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I DODICI ANNI CHE CAMBIARONO ROMA. LA VICENDA NEI GRACCHI NELLA CRISI REPUBBLICANA. RIASSU, Appunti di Storia Romana

Riassunto del libro sopra citato, 18 pagine totali. L'ho scritto in modo molto dettagliato per studiarci sopra, evitando di riaprire il libro.

Tipologia: Appunti

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Scarica I DODICI ANNI CHE CAMBIARONO ROMA. LA VICENDA NEI GRACCHI NELLA CRISI REPUBBLICANA. RIASSU e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! I DODICI ANNI CHE CAMBIARONO ROMA, LA VICENDA DEI GRACCHI NELL CRISI DELLA REPUBBLICA PARTE PRIMA Si dice che dietro un grande uomo vi sia sempre una grande donna, nel caso dei fratelli Gracchi fu la madre Cornelia. Figlia di Scipione l'africano, il vincitore di Annibale, Cornelia era una donna assai colta, di carattere straordinariamente forte, quando rimase precocemente vedova perché sposata con Tiberio Sempronio Gracco, curò personalmente l'educazione dei suoi figli, sia in ambito privato, sia in quello pubblico. Cornelia era cresciuta frequentando il circolo degli Scipioni, che riuniva gli intellettuali ellenici presenti a Roma, tra cui Polibio di Megalopoli, il filosofo Valerio di Rodi, ma anche autori latini come Lucilio e Terenzio. Il maestro di Tiberio fu Diofane di Mitileno, intellettuale vicino alle posizioni di Antipatro di Tarso, che allora dirigeva la scuola stoica in Atene. Quando Tiberio e Gaio erano bambini, Roma era diventata la regina indiscussa del Mediterraneo, in grado di competere con le grandi potenze orientali, il greco era la lingua internazionale della cultura e della diplomazia. I due figli di Cornelia ebbero un'istruzione bilingue, latino-greca per una brillante carriera sul piano internazionale. Alcune fonti lasciano intendere che Cornelia non si sia limitata a questa scelta per il futuro dei figli, ma che proprio il suo circolo ellenizzato abbia svolto un ruolo decisivo nella concezione della politica graccana. La questione in realtà è più complessa perché l'istruzione di base dei gracchi era grecizzante, i problemi politici e le soluzioni proposte erano latini, Plutarco pensa che l'influenza greca sarebbe l'unico elemento a cui attribuire la novità della politica graccana. A Roma coesistevano due forme di nobiltà, una di sangue, il patriziato, le cui gentes facevano risalire la propria origine ai compagni di Romolo, l'altra invece è una nobiltà d'ufficio, nobilitas, le cui famiglie si distinguevano per l'importanza delle cariche rivestite dai loro membri. I gracchi appartenevano ad entrambe: il nonno materno, il patrizio Publio Cornelio Scipione Africano; i Sempronii, invece erano una dinastia plebea tra le più importanti e rinomate del secolo, il loro padre Tiberio Sempronio Gracco era stato un politico, due volte console, la seconda nell'anno di nascita di Tiberio 163. Era stato un censore severo, rispettato e temuto anche dagli avversari. I censori venivano eletti ogni cinque anni per un periodo di 18 mesi, i due censori avevano in mano le sorti della comunità politica: compilavano il censimento dei cittadini, rivedevano la lista dei senatori, ammettevano nuovi membri o espellevano chi perdeva i requisiti, sceglievano il senatore che aveva diritto a parlare per primo durante le sedute, orientando così il dibattito, indicavano appalti pubblici per lo sfruttamento delle risorse demaniali, come le miniere o la riscossione dei dazi. Gaio autore in età adulta di un'opera celebrativa sulla propria famiglia, che se ne conservano solo pochi frammenti da altre fonti, riporta un aneddoto atto a sottolineare la sensibilità religiosa del padre e l'affetto di costui nei confronti della consorte. Avendo trovato sul letto una coppia di serpi, Tiberio aveva consultato gli indovini e gli era stato risposto che era indispensabile ucciderne uno e liberare l'altro, la scelta se eliminare il maschio o la femmina avrebbero determinato la prematura scomparsa sua o della moglie. Quindi, Tiberio aveva preferito sacrificarsi per il bene di Cornelia e dei figli piccoli. Morto il padre, il giovane Tiberio debuttò alla vita pubblica sotto l'ala protettrice di Publio Cornelio Scipione Emiliano, il quale aveva sposato sua sorella, la primogenita Sempronia. Egli era l'uomo più celebre del momento, figlio di Lucio Emilio Paolo, conquistatore della Grecia, era poi stato adottato legalmente dal fratello di Cornelia. Nel 149 un pretesto aveva fatto scoppiare la terza guerra punica, Catone il vecchio ricordava al Senato la necessità di eliminare definitivamente la città rivale prima che questa riuscisse a risollevarsi e a recuperare l'antica potenza. La resistenza cartaginese aveva colto di sorpresa gli eserciti inviati a distruggerla. L'assedio si protrasse per tre lunghi anni fino a quando nel 147 Scipione Emiliano fu eletto console, nella convinzione che solo il nipote del grande Scipione potesse sconfiggere i cartaginesi, egli stava concorrendo per la carica di edile e non aveva ancora tutti i requisiti di legge per aspirare al consolato. Tiberio segui l'Emiliano sul campo di battaglia, una tradizione favorevole al personaggio lo indica addirittura tra i primi conquistatori a salire sulle mura della città espugnata. Al di là di questo aneddoto è noto che fu proprio l'Emiliano il primo mentore di Tiberio. Tiberio fu un eccellente oratore, in questo seguiva da vicino l'impostazione politica di Scipione Emiliano, il debutto vero e proprio avvenne al suo rientro a Roma, dove occupò il posto che era stato di suo padre. Entrò in contatto, nella cooptazione del collegio degli auguri, con un altro protagonista della turbolenta politica degli anni, diretto rivale dell'Emiliano, Appio Claudio Pulcro console nel 143, e futuro suocero di Tiberio. Oggi si sono interrogati sul significato del presunto tradimento che Tiberio avrebbe consumato nei confronti dell'Emiliano, scegliendo un suo avversario come secondo mentore. Allo stato delle fonti, non è affatto chiaro quando si sarebbe verificata la rottura tra Scipione e Tiberio, se risalga già questa fase ho sia il frutto delle scelte attuate durante il tribunato della plebe. Secondo una teoria in voga nel Novecento, le decisioni importanti erano prese dall'aristocrazia secondo accordi, alleanze e inimicizie, tra le principali gentes. Le assemblee dei cittadini, i comizi centuriati e dei tribuni avevano il potere formale di eleggere i magistrati e votare le leggi, mentre il Senato era solo un organo consultivo. Sarebbero state mie camere di ratifica di decisioni prese altrove. La clientela, ovvero quel rapporto di dipendenza che legava molti individui ad un patrono, avrebbe rappresentato un meccanismo rigido che condizionava le votazioni; quanti più clientes un candidato era in grado di schierare al proprio sostegno, tanto più era sicuro di vincere. Solo di recente si è affermata una diversa interpretazione: le assemblee avevano un'autonomia decisionale molto più ampia, complice il fatto che spesso l’élite era ben lungi dal presentarsi come un monolite compatto. Senza negare l'importanza delle gentes e delle alleanze familiari, questa tesi ridimensiona molto il peso effettivo delle clientele e restituisce alla politica romana una dimensione più articolata. Le assemblee erano teatro delle capacità persuasive degli oratori, abilissimi nel convincere i votanti perché i cittadini andavano persuasi a sostenere o a respingere un candidato o una legge, con argomenti efficaci, nonostante il voto indiretto. A maggior ragione quando le parti avevano più o meno lo stesso seguito elettorale, se le decisioni fossero state prese altrove non si capirebbe l'importanza della retorica politica. Tutto questo per dire che non è possibile ricostruire il vero significato dell'avvicinamento tra Claudio e Tiberio, quel che si può affermare è che questa scelta influenzò molto l'incipiente carriera del futuro tribuno, da una parte erede politico di Scipione Emiliano dall'altra allievo di Appio Claudio. Nel corso del II secolo si era affermato il principio per il quale le varie cariche andavano rivestite secondo un ordine crescente: la questura era la prima carica elettiva, seguivano il tribunato della plebe, l'edilità, la pretura e il consolato. Tiberio fu eletto questore per il 137, tuttavia il suo incarico coincise con l'assedio di Numanzia. Durante l'adolescenza di Tiberio, Roma era entrata in una fase di stallo sul piano delle conquiste militari, dopo la vittoriosa battaglia di Pidna, 168, la Repubblica intraprese una serie di guerre sfortunate su diversi fronti. Negli anni 50 e 40 era abbastanza frequente assistere all'avvio di divaricazione nel corpo civico romano: i ricchi lo erano sempre di più e i poveri versavano in condizioni via via peggiori. La propaganda graccana individuava due fattori di rischio: l'aumento repentino della presenza di schiavi nelle campagne e la diminuzione di reclute per l'esercito. Secondo Tiberio Gracco questi due fenomeni erano collegati e avevano un'origine comune: la concentrazione dei possessori fondiari in poche mani. Nell’Italia del II secolo ebbe successo il fenomeno della villa, cioè un'azienda agricola di ampie dimensioni, la cui produzione di grano, vino e olio era interamente votata al mercato. Spesso era gestita da un intendente di condizione servile, che operava per conto del padrone assente. La villa surse a simbolo della ricchezza fondiaria dei Senatori, il problema principale delle ville riguardava la manodopera impiegata, perché la società romana era schiavista; quindi, l'aumento considerevole dei prigionieri di guerra, in seguito alla conquista del Mediterraneo, rese il ricorso alla schiavitù-merce alquanto conveniente per i detentori di grandi capitali. È probabile che la villa romana tipica fosse abitata da un nucleo ridotto di schiavi permanenti dediti ai lavori più specializzati e alla manutenzione ordinaria, mantenere uno schiavo tutto l'anno avrebbe rappresentato un costo inutile per il padrone, che preferiva nei momenti di maggior fabbisogno ricorrere ai lavoratori stagionali che rimanevano presso l'azienda solo il tempo necessario ed erano pagati appositamente. Gli stagionali erano spesso braccianti di condizione libera. L'origine della villa non è un prodotto del secolo dei Gracchi ma risale al IV-III secolo a.C. ciò che è avvenuto nel II secolo è l'espansione repentina delle ville grazie alla disponibilità di nuove terre e alla maggiore diffusione dell'economia di mercato. I piccoli proprietari si trovarono schiacciati dalla concorrenza di grandi patrimoni. Un settore in cui gli schiavi rappresentavano la forza lavoro quasi esclusiva era invece la pastorizia. I servi-pastori badavano alle greggi ed erano liberi di scorrazzare nelle campagne lungo le vie della transumanza: in pratica provvedevano da soli al proprio mantenimento, dando vita a fenomeni di brigantaggio che potevano anche sfociare in rivolte vere e proprie. Tiberio Cracco dopo Numanzia vedeva da un lato, il calo di cittadini censiti e dall'altro una pericolosa rivolta di schiavi che infiammava la Sicilia. La rivolta era scoppiata nel 136 e gli eserciti inviati da Roma non riuscivano a sedarla, la sollevazione ebbe origine a Enna dove un gruppo di schiavi capeggiati dal cielo siriaco Euno insorsero e presero il controllo della città, in breve tempo egli si trovò alla guida di un esercito di schiavi che lo proclamò re col nome di Antioco e occuparono città come Agrigento, Taormina, Catania, Messina. Euno-Antioco ordinava il massacro degli aristocratici, per alcuni anni la Sicilia non fu più sotto il controllo romano e solo dopo la morte di Tiberio il console Publio Rutilio riuscì a domare la rivolta e riaffermare il dominio sull'isola. Tutto ciò spiega la presenza nei discorsi di Tiberio di una polemica anti-servile cioè contro il ricorso sistematico ai servi nell'economia agropastorale. Quanto al censimento la situazione è complessa: in teoria tutti i cittadini romani di sesso maschile erano obbligati a farsi censire ogni cinque anni, dichiarando i componenti del nucleo familiare e l'ammontare dei beni posseduti. Ciò aveva tre scopi: militare, politico e fiscale. All'epoca dei Gracchi l'obiettivo preminente del censimento era quello militare, chi dichiarava un censo minimo di 11.000 assi, l’assio bronzo era l'unità monetaria di base, erano convocabili nell'esercito, chi possedeva meno di tale soglia veniva esentato dal servizio. Si ritiene che vi fosse un alto numero di individui che pur avendo il diritto-dovere di farsi registrare, sfuggisse a tale pratica, chi abitava nelle compagne lontano da Roma non voleva arrivare fino all'Urbe per adempiere all'obbligo di essere censiti, gli stessi censori non si preoccupavano troppo di sollecitare i proletari che non servivano nell'esercito e avevano uno scarso peso politico nelle assemblee più importanti, i comizi centuriati. le ragioni della diminuzione di censiti proviene possibilmente dall'impoverimento dei piccoli proprietari denunciato dai Gracchi, vanno prese in considerazione anche le difficoltà procedurali: la capacità e l'interesse dei funzionari preposti a eseguire il censimento in maniera accurata. È molto probabile che il calo dei cittadini reclutabili e la rivolta siciliana abbiano reso tangibili le preoccupazioni enunciate da Tiberio nella campagna della propria legge. La soluzione proposta da Tiberio era una misura di welfare: una riforma agraria che incrementasse il numero di assidui mediante la distribuzione di terre e al contempo incentivasse i cittadini a farsi registrare al censimento. Cicerone non amava i gracchi, ma soprattutto non amava la rivalutazione che era stata fatta durante la sua epoca dai partigiani di Cesare e sosteneva che il vero autore della lex sempronia agraria non fosse stato Tiberio ma Publio Licinio Crasso e Publio Mucio Scevola, due giuristi filograccani, il secondo dei quali era console nel 133 l'anno del tribunato di Tiberio. Realmente l'origine di queste riforme è da attribuire a un gruppo ampio di pensatori politici non rivoluzionari, una fetta importante della società si rese conto dell'opportunità di attuare un programma di ridistribuzione di terre ai cittadini per ridurre il malcontento sociale. Tale esigenza era condivisa da politici come Appio Claudio e Mucio Scevola. Il punto è che la riforma richiedeva l'appoggio di individui competenti come i due giuristi appena menzionati, la legge agraria andava a toccare l'agro pubblico, con esso si intendevano terre di proprietà dello Stato quindi del popolo romano, queste erano generalmente terre di conquista sottratte ai nemici sconfitti. Roma aveva diverse modalità di trattare le comunità che entravano nell'orbita della sua influenza. Roma in caso di riconoscimento di egemonia romana, in modo pacifico, lasciava l'autonomia e stipula un'alleanza alla pari; invece, se fosse stato conseguente ad una conquista, avrebbe annesso il territorio dei vinti, quindi diveniva agro pubblico e aveva diversi usi, poteva essere riaffidato ai conquistati oppure gestito da Roma, che lo assegnava ai propri coloni, lo metteva all'asta o lo tratteneva in attesa di futura destinazione. La gestione di tali terreni era affidata ai magistrati dietro leggi votate dai comizi che prendevano il nome di leggi agrarie come quella di Tiberio. In seguito alla vittoria su Annibale, Roma si trovò ad avere distese enormi di agro pubblico e su questo terreno si sviluppò un’economia i privati integravano le loro proprietà fondiarie con porzioni di agro pubblico e sviluppavano un'agricoltura orientata al mercato. Invece, le terre pubbliche rimaste in attesa di destinazione si concentrava l'attività pastorale. In seguito, la maggior parte dell'agro pubblico finì sotto il controllo dell’élite, quindi verificatasi una forte aumento della popolazione bisognava ridistribuire le risorse; l'attenzione si concentra sul pubblico, i piccoli proprietari in affanno non potevano permettersi l'acquisto di nuove terre e richiedevano l'assegnazione di lotti pubblici. La legge agraria dei gracchi aveva due intenti: recuperare più agro pubblico possibile e ridistribuirlo tra i poveri, dall'altro incentivava la riconversione in senso agricolo più aree sotto sfruttate dove l'allevamento estensivo aveva ridotto gli spazi disponibili per l'agricoltura. Esisteva una norma che proibiva ogni cittadino di detenere più di 500 iugeri di terra, 125 ettari, lo iugero equivaleva a un quarto di terra di ettaro odierno, onde evitare la competizione di cui si stava sviluppando, essa limitava anche la quantità di bestiame allevabile, fino a un massimo di 600 capi per ciascuno, cioè 100 bovini più 500 ovini. La regola non fu mai formalmente abolita ma nel corso del tempo venne disattesa e ignorata, addirittura ci fu l'invenzione di alcuni escamotage per aggirare i divieti, come ad esempio cedere una parte dei propri beni ad un familiare che fungesse da prestanome, la norma non prevedeva confische ma aveva come sanzione una multa; quindi, ai tempi di Tiberio Gracco tale norma non era più efficace. Per tutti questi motivi la ripresa di questa legge implicava una riforma, la quantità di terreno tollerata venne raddoppiata, la proposta di Tiberio ammetteva deroghe al limite di terra qualora il possessore avesse uno o più figli fino a raggiungere 1000 iugeri totali. La legge agraria non limitava la proprietà privata, il limite graccano riguardava solo le terre pubbliche e neanche tutte, giacché con ogni probabilità erano esclusi dal computo dei 1000 iugeri quei terreni demaniali che i privati avevano preso in affitto o in concessione pluriennale dallo stato e su cui pagavano un canone o una tassa regolare. Il nuovo limite andava a sanare una serie di pendenze che i privati avevano nei confronti dell'erario regolarizzando dei possessi, la cui legittimità era dubbia da dimostrare, erano terre che lo stato avrebbe potuto requisire. La misura suscitò ostilità poiché prevedeva la confisca dell'Occidente, le fonti descrivono una situazione di caos amministrativo: titoli di possesso perduti, canoni non pagati, confini tra gli appezzamenti spostati nel corso delle generazioni. La portata dell'intervento di Tiberio era enorme e spaventava i ricchi possidenti romani che temevano di vedersi requisire numerosi appezzamenti su cui avevano investito tempo e denaro che garantivano buone rendite. Forse è proprio la portata della legge ad essere uno dei motivi della forte opposizione che tentò di sbarrare la strada alla riforma con ogni mezzo, evidentemente venivano toccati gli interessi di parecchi membri del Senato. Infine, la legge prevedeva di distribuire tra la plebe romana i terreni demaniali, sia quelli già nella disponibilità dello Stato sia quelli confiscati in base al limite di Stolone. Il programma non prevedeva la fondazione di nuove colonie né il trasferimento dei beneficiari lontano da Roma, non erano previste misure alternative a favore dei poveri residenti nell'Urbe che non volevano trasferirsi fuori città per ottenere le terre, è possibile che i beneficiari fossero i plebei rurali che vivevano nelle campagne vicino a Roma e che potevano spostarsi senza troppe difficoltà. Tiberio era atteso in Senato e ci si aspettava che rendesse noti i contenuti della sua proposta una volta entrato in carica nel dicembre del 134, dall'estate prima circolavano voci sulla riforma; quindi, i contrari alla legge avevano avuto tempo per organizzare una forte opposizione nella speranza di bloccare o depotenziare l'iniziativa di Tiberio. Costui non sottopose preventivamente il testo della riforma al Senato ma lo presentò direttamente all'assemblea popolare per l'approvazione. Dal 287 le delibere del concilium avevano valore di legge a tutti gli effetti e non necessitavano più di ratifica dalle altre assemblee, anche se vi era l'abitudine di sottoporre al parere del Senato le proposte più rilevanti. Il Senato era tuttavia il consesso con meno poteri formali: non eleggeva cariche, non votava leggi ma emanava pareri, i quali erano vincolanti perché rappresentavano l'interpretazione ufficiale del Mos Maiorum. Un parere del Senato avrebbe potuto segnare irrimediabilmente le sorti della riforma agraria, evidentemente i riformatori non erano sicuri del proprio peso in senato, anche se il progetto godeva del sostegno del princeps senatus Appio Claudio e del console rimasto in città Scevola. L'altro console Calpurnio Pisone era stato sorteggiato per condurre l'esercito contro la rivolta siciliana e non poteva interferire con la proposta, Tiberio era fiducioso di godere ampio consenso popolare, quindi, presentò la proposta alla prima riunione utile del Concilio della plebe. A questo punto, gli avversari di Tiberio trovare una sponda in un collega di questi, il tribuno Marco Ottavio, quando il pubblico banditore iniziò la lettura ufficiale della proposta costui lo zittì esercitando il diritto di veto. Nessuno dei due volle desistere dalle proprie posizioni, Tiberio si ostinava a ripresentare la sua proposta e Ottavio ad esercitare il veto. Circolava un aneddoto secondo il quale Tiberio si sarebbe addirittura offerto di rimborsare personalmente il valore delle terre che Ottavio avrebbe perso ai sensi della riforma agraria, sottintendendo che quest'ultimo aveva ragioni del tutto personali per opporsi alla proposta. Cassio Dione afferma che questa contesa paralizzò l'attività politica in città. Plutarco narra un episodio in cui Tiberio probabilmente esercitando a sua volta una serie continua di veti, avrebbe impedito a tutte le altre cariche di svolgere le proprie funzioni realizzando un blocco totale. Sostanzialmente o si trattava di un ricatto quindi un tentativo per convincere Ottavio a desistere, oppure era una contromisura diretta a impedire una serie di attività poco chiare dei possidenti che ostacolavano la riforma, il veto di Ottavio voleva rallentare l'approvazione della riforma, consentendo ai possessori di agro pubblico di procurarsi, con l'aiuto dei funzionari che amministravano il patrimonio della città, le prove che il terreno fosse assolutamente legittimo. Cornelia o che fosse stato strangolato dai partigiani di Gaio Gracco, a loro volta i graccani avanzavano il dubbio che si fosse suicidato per evitare lo smacco della sconfitta. Questo episodio segnò il culmine dei contrasti che accompagnarono l'avvio dei lavori della commissione agraria rimasta in vigore dopo la morte del suo artefice. Quando rientrò a Roma da trionfatore nel 132, Scipione non perse occasione per criticare l'operato del suo ex allievo, divenne anzi il principale oppositore dei gracchi. Sostenne pubblicamente che l'uccisione di Tiberio fosse legale e ostacolò i primi passi di Gaio. La commissione riprese l'attività con vigore al posto del tribuno scomparso e fu eletto Licinio Crasso. Il defunto Crasso fu sostituito da Gaio Papirio Carbone. Quasi contemporaneamente venne meno anche Claudio Pulcro, che lasciò il posto a Marco Fulvio Flacco, già consigliere di Tiberio. Costoro affiancarono Gaio nelle operazioni e riassegnazione di agro pubblico. È sopravvissuta fino a noi una ventina di cippi che attesta l'avvenuta misurazione del territorio da parte dei commissari agrari. I cippi recano sul vertice alcune cifre e segni, indicando i confini tra i territori. Ciò ci ha permesso di individuare alcune delle aree dell'Italia interessate dall'applicazione della legge agraria. Forse in un primo momento Tiberio voleva ridistribuire anche terre più vicine a Roma. Tuttavia, la constatazione di una minore disponibilità di terreno aveva indotto i commissari a guardare altrove. La legge era applicata verso l’Appenino meridionale. L’emozione suscitata dalla morte di Tiberio aveva indotto il Senato e i commissari a cercare un tacito accordo: il primo non avrebbe ostacolato la riforma, i secondi avrebbero risparmiato le terre più preziose dell'aristocrazia. Se la soluzione di riassegnare l'agro appenninico sembrava accettabile per il Senato, lo era molto meno per le popolazioni locali. Gli italici, infatti, subirono la ridistribuzione di terre che erano tecnicamente romane, ma su cui essi avevano nel tempo ristabilito i loro possessi. Certamente anche i possidenti italici beneficiavano della clausola che, privatizzata a loro favore il terreno compreso nel limite di mille iugeri, ma si trattava di una magra consolazione. A fronte della confisca dell'eccedente i beneficiari delle assegnazioni erano solo i cittadini romani, gli italici di umili condizioni, benché risparmiati o toccati solo indirettamente dalle confische, erano penalizzati perché avevano le stesse necessità della plebe romana ma non avevano diritto alle terre a cui ambivano. Le proteste degli italici trovarono un'ottima sponda politica in Scipione Emiliano, che attendeva l'occasione per mettere i bastoni fra le ruote della commissione agraria. Scipione convinse il Senato a sospendere i poteri giusdicenti dei commissari e a trasferirli al console Gaio Sempronio Tuditano. Il potere di giudicare l’origine dei terreni recuperabili era la forza più grande dei Commissari. Sottometterli al console, li riduceva al rango di agrimensori, privi dell'autonomia decisionale che li aveva contraddistinti fino a quel momento. Quindi erano impossibilitati a confiscare terreni senza l'avallo del magistrato, non a caso Scipione Emiliano, se ne lavò le mani e si fece assegnare dal Senato la guida di una spedizione militare in Illiria. I lavori della commissione erano bloccati. I graccani scatenarono una feroce campagna politica contro Scipione, cosicché fece presa sull'opinione pubblica e gli alienarono le simpatie di molti suoi concittadini ed elettori, quindi l'ex favorito perdeva rapidamente consenso. Alla vigilia della sua morte, era intenzionato a sferrare l'assalto decisivo ai commissari, molto probabilmente con un discorso che illustrava le ragioni del suo gesto e intendeva persuadere l'assemblea e a depotenziare la riforma. Morto Scipione, il provvedimento venne a scadenza con la fine dell'anno consolare e il potere giusdicente tornò alla commissione subito dopo l'uscita di carica di Tuditano. Molti ritennero sospetta la dipartita improvvisa dell'Emiliano e i commissari Gaio Cracco, Fulvio Flacco e Papirio Carbone furono ritenuti mandanti di un omicidio. Nei tre anni precedenti, l'Emiliano aveva argomentato con successo contro una proposta di legge a firma di Carbone per consentire la rielezione dei tribuni della plebe, in questa occasione il discorso di Scipione si era distinto su quello di Gaio a sostegno della proposta che fu appunto respinta dall'assemblea. Una legge analoga fu invece approvata qualche anno più tardi, senza l'ingombro di Scipione. In effetti, gli inizi dell'attività pubblica di Gaio furono duri, egli ribadiva ad ogni occasione le ragioni del defunto fratello, usava la sua ombra come strumento di propaganda, affermando che Tiberio gli appariva il sogno per guidarlo. Inoltre, aveva consolidato i legami della propria famiglia con gli alleati di Tiberio, sposò Sicilia, figlia di Crasso e nipote di Scevola. Gaio fu eletto questore nel 126 e venne incaricato di seguire il console Lucio Aurelio Oreste in Sardegna, dove era in corso una rivolta delle popolazioni locali. L'invio in una provincia per un periodo più lungo del normale fu letto come un tentativo di allontanarlo dall'Urbe e di distoglierlo dall'applicazione della legge agraria. La Sardegna, insieme alla Sicilia, era una delle province le più antiche romane. In età repubblicana, infatti, la definizione geopolitica dell'Italia comprendeva solo il territorio continentale a sud dell'Arno e del Rubicone, escludendo la Pianura Padana e le isole che avevano lo status di provincia come la Grecia, l'Asia, Spagna e Africa. La permanenza in Sardegna fu dura per Gaio, rientrò a Roma senza autorizzazione del Senato. Rientrato, fu costretto a difendersi dinanzi ai censori per aver abbandonato il proprio posto, ma venne assolto perché la proroga riguardava il mandato del console e non quello del suo staff. Però terminato l'anno, era libero di decidere in autonomia se rientrare o meno. Il discorso tenuto in questa occasione insisteva a denunciare la corruzione e l'abuso di potere diffuso tra i magistrati. Gaio Gracco si presentava come un politico onesto e integerrimo, attento solo agli interessi del popolo e attento agli strumenti per realizzare una migliore gestione delle finanze pubbliche. Il 125 fu per Roma un anno più difficile degli altri, dominato dalla figura del poliedrico Marco Fulvio Flacco. Costui era stato sostenitore e consigliere di Tiberio e aveva seguito i primi passi di Gaio nella commissione agraria. Eletto al consolato per il 125, i riformatori tornavano ad avere un alleato nella magistratura Suprema. Flacco si rese conto della necessità di risolvere la questione suscitata dagli italici. I quali erano trattati al pari dei romani quando si trattava di confiscare i terreni pubblici ma non beneficiavano delle nuove assegnazioni. Si fece dunque promotore delle istanze degli italici nel programma gracchiano. Quindi Flacco stilò una proposta di legge per estendere gradualmente la cittadinanza romana agli alleati. Cosicché gli Italici poveri potevano accedere alle assegnazioni e gli italici ricchi potevano avere una compensazione per le eventuali confische, almeno sul piano dei diritti politici il senato insorse. Flacco rendeva questo diritto accessibile per legge e non più per concessione individuale, come era successo negli anni precedenti, per il Senato la cittadinanza romana era un privilegio, non un diritto. La situazione si complicò quando giunse la notizia di una rivolta, la città di Fregellae aveva rotto tutti i rapporti e proclamato indipendenza. A causa della scarsità di fonti di quel periodo, non è chiaro se i due eventi fossero collegati. Si ritiene che la città si ribellò perché il Senato ostacolava la proposta di Flacco, i cittadini di Fregellae godevano del diritto latino, la forma di cittadinanza più simile a quella romana. Avevano uno status giuridico molto simile a quello dei romani, eccezione fatta per il diritto di votare e di farsi eleggere nella città di Roma. Aveva importanza strategica ed economica, inoltre era la capofila delle città latine. In più occasioni aveva avuto un ruolo privilegiato nei rapporti con Roma, perché la sua élite fungeva da intermediaria delle altre comunità presso il senato. Proprio per questo motivo la sua defezione colpiva duramente l'opinione pubblica romana. Invece, i nuovi abitanti di Fregellae, che erano di origine italiche, non avevano ancora il diritto latino; quindi, avevano una posizione economico-giuridica nettamente inferiore. Forse i ricchi latini di Fregellae temevano le assegnazioni agrarie, estendere qualche forma di cittadinanza agli italici, anche solo il diritto latino avrebbe allargato la platea dei futuri beneficiari di terre sconvolgendo gli equilibri locali. La proposta di Flacco appariva un contentino insufficiente per l’élite flagellano. A fronte del rischio di nuove confische di terra, le varie comunità latine e italiche venivano equiparate, Fregellae avrebbe rischiato di perdere il posto privilegiato di cui godeva. In pratica, l’élite di Fregellae aveva più da perdere che da guadagnare con la legge di Flacco. La proposta di Flacco venne accantonata, il senato conferì l'incarico di soccorrere i marsigliesi che richiedevano aiuto perché disturbati dalle incursioni dalle tribù stanziate sulle montagne dell'entroterra. Quindi, Flacco doveva rimanere lontano da Roma per almeno un paio d'anni. Il pretore Lucio Opimio antigraccano fu mandato con un esercito ad assediare Fregellae. La città capitolò e venne completamente rasa al suolo. La vicenda ebbe notevoli strascichi polemici, Opimio pretese il trionfo, ma il Senato rifiutò. Gaio Cracco venne accusato di aver sobillato la rivolta, non è chiaro come costui avrebbe fatto. Da notare che l'anno seguente, quindi, il 124, su iniziativa di Gaio, fu fondata una nuova colonia, non lontana dalla vecchia Fregellae, Fabrateria Nova, Intanto Fulvio Flacco era arrivato a Marsiglia. Dove riportò brillanti vittorie contro le popolazioni che minacciavano la città, rientrò al Roma solo nel 123 per celebrare il trionfo. Nei due anni di permanenza si occupò anche di sistemare il territorio della Pianura Padana occidentale; infatti, è attribuita all'apertura di una strada, la via Fulvia. L'anno di Flacco si concluse con un incredibile successo per i graccani, anche se non si era fatto nulla per allargare la cittadinanza, il censimento registro 76.000 cittadini in più. Si ritiene che questo enorme balzo fosse dovuto all'applicazione della lex sempronia agraria. Probabilmente parecchi cittadini che prima sfuggivano ai censori erano corsi in massa al registrarsi nella speranza di accedere alle distribuzioni di terre. Le fonti descrivono Gaio come un uomo sanguigno, ma capace di incantare le folle, valente oratore. Uguale nelle idee a Tiberio, ma diversi nelle azioni. La legge agraria di Tiberio era una misura tradizionale e in linea con le direttrici consuete della politica romana. La riforma agraria del 133 non scardina la società romana, ma si inseriva in un solco consolidato e mirava a risolvere le difficoltà del reclutamento. La particolare animosità del Senato contro Tiberio si spiega con il fatto che il suo programma contemplava confische per poter assegnare terreni a una platea molto ampia. Invece, Gaio agiva su livello totalmente diverso, le proposte di Gaio comprendevano il rinnovo della legge agraria. Si estendevano le tipologie di terreno esenti da confische, venendo incontro alle proteste dei possessori romani e italici. Le assegnazioni di terra vennero accompagnate da una politica coloniale assente nel progetto precedente, Gaio proponeva di istituire nuove colonie in Italia e in Africa, distribuendo ampi lotti di terra ai cittadini che si trasferivano. La decisione di fondare colonie presso Fregellae e Cartagine, entrambe rasa al suolo, assume un significato politico. Ma risponde anche alle volontà di usare terreno pubblico e recentemente reso disponibile. Le parcelle assegnate ai coloni erano consistenti, si andava dai 30 agli 80, uggeri a testa; quindi, ciò diede impulso alla costruzione di nuove strade e al miglioramento di quelle esistenti, come la già citata via Fulvia in Piemonte. Queste misure erano prettamente rivolte a chi risiedeva fuori Roma e agli abitanti dell'Urbe, disposti a trasferirsi nelle nuove realtà. Per i poveri rimasti a Roma, Gaio propose una legge frumentaria che stabiliva la vendita di razioni di grano a un prezzo calmierato, inferiore a quello di mercato, ciò serviva a stabilizzare i prezzi del grano e a soccorrere le famiglie che avevano difficoltà. La pressione demografica nella città di Roma aveva accresciuto la domanda alimentare facendo impennare i prezzi dei cereali che costituivano l'alimento base dei romani, è probabile che i poveri avessero accesso alla carne durante le numerose feste religiose, quando i resti dei sacrifici erano consumati in banchetti collettivi, il pollame era un bene maggiormente diffuso, ma allevato per le uova. Gaio istituiva un prezzo politico per il grano a razioni fisse, onde evitare l'accaparramento e il conseguente mercato nero. Gaio costruì enormi granai pubblici, preveniva le carestie e avviava imponenti opere pubbliche, offrendo ai poveri un'opportunità ulteriore di lavoro. Le tre leggi agraria, colonia e frumentaria oggi si definirebbero welfare, a questa tipologia corrisponde anche una legge che migliorava le forniture dell'esercito a spese pubbliche, in Sardegna Gaio aveva toccato con mano le condizioni estreme di vita dei soldati, i quali pativano inefficienze dell'amministrazione e corruzione dei proposta di Opimio diede al console il pretesto che Gaio più temeva. Nello scontro morì un littore e Opimio convocò immediatamente il senato, quindi qui si celebrò un processo politico ai graccani, Gaio e Flacco rifiutarono di presenziare. Il Senato dichiarò i due ex tribuni nemici pubblici ed esortò il console a intervenire con la forza, gli scontri infiammarono le strade di Roma per due giorni, essi conclusero, con la disfatta dei graccani. Le fonti riportano che Opimio corrispose un premio in denaro a chi gli avrebbe portato le teste di Gaio e di Flacco. In seguito, il console fece edificare un tempio alla Concordia per purificare la strage e celebrare il ritorno alla normalità, fu molto criticata l'estrema durezza della repressione, che comprendeva anche la confisca dei beni graccani, compresa la dote di Licinia, moglie di Gaio; quindi, costei chiese aiuto allo zio, ex console Scevola. Il quale stimò che la famiglia di Cornelia dovesse risarcire la vedova, a sua volta Opimio venne difeso da Carbone quando, uscito di carica, fu accusato di aver travalicato i limiti del proprio mandato. L'incarico conferito a Opimio a reprimere i graccani è assimilato al moderno stato d'emergenza che sospende i diritti civili riconosciuti in tempo di pace. Nella Roma repubblicana esistevano indubbiamente procedure di emergenza che in casi di estremo pericolo sospendevano la prassi giuridica che regolava la vita civile, come l'elezione di un dittatore temporaneo. Sembra eccessivo concepire tale ricorso, ma è possibile adottare un'interpretazione riduttiva, il Senato adottò una soluzione politica su richiesta del console, per fornire una copertura istituzionale alla repressione dei graccani. Opimio ottenne solo una giustificazione per muovere contro gli insorti, definiti nemici dello Stato. C'è differenza tra questo episodio e la morte di Tiberio Cracco: nel 133 la repressione era stata condotta da privati cittadini perché il magistrato che aveva i poteri per compierla si era rifiutato di esercitarli, il Senato non aveva potuto costringerlo, in questo caso, invece, fu il console stesso a chiedere l'autorizzazione politica e a usare i suoi poteri. La fine violenta di Gaio contribuisce a rendere comprensibile la qualifica di rivoluzionario che gli si attribuisce, la sua caduta lasciò molte questioni irrisolte, i 15 anni successivi trascorsero all'insegna della restaurazione poiché non era fattibile la soppressione in toto delle riforme graccane, ma una serie di contromisure, i capisaldi della legge Sempronia. Nel 111 fu approvata una legge agraria che sancì la privatizzazione definitiva dei lotti assegnati in base alla lex Sempronia e fu riorganizzato l'assetto agrario in Italia e in Africa. Ciò segnò l'arresto del meccanismo messo in piedi dai Gracchi, con questa nuova legge lo Stato ne perdeva la proprietà ed è facile immaginare che i grandi possidenti ricominciassero ad acquistare parecchi terreni di origine demaniale. La legge giudiziaria fu ridimensionata e i processi per corruzione tornarono di fatto in mano al Senato, mentre più incerta la sorte delle strumentazioni, con ogni probabilità furono ridotte o se non addirittura sospese. Tuttavia, le opere pubbliche avviate da Gaio vennero portate al termine, ma ridimensionate. Così anche le colonie, quelle già fondate, rimasero in vigore, quelle sulla carta, come Cartagine, furono cancellate. Roma aveva domato le rivolte in Sicilia e in Asia e aveva posto fine alla gravosa guerra iberica. I censimenti vedevano un'impennata di registrati, probabilmente la politica graccana ha contribuito al miglioramento complessivo della situazione e le riforme di Gaio andavano nella giusta direzione. Il loro smantellamento coincise con il riproporsi delle stesse difficoltà emerse negli anni 40: corruzione diffusa, rivolte servili, proteste degli italici, problemi di reclutamento e sconfitte militari. La più celebre delle quali fu la guerra contro Giugurta, a queste si aggiungeva anche la minaccia di scorrerie di barbari nelle province in Italia. La salita al potere di Gaio Mario pose fine alle difficoltà principali e rese evidente la necessità di riesumare i principi riformatori. PARTE TERZA Ai primi di dicembre del 100, Gaio Mario, al termine del suo sesto consolato, fu convinto dal Senato a prendere le armi contro un gruppo di insorti sul Campidoglio, li guidavano Lucio Apuleio Saturnino e Gaio Servilio Glaucia. Di Glaucia si sa poco, era pretore in carica in quell'anno e si era candidato alle elezioni per il consolato del 99. La carriera di saturnino è meglio documentata: prima questore, poi due volte tribuno della plebe. Glaucia e Saturnino avevano stretto un sodalizio politico che in un primo momento era stato approvato da Mario stesso, tale alleanza intendeva garantire il controllo delle principali istituzioni. Glaucia, l'anno prima aveva favorito la rielezione a tribuno di Saturnino, facendo assassinare un candidato rivale. Accortezza ricambiata da Saturnino al momento di scegliere i consoli del 99. L'avversario di Glaucia, Gaio Memmio era stato ucciso per strada quando il conteggio dei voti stava per decretarne alla vittoria. I sostenitori di Memmio si scontrarono con quelli di Glaucia, degenerò in una guerra tra bande, il Senato proclamò Glaucia e Saturnino nemici pubblici e obbligò i Consoli ad intervenire. In un primo momento Mario temporeggiò limitandosi ad arginare gli scontri, in seguito, strinse d'assedio il Campidoglio sul quale i due si erano asserragliati con i loro seguaci, ne ottenne la resa solo dopo una lunga trattativa, promettendo loro che avrebbero avuto salva la vita. Le fonti affermano che una folla inferocita, ignorando gli ordini del console, assalì e massacrò gli insorti. Il progetto di Glaucia e Saturnino era un pacchetto di leggi filo-plebee, che incidevano su tutti i settori della politica e della società romane, con esso si riannodava il filo spezzato delle riforme di Gaio Gracco. Le leggi Apuleiae ricalcavano lo spirito e i contenuti delle Semproniae e introducevano riforme a tutto campo, erano provvedimenti molto cari alla plebe e ai ceti emergenti ma invisi apparecchi senatori non solo per i contenuti, ma anche in ragione della loro forte connotazione. Saturnino era consapevole del consenso riscosso dai gracchi tra i ceti più umili, la restaurazione post graccana fece riemergere con prepotenza i problemi e le istanze sociali che avevano mosso l'intervento dei Gracchi. Nel decennio finale del secondo secolo, Roma si trovò impegnata su fronti difficili, prima dovette affrontare una faticosa guerra in Numidia, contro Giugurta, parallelamente alcune popolazioni, i Cimbri e i Teutoni seminavano il panico in Gallia, di lì a poco una parte di loro invase l'Italia e le legioni romane non riuscirono a fermarli. Fu in questo scenario che emerse con prepotenza la figura di Gaio Mario. Originario di Arpino nel Lazio, ebbe come mentore politico Quinto Metello, ma il sodalizio tra i due terminò bruscamente a causa delle differenti visioni sul modo di gestire la guerra in Africa. Mario godeva di ampio consenso popolare e riuscì a imporre una riforma, tanto delle tattiche belliche quanto del sistema di reclutamento militare, aprendo l'esercito e i ceti più umili. Così risollevò le sorti di Roma, sconfisse Giugurta, anche se il merito ufficiale andò a Metello. Inoltre, sconfisse Cimbri e Teutoni. In contemporanea ad Equizio, uomo che si presentava come figlio illegittimo di Tiberio, si ebbe un’altra rivolta servile in Sicilia. I brillanti successi di Mario alimentavano la richiesta di un cambiamento, i problemi che i due fratelli avevano cercato di risolvere sembravano ancora intatti e la colpa, secondo la propaganda filo-plebea, era del Senato che aveva vanificato il loro tentativo. Gli spiriti di Tiberio e di Gaio erano divenuti oggetto di venerazione popolare, per queste ragioni, Claudio e Saturnino si presentarono come i veri eredi politici dei Gracchi e sostennero la causa di Equizio, costui, condivisa la sorte dei suoi alleati, eletto a furor di popolo tribuno per il 99, morì il giorno stesso dell'entrata in carica nelle sommosse che conclusero la rivoluzione di Saturnino. Il mito dei Gracchi è nell'epoca moderna ampiamente sfruttato nel primo caso, al culmine della Rivoluzione francese, la similitudine con i gracchi è stata ribadita dal suo protagonista, Babeuf. Nei fermenti che agitavano la Francia rivoluzionaria del XVIII secolo, Babeuf era particolarmente sensibile al mito dei gracchi. Egli proveniva da una famiglia della piccola borghesia in Piccardia e si era trasferito a Parigi a ridosso della presa della Bastiglia, quindi nel luglio del 1789. Fu tra i primi a proporre l'abolizione del sistema feudale e la soppressione della monarchia, avvenuta poi nel 1792. Egli era un'idealista ma aveva una solida preparazione tecnica nelle questioni agrarie, in gioventù aveva esercitato la professione di agrimensore e addetto al catasto della sua regione d'origine; quindi, conosceva la complessità della secolare stratificazione dei diritti feudali e le diseguaglianze nelle campagne dell'ancien regime. Grazie a questa esperienza si era fatto portavoce delle istanze di emancipazione dei servi rurali e delle richieste di una più equa ridistribuzione delle risorse che provenivano da più parti. Agli occhi degli illuministi, infatti, i soprusi della nobiltà francese ricordavano da vicino quelli compiuti dai senatori romani a danno dei contadini italici, che al piano descrisse nella sua introduzione alle guerre civili. Molti pensatori trovarono somiglianze tra la situazione dell'Italia precedente ai gracchi e l'ancien regime. In entrambi i casi, la maggior parte della proprietà fondiaria era concentrata nelle mani di pochi aristocratici, mentre nelle campagne sussisteva una forte sperequazione sociale. Come i ricchi romani, secondo Appiano, avevano usurpato le terre dei piccoli proprietari, facendole coltivare da schiavi così il sistema feudale manteneva asserviva la maggior parte della popolazione rurale in Francia. I grandi proprietari di ville romane erano equiparati ai nobili rentier del ‘700. Babeuf fu influenzato dalle tesi di Rousseau esposte nel discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini. Dove si identificava nella proprietà fondiaria il motore originario delle disparità economico sociali nella storia, nel contratto sociale illustrò in modo positivo il compito istituzionale del tribuno della plebe, non più presentato come una forza disgregatrice e minaccia per la stabilità politica, bensì come elemento fondamentale nella costituzione di uno Stato. Per Rousseau il tribuno svolgeva un ruolo di mediazione tra i poteri e sanava i conflitti tra le diverse componenti della società. Dunque, portò all'estremo delle conseguenze l'ideale illuminista dell'equità, proponendo la ridistribuzione delle terre dei nobili e poi l'abolizione della proprietà privata. Da sostituirsi con forme di detenzione collettiva. Le sue idee trovarono consensi sempre maggiori tra la popolazione parigina impoverita. La durissima crisi economica che sconvolse la capitale francese fornì combustibile alle posizioni più radicali, Babeuf e i suoi sostenitori visitavano il defunto Robespierre per non avere avuto il coraggio di affrontare la radice dei problemi che affliggevano la Francia e si scagliavano contro il nuovo governo, percepito come reazionario. Insieme ad altri intellettuali tra cui l'italiano Filippo Buonarroti, Babeuf aveva fondato la società degli Eguali. Una sorta di comunismo ante litteram, accusati di cospirazione gli Eguali furono arrestati. Babeuf venne ghigliottinato nel 1797, mentre Buonarroti fu in seguito esiliato. Colpisce molto il ricorso sistematico ai gracchi nel pensiero politico di Babeuf, si diede un altro conome, Gaius, in onore del più rivoluzionario dei due tribuni e fondò un giornale intitolato Le tribù Du Peuple che fungeva da megafono al programma degli Equali. Nel propugnare la riforma agraria Babeuf riviveva l'esperienza Graccana. Secondo lui, i due tribuni erano dei veri rivoluzionari che con le loro leggi avevano tentato di abolire la signoria dei nobili e di fondare una democrazia diretta nell'antica Roma. Non era invenzione di Babeuf, il quale la rese celebre a livello propagandistico ma era condivisa da molti pensatori dell'Illuminismo. Nella seconda metà del 700 si era diffusa l'idea che la legge agraria dei gracchi intendesse abolire la proprietà privata e confiscare le terre dei ricchi, quando in realtà abbiamo visto che la riforma toccava solo le terre pubbliche detenute illecitamente. Tesi simili vennero formulate da Montesquieu, l'apprezzato teorico dell'equità. Rileggendo Plutarco e Appiano, egli sosteneva che il successo militare delle antiche repubbliche risiedeva nelle equale partizione dei beni. Tale equità era all'origine della figura del cittadino soldato, combattendo per difendere il proprio campicello ed insieme a questo, lo Stato. La Francia rivoluzionaria aveva un'idea molto particolare. Le istituzioni romane, con l'ascesa al potere dei giacobini e l'eliminazione della monarchia si attribuiva alla neonata Repubblica, a un profilo simile ad una democrazia diretta sul modello dell'antichità classica. Lo scopo era quello di garantire la maggiore partecipazione dei cittadini, requisito che Rousseau riteneva indispensabile per la libertà dello Stato. Per promuovere quando era rappresentato dalle città-Stato greche, i teorici della rivoluzione svilupparono un'ispirazione verso Roma. Così vennero
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