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La Società umana: Comportamenti Sociali, Gruppi e Valori, Sintesi del corso di Sociologia

Sociologia della comunicazioneAntropologia socialepsicologia socialeTeoria delle organizzazioni

Come alcuni comportamenti sociali umani sono influenzati dal patrimonio genetico, ma soprattutto dalla cooperazione ottenuta attraverso la comunicazione e l'apprendimento. Viene analizzata l'origine e la struttura di vari tipi di gruppi sociali, dalla società segmentale a quella a divisione del lavoro, e il ruolo dei valori in queste strutture. Anche la distinzione tra norme e valori, e la loro importanza nella società.

Cosa imparerai

  • Come i comportamenti sociali umani sono influenzati dal patrimonio genetico?
  • Come i ruoli sono definiti all'interno di un gruppo sociale?
  • Come i valori influenzano la struttura di un gruppo sociale?
  • Che tipi di gruppi sociali si distinguono in base alla loro struttura?
  • Come le norme e i valori differiscono?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 12/11/2019

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Scarica La Società umana: Comportamenti Sociali, Gruppi e Valori e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! LA FORMAZIONE DELLA SOCIETA’ MODERNA LE SOCIERA’ PREMODERNE 1 L’EVOLUZIONE DELLE SOCIETA’ UMANE E IL CONCETTO DI CULTURA Oggi gli studiosi sono concordi nell’accettare la teoria dell’evoluzione, in base alla quale la specie umana è il risultato di un lungo e lento processo di evoluzione genetica dalle scimmie antropoidi, e queste a loro volta derivano da altre specie animali. Gli ominidi, che hanno preceduto la nostra specie, sono comparsi sulla terra da 2 a 3 milioni di anni fa, ma con aspetto molto diverso dal nostro: avevano la stazione eretta, avevano il pollice opponibile, usavano qualche attrezzo rudimentale per procacciarsi cibo e difendersi, ma probabilmente non avevano ancora sviluppato le corde vocali in modo da poter emettere suoni articolati e la capacità cranica era piuttosto ridotta. L’ uomo di pechino, ca 1 milione di anni fa. Era un esperto cacciatore, aveva imparato ad utilizzare il fuoco e comunicava probabilmente con i suoi simili attraverso suoni e gesti non ancora utilizzati in un sistema simbolico, quello che noi oggi chiamiamo “linguaggio”. Avevano sviluppato qualche forma, seppur iniziale di pensiero astratto. L’ homo sapiens sapiens, ha un organismo simile al nostro, è apparso in Europa ca 42.000 anni fa. Aveva la capacità di produrre e usare strumenti, il fuoco e il linguaggio: questi sono gli elementi che distinguono la specie umana attuale dalle altre specie animali e ominoidi. Tra gli elementi che distinguono la specie umana dagli altri animali non compare l’organizzazione sociale. Gli etologi ci dicono che anche molte specie animali hanno un’organizzazione sociale spesso assai complessa dove gli animali cooperano tra di loro. Anche alcuni comportamenti sociali umani sono dettati da informazioni depositate nel patrimonio genetico, tuttavia non vi è dubbio che la specie umana ha sviluppato forme di organizzazione sociale che si fondano principalmente sulla cooperazione ottenuta attraverso la comunicazione e il linguaggio e sull’accumulazione di informazioni che vengono trasmesse mediante processi di apprendimento. L’insieme di queste informazioni costituisce la cultura. 2 LE SOCIETA’ DI CACCIATORI E RACCOGLITORI 2.1 L’ATTIVITA’ PREDATORIA E IL NOMADISMO Oggi le società di cacciatori-raccoglitori sono praticamente estinte per effetto del contatto con popolazioni che hanno abbandonato questo stadio poco meno di 10.000 anni fa. Queste società attingono per sopravvivere al patrimonio di risorse offerto dalla natura . L’attività umana risulta essere essenzialmente predatoria, il lavoro umano non restituisce alla natura i beni che le ha sottratto, ma è la stessa natura che provvede a ricostruire le capacità produttive consumate dall’uomo. Le risorse consumate sono rinnovabili senza l’intervento umano. Quando la selvaggina e i frutti si fanno scarsi, le popolazioni di cacciatori e raccoglitori sono costretti a spostarsi in zone limitrofe alla ricerca di mezzi di sopravvivenza. Quindi il nomadismo è una delle caratteristiche di queste società ed è tanto più accentuato quanto meno l’ambiente presenta condizioni favorevoli. Si tratta di società molto piccole, 30-50 membri che vivono in accampamenti temporanei. Essi vivono in una dimensione temporale “giorno per giorno”, salvo essere condizionati dai cicli stagionali della vegetazione. 2.2 L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE La caccia e la raccolta sono attività che vanno quasi sempre insieme. Vi è una divisione sessuale del lavoro. L’unità sociale di base è la famiglia nucleare e la sua principale funzione è quella riproduttiva. Il loro numero oscilla tra 4 e 6 membri. Più famiglie nucleari, circa 10, costituiscono una banda: questa occupa temporaneamente un certo territorio, forma un accampamento e organizza cooperativamente la caccia. La banda è un gruppo autosufficiente dal punto di vista ” produttivo”, ma non dal punto di vista riproduttivo: è un gruppo esogamico. Le bande appartengono ad un gruppo più vasto, la tribù che si aggira attorno ai 500-600 membri. È un gruppo endogamico che occupa un territorio che comprende l’insieme dei territori delle singole bande. I membri delle tribù si riconoscono come appartenenti allo stesso gruppo, parlano la stessa lingua e spesso si ritengono discendenti da un capostipite comune. In questo caso la tribù corrisponde al clan. Il mito della comune origine trova rappresentazione simbolica in un oggetto: il totem, che raffigura qualsiasi elemento tratto dall’ambiente che diventa il centro di una serie di pratiche rituali. Le società di cacciatori-raccoglitori, a parte le marcate differenze tra uomini e donne, sono fortemente eugualitarie. La posizione del capo banda non è permanente e non comporta particolari privilegi. Le tribù spesso non hanno un vero e proprio capo; l’esigenza di un capo si presenta solo quando bisogna fronteggiare altre tribù sul campo militare. Una figura di prestigio è che gode di alcuni privilegi è lo sciamano. Egli è un essere umano dotato di capacità psichiche, ed è a conoscenza delle tecniche rituali, che gli consentono di entrare in contatto con il mondo degli spiriti per cercare di neutralizzarne gli influssi negativi. Lo sciamano è soprattutto un guaritore. Le società di caccia e raccolta sono le società umane più semplici, ma comunque risultano già gli elementi con i quali costruire l’analisi sociologica.. 3 LE SOCIETA’ DI COLTIVATORI E PASTOR 3.1 DALL’ATTIVITA’ PREDATORIA ALL’ATTIVITA’ PRODUTTIVA Con la coltivazione cambia il rapporto uomo-natura. La natura non è più un serbatoio di forze incontrollabili e risorse di cui appropriarsi in modo predatorio, ma un grande laboratorio di processi su alcuni dei quali l’uomo è in grado di intervenire intenzionalmente al fine di produrre ciò di cui ha bisogno. L’uomo comincia a modificare radicalmente l’ambiente in cui vive e il paesaggio diventa sempre più un paesaggio umano. Le società che si collocano a questo stadio vengono chiamate di coltivatori-orticoltori, 3.2 GLI INSEDIAMENTI PERMANENTI Gli orticoltori non furono più costretti a spostarsi continuamente alla ricerca di cibo, almeno finchè il suolo rimaneva produttivo. Essi disboscavano foreste e le tecniche di produzione e controllo del fuoco erano molto importanti per il disboscamento. Più le tecniche di coltivazione progredivano, più gli insediamenti diventavano permanenti: le società umane incominciarono a mettere radici in un territorio. A parità di estensione lo stesso territorio poteva ora fornire sostentamento a un numero molto maggiore di uomini. L’ampiezza degli insediamenti crebbe insieme alla densità della popolazione; si costruirono palificazioni e recinti per tenere lontani gli animali selvatici, le abitazioni diventarono più solide, si sviluppano tecniche al proprietario del fondo, infine gli schiavi, che coltivavano i “latifondi” dello stato o dei privati cittadini. La conduzione prevalente è quella che fa uso del lavoro degli schiavi. L’economia schiavista presenta però un elemento di debolezza: la popolazione schiavistica non è in grado di riprodursi biologicamente. Quando uno schiavo moriva era rimpiazzato e il suo prezzo dipendeva da quanti ne affluivano sul mercato. La guerra era la vera fabbrica di schiavi. La schiavitù non è concepibile senza una politica di continua espansione territoriale capace di sottomettere militarmente interi popoli. Era anche possibile ridurre in schiavitù il debitore che non avesse onorato alla scadenza l’obbligazione contratta. La città antica dipende dalla campagna, ma allo stesso tempo la domina. Il rapporto non è un rapporto economico dove vi è uno scambio, ma un rapporto politico: la città consuma il surplus che preleva fisicamente dalla campagna. Piccole città come le città-stato greche, hanno in genere un ristretto territorio rurale e spesso si assicurano parte del loro fabbisogno commerciando via mare con le altre città. Grandi città, come Roma, dipendono invece da territori anche molto lontani ed è lo stato che assicura l’approvvigionamento di grandi quantità di grano, olio, vino alle colonie. 5.3 LE FORME DI GOVERNO La proprietà della terra è il fondamento primo del diritto di cittadinanza. La città antica è prima di tutto una città di proprietari terrieri. Nonostante questo fondamento comune troviamo varie forme di governo. La Grecia e Roma rappresentano due modelli per certi versi contrastanti. Il territorio dell’antica Grecia non ha mai raggiunto l’unità politica perché composta da una pluralità di città-stato indipendenti. Questa situazione fu favorita dalla configurazione del territorio, dove le numerose catene montuose rendono difficili le comunicazioni via terra. Il mare era la grande “strada” che consentiva i collegamenti tra le varie parti del territorio. Le forme di governo delle città-stato greche oscillavano tra monarchia e la tirannide e la democrazia, passando attraverso varie forme di oligarchia. Queste città-stato erano tutte localizzate in luoghi angusti, non potevano espandersi sulla terraferma. Quando la popolazione cresceva una parte della popolazione prendeva la via del mare e andava a fondare colonie in Asia Minore ad Oriente, in Sicilia e in Italia a Occidente. Essi fondarono nuove città, diffusero la cultura e dissodarono nuove terre. Ben presto le colonie si resero indipendenti pur mantenendo fitti rapporti commerciali con la terra d’origine. L’espansione replicava il modello delle città-stato e non dava luogo alla formazione di un’organizzazione imperiale quale era stata quella delle aree a Oriente del Mediterraneo. I romani adottarono invece un’altra strategia di espansione che richiamava il modello imperiale. Anche Roma era nata come città-stato in cui il potere era nelle mani dei contadini, ma diversamente dai Greci la sua espansione andò verso la terraferma. L’istituzione che giocò un ruolo cruciale nella struttura sociale fu l’esercito dei legionari che era la struttura portante dello stato. 6 LA SOCIETA’ FEUDALE 6.1 LA ROTTURA DELL’UNITA’ DEL MONDO ANTICO La spiegazione della crisi e della caduta dell’impero romano è un enigma. Questa rottura è responsabile della nascita del feudalesimo in Europa, un tipo di configurazione in cui viene meno un polo politico ed economico di aggregazione centrale e si rafforzano invece i poli localistici e periferici. Le linee di comunicazione vengono interrotte: le città si spopolano e le strade si degradano rapidamente. La popolazione si disperde nelle campagne dove è più facile sopravvivere e far fronte alle invasioni dei popoli del Nord e Centro Europa che si spostano verso sul e verso ovest. Anche le vie del mare diventano insicure perché il Mediterraneo dall’ VIII al XII è dominato dagli Arabi che avevano conquistato il Nord Africa, la Sicilia e quasi tutta la Spagna ed è infestato di pirati saraceni. I fili che uniscono Oriente e Occidente diventano sempre più fragili. La risposta a questi processi è il feudalesimo, che rappresenta un ripiegamento della società sulla dimensione localistica. Del feudalesimo prendiamo in considerazione solo la vicenda dell’Europa occidentale, anche se si è sviluppato anche in Asia e due aspetti: la struttura sociale del feudo, che ha prevalso nell’alto Medioevo, e la rinascita urbana che ha caratterizzato il feudalesimo europeo dall’XI secolo in avanti. 6.2 IL FEUDO COME UNITA’ (QUASI) AUTOSUFFICIENTE Il feudo è un’unità territoriale sulla quale il governa un signore feudale, il feudatario. Vi è tutta una catena gerarchica di obblighi reciproci che lega il signore territoriale locale fino all’imperatore o al re. Il feudatario è generalmente un guerriero, il quale è tenuto a prestare in caso di necessità aiuto militare al signore dal quale ha ricevuto il feudo in concessione e a proteggere con le armi le sue terre da eventuali invasori. Le guerre locali sono un elemento permanente delle società feudali. Il frazionamento dei poteri genera ovunque instabilità. Il feudatario ha il potere di amministrare la giustizia e di richiedere prestazioni alla popolazione servile che vive sul suo territorio. La popolazione servile si divide in due categorie: i contadini, detti anche servi della gleba, e i servi domestici. Essi sono soggetti a prestazioni che possono assumere forme diverse: corveè in natura: devono consegnare al signore una parte del raccolto per i bisogni della sua corte, corveè in lavoro: devono lavorare i campi della tenuta signorile per un certo numero di giorni l’anno e in altri casi ancora devono pagare al signore un tributo in denaro. Quale sia la forma specifica che assume, il feudatario è tenuto a ricevere una “rendita fondiaria”, quindi ad appropriarsi del surplus di produzione agricola. In compenso i cittadini ottengono protezione, e talvolta ospitalità entro le mura del castello. Il castello è un vero e proprio borgo dove lavorano decine di servi artigiani e di altri lavoranti che provvedono, dietro il compenso della sussistenza, a tutte le necessità della popolazione non contadina del feudo. La distanza sociale tra signori/guerrieri e servi è molto grande, e impossibile il passaggio da una condizione all’altra. L’economia curtense è un’economia chiusa, nel senso che riesce a mantenersi in modo autosufficiente, riducendo al minimo gli scambi con l’esterno. 6.3 LA CITTA’ MEDIEVALE Gli storici fissano intorno all’anno 1000 d.C. gli inizi di un mutamento: la rinascita della vita cittadina. Gli artefici di questo processo sono gli “uomini nuovi” che si sottraggono agli obblighi servili, si contrappongono al potere dei feudatari e creano una forma di vita più libera e indipendente. La loro comparsa è legata alle trasformazioni economiche che hanno condotto alla diffusione dell’economia monetaria e dal mercato. Ai mercati locali affluiscono i contadini del contado per vendere le loro eccedenze agricole agli abitanti delle città e per comprare dagli stessi i prodotti artigianali che non possono produrre. Non vi è un mercato di dimensioni “nazionali” dove si forma un unico prezzo. I mercanto organizzano anche traffici di lunga distanza, si associano tra loro per armare una nave e ripartire i rischi del viaggio, organizzano le prime compagnie commerciali. A differenza della città antica o anche della corte feudale, dove mercanti e artigiani sono schiavi, servi o semi-contadini, nelle città medievali questi ceti lottano per ottenere una forte indipendenza. Si organizzano in corporazioni e in gilde per non farsi concorrenza tra di loro stipulando patti per difendere anche con le armi le loro liberà dai soprusi dei proprietari feudali e per governare autonomamente la città. Il modello della città medievale che si dota di proprie istituzioni e difende con successo le proprie libertà, sottraendosi alla rete degli obblighi feudali, non si afferma ovunque con la stessa intensità. LE ORIGINI DELLA SOCIETA’ MODERNA IN OCCIDENTE 2 LE TRASFORMAZIONI NELLA SFERA ECONOMICA: LA NASCITA DEL CAPITALISMO 2.1 IL CONCETTO DI CAPITALISMO Il concetto di “capitalismo” è stato formulato per la prima volta in modo compiuto da Karl Marx. Egli ha una concezione materialistica e dinamica della società. Egli sostiene che per capire una società bisogna innanzitutto rendersi conto di come in essa gli uomini provvedono a soddisfare i loro bisogni e di quali rapporti si instaurano tra essi nella sfera della produzione. Nella storia si sono succeduti diversi sistemi economici ognuno dei quali è caratterizzato da una combinazione tra forme di divisione del lavoro e competenze tecniche, da un lato, che Marx chiama “forze produttive”, e forme di proprietà e rapporti tra le classi, dall’altro, che chiama “rapporti sociali di produzione”. Si parla di “formazione sociale capitalistica” quando in una società è dominante il modo d produzione capitalistico. Il capitalismo è nato dalle contraddizioni interne al modo di produzione feudale. Il concetto di capitalismo dato da Werner Sombart: -è un’economia di scambio e in particolare monetaria, -oltre alle merci si scambiano prestazioni lavorative tra una classe capitalista e una di proletari, -l’orientamento è verso l’accumulazione del profitto come fine e il reinvestimento nell’ambito dell’impresa, -l’organizzazione della produzione e la gestione dell’impresa sono improntate a criteri di razionalità economica, mediante le applicazioni tecnologiche della scienza e l’uso di moderne procedure contabili. 2.2 LE TRASFORMAZIONI DELL’AGRICOLTURA L’agricoltura feudale è un’agricoltura estensiva, a basso livello produttivo e dove sono scarse le innovazioni produttive. Non sempre e non dappertutto l’intera superficie della terra utilizzabile era coltivata e regolata da rapporti di tipo feudale. Su molte terre (boschi e prati) i villaggi esercitavano diritti comuni di legnatico e di pascolo e questi usi contribuivano spesso a mantenere precario l’equilibrio tra bisogni e risorse della popolazione contadina. Marx descrive questo processo nel Capitale dell’espulsione dei contadini dalla terra. In Inghilterra i protagonisti di questo processo sono 2 classi: • la piccola nobiltà terriera (la gentry) • i contadini benestanti (gli yeomen); sono costoro che si trasformano in capitalisti agrari, acquistano o affittano le terre abbandonate dai contadini poveri e trasformano una parte di questi in salariati agricoli (in Italia si chiamano braccianti. I capitalisti agrari a differenza dei signori feudali, hanno tutto l’interesse a introdurre innovazioni nella coltivazione e nell’allevamento per aumentarne la produttività e quindi accrescere i profitti. Nasce l’agricoltura moderna. 2.3 IL RUOLO DELLE ATTIVITA’ MERCANTILI Sul ruolo del commercio nella transazione dal feudalesimo al capitalismo si è aperto un dibattito tra gli storici. Da un lato coloro che hanno visto nella formazione del ceto mercantile e nella creazione di un mercato di dimensioni mondiali il vero fatto della dissoluzione dei rapporti economici feudali; dall’altro vi sono coloro che rifacendosi a Marx sostengono che le attività mercantili sono invece compatibili con un’economia feudale. Per risolvere queste controversie bisogna analizzare i concreti casi storici. Non c’è dubbio che spesso il capitalismo mercantile ha preceduto e creato le condizioni per il capitalismo industriale, mentre in altri casi non è avvenuto. In Italia, invece, lo sviluppo del capitalismo mercantile non ha trascinato con se un analogo sviluppo nell’ambito della agricola e industriale. Diversa è invece, 2-3 sec. più tardi, la penetrazione del capitale mercantile nelle attività industriali nelle regioni dell’Inghilterra e dell’Europa settentrionale. Il sistema del “ lavoro a domicilio” costituisce un’importante forma di transizione all’impresa capitalistica. Il mercante girava per i villaggi d campagna dove si cominciava ad accumulare una popolazione eccedente i bisogni di mano d’opera dell’agricoltura; portava con se un carico di materie prime e qualche attrezzo. 2.4 LA TRASFORMAZIONE DELL’ARTIGIANATO ▲ In campo politico si ha il riconoscimento del diritto di associarsi, di esprimere le proprie opinioni e di partecipare attraverso propri rappresentanti al controllo e all’esercizio del potere di governo. I valori di uguaglianza e libertà sono alla base dell’affermazione del valore dell’individuo. L’idea moderna del “diritto naturale” e l’idea di “contratto sociale” sono i fondamenti filosofico-politici dell’individualismo moderno. 4.2 IL RAZIONALISMO Accanto all’individualismo, anche il razionalismo è una componente essenziale della modernità. Le sue origini derivano dall’incontro di due componenti culturali: le religioni monoteiste ebraico-cristiane che hanno segnato il distacco dalla magia, e la cultura filosofica e giuridica greco-romana che ha posto le basi di una concezione “mondana” della società e dello stato. E solo con l’avvento della società moderna che la “ragione” diventa valore sociale dominante. L’uomo viene concepito come un essere dotato della facoltà di procedere alla scoperta delle verità e di trovare in se stesso il centro di orientamento del suo agire. Alla fede si sostituisce la ragione. La ragione diventa una “potenze rivoluzionaria”, capace di liberare gli uomini dall’errore, dalla superstizione e dalla sottomissione ai poteri tradizionali della chiesa e dell’aristocrazia. Le scienze sociali si occupano di razionalizzazione e di razionalità, dove per razionalizzazione si intende un processo storico che investe e trasforma gli ordinamenti sociali, e per razionalità si intende un attributo specifico dell’azione umana. Il processo di razionalizzazione è stato l’oggetto principale di studio di Weber. LA TRAMA DEL TESSUTO SOCIALE FORME ELEMENTARI DI INTERAZIONE 2 AZIONE, RELAZIONE, INTERAZIONE SOCIALE La società è fatta di individui che si influenzano reciprocamente. L’azione sociale è un primo concetto di base della sociologia. Secondo Weber per azione sociale si intende un agire che sia riferito - secondo il suo senso, intenzionato dall’agente o dagli agenti - al comportamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo. Per agire si intende un fare, ma anche tralasciare o un subire; per senso vale a dire al significato intenzionale che l’attore da al proprio comportamento. Con riferimento al senso, Weber sviluppa una tipologia dell’azione sociale: 1) azioni razionali rispetto allo scopo; 2) azioni razionali rispetto al valore; 3) azioni determinata affettivamente 4) azioni tradizionali. Molto raramente un comportamento concreto può essere classificato solo con riferimento a una delle categorie indicate. Naturalmente la tipologia non spiega i comportamenti delle persone. È però uno strumento molto utile per impostare problemi di analisi. Sino a prova contraria l’uomo si comporta in modo razionale; in secondo luogo emerge che la razionalità dell’azione è relativa alla situazione nella quale gli individui si trovano. Infine, se bisogna tener conto del “senso” dato dagli attori dell’azione, ne deriva che la situazione alla quale fare riferimento per classificarla è quella che gli attori definiscono, data la conoscenza che ne hanno è il punto di vista che adottano. Es. se scoppia la guerra tra due paesi, ma la notizia non arriva su un’isola che fa parte di uno dei due, i suoi abitanti continueranno a comportarsi per un certo periodo come se fossero in pace. La necessità di tener conto della definizione della situazione da parte degli attori è espressa, in sociologia, dal teorema di Thomas: “una situazione definita dagli attori come reale, diventa reale nelle sue conseguenze”. Se invece l’attenzione è posta su due o più attori, anziché su uno solo, s individuano altre unità elementari dell’analisi sociologica: la relazione e l’interazione sociale. Due o più individui che orientano reciprocamente le loro azioni stabiliscono una relazione sociale. Queste possono essere stabili e profonde, come nel caso tra genitori e figli, ma anche transitorie e superficiali, come persone che frequentano lo stesso bar e hanno preso l’abitudine di farsi un cenno di saluto quando si incontrano. Le relazioni sono spesso cooperative, ma anche il conflitto. L’interazione sociale è il processo secondo il quale due o più persone in relazione tra loro agiscono reagendo alle azioni degli altri. Con l’interazione si realizza, si riproduce e cambia nel tempo il contenuto di una relazione. Da questo punto di vista la relazione è la base o il supporto dell’interazione, ma si può avere un’interazione anche tra due persone che si incrociano per strada e che non si vedranno più. I processi di interazione hanno un’importanza particolare nella strutturazione della società e sono gli elementi di base per la definizione dei gruppi. 3 GRUPPI SOCIALI E LE LORO PROPRIETA’ Gruppo sociale è un insieme di persone fra loro in interazione con continuità secondo schemi relativamente stabili, le quali si definiscono membri del gruppo e sono definite come tali da altri. Lo schema di interazione deve svolgersi sulla base di relazioni cooperative perché una relazione puramente conflittuale non da luogo a un gruppo. Una categoria o classe sociale non sono considerati come gruppo. L’appartenenza a una categoria o a una classe può però essere la base per la formazione di gruppi di vario genere. Indipendentemente dall’infinita varietà degli scopi che i gruppi si pongono e dell’ambito istituzionale nel quale hanno le loro radici, nella politica piuttosto che nella cultura o nell’economia, essi possono essere osservati e studiati in quanto gruppi. 3.1 PROPRIETA’ RELATIVE ALLE DIMENSIONI I caratteri dei gruppi cambiano con la loro dimensione. La base della differenza si trova nel fatto che l’interazione può essere diretta, faccia a faccia, come nel caso della famiglia, oppure in parte diretta e in parte indiretta, come ad es in un’azienda. La differenza tra diretta e indiretta è collegata al modo in cui nei due casi gli attori comunicano tra di loro. Si possono trovare proprietà di gruppi di dimensioni determinate. È il caso delle diadi e delle triadi, studiate da Simmel. Un gruppo di due persone, una diade, ha una caratteristica che nessun altro gruppo ha: se un membro decide di uscire dalla relazione il gruppo scompare. Le triadi producono le seguenti forme tipiche di interazione, impossibili in una relazione a due. La configurazione detta del mediatore si ha quando un terzo non direttamente coinvolto nella disputa, dialogando separatamente, in condizioni meno cariche di emotività e con argomenti più razionali, è in grado di convincere gli altri a un accordo. Nello schema del tertius gaudens, il terzo approfitta per i propri scopi di una divergenza tra gli altri, secondo due schemi principali: due in conflitto cercano l’alleanza del terzo, oppure due cercano di ottenere il favore del terzo entrando in competizione tra di loro. Lo studio sperimentale dei piccoli gruppi di dimensione superiore a tre ha messo in luce altre proprietà. In generale, e a parità di altre condizioni, i gruppi con un numero pari di componenti mostrano maggiori tassi di disaccordo e antagonismo rispetto ai gruppi con componenti dispari, in conseguenza della possibilità nei primi del formarsi di due sottogruppi di uguali dimensioni. Nei gruppi di cinque persone si registra il massimo di soddisfazione dei membri. 3.2 PROPRIETA’ RELATIVE AI CONFINI I criteri di appartenenza ad un gruppo possono essere più o meno chiari e definiti. I gruppi formali prevedono regole precise sui requisiti, sulle procedure per l’ammissione e sui comportamenti da tenere per continuare a fare parte del gruppo: es azienda. Questi criteri sono taciti nei gruppi informali, come un gruppo di amici. Si riscontra una singolare proprietà dei gruppi informali per cui confini non ben definiti sono spesso una condizione importante della loro stabilità: per un certo periodo, alcuni possono non frequentare il gruppo, ma se non vengono formalmente espulsi è possibile una facile ripresa della partecipazione in circostanze mutate. più in generale la definizione dei confini di un gruppo è sempre relativa alla situazione. Un carattere importante del gruppo è il suo grado di completezza. Questo si riferisce al rapporto fra membri che fanno effettivamente parte del gruppo e persone che hanno i requisiti richiesti per l’appartenenza. A parità di altre condizioni un grado crescente di completezza tende ad aumentare la capacità d influenza sociale del gruppo. La definizione di un gruppo definisce anche categorie diverse di non appartenenti. Merton ha proposto una tipologia di non membri costruita in riferimento al possesso o meno dei requisiti di appartenenza e a diversi atteggiamenti nei confronti dell’appartenenza al gruppo. La non appartenenza può anche essere vista in una prospettiva temporale. In tal caso si distinguono gli ex membri, dai non membri. 3.3 PROPRIETA’ STRUTTURALI I gruppi hanno delle strutture che possono essere osservate. Il termine ruolo è usato per indicare l’insieme dei comportamenti che in un gruppo tipicamente ci si aspetta da una persona che del gruppo fa parte. Il contenuto di questi ruolo cambia da cultura a cultura, da un’epoca all’altra, ma resta il fatto che nella famiglia è individuabile un insieme di ruoli tipici. Un altro modo per dire che i ruoli sono comportamenti attesi, è che esistono norme di comportamento che valgono per i membri del gruppo e che regolano i loro rapporti. All’interno di un gruppo i ruoli sono differenziati. Rilevare un insieme di ruoli differenziati, relativamente stabili e fra loro collegati, è il modo più semplice di descrivere la struttura di un gruppo. In un gruppo grande è elevata la differenziazione dei ruoli, ma non necessariamente, perché la differenziazione dipende anche dalla densità sociale, vale a dire dalla concentrazione spaziale delle persone e dal volume delle loro interazioni: quanto più aumentano le dimensioni e la densità sociale tanto più è probabile riscontrare una differenziazione dei ruoli. I ruoli sono poco differenziati in un gruppo di collezionisti che si scambiano francobolli. Durkheim distingue tra ▲ società segmentali, nelle quali gli individui hanno ruoli simili ▲ società a divisione del lavoro, quali le moderne società industriali. Ci sono due tipi di ruoli: ▲ specifico, è il ruolo che riguarda un insieme di comportamenti limitato e precisato, ad es un operaio addetto alla catena di montaggio; ▲ diffuso, un ruolo in cui i comportamenti attesi sono un insieme più ampio e meno definito, ad es quello di madre. Un individuo ha deversi ruoli: figlio, operaio, iscritto ad un partito, membro di un’associazione. Considerando che la società è fatta di individui può essere vista come il prodotto di una miriade di azioni di persone in interazione fra loro. Guardare alle azioni e alle interazioni dirette delle persone è, in un certo senso, come osservare la società al microscopio. 6.1 LE RETI La netwoek analysis è un campo di ricerca che considera con apposite tecniche e in riferimento a proprietà via via messe in luce, le reti di relazioni tra le persone. Le reti possone essere “a maglia larga” o a “maglia stretta”. Una rete è a maglia tanto più stretta quanto più le persone che un individuo conosce si conoscono anche fra loro. Gli abitanti di una grande città hanno in genere reti più larghe. I legami tra le persone collegate nelle reti variano per intensità, durata, frequenza, contenuto. Una situazione particolare è quella di chi appartiene a due reti collegate tra loro solo attraverso la sua persona. Es un immigrato. Una configurazione di rete simile si osserva anche in riferimento a una fase del ciclo della vita: i ragazzi che crescono tendono a tenere separata la rete familiare e la rete delle nuove esperienza; con il tempo le due reti tendono a collegarsi. In generale, la network analysis può essere uno strumento flessibile, che ci permette di vedere l’individuo mentre reagisce alle situazioni in cui si trova e combina le sue relazioni in funzione di proprie strategie. Il concetto di “rete”, riferito a un individuo, sembra vicino a quello di “ruolo”. 6.3 RAPPRESENAZIONI DI SE E RELAZIONI IN PUBBLICO Lo studio dell’interpretazione diretta faccia a faccia ha condotta a risultati sorprendenti, a partire dai lavori del sociologo canadese Erwing Goffman. Egli si concentra a sviluppare una sociologia della vita quotidiana, del comune comportamento e delle sue regole. Si tratta di quel tipo di interazione che “comporta un breve periodo di tempo, una limitata estensione di spazio e abbraccia quegli eventi che, una volta iniziati, debbono arrivare a conclusione. L’argomento è costituito da quella classe di eventi che si verificano durante una compresenza e per virtù di una compresenza”. Continuamento comunichiamo con gli altri non solo a parole o a gesti, ma con il modo in cui ci vestiamo o con gli oggetti che adoperiamo. Gli altri hanno bisogno di informazioni su di noi e noi trasmettiamo immagini di noi stessi, ricevendone altre in cambio. Usando la metafora del teatro Goffman descrive appunto un gioco che si svolge su una scena, dove gli attori (compagnia) cerano di controllare idee che gli altri (pubblico) si fanno di loro, per presentarsi nella miglior luce possibile e in un modo che sia credibile. Esistono luoghi di ribalta dove ci si deve vestire e comportare con certe formalità, e luoghi di retroscena dove ci si può rilassare: scambiare gli uni con gli altri può aver conseguenza disastrose per una relazione sociale. Nella rappresentazione i rapporti tra attori e pubblico possono essere anche diversi da quelli che sembrano. Goffman parla al riguardo di ruoli incongruenti. Il delatore è chi finge presso gli attori di essere un membro della compagnia, avendo così accesso al retroscena e riportando informazioni riservate al pubblico; il compare è chi segretamente si accorda con gli attori e si mescola fra il pubblico per orientarlo; lo spettatore puro è un professionista riconosciuto come spettatore qualificato: ad es un critico teatrale; l’intermediario appartiene a due compagnie che sono l’una il pubblico dell’altra e può mettere an atto giochi di triade; la non persona è chi, pur essendo presente, non fa parte della rappresentazione e viene ignorata: il conducente del taxi, ad es. esistono regole di etichetta e rituali con i quali si sperimenta l’accesso agli altri e si misurano le possibilità e i limiti di un reciproco coinvolgimento. Anche la più anonima e fugace delle relazioni, un incontro con un estraneo per strada, è già un’interazione molto complicata, sella quale si scambiano molti messaggi: è un tipo di rituale che Goffman chiama “disattenzione civile”. 7 IL CAPITALE SOCIALE L’organizzazione sociale è come gli individui hanno imparato a coordinare stabilmente le loro interazioni, creando apposite strutture artificiali nelle quali cooperare, con risultati complessivi. Spesso si tratta di grandi gruppi, nei quali gran parte dell’interazione è a distanza, fra individui che neanche si conoscono. Tuttavia, è necessario chiarire che l’organizzazione sociale non riguarda solo i gruppi formali, bensì anche quei tipi di relazioni e interazioni che abbiamo chiamato il “tessuto intimo della società”. Capitale sociale è un concetto entrato di recente nel vocabolario sociologico che ci permette di capire il problema complesso dell’organizzazione sociale. Il capitale sociale è il patrimonio di relazioni di cui dispone una persona e che questa può dunque impiegare per i suoi scopi. I GRUPPI ORGANIZZATI: ASSOCIAZIONI E ORGANIZZAZIONI 1 QUESTIONI DI DEFINIZIONI Nella società moderna sono molto diffuse le associazioni e le organizzazioni. In entrambi i casi si tratta di gruppi progettati per raggiungere alcuni limitati scopi, basati su regolamenti chiaramente stabiliti , al contrario dei piccoli gruppi informali come un gruppo di amici. Si tratta di gruppi secondari formali. Partiamo dall’uso delle due parole nel linguaggio corrente. Con “organizzazione” indichiamo un’azienda di produzione, un ministero, un ospedale, una università, un negozio, una prigione,… con “associazione” indichiamo un cineclub, un partito, un sindacato, i boy-scout, i donatori di sangue,… in comune le associazioni hanno il motivo per cui le persone partecipano al gruppo e si adattano alle sue regole. Nelle associazioni questo avviene perché se ne condividono i fini, sentendoli come propri, da momento che corrispondono a propri ideali o interessi. Un insieme di persone che ritiene di avere interessi o ideali simili può dar vita a un’associazione per difenderli o realizzarli insieme. . Ma chi assume questi compiti è innanzitutto un socio, alla pari con gli altri. Può però anche succedere che le necessità dell’associazione richiedano che si costituisca un ufficio stabile per quei compiti, assumendo persone pagato perché li svolgano, secondo certe procedure stabilite, con capacità professionali per farlo, rispondendo agli ordini di un responsabile. Noi chiamiamo questo ufficio un’ organizzazione. Al contrario delle associazioni, nelle organizzazioni partecipare è un lavoro, remunerato di solito in denaro. Il motivo della partecipazione è strumentale, e solo in certi casi o in parte può verificarsi anche un’identificazione più o meno sentita coi fini dell’organizzazione. Nelle organizzazioni, al contrario delle associazioni, i ruoli vengono prima e sono più importanti delle singole persone che si uniscono al gruppo. I sociologi americani, non considerano oggi tra le associazioni i sindacati e i partiti. In realtà non è facile arrivare a distinguere in modo veramente soddisfacente le organizzazioni dalle associazioni. Entrambe hanno comunque in comune il fatto di essere degli attori artificiali costruiti per raggiungere obiettivi che le persone reali da sole non potrebbero raggiungere. Questi attori artificiali, una volta costituiti, cominciano ad avere una vita propria: di un’associazione o un’organizzazione diciamo che ha degli scopi, possiede un patrimonio, ha una sede e prende determinate decisioni. Siccome queste decisioni sono prese dal gruppo che le compongono, questo è anche definito un attore collettivo. 2 LE ASSOCIAZIONI Lo studio delle associazioni ha radici nell’opera di Tocqueville che studiò le conseguenze per l’organizzazione politica dalla fine dell’Antico regime ad opera della rivoluzione francese. Il suo primo importante lavoro: la democrazia in America, dedicato a un paese nuovo, nato senza re e senza nobili. Una differenza con l’Europa che lo colpì fu la diffusa presenza in America di associazioni volontarie, gli americani imparano da piccoli che bisogna contare su se stessi, e che ci si appoggia all’autorità pubblica solo quando è indispensabile. Da questo spirito nasce una spinta ad associarsi per i fini più diversi . Per lui le associazioni erano considerate un segno di vitalità della società e un antidoto contro un pericolo interno alla democrazia: gli individui resi uguali con l’abolizione dei vecchi legami erano deboli nei confronti di uno stato che ha accentrato i poteri di controllo. Lasciati da soli di fronte allo stato, gli individui rischiano di diventare soggetti a un potere senza controllo. In tale prospettiva le associazioni politiche acquistano un’importanza particolare. Il punto significativo per noi è che Tocqueville cerca di individuare uno spazio che le libere associazioni occupano facendosi largo fra le istituzioni portanti della società: fra lo stato e la famiglia. Per indicare questo spazio egli usa l’espressione “società civile”. Di solito quando si parla di “associazioni” si intendono oggi le associazioni volontarie nel senso di Tocqueville. Nella società moderne la possibilità di associarsi è un diritto tutelato dalla legge. L’adesione ad associazioni tende ad aumentare all’aumentare del reddito e dell’istruzione. La diffusione dell’associazionismo contano molta cultura e storia. 3 IL MODELLO DELLA BUROCRAZIA Weber è considerato il punto di partenza per lo studio delle organizzazioni. Il termine che Weber usa per definire la forma moderna di organizzazione è burocrazia. La parola burocrazia richiama alla mente l’organizzazione pubblica, ma secondo Weber non esistono differenze significative fra questa e le tendenze di organizzazione in altri ambiti della società. Per Weber i principali caratteri distintivi della burocrazia sono: • Una divisione stabile e specializzata dei compiti , studiate esclusivamente in vista degli scopi dell’organizzazione e stabilita da regole che prescrivono come comportarsi a seconda delle situazioni; • Una precisa struttura gerarchica ed è strettamente previsto il tipo di ordini che possono dare e ricevere, oltre ai quali non si può andare; insieme ai poteri di dare ordini competono anche i poteri di controllo sulla loro esecuzione; • Competenza specializzata per ogni posizione; • Remunerazione in denaro in modi previsti per una certa posizione, pagata dall’organizzazione e mai dai clienti di questa; nessuna possibilità di appropriarsi del posto definitivamente, di cederlo ad altri o passarlo in eserdità. Spesso la burocrazia non è efficace e neppure efficiente. I sociologi usano i termini efficacia per indicare la capacità di un’azione di raggiungere i risultati che si propone, ed efficienza per valutare il dispendio di risorse impiegate per ottenere i risultati. 4 PERCHE’ SPESSO LA BUROCRAZIA E’ INEFFICIENTE? Ciò che vogliamo capire sono le ragioni delle conseguenze inattese dovute alla natura stessa dell’organizzazione. 4.1 IL FORMALISMO BUROCRATICO I sociologi hanno costruito modelli teorici di spiegazione. Analizziamone due. Il primo è di Merton. La burocrazia richiede regole generali e chiaramente definite. Tutto nell’organizzazione è previsto perché i rapporti siano i più impersonali possibili, al fine di eliminare ostilità o favoritismi, complicazioni affettive, ansietà. In altre parole, “la struttura burocratica esercita una pressione costante sul funzionario affinchè sia metodico, producente, disciplinato”. In tali condizioni chi lavora nell’organizzazione tende a sviluppare una caratteristica deformazione professionale: i regolamenti diventano per lui dei fini in se stessi; seguire con precisione e con scrupolo le regole diventa più importante e più gratificante che ottenere i risultati. La conformità al regolamento finisce per dar luogo nella pratica a pignoleria e formalismo, vale a dire a “una aderenza puntigliosa alle regole formali”. Atteggiamenti di questo genere ostacolano in particolare la 1 CHE COSA SONO I VALORI? Il concetto di valore assume significati diversi a seconda dell’uso che se ne fa. Nel linguaggio comune si parla di valore sia per indicare qualcosa che non appartiene al mondo delle cose reali ma alla sfera degli ideali e dei desideri, sia per indicare qualcosa di reale di cui si teme la perdita. Anche in sociologia valore assume una pluralità di significati, a seconda dello statuto che le varie teorie assegnano alla categoria dei valori. Le caratteristiche più frequenti nell’uso che i sociologi fanno di questa categoria concettuale sono: • i valori appaiono come orientamenti dai quali discendono i fini delle azioni umane. Valori e fini, o mete e scopi sono legati come in una catena: i valori sono i fini ultimi dell’azione, per realizzare i quali gli esseri umani devono perseguire dei fini di ordine inferiore che a loro volta sono nello stesso tempo fini e mezzi; • i valori, se non riguardano qualcosa che si ha e si teme di perdere, sono sempre trascendenti rispetto all’esistente, indicano cioè un dover essere che va al di la dell’essere, una tensione verso ideali o cose desiderabili ma che non è ancora realizzato. L’orizzonte in cui si collocano i valori può essere sia terreno che ultraterreno; • per lo scienziato sociale i valori esistono come fatti sociali in quanto vengono fatti propri da individui o gruppi sociali i quali orientano in base ad essi il loro agire. In questo senso i valori diventano forze operanti poiché forniscono le motivazioni dei comportamenti. • I valori vengono fatti propri da individui e gruppi mediante processi di scelta . In questo senso sono sempre soggettivi in quanto esistono perché vi sono dei soggetti che li scelgono, ma anche oggettivi poiché le costellazioni di valori sono prodotte da dinamiche sociali di lungo periodo riconducibili all’intreccio dell’agire di una pluralità di soggetti. 1. VALORI UNIVERSALI E VALORI PARTICOLARI In un passo de L’ideologia tedesca Marx afferma che i valori dominanti di una società sono i valori della classe dominante. Questa affermazione stabilisce un collegamento tra “dominio” economico-sociale-politico e “dominio culturale” e apre la strada alla considerazione dei “valori” in termini di “ideologia”: se i valori dominanti sono quelli della classe dominante, vuol dire che essi vengono fatti propri anche dalle classi dominate. Queste, se non interviene un movimento rivoluzionario, ad interpretare il mondo non alla luce dei propri valori e interessi, ma alla luce dei valori e degli interessi di coloro che li opprimono. In sostanza la classe dominante esercita un’egemonia culturale sulle altre classi e quindi sull’intera società. L’affermazione di Marx presenta un limite, in quanto sembra escludere la possibilità di valori “universalmente” condivisi, nell’ambito di una cultura e di un’epoca, che non siano semplicemente riconducibili ai rapporti di dominio tra le classi. Si può invece dire che tali valori esistono e che sono prodotti nell’ambito di processi storici di lungo periodo e che sono l’esito della lotta tra classi, gruppi di interessi, stati,… di tali valori universalmente condivisi si possono dare diverse interpretazioni; esempi: valore della pace, al quale corrispondono valori della reciprocità e del rispetto, la svalutazione della violenza. Ciò non vuol dire che l’affermazione della forza e della violenza siano scomparse nei rapporti tra le persone, ma solo che incontrano una crescente disapprovazione sociale. Altri sono il valore della vita, della libertà, uguaglianza, dignità, persona umana,… quando un valore diventa universale aumenta la sensibilità degli esseri umani alle situazioni nelle quali viene negato. In altri termini, i valori universali sono quelli nei quali una civiltà si riconosce e chi non li accetta si mette ipso facto al di fuori di quella civiltà; sono i valori che presidiano i confini del vivere civile, definiscono la natura del “patto sociale”. L’affermazione di questi valori non ha nulla di irreversibile, di pacifico e graduale, non è il risultato di processi evolutivi, ma il risultato di processi di lungo periodo. Un apio catalogo dei valori universali è alla base della Dichiarazione universale dei diritti umani firmata nel 1948 promossa dalle Nazioni Unite, nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea compresa nel Trattato costituzionale firmato nel 2004. Vi sono poi valori che godono di un grado di condivisione maggiore di altri. Più una società è differenziata e più sono i gruppi portatori di interessi e valori diversi. Si pone quindi il problema dell’integrazione, o meno, delle costellazioni di valori. 2. INTEGRAZIONE E DISINTEGRAZIONE NELLA SFERA DEI VALORI Noi viviamo in una società e epoca caratterizzata dal pluralismo dei valori. Ciò era vero anche nelle società del passato, ma non nella stessa misura. È importante analizzare se e come diversi valori stiamo insieme, cioè facciano parte di un medesimo ordinamento. I valori sono organizzati per ordinamenti gerarchici di superiorità/inferiorità, secondo una struttura a grappolo o ad albero rovesciato. In questo caso possiamo parlare di “sistemi di valori”. In ogni società e epoca vi può essere un unico sistema di valori imperante e dominante, oppure ve ne possono essere vari in irrimediabile conflitto tra loro, oppure diversi sistemi possono coesistere pacificamente l’uno accanto all’altro,… Le società umane prestano gradi diversi di integrazione dei valori in sistemi di valori e il grado di integrazione può cambiare nel tempo. 2 ORIZZONTE TEMPORALE E MUTAMENTO NELLA SFERA DEI VALORI Nella civiltà occidentale, influenzata dalla tradizione ebraico-cristiana il tempo/luogo della realizzazione dei valori ultimi è sempre collocato in un futuro remoto. Per il popolo ebraico si tratta di attendere l’arrivo del Salvatore, per la cristianità di attendere la morte per ognuno di noi e il giorno del giudizio per l’umanità intera. Il luogo e tempo è nell’oltretomba. Questo meccanismo che rimanda ad un domani spostato in un futuro remoto il raggiungimento del valore ultimo della verità ha profondamente influenzato tutte quelle forme di pensiero che si fondano su una filosofia della storia, sull’idea cioè che la storia abbia non solo una fine, ma anche un fine. Ciò vale anche per il marxismo, perché la realizzazione della società senza classi, e quindi del valore dell’uguaglianza tra uomini, è spostata nel tempo in un imprecisato futuro e richiede oggi il sacrificio di intere generazioni a beneficio delle generazioni future. Questo meccanismo di differimento riguarda anche a livello di comportamenti individuali, il meccanismo fondamentale del “differimento delle gratificazioni” che pone invariabilmente l’agire dell’oggi al servizio del risultato che si realizzerà solo domani. Es l’imprenditore che non consuma risparmia per investire e per avere in futuro maggiori profitti. Il processo di secolarizzazione che ha fortemente indebolito l’ancoraggio dei sistemi di valori nelle credenze religiose, nonché il declino delle grandi costruzioni ideologiche hanno indotto alcuni a parlare di “morte dei valori”. Antichi valori permangono accanto a nuovi valori emergenti, la dinamica della sfera dei valori è continuamente alimentata da nuovi movimenti sociali. Accade spesso che le società si rendano conto che qualche cosa è dotato di valore solo quando la sua esistenza appare minacciata. In conclusione si possono formulare le seguenti ipotesi per lo studio del mutamento dei valori nella società contemporanea: • Nelle società avanzate e moderne, rispetto al passato anche recente, si sia allargato il “grappolo” dei valori universali, vale a dire dei valori che sono condivisi dalla grande maggioranza della popolazione; • I sistemi di valori si frammentano, perdendo il riferimento a “valori ultimi”, ma al loro posto si creano intorno a nuovi valori aree di micro-solidarietà a livello di vita quotidiana e di macro- solidarietà a livello planetario; • Si assiste ad un processo di “presentificazione” dell’orizzonte di realizzazione dei valori in cui ogni individuo cerca di realizzare il proprio ideale di “vita buona” nell’arco della propria esistenza. 3 DAI VAORI ALLE NORME Spesso non si traccia una chiara distinzione tra “valori” e “norme”. Per alcuni le norme altro non sarebbero che specificazioni dei valori, prescrizioni per orientare le condotte alla luce dei valori . Es durante un compito in classe la norma che non bisogna copiare è il modo di rendere operativo l’interpretazione del valore dell’uguaglianza che dice che a ognuno deve essere dato in base ai suoi meriti e capacità. Alla stessa stregua la norma del “non rubare”, discerne dal valore della proprietà, “non uccidere” dal valore della vita, ecc. una norma ci direbbe concretamente cosa dobbiamo o non dobbiamo dare per realizzare un determinato valore, altro quindi non sarebbe che un valore ad un livello di astrazione inferiore. In altre parole, le norme sono quasi sempre interpretabili come mezzi che prescrivono o vietano dei comportamenti in vista di qualche fine/ valore e poiché il rapporto mezzi-fini può essere visto come una catena in cui ogni anello è nello stesso tempo mezzo rispetto a un fine superiore e fine rispetto ad un mezzo inferiore, norme e valori (fini) sembrano appartenere alla stessa categoria. Nonostante ciò è importate mantenere la distinzione analitica tra l’orizzonte dei valori e quello delle norme. Dal punto di vista dell’attore sociale le norme si presentano essenzialmente come dei vincoli che prescrivono o vietano certi comportamenti (obbligazioni) e che ne consentono altri (permissioni). Possiamo quindi intendere le norme come delle obbligazioni e i valori come delle guide capaci di orientare i comportamenti nell’ambito consentito dalle norme. 3.1 PERCHE’ SI SEGUONO LE NORME? Nella vita interagiamo continuamente con altri il cui comportamento ci risulta largamente prevedibile. Le aspettative che nutriamo nei confronti degli altri, e il contrario, sono all’origine di questa prevedibilità. Es regalo quando si invita un amico per cena. I comportamenti sono, sempre entro certi limiti, prevedibili perché seguono delle regolarità. Molte regolarità sono riconducibili ad abitudini quasi meccaniche o dipendono dal conformismo. A noi interessano quelle regolarità di comportamento che dipendono dal fatto che seguiamo una norma o una regola sociale. A differenza delle abitudini, del conformismo o delle norme tecniche, le norme sociali sono tali in quanto i comportamenti che da essa si scostano incontrano invariabilmente qualche forma id sanzione. Le sanzioni possono assumere le forme più diverse. Per semplicità consideriamo solo quelle negative. Se dovesse solo dipendere dal rischio in incorrere in sanzioni esterne, la deviazione dalle norme sociali sarebbe assai più frequente di quanto di fatto non sia. Ad es quando uno cammina in un parlo evita di calpestare le aiuole anche se non ci sono vigili, pagare tasse, semafori per strada,.. le sanzioni esterne sono in molti casi un deterrente abbastanza efficace per indurre le persone a non deviare dalle norme sociali. Ma la probabilità che alla deviazione da una norma scatti immediatamente una sanzione è spesso assai scarsa. Es salumiere che imbroglia con la bilancia. In effetti, il “tribunale interno”, che giudica le nostre azioni e ci fa sentire in colpa quando deviamo da una norma sociale, è spesso assai più efficace di qualsiasi sanzione esterna. Perché il tribunale interno funzioni è necessario che le norme sociali siano state fatte proprie dall’individuo, siano state cioè interiorizzate e quindi trasformate in norme morali. L’interiorizzazione delle norme avviene nel corso del processo di socializzazione e dipende dall’istruzione. Non tutte le culture e non tutti gli individui interiorizzano le stesse norme allo stesso modo. Es bacio in luogo pubblico nelle diverse culture. Certe norme, inoltre, vengono interiorizzate in modo molto più debole di altre, es evasione fiscale o codice strada. Si può dire che più basso è il grado di interiorizzazione di una norma, e quindi il livello delle sanzioni interne, e più affidamento si deve fare sulle sanzioni esterne per fare in modo che la norma venga rispettata. Le sanzioni esterne o interne, come dice Elster sono il cartellino del prezzo che dobbiamo pagare per ogni trasgressione. Accade anche che gli esseri umani trasgrediscano a norme e regole anche se le hanno ben interiorizzate, es fumare. Quando qualcuno sa bene cosa non deve fare e lo fa lo stesso si parla di “debolezza della volontà”. 3.2 TIPI DI NORME Alcuni tra i più importanti criteri di classificazione: Si parla di “istituzioni totali” per indicare che esse restringono, fino quasi ad annullarli, i gradi di libertà degli individui coinvolti. Es le prigioni. La tappa decisiva del processo di istituzionalizzazione è quella delle prime fasi dell’esistenza dell’istituzione. Anche se di molte istituzioni non è possibile determinarne la nascita perché sono sorte come effetto emergente dell’intreccio delle interazioni umane. Altre invece sono il prodotto dell’azione di movimenti sociali che si pongono degli obiettivi e mobilitano delle risorse per conseguirli. Se il movimento non riesce a trasformarsi in istituzione è inevitabilmente destinato a scomparire. Il passaggio da una fase all’altra ha attirato l’attenzione di molti scienziati sociali; Max Weber in particolare ha analizzato il problema delle “trasformazioni del carisma in pratica quotidiana”, problema che si pone nel passare da un movimento religioso alla forma della chiesa o della setta, oppure da un movimento politico alla forma del partito politico. È lo stesso problema in cui si trovano i leader di una rivoluzione vittoriosa quando devono passare dalla fase della lotta rivoluzionaria alla fase della gestione del potere conquistato. 2. I TIPI DI ISTITUZIONI Il concetto di istituzione nelle scienze sociali si colloca ad un livello molto elevato di generalizzazione e quindi è applicabile ad una categoria molto ampia di fenomeni. Per fare una classificazione è necessario disporre di un criterio, cioè un modello teorico di riferimento. Abbiamo già visto che un criterio possibile riguarda il loro diverso grado di istituzionalizzazione, un secondo criterio fa riferimento alle forme organizzative nelle quali un’istituzione può esprimersi, al grado di articolazione e differenziazione delle stesse, alla definizione dei ruoli al proprio interno e in relazione agli scambi con l’ambiente. Un altro criterio di classificazione riguarda la frequenza con la quale certe istituzioni compaiono in società diverse. Infatti ogni società ha istituzioni sociali, cioè regole che guidano i comportamenti dei membri; ma alcune istituzioni sono riscontrabili in tutto (o quasi) le società. Queste istituzioni sono chiamate universali culturali. Claude Lèvi-Strauss ad es sostiene che una delle prime istituzioni sociali è stata il tabù dell’incesto. Anche il linguaggio, la religione, l’arte, il gioco, lo scambio di domi e altri sono considerati da molti antropologi degli universali culturali. È chiaro, tuttavia, che la grande variabilità delle forme con le quali questi tratti compaiono nelle diverse società riduce molto il loro carattere di universalità. le funzioni che le istituzioni svolgono costituiscono un altro importante criterio per classificarle. Adottando un approccio funzionalista possiamo dire che ogni sistema sociale per esistere deve soddisfare 4 requisiti fondamentali: 1) formulare dei fini; 2) adattare i mezzi ai fini; 3) regolare le transazioni tra le sue parti; 4)mantenere nel tempo i propri orientamenti di fondo. Dalle prime lettere dei termini inglesi che designano questi quattro requisiti, il modello ha preso il nome di agil (adaptation, goal attainment, integration, latency). Al primo requisito corrisponde la funzione economica, al secondo la funzione politica, al terzo la funzione normativa, al quarto la funzione di riproduzione biologica e culturale. Alle varie funzioni corrispondono istituzioni diverse, anche se molte istituzioni svolgono una pluralità di funzioni. 5.3 IL CICLO DI VITA DELLE ISTITUZIONI Una caratteristica importante è la loro durata temporale. Le istituzioni sono soggette a nascere e a scomparire; tuttavia il loro ciclo di vita è in genere notevolmente più lungo di quello degli individui. Simmel è l’autore che ha sottolineato l’importanza del fatto che istituzioni e individui si muovono su orizzonti temporali diversi. Questo processo fa parte del più generale processo di socializzazione. Le origini di molte istituzioni si perdono nella notte dei tempi e la loro morte non è in alcun modo prevedibili. Nella dinamica delle istituzioni si possono distinguere due tipi fondamentali di processo: da un lato le istituzioni nascono, si sviluppano e muoiono per effetto di processi spontanei, dall’altro lato, invece, tali eventi e processi sono imputabili alla volontà specifica di qualche attore. Da un lato abbiamo un approccio individualista, dall’altro di tipo istituzionalista. Per entrambe la dinamica risulta essere il risultato dell’agire degli uomini, ma mentre nel primo caso il risultato è l’effetto non intenzionale dell’agire (effetto di composizione o di effetto emergente), nel secondo caso le istituzioni risultano una vera e propria creazione di individui o gruppi concreti. Nel primo caso le istituzioni appaiono come forme organiche, nate e cresciute spontaneamente dalle quali è possibile scrivere la storia “naturale”, nel secondo caso la storia delle istituzioni rimanda all’azione di fondatori. La stesso istituzione può essere vista, in circostanze diverse, come effetto di processi spontanei o di azioni internazionali. Es il mercato. Lo stesso discorso fatto per le origini vale anche per gli altri eventi che segnano la vita delle istituzioni e, infine, anche per la loro morte. Le istituzioni possono scomparire perché si estinguono “da sole”, oppure perché vengono distrutte da qualche attore, individuale o collettivo. 6 IL MUTAMENTO DELLE ISTITUZIONI Vediamo il rapporto tra istituzione e ambiente. Ogni istituzione viene vista come un sistema di regole in rapporto con altre istituzioni e quindi con altri sistemi di regole. Quando un cambiamento avviene in qualche ambito questo si ripercuote sulle altre istituzioni collegate, trasforma cioè il loro ambiente, e queste a loro volta si modificano per reazione al mutamento ambientale e così via in un gioco continuo di azioni e retro-azioni. Il tipo e l’intensità della risposta alle “sfide” dell’ambiente dipendono dalla capacità dell’istituzione o, meglio, della o delle organizzazioni che ne sono l’espressione, di percepire e valutare i mutamenti esterni, di mobilitare le proprie risorse e di organizzare la propria reazione. I fattori di mutamento possono essere sia esogeni sia endogeni. Due possono essere i tipi di risposta strategica alle sfide ambientali: risposta rigida o flessibile.
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