quando hanno avuto origine i cognomi? Il fondatore degli studi medievistici Ludovico Muratori dicono che i cognomi non hanno fatto la loro comparsa prima dell’anno Mille, quindi se un documento anteriore a questa data ha un cognome, si tratta di un falso. I cosiddetti fantasmi sono i trabocchetti che si possono incontrare nei vecchi documenti, cognomi che in realtà non esistono. Tre esempi:  Il cognome Vaistrini in Romagna nell’anno 539: Pelegrino Vaistrini viene scritto così come era pronunciato e in realtà questo nome era stato pronunciato in latino: Peregrino viro strenuo. Il signor Pellegrino non aveva cognome.  Il cognome Garibaldo Tosabarba del 723: affittò da un prete a Cremona un pezzo di terra, ma il documento a cui si fa riferimento è in realtà un falso fabbricato un millennio dopo da Antonio Dragoni che ha pensato di munire la sua chiesa e città di carta di età longobarda che il tempo aveva distrutto: erano falsi di notizie precise.  Il cognome Oldradi: anche questo è di un documento falso. 2. TANTI NOMI O UNO SOLO? Come funzionava il sistema onomastico dei romani? Cesare aveva tre nomi: Caio Giulio Cesare. Il praenomen è il suo nome personale, in nomen gentilizio è quello del suo clan nobiliare (gens iulia) mentre il cognomen è quello della sua famiglia, i Cesari. A volte c’era anche l’Agnomen, ovvero il cognome commemorativo ricevuto dalle imprese (Publio Cornelio Scipione era chiamato anche Africano). Le donne avevano un solo nome, quello del clan gentilizio a causa della loro irrilevanza. La crisi arrivò con la proliferazione dei nomi degli aristocratici provocata dal desiderio di avere legami illustri, anche da parte materna (nel 169 d.C. un console venne definito con 38 nomi). Ci fu però anche un fenomeno opposto con la riduzione ad un solo nome: dipese dal Cristianesimo, la religione dell’umiltà e dell’uguaglianza, che non favoriva la moltiplicazione orgogliosa di nomi. I prenomi romani erano pochissimi. Il colpo mortale venne dato ai nomi gentilizi dalla Constitutio Antoniniana del 212 con cui l’imperatore Caracalla estese il diritto di cittadinanza a tutti gli abitanti liberi del mondo romano. Assunsero di norma in nomen della gens di Caracalla, Aurelius, trasmettendolo ai loro discendenti. Si diffusero anche Iulius e Claudius, e ben presto il nome indicò genericamente una condizione non servile. Negli ultimi secoli del dominio di Roma l’attenzione a registrare prenomi e nomi diminuisce, ma rimaneva il cognomen che in tarda età imperiale si avviava a diventare un nome unico per identificare gli individui. 3. SEMPLICITÀ BARBARICA Il re ostrogoto Teodorico assunse per ragioni di prestigio il nome imperiale di Flavius e successivamente i germani portarono con sé nuovi materiali linguistici che arricchiscono la nostra lingua con numerose loro parole. Aldigherius, Leupardus, Garipaldus: si subì l’influsso latino sui nomi germanici (Willelmus diventa Guillelmus) e l’influsso fonetico della lingua dei franchi (Garipaldus diventa Garibaldus). Una stessa famiglia di alcuni individui portavano nomi germanici, altri invece romani o cristiani. Come facevano a riconoscere le rispettive affiliazioni nobiliari? La gran parte dei nomi era composta da due elementi tematici. Es, il re longobardo Ariperto del VII secolo aveva due figli di nome Godeperto e Pertarito. C’era però anche il nome singolo, Carlo era quello più diffuso fra i franchi. I romani che appartenevano alla più alta aristocrazia senatoria non avevano smesso di coltivare la memoria delle loro prestigiose ascendenze. La vicenda di Boezio: nel 525 il grande intellettuale del dialogo fra Goti e Italici perse il favore del re e mentre era in carcere scrisse “La Consolazione della filosofia” e poi fu messo a morte. In realtà, il suo nome era Tito Manlio Torquato Severino Anicio Boezio: <<ne’ tempi barbarici gl’italiani si contentavano del solo nome>> Cit. Muratori. 4. ANTEPRIMA VENEZIANA I longobardi si diffusero nell’Italia centro-settentrionale e nei ducati di Benevento e Spoleto. L’impero romano d’oriente invece aveva le isole, Venezia, Ravenna, Roma e Napoli. I documenti riportano molti nomi di persona dove dominano gli antroponimi di matrice latina. La propensione longobarda per il nome singolo opera in questi anni e un documento del 703 di Benevento riconosce il pagamento di Pietro per una terra della vedova Selberada e del figlio Leone. Venezia era una città unica perché aperta all’influsso del mondo greco: nel documento del 819 troviamo sei personaggi identificati con due nomi ciascuno (es Agnellus Clentusius), il quello dell’853 compaiono i nomi la cui corrispondenza con cognomi famosi di famiglie illustri è evidente (es. Ursus Badouarius con i Badoer). Prima del mille i cognomi veneziani appaiono precoci perché le famiglie che li portavano lo furono altrettanto nella conquista di un potere che poi seppero mantenere. 5. UNA RIVOLUZIONE Durante il XI e XII secolo un’alluvione di nomi inonda i documenti redatti in ogni parte d’Italia. La volontà di maggiore precisazione porta dalla nominazione X figlio di Y alla XY. Venezia nel 1090 una donazione di beni fatta dal doge Vitale Falier al monastero di San Giorgio Maggiore presenta in calce le sottoscrizioni di quasi 130 ottimati. La strutturazione di questi secondi nomi in cognomi risulta precocemente matura e piena. Orseolo, Bragadin, Venier e Bembo. Dopo il Mille i redattori dei documenti registrarono molti più nomi di quanti erano soliti registrarne i redattori prima del Mille. I protagonisti della crescita onomastica furono soprattutto maschi laici. Durante gli ultimi secoli del medioevo la scelta dei nomi di persona si concentrò fortemente su quelli cristiani. Dall’anno 950-1300la popolazione italiana passa sa 5 a 8 milioni: i contadini si addensavano in villaggi dove un principio di specializzazione tecnica e distinzione professionale moltiplicò i mestieri artigianali. In centinaia di borghi le attività economiche e i consumi crebbero. Nell’ambito della corrente di generale espansione ci fu un incremento di nomi e la loro specializzazione in prenomi e i secondi nomi. 6. L’OFFICINA DEI COGNOMI Autodefinirsi con un secondo nome corrisponde ad una caratteristica della persona interessata per distinguerla. C’erano 4 categorie principali:  Cognomi patronimici o matronimici: formati da nomi di persona, maschili o femminili composti (Di Pietro, De Luca) o semplici (Paoli, Martini).  Cognomi toponimici: di provenienza da un qualche luogo, entità geografiche (Bulgari, Lombardi, Greco, Albanese) o elementi topografici minori (Piazzi, della Porta, Montanari).  Cognomi derivati da mestieri: Fabbri, Ferrari, Podestà, Vicario, Rettori. E i cognomi tipici degli esposti (Esposito, Trovato).  Cognomi formati dai soprannomi: Basso, Rossi, Gentile, Sordi. la città stessa, Bolnisia faceva riferimento al bolognese. I servi bolognesi di metà 200 erano principalmente privi di cognome, faceva la sua comparsa un uso in senso cognominale del secondo nome. Solo 4 persone portavano il secondo o terzo nome e per qusto l’identificazione tramite patronimico è dominante (es Saporitus filius Constabilis). La tendenza venne confermata dall’elenco di servi calabresi del 1223, redatto dall’arcivescovo di Cosenza Luca con il secondo nome di Campano. Mise in ordine la lista dei redditi e diritti della sua mensa arcivescovile e aggiornò anche un elenco di persone legate alle terre. 14. DANTI ALIGHIERI O DANTE DI ALIGHIERO? Petrarca è una latinizzazione del nome del notaio ser Petracco. Quanto a Boccaccio, era il figlio naturale di Boccaccio di Chellino, ma Giovanni in un atto del 1351 è registrato come Giovanni figlio del fu Boccaccio da Certaldo. Dante aveva un trisnonno di nome Cacciaguida: dalla moglie di costui sarebbe venuto in nome di famiglia degli Alighieri. L’attività più documentata degli antenati di Dante è il prestito di denaro a livello modesto. Nei docuemnti di fine XII secolo si presentarono in altre forme come Alaghierus, Allighierus, Aldegherius. In due condanne pronunciate in latino contro Dante dal podestà Cante dei Gabrielli da Gubbio il 27 gennaio e il 10 marzo 1302 compare rispettivamente come Dante Alleghieri e Dante Allighieri. Alighiero è un individuo, non un nome di famiglia: la procura del 1291 in cui funge da testimone Dante del fu Allaghiero della parrocchia di san Martino del Vescovo. Dopo la morte di Dante il cognome Alighieri si mise sempre più nettamente in luce sia a Firenze che a Verona. A metà del 300 un cognome di tale importanza non poteva definirsi ancora un vero e proprio cognome. 15. GENTE BENESTANTE Firenze: ser Matteo di Biliotto stende fra il 1294 e 1296 930 atti, che riguardano 3.700 uomini e donne. Il cognome vi compare sollo eccezionalmente per qualche nobile. I commercianti, artigiani, piccoli e medi proprietari hanno al massimo un embrione di cognome, cioè un soprannome che potrebbe non essere solo individuale. I 189 atti rogati da ser Piero da san Casciano fra 1476-8 a Pisa sono registrati secondo le solite tipologie: patronimico, pochi cognomi, qualche soprannome individuale. A Roma nel 1368 Pietro Astalli inserisce nel protocollo una clientela di artigiani e commercianti con soprannomi individuali. Gli atti del notaio Bartolomeo de Alamanna di Palermo tra il 1332-33 documenta l’attività commerciali dei cittadini e qui il patronimico al genitivo è rarissimo: la coppia onomastica più diffusa è composta da due nominativi. Giovanni Oraboni lavora per una clientela di commercianti a Milano tra il 1375-82 e nei suoi rogiti il patronimico come alternativa al cognome è quasi completamente assente, cioè il nome del padre è messo come terzo elemento a un secondo nome che tende a fissarsi come cognome. (es Balzaro Mantegatio figlio del fu Tibaldo di Milano). 16. GENTE COMUNE La massa delle popolazioni italiane, comprese quelle rurali, nella documentazione dell’esercito fiorentino a Montaperti nel 1260 erano chiamati in latino con prenome e patronimico al genitivo ( Romanus filius Chafferelli). Un’assenza di cognomi si registra nelle liste fiscali di Macerata del 1268 e di Perugia nel 1285. Un documento del circondario lucano del 1270 decretato da Carlo d’Angiò obbligava oltre 150 contadini a tornare nelle campagne di Potenza. Il decreto angioino riporta i nomia e cognomina dei fuggitivi, sia in forme toponimiche, patronimiche e con soprannomi. C’erano anche prime forme embrionali dei cognomi con doppio nominativo. Una testimonianza sull’antroponimia rurale padana fa riferimento a un’imposizione del sale ordinata da Nicolò III d’Este nel 1415 su tutti gli abitanti del contado di Parma. I contadini vengono identificati con una forma di cognome negli elenchi redatti dagli incaricati in loco (Manfredus de Acis mezadrus dominorum de Rubeis, cioè mezzadro dei signori de Rossi). Il catasto toscano del 1427 porta una minuziosa descrizione delle persone e dei beni di città e campagne della parte di Toscana allora dominata da Firenze. 60.000 contribuenti portano un cognome o una forma cognominale, i restanti si identificano col patronimico. Il cognome è un fenomeno marcante legato alla ricchezza e all’urbanizzazione. 17. UN PAPA CHE INSEGNA A BALLARE Dal due al quattrocento, mentre i nobili acquisivano dovunque i loro cognomi, per la massa della popolazione si consolidarono due modelli di denominazione personale distinti: uno faceva perno sul patronimico e l’altro cominciava ad elaborare varie forme di cognome. In Italia meridionale c’era la tendenza a formare dei secondi nomi individuali. Al nord la signoria iniziò a prendere potere da inizio XI secolo, al centro dal XII. La diffusione del secondo nome cominciò dopo il Mille ma in centro non si potè realizzare. Al nord la coincidenza potere-secondo nome favorì la formazione di cognomi perché le famiglie signorili tendevano ad identificarsi come tali assumendo il nome del luogo del loro dominio. Il censimento a Roma del 1526 mostra uno scarso uso del cognome per identificare i circa 9.300 fuochi che raccoglievano i suoi oltre 50.000 abitanti. Nel 1562 a Firenze nel quartiere di Santa Maria Novella su 1.664 fuochi sono designati con cognome meno della metà: notevole anche il fatto che ci siano donne non nobili con cognome (monna Ginevra Gamberini già di Jacopo pellicciaio), e anche prostitute (Lucretia di Giovanni Saltini meretrice). Siccome la pressione delle autorità pubbliche non era ancora coerente nell’imporre i cognomi, l’uso continuava pacificamente a sbizzarrissi secondo l’utilità (monna Benedetta vedova incantatrice, il Papa che insegna Ballare). 18. VALDESI O VALLIGIANI? I valdesi sono una comunità cristiana che dal XII secolo venne perseguitata, era incentrata su valori fondamentali della povertà della chiesa e del rigoroso attaccamento al Vangelo. Nel 1561 ottennero dai duchi di Savoia la tolleranza entro i confini detti “Valli valdesi”. Questo non li risparmiò dalla violenza di chi non li voleva. Ai valdesi sono riconducibili i cognomi quali Albarea, Geymonat, Martinat, Malan e sono soprattutto loro le vittime delle cosiddette Pasque piemontesi (massacro perpetrato contro di loro nel 1655). I cognomi provengono ad esempio: Albarea da un luogo, Giaime e Martin da un nome proprio, Cuisun da un mestiere (il maceratore di canapa), Malus, da un soprannome (cattivo in latino). Nel 1561 non c’era più molto spazio per la nascita di cognomi ispirati alla confessione religiosa: il processo di cognomizzazione era cominciato da un tempo sufficiente a impedirgli di prendere un percorso diverso. Anche se i cognomi Valdesi sono assai più carichi di identità storica, sarebbe improprio definirli cognomi propri valdesi: erano infatti tipici delle valli del Piemonte. La tendenza a formare embrioni di cognomi si conferma nel tre e quattrocento ed è attestata nell’elenco dei possidenti di Tornino nel 1363. I cognomi locali dei Valdesi sono stati conservati con l’attaccamento geloso di tradizione. 19. STORIE DI INSTABILITÀ La peste nel 1348 falciò la popolazione e i cognomi si persero facilmente nel corso di una successione ininterrotta di generazioni. Nel duecento la popolazione di Corleone fu accresciuta da una forte immigrazione. Il tracollo demografico della peste fu seguito da una lenta ripresa nel 500. Confrontando le carte degli enti religiosi del 1593 si comprende la storia antroponimica della comunità: il doppio nominativo divenne vivace soprattutto con l’immigrazione, anche dopo lo smarrimento dei cognomi -> su 850 cognomi attestati nel 1593 appena 87 risalgono al medioevo. A Castione della Presolana in provincia di Bergamo nel 1260 contava circa 750 abitanti, nel 1544 803. La popolazione era composta dai discendenti biologici delle persone citate nei documenti dei secoli precedenti. Fino al tardo duecento solo il 10% dei fuochi della comunità veniva identificato con una forma cognominale. Nel trecento la signoria vescovile si dissolse e le famiglie contadine si legarono alle loro piccole dotazioni fondiarie in modo più stabile acquisendone la proprietà. Il risultato della trasmissione ereditaria dei beni verso la metà del trecento si riflette anche su tutti i fuochi di Castione che iniziarono ad essere designati da un cognome. Sui 22 presenti del 1544, appena 6 risalivano dell’epoca del grande incremento; gli altri 16 erano neoformazioni e una sola di recente arrivo, le altre erano mutamenti di cognomi dei già residenti. A Bratto e Dorga nel 1544 dei 141 capifamiglia registrati, 34 vi risultano privi di cognome. 20. RINASCIMENTO SENZA COGNOMI In alcuni casi i nomi sono certi, ma sono meno noti al grande pubblico come ad esempio Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Giotto. A quell’epoca gli artisti in quanto lavoratori manuali non ricevevano la considerazione sociale che noi annettiamo automaticamente alla loro professione. La storia dell’ascesa sociale degli artisti si intreccia con l’identificazione tramite il nome di famiglia. Domenico Ghirlandaio, colui che nel cap 12 aveva dipinto gli affreschi della cappella Tornabuoni a Firenze, aveva ricevuto quel soprannome perché forniva ghirlande per il capo delle fanciulle fiorentine. Altri artisti: una variante è la superfluità del cognome come ad esempio per Raffaello (Raffael da Urbino) e per Tiziano. Le prove della precarietà e non essenzialità dei cognomi italiani alle soglie dell’età moderna fanno riferimento ad esempio a Niccolò Alunno (in realtà Niccolò di liberatore da Foligno), che venne colpito da una svista di Vasari, a causa di un errore di una firma Nicholaus alumnus Fulginiae, cioè rampollo di Foligno. A fine ottocento si pensava addirittura che fossero due personalità distinte. L’architetto della cupola del duomo di Firenze, Filippo Brunelleschi o Filippo di ser Brunellesco. Sono numerosi gli artisti che non avevano cognome come ad esempio Leonardo da Vinci, Giotto o Donato detto Donatello per la sua piccola statura o Domenico di Bartolomeo da Venezia che noi chiamiamo Domenico Veneziano. 21. IL DIVINO MICHELANGELO BUONARROTI O SIMONI? Michelangelo aveva due cognomi: l’antenato più importante fu il suo bisnonno Buonarrota di Simone. Questi due elementi si trasformeranno nel corso del ‘400 formando due cognomi di famiglia. Il padre di Michelangelo, Ludovico di Leonardo di Buonarrota aveva cinque figli: questi avevano uno dei due cognomi (Simoni o Buonarroti) o anche entrambi. Simoni era il cognome che sembra prevalere per la famiglia, ma per Michelangelo quando non veniva identificato da se stesso si sceglieva Buonarroti. Michelangelo condivideva con molti suoi contemporanei l’apprezzamento per i natali illustri: la lettera del conte Alessandro da Canossa lo aveva lusingato molto perché auspicava ad una sua origine nobiliare, infatti ci sarebbe stato un nesso tra le rispettive famiglie. L’altro cognome, Simoni, era destinato a sbiadire col tempo: oggi infatti è difficile trovare qualcuno che lo associ a Michelangelo. 22. BLASTONATI VERI E FINTI I cognomi nobiliari esaltavano l’antichità delle famiglie ed escludevano i non nobili dalle cariche pubbliche. Portare un cognome o un altro poteva discriminare in modo decisivo, ma qualcuno godeva di una fortunata omonimia che imbrogliava le carte per rivendicare dei rapporti di parentela nobilitanti. Sulla cattedra episcopale di Tivoli si succedettero all’inizio del ‘500 due prelati della famiglia Leonini, cognome da poco sostituito di de mastro Ianni (Mastroianni). Alla fine del 1627 il consiglio generale della repubblica formò una commissione che redasse il libro d’oro dei nobili di Lucca e venne incaricata di vietare l’usurpazione di cognomi. L’allarme suonava per colpa di un messere Girolamo di Vanni che si faceva chiamare col cognome della famiglia nobile Vanni. Mentre risalivano verso le radici dei loro alberi Sant’Antonin nel 1581 era una parrocchia con 700 abitanti. Il prete Niccolò Stella redige i libri di battesimo e di matrimonio e sistema le annotazioni del suo predecessore. Si prodiga anche di convincere i concubini a mettersi in regola. Modula le proprie registrazioni secondo le denominazioni correnti che egli stesso può ascoltare e adoperare. Si mirava ad evitare che le registrazioni fossero condizionate dalla personalità e dalle relazioni personali dei singoli parroci. Nel 1596 il profilo si irrigidì molto e divenne più professionale. La stesura di un libro matrimoniale conservato in curia episcopale che condiziona l’ordine per i successori redattori non è la norma. Il battesimo era un evento di massima importanza, ma qui la confusione derivante da eventuali oscillazioni nella denominazione della coppia dei genitori era meno dannosa. Nel 1581 a San Giusto in Cannicci il parroco Potenti registrava con il cognome la metà dei 49 nuclei famigliari. Nel 1605 il libro dello stato d’anime venne redatto dal nuovo parroco Giovanni Ripoli, dove su 143 individui censiti sono registrati con un cognome anziché con il patronimico appena in 10: non c’era stata una evoluzione demografica. Ripoli non ha riunito i suoi parrocchiani per nucleo famigliare, ma li ha messi in fila uno per uno secondo una sua logica. I documenti che tendevano a sensibilizzare l’uso dei cognomi potevano esibirne meno di quanti forse non ne metteva a disposizione l’uso stesso. I cognomi, quando c’erano, avevano una natura e una funzione molto più aleatoria dei nostri. 30. INQUISITORI E ALTRI CONTROLLORI A Livorno nel 1559 c’erano circa 800 abitanti, che divennero 3.000 nel 1601 e 10.000 a metà dei Seicento. Ferdinando I de Medici dal 1591 per popolarla assicurò l’annullamento dei debiti e condanne ai pregiudicati. I nuovi arrivati dovevano farsi identificare da un ufficio apposito, dichiarando il “nome proprio, del padre e casato”. I tribunali dell’inquisizione avevano imposto l’ortodossia e la morale in parti d’Italia dopo il rilancio dell’istituzione a metà del ‘500: registravano i loro imputati con una pluralità di tipologie di identificazione onomastica. Per gli stranieri si usava ad esempio Adriano diamantaro fiammingo o Pietro Olandese. Negli atti di un processo per stregoneria nel 1610contro una donna di Fabbrica (Volterra) i nomi cambiano di continuo: l’imputata dichiara “io mi chiamo Camilla, mio padre si chiamava Giovanni di Michele, mia madre Lucrezia e so’ nata a Cedari”, ma viene chiamata anche Camilla di Simone (marito). I testimoni sono quasi tutti privi di cognome. Invece, in un processo svolto tra il 1605- 07 dal consiglio dei Dieci nella repubblica di Venezia contro il nobile vicentino Paolo Orgiano per le violenze compiute nel suo villaggio Orgiano si ha sempre chiaro di chi si parla, ma lo si fa in tanti modi con nomi diversi. Nel catasto di Lari le proprietà erano descritte sotto l’intestazione di un titolare e quando moriva veniva aggiornato. In alcuni casi si può monitorare la nascita di cognome, si può constatare il ruolo degli scrivani del fisco pisano nell’assecondare la trasformazione ti toponimico o patronimico in cognome. Goro di Tommaso di Gese: Gese si cristallizzò nel cognome Gesi che ha tutt’oggi la sua base a Lari. 31. INDICI DEI PRENOMI Il lavoro intorno alle liste di libri proibiti era incessante sotto il pontificato di papa Alessandro VII nel 1664. Si potrebbe pensare che l’adozione dell’indice per prenomi si perpetuasse nel tempo per pura forza d’inerzia. Nel 1580 Francesco Sansovino pubblica la “Cronologia del mondo” dove persone e cose vi erano indicizzate insieme (Es sotto la A troviamo Abramo, Amerigo Vespucci, Ancona), ma nel 1640 una ristampa della Storia d’Italia di Guicciardini presenta lo stesso ordinamento per i soli individui per prenome. La “Selva d’oro” del prete Lonardo Cirullo di Monopoli è una grande collezione di fonti civili ed ecclesiastiche: i 32 volumi dell’opera abbondano di rimandi interni e rubriche. L’indice generale serve per trovare con facilità tutti i nomi dei cittadini di Monopoli in 200 anni. 32. MASSIMA VIGILANZA Nel 1787 il prete di Venezia Francesco Marangoni presenta al governo una proposta riguardante la conservazione dei docuemnti ecclesiastici: consisteva nell’istituzione di un archivio generale dove far confluire tutti i registri canonici delle 70 parrocchie della repubblica, semplificandone la consultazione. La “Selva d’oro” di Cirullo è un esempio della redazione curata dei libri canonici e del riordino di quelli dei predecessori. Nel 1727 l'emanazione di una bolla papale, la Maxima vigilantia, di Benedetto XIII prescriveva l’allestimento di un archivio in ogni ente ecclesiastico, dettò regole stringenti sul modo di gestirlo, sia per l’annotazione degli affari correnti che del riordino. Previde che dei documenti raccolti negli archivi venissero compilati inventari e registri indicizzati. Feliziani identificò per patronimici nel 1764 nel “Note dell’anime” una puntigliosa descrizione dell’età degli abitanti ma non dei cognomi. Nel 1772 a Trento si obbligò i parroci di registrare “Nomina et Cognomina” dei genitori del battezzato. Questo perché i cognomi erano sempre più diffusi e perché i parroci li ritenevano ormai il principale riferimento onomastico, così favorendone ulteriormente la diffusione e la stabilizzazione. 33. SORVEGLIARE E DEFINIRE Alla sorveglianza onomastica preoccupava di identificare con certezza il nome e il cognome, ma si sviluppò una forte insicurezza a metà del Seicento a causa dei cambiamenti di nome dei truffaldini. Le procedure quindi si fecero più rigide e i controlli più pressanti. Si veniva sempre meno identificati come membri di un gruppo sociale e sempre più come singoli ben definiti e riconoscibili nella loro individualità di fronte allo Stato. Censire la popolazione serviva per amministrare meglio la popolazione e questo condizionò la sempre crescente cura dei registri parrocchiali. Pietro Leopoldo di Toscana e Giuseppe II dell’impero Asburgico nel 1767 e 1784 fornirono dei modelli schematici entro cui inserire secondo procedure standard i dati sui nomi, le condizioni di vita e l’accesso dei sacramenti da parte dei fedeli. Gli elenchi si legarono ai tentativi di riforme del fisco e all’impianto dei nuovi catasti. Il modello di descrizione del nucleo famigliare invitava a precisare anche il cognome delle donne. I marinai inglesi per rendersi riconoscibili in caso di naufragio si tatuavano sul polso la loro famiglia e il loro nome cristiano. 34. ISOLE In Corsica troviamo un bilinguismo di nomi (Pierre Albertini, Marie Santoni): questo porta una traccia della conquista di Pisa nel medioevo e di Genova durante l’età moderna, prima di essere ceduta alla Francia nel 1768. Il processo di elaborazione dei cognomi cominciò nel Seicento inoltrato e lo si può constatare nella registrazione delle nascite del 1763 a Bastia: Francescus Maria Molinari, Joannes Antonius Guidi. In Sardegna la complessità dei cognomi è innanzitutto di natura linguistica. Un elemento onomastico indigeno, urru, si trova in un’epigrafe del III secolo d.C. rinvenuta a Nuragus, e ritorna nell’antroponimico Presnagi Urru di un documento fiscale del XII secolo. Porcu, Ortu, Puddu, sotto l’influsso catalano si protraggono per tutta l’età moderna, dove si manifestarono poi anche Berlinguer, Mereu, Garau. Esistono anche cognomi sardo-corsi come ad esempio Piana, Deliperi, Luzzu. Il verbale della pace stipulata nel 1388 tra il re don Giovanni d’Aragona ed Eleonora Giudicessa d’Arborea riportarono nomi e cognomi come ad esempio Nicolaus Porcu, Aramus Cossigu, Simeone Murgia. Nel nuorese c’era un sistema cognominale doppio, con la trasmissione del cognome paterno e materno. Ciò dipendeva dalla natura binaria delle successioni ereditarie: il gregge ai maschi, la casa alle femmine e nell’assunzione del cognome del padre ai figli e della madre alle figlie. Nello stesso nucleo famigliare potevano esserci più cognomi. C'era anche una disparità di comportamenti nella denominazione di uomini e donne: i primi mantenevano tendenzialmente il cognome paterno trasmesso per linea maschile, mentre le seconde esibivano una varietà e pluralità di nomi, derivanti dalle loro ascendenze sia femminili che maschili. Una ragazza di Locoj morta dopo il parto nel 1668 ad esempio si chiamava Anna Maria Lucifera ed è ricordata nelle fonti con 5 cognomi: Pira Manca Maiore Delogu Sio. Quando l’isola passò sotto il governo dei Savoia le denominazioni a cognomi multipli lasciarono il posto a una identificazione di tipo patrilineare con un solo cognome fisso. 35. CITTADINO MANGIA POCO In Francia la corona legiferava sui libri parrocchiali dal 1539 e nel 1667 furono investiti della funzione ufficiale di registri di stato civile. La rivoluzione del 1793 promulgò la possibilità di cambiare nome, ma dopo la reazione del terrore si tornò subito alla linea della stabilità e del controllo con i nomi ricevuti alla nascita. La documentazione amministrativa di età napoleonica è caratterizzata dall’abbondanza di tabelle, moduli, formulari con la fissazione a due elementi invertiti, cioè prima il cognome e poi il prenome: la dichiarazione dell’identità onomastica di ogni individuo in contesti pubblici e ufficiali, come Bianchi Paolo, Rossi Mario. Il cognome costituiva ora parte integrante dell’identità personale. Nel regno di Napoli fu imposta come legge del 28 marzo 1808 una sorta di carta d’identità detta carta di ricognizione, obbligatoria per tutti i maschi sopra i 12 anni. Questo consolidò la funzione della coppia cognome/prenome più di quanto non avessero fatto gli interventi settecenteschi. A questo si accompagnò la prima determinazione del concetto di residenza, di denominazione delle strade e della numerazione delle abitazioni. Il documento più esplicito e ultimativo per l'Italia napoleonica fu emanato a Milano per il regno d'Italia l’11 giugno 1813. Gli abitanti del Regno, “i quali non hanno un cognome, o sia un nome di famiglia”, devono entro tre mesi “prenderne uno e farne la dichiarazione avanti l'ufficiale dello Stato civile del comune in cui sono domiciliati”. I capifamiglia maschi sceglieranno il cognome, che diventerà poi automaticamente quello di tutti i discendenti: non avere un cognome non è più solo un problema, è un reato. 36. BUROCRATI E MARCHIGIANI Il cancelliere del censo di Fabriano nel 1812, Antonio Luigi, si era accorto che nei registri catastali c’erano le intestazioni col solo proprio nome di battesimo e del padre, senza il cognome di famiglia. Denunciò il fatto e un anno dopo gli atti di questa inchiesta portarono alla ricerca su chi non aveva il cognome nel Maceratese. Ci si mosse alla caccia di queste famiglie: nelle Marche la burocrazia napoletana era temperata dalla noncuranza e inefficienza. I governanti locali liquidarono la circolare prefettizia rispondendo che sotto la loro giurisdizione tutti avevano cognomi “regolari”. A San Severino la lista delle famiglie senza cognome comprende molti uomini designati con il patronimico, non comprende però molti altri che vi dovrebbero figurare allo stesso titolo. Non ci si era posto il problema se fossero o meno nomi quali Amore, Bonapasta o Strappaveccia. Molti abitanti di alcune località marchigiane nel 1813 si recarono negli uffici di stato civile dei loro comuni per assumere un cognome. qualcuno ha approfittato della situazione ridisegnando onomasticamente la propria identità familiare e sociale. 37. BAMBINI SENZA FAMIGLIA Nel 1764 ci fu un anno di carestia e nell’orfanotrofio di Napoli furono accolti 4.675 bambini e ne morirono 3.500. spesso i neonati erano frutto di relazioni illegittime di donne sole o coppie costrette per miseria ad abbandonarli. Questi venivano lasciati nelle ruote degli istituiti con segni utili ad un futuro riconoscimento. Spesso gli venivano affibbiati nomi augurali come Ventura o Fortunato. Il cognome divenne obbligatorio anche per i trovatelli: Trovato in Sicilia, Esposito a Napoli, Degli Esposti a Bologna, Proietti a Roma, Casadio in Romagna, Bastardini al Nord. Si diffuse anche l’abitudine di identificare i bambini con l’istituto di
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