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Vestigia di Buona Fede nel Codice del Consumo: Trasposizione Artt. 1469-bis-1469-sexies, Appunti di Diritto Civile

La trasposizione di articoli specifici dal codice civile al codice del consumo in italia, con particolare attenzione alla buona fede e ai clausole abusive nei contratti del consumatore. Le implicazioni di questa modifica e le questioni relative alla buona fede oggettiva e soggettiva, oltre a considerare la relativa importanza per il consumatore.

Tipologia: Appunti

2010/2011

Caricato il 18/01/2011

rossellada
rossellada 🇮🇹

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Scarica Vestigia di Buona Fede nel Codice del Consumo: Trasposizione Artt. 1469-bis-1469-sexies e più Appunti in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! I CONTRATTI DEL CONSUMATORE Commentario al Codice del consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005 n. 206) Articolo 33, comma 1 (clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore) Nel contratto concluso tra il consumatore e il professionista, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. 1. La vicenda della trasposizione degli artt. 1469-bis-1469-sexies che restano, salvo limitate modifiche, pressoché immutati dal codice civile al codice del consumo In seguito ad alterne vicende il legislatore italiano ha provveduto ad adottare la legge di recepimento della direttiva CEE 93/13 del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Le vie percorribili a livello di proposta consistevano, da un lato, nell’inserire questa normativa in una legge speciale a sé stante, da un altro lato, nella sua introduzione nel corpo del codice civile attraverso la tecnica della novella. Quest’ultima è stata la via prescelta. La legge comunitaria 1994 prevede, al suo art. 25, l’inserimento di un corpo di articoli (artt. 1469-bis- 1469 sexies) nel Titolo II del libro IV del codice civile sotto il nuovo Capo XIV bis intitolato “Dei contratti del consumatore”. Questo corpus normativo ha subito di recente una ulteriore vicenda attraverso la sua traslazione nel “codice del consumo” agli artt. 33-38 permanendo pressoché immutato in tutte le sue disposizioni tranne limitate modifiche e l’aggiunta di una norma di rinvio (art. 38). C’è quindi una perfetta corrispondenza tra gli artt. 1469-bis ss. c.c. e 33 ss. cod. cons., salvo l’eliminazione delle definizioni di consumatore e professionista che sono contenute nella parte iniziale del codice, l’introduzione della “nullità di protezione” al posto dell’inefficacia quale sanzione nei confronti delle clausole vessatorie presenti nei contratti del consumatore nell’ambito di un giudizio individuale e la previsione di un raccordo della disciplina dell’azione inibitoria speciale (art. 37) con la più ampia disciplina dell’azione inibitoria generale che trova la sua collocazione nella parte V del codice. La norma di rinvio aggiunta (art. 38), prevede una forma di raccordo tra le disposizioni inserite nel codice del consumo con il codice civile disponendo che “Per quanto non previsto dal codice ai contratti conclusi tra il consumatore e il professionista si applicano le disposizioni del codice civile”. Inoltre, l’art. 142 prevede la sostituzione, nel corpo del codice civile, degli artt. 1469- bis- 1469 sexies con il solo art. 1469-bis così formulato” Le disposizioni del presente titolo (titolo II, Dei contratti in generale: art. 1321-1469) si applicano ai contratti del consumatore ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli al consumatore”. L’emanazione del codice del consumo si inserisce in un più ampio fenomeno in cui trovano collocazione altri “codici”, volti a realizzare la semplificazione normativa. Oltre al codice del consumo (d.lgs. 206/05); il codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 196/03); il codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. 259/03); il codice della proprietà industriale (d.lgs. 30/05). 1 Il codice del consumo persegue il prioritario obiettivo di “riorganizzare in ordine sistematico le numerose leggi a tutela del consumatore, intervenute in un lungo lasso temporale” per rispondere “al comune disagio provocato da una produzione normativa spesso poco ordinata”. Si è provveduto a riaggregare la disciplina vigente, ripetendo nella maggior parte di casi, le norme nella loro originaria formulazione. Ove si è provveduto ad apportare modifiche, queste sono rigorosamente limitate a quelle rese necessarie da effettive esigenze di coordinamento. Il nuovo codice viene, invece, considerato come la sede sistematicamente più idonea in cui collocare le disposizioni in oggetto (oltre che quelle sulla vendita dei beni di consumo) inserendole nell’ambito di una disciplina organica di protezione del consumatore. Nell’operazione di trasposizione degli artt. 1469- bis- 1469 sexies dal codice civile nel corpo del codice del consumo, con la loro collocazione nella parte III che ha riguardo al rapporto di consumo e più precisamente nel titolo I concernente “i contratti del consumatore” essi, salvo limitate modifiche, permangono immutati. Sussiste pertanto una perfetta corrispondenza tra gli artt. 1469-bis ss. c.c. con gli artt. 33 ss. cod. cons. 2. Clausola generale dell’art. 33, comma 1, cod. cons. La locuzione “malgrado la buona fede” ed il suo difficile iter di recepimento. Il suo permanere nonostante le sue ulteriori proposte di modifica ed i dubbi ermeneutici che essa ha suscitato. Tra i vari problemi sollevati dall’introduzione di questa normativa nel codice civile, rilievo preminente assume il necessario chiarimento della portata della clausola generale, che ha rappresentato fino ad oggi un topos divenuto già classico nella pur breve discussione instaurata dalla dottrina sulla direttiva e che ha continuato ad essere tale nella discussione che si è aperta sulla novella, in particolare sull’art. 1469- bis comma 1. La clausola generale rappresenta, insieme agli elenchi, il cuore della normativa. Il formulare una opposizione rispetto alla stessa, significa scegliere una chiave di lettura utile a gettare luce sull’intera normativa. I termini di questa riflessione non sono destinati a subire fondamentali nella avvenuta traslazione dell’art. 1469 bis, comma 1, c.c., nell’art. 33, comma 1, cod. cons., anche in considerazione del fatto che la disposizione in essa contenuta è rimasta assolutamente immutata. Conservano, pertanto, tutta la loro validità e la loro forza argomentativa rispetto all’art. 33, comma 1, le considerazioni espresse con riguardo all’art. 1469- bis, comma 1, che continuano ancora a rappresentare utili chiavi di lettura del primo articolo. Alla formula, contenuta nella direttiva all’art. 3, comma 1, secondo cui è da considerare abusiva una clausola se “malgrado il requisito della buona fede, determina a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto” succede la formula pressoché, anche se non perfettamente, identica, contenuta nella novella italiana all’art. 1469-bis, secondo cui sono da considerare vessatorie (e qui è da segnalare la differente terminologia impiegata) le clausole che “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. E’ stato quindi soppresso il termine “requisito” ma non si è provveduto a sostituire, come da più parti auspicato, l’erroneo “malgrado” (erroneo rispetto ad altre versioni straniere della direttiva) con la più precisa espressione formulata in termini di “in contrasto”, “in violazione”, “incompatibilmente”, ecc. 2 soggettiva del professionista con il recupero della buona fede oggettiva intrinsecamente legata alla nozione di significativo squilibrio e attraverso il riferimento ai principi) è stata, da un lato ampiamente condivisa mentre da altro lato si è preferito continuare a proporre un’interpretazione che ravvisa nell’espresso richiamo della buona fede, nonostante la presenza del malgrado e l’iter seguito, un più corretto riferimento alla nozione di buona fede oggettiva. La chiave di lettura proposta sembra comunque consentire alla legge italiana di rispondere ad una corretta interpretazione della direttiva disponendo che essa si applica in presenza di un “significativo squilibrio” necessariamente contrario alla “buona fede oggettiva” e di aggiungere a questa previsione minima, che questo principio vale anche in quelle ipotesi in cui il professionista si trovi in uno stato soggettivo di buona fede. Sembra che in questo modo si dia attuazione alla direttiva intesa correttamente nel suo spirito consentendosi al legislatore italiano di aggiungere la previsione ulteriore e la specificazione che questa normativa trova applicazione anche se il professionista è in buona fede. Si sarebbe preso così lo spunto da un errore per allargare esplicitamente, almeno nell’interpretazione che si propone, la tutela anche alle ipotesi in cui il professionista inserisce in buona fede, cioè ignorando di farlo, clausole vessatorie e chiarendo dunque che il consumatore non deve dare la prova, oltremodo difficile, della presenza di questo stato soggettivo della non ignoranza del professionista. Si garantirebbe, così, il rispetto sia della lettera sia dello spirito della Direttiva con l’introduzione di una forma di tutela accresciuta rispetto alla soglia minima da essa prevista nello spirito del suo art. 8. Questa linea interpretativa sembra trovare, per quanto concerne il profilo in discussione, la sua conferma nella vicenda che ha interessato proprio le modalità di traslazione dell’art. 1469 bis comma 1, c.c. nell’art. 33, comma 1 cod. cons. Ancora una volta, dopo i precedenti, ripetuti tentativi, si vuol cogliere l’occasione per provvedere alla modifica dell’errore di traduzione e si propone di sostituire il “malgrado la buona fede” con “in contrasto con la buona fede”. La proposta di correzione del testo è condivisa dall’intero gruppo di lavoro che compone la Commissione incaricata di redigere il codice. Essa è anche auspicata dal parere espresso dal Consiglio di Stato. Nonostante ciò nel testo definitivo dell’art. 33 viene ribadita l’espressione “malgrado la buona fede”. Avendo riguardo a questo evento non si può ritenere e sostenere che si tratti, ancora una volta, di una ulteriore dimenticanza o di un nuovo errore anche perché questa volta in maniera esplicita, nella Relazione che accompagna il Codice, si precisa che non si è ritenuto di aderire al parere espresso dal Consiglio di Stato, nella parte in cui suggerisce la sostituzione, in quanto “il testo attuale offre un maggior livello di tutela al consumatore, permettendo di qualificare come abusive le clausole contrattuali che determinano un significativo squilibrio tra le prestazioni in danno del consumatore, nonostante la buona fede soggettiva dell’altro contraente, senza richiedere l’accertamento ulteriore della violazione delle regole di buona fede”. Prevale così, in definitiva, la scelta di non alterare il quadro normativo preesistente, come anche auspicato dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato nel parere reso sullo schema di codice. Trova applicazione l’interpretazione che rinviene nella locuzione “ malgrado la buona fede” impiegata dal legislatore significa che la buona fede soggettiva accertata in capo al professionista non elimina il carattere abusivo di una clausola di cui venga accertato l’elemento oggettivo del significativo squilibrio contrattuale. 5. Permanere del problema del raccordo tra “buona fede oggettiva” e “significativo squilibrio”. Preferenza per la tesi che coglie il legame di inscindibilità tra “buona fede” e “significativo squilibrio”. Buona fede 5 quale parametro fondamentale per valutare la “significatività” dello squilibrio. Recuperato comunque, nel modo in cui si è detto attraverso il riferimento ai principi, il criterio della buona fede oggettiva, permane il problema del suo modo di raccordarsi, di rapportarsi a quello del “significativo squilibrio”. Quale dunque il possibile rapporto tra “buona fede” e “significativo squilibrio”? In astratto si tratterebbe di verificare se i due criteri assumono un autonomo significato o sono tra loro inscindibilmente legati. Nella prima ipotesi, ove al fine del giudizio di vessatori età essi dovessero essere ritenuti contestualmente e necessariamente presenti (la clausola è vessatoria “se determina un significativo squilibrio ed al tempo stesso viola il principio di buona fede”), si verificherebbe una inevitabile restrizione delle possibilità operative della regola sottoposta al vaglio di due filtri diversi addossando inoltre sul consumatore la necessità di provare oltre la presenza del significativo squilibrio anche quella della sua contrarietà alla buona fede oggettiva. Ove si optasse, invece, per un giudizio di vessatorietà che può indipendentemente e disgiuntamente conseguire sia dall’accertata presenza del significativo squilibrio, sia dall’accertata violazione della buona fede oggettiva, si amplierebbero certamente le possibilità da essa garantita, introducendo però, in definitiva, contestualmente, non una ma due clausole generali in un sistema, mostratosi fino ad oggi restio all’utilizzazione di principi già in esso esistenti. Nella seconda ipotesi prospettata, che è quella che appare, a nostro avviso, ulteriormente confermata dalla attuale formulazione, la presenza del “significativo squilibrio” viene inscindibilmente legata alla violazione del principio di buona fede rappresentando il primo, lo si ribadisce, una concretizzazione contenutistica del secondo e dunque una forma speciale e assertiva di esso. La buona fede dunque, in questo suo legame di inscindibilità con il criterio del “significativo squilibrio” dovrà, in primo luogo, servire proprio a gettare luce su questa nozione certamente di non facile definizione, e dovrà rappresentare la direttiva da seguire nell’individuare le sue possibilità applicative. Uno squilibrio significativo nei rapporti contrattuali tra “professionista” e “consumatore” appare di per sé contrario a correttezza e buona fede. Ma, a sua volta, proprio al fine di intendere il termine “significativo” si deve tornare al principio di cui esso si pone come applicazione nel suo riferimento allo squilibrio che è appunto il principio di buona fede. Quest’ultima rappresenterebbe dunque il parametro fondamentale per comprendere quando lo squilibrio possa essere considerato “significativo” si da indurre ad un giudizio di vessatori età della clausola. Tentando un approccio esemplificativo sembrerebbe logico affermare che tra il “rilevante squilibrio” che dovrebbe, in linea di principio, comportare sempre vessatorietà e lo squilibrio “irrilevante” che non dovrebbe, invece, comportare mai vessatori età, si pone tutta una vasta gamma di situazioni che si collocherebbero in una zona di incertezza ai fini di questo giudizio. Ad esempio lo squilibrio “non rilevante” dove si colloca e cosa comporta? Anzi proprio per le peculiarità per le quali il principio di buona fede si caratterizza, si pone il problema se in presenza di determinate circostanze un “rilevante” squilibrio di una clausola possa essere valutato non contrario alla buona fede e quindi non significativo, con un conseguente giudizio di non vessatori età della clausola e per converso, per opposti motivi, uno squilibrio di per sé da considerare “irrilevante”, possa alla luce della buona fede, considerarsi “significativo” con un conseguente giudizio di vessatori età. Certo, non sarà facile giungere a queste conclusioni ma sia nelle ipotesi estreme e più chiare, sia nelle ipotesi intermedie, deve essere la buona fede il canone alla 6 luce del quale l’interprete, il giudice deve valutare la significatività dello squilibrio e, dunque, la vessatorietà o no della clausola. 7
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