Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

I film attraverso i film - Riassunto, Appunti di Teoria Del Cinema

Riassunto del testo “I film attraverso i film” di Mariachiara Grizzaffi

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 04/08/2022

Erika-Procaccino
Erika-Procaccino 🇮🇹

4.7

(35)

27 documenti

1 / 29

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica I film attraverso i film - Riassunto e più Appunti in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! 1 I film attraverso i film – Dal Testo introvabile ai Video Essay Chiara Grizzaffi Introduzione È possibile illuminare le immagini attraverso le immagini al punto da produrre epifanie? A queste domande cerca risposta una patica oggi molto diffusa → i video essay → lavori audiovisivi basati sull’appropriazione, il riuso e il rimontaggio di immagini cinematografiche esistenti, che hanno l’obiettivo di analizzare i film, veicolare osservazioni critiche in modi più o meno complessi e articolati, talvolta anche solo suggerire qualche intuizione. Le innovazioni tecnologiche da tempo consentono una fruizione del film non solo più inesorabilmente condizionata dalla legge dello scorrimento, oggi ogni critico può facilmente procurarsi una copia in DVD del film desiderato, o magari guardarlo in streaming sul proprio computer, rivedere più volte una scena, mettere in pausa o sospendere la visione per poi riprenderla successivamente. Un po’ come leggere un libro. Ma in che misura le mutate condizioni materiali, di accessibilità e di disponibilità del film orientano i modi dell’analisi? Nello scenario mediale contemporaneo, cosa possiamo fare con i film per i film? 2 Capitolo 1 – Analizzare per immagini: sollecitazioni teoriche e mutazioni tecnologiche 1. Catturare il testo introvabile Si è scritto moltissimo sulle tecnologie digitali e sulle loro ricadute in relazione al cinema, un medium nato come analogico. Concetti come rimediazione, intermedialità, cultura convergente sono il risultato del fermento teorico sviluppatori intorno alle mutazioni nel panorama mediale. Nell’ambito degli studi sul cinema ci si è interrogati su questioni ontologiche → si può ancora parlare di cinema quando le tecnologie di ripresa e di proiezione sono radicalmente mutate? In molti hanno anche affrontato le trasformazioni delle modalità di fruizione cinematografica: il film oggi migra dalla sala a una moltitudine di supporti e luoghi differenti, e l’esperienza stessa della visione si ridefinisce costantemente in base a queste nuove opportunità. Cosa cambia nel modo in cui studiamo e pensiamo il cinema quando il film non è più soltanto quello che si vede nel buio di una sala, col vincolo di ordine e durata imposto dalla proiezione? Nel momento in cui il critico e lo studioso possono avvalersi di una serie di strumenti per isolare frammenti di film, per rivederli o metterli in pausa a proprio piacimento; quando il possesso, la manipolazione e la condivisione di immagini esistenti sono pratiche talmente comuni, condivise, si impone un deciso ripensamento nei modi in cui si impara e si insegna il cinema. Saggi sul cinema di Raymond Bellour → Il testo introvabile Nel saggio di Bellour riprende la distinzione barthesiana tra opera e testo per affermare che il film può a buon diritto essere chiamato testo; al contempo però, non a caso nell’opera filmica la definizione di testo sarebbe metaforica, perché il film si sottrae in parte alla trasformazione dell’opera in testo e resiste al processo di apertura, di partecipazione, di lettura/scrittura che questo passaggio presuppone. Questo processo, nel caso del film, è ostacolato dal fatto che a differenza del testo letterario, quello cinematografico non può essere citato all’interno di un’analisi scritta, e la citazione per Bellour è necessaria per porsi già implicitamente in una prospettiva testuale. Alcuni degli elementi costituitivi del linguaggio cinematografico possono essere citati ma con la perdita inevitabile di certe caratteristiche essenziali, come il tono o il timbro della voce. Per quanto riguarda il visivo, quando Bellour scrive Il testo introvabile l’unico modo in cui l’immagine può essere in parte afferrata è fissata su carta è attraverso la riproduzione di singoli fotogrammi, quindi soltanto a patto di rinunciare alla specificità dell’immagine in movimento. Non sfugge quindi a Bellaur la natura decisamente trasgressiva dell’arresto o fermo immagine. Per questo il film è definito un oggetto assente, e lo studioso deve accontentarsi di renderne, attraverso i fotogrammi, solamente alcune componenti, in uno sforzo descrittivo tanto impegnativo quanto inevitabilmente parziale, inesauribile. La centralità del fermo immagine è ribadita in più articoli dello studioso francese. Non è solo con I limiti della memoria che ci si è dovuto confrontare prima che il film migrasse su supporti come le VHS o il DVD, ma anche con quelli della scrittura, dato che si serve del linguaggio verbale, in forma scritta o orale, per parlare di immagini. Affidarsi solo al fermo immagine significa per Rodowick, negare all’immagine in movimento l’intellegibilità, la capacità di generare un processo di conoscenza. 5 riescono in arte a colmare un divario perché consentono l’utilizzo di immagini per parlare di immagini, e sono degli strumenti multimediali, per quanto limitati. Nondimeno, i database su internet e il CD-rom fanno qualcosa di più: consentono un tipo di utilizzo e di fruizione delle immagini non lineare. L’utilizzo di questi strumenti ha alcune conseguenze importanti: - La possibilità di citare e analizzare le immagini in movimento nella loro durata, e non solo i fotogrammi; - La possibilità di poter confrontare grandi quantità di immagini per analogia e opposizione; - L’opportunità di lavorare tenendo conto anche del sonoro dei film. Il risultato è un’analisi interminabile, mai chiusa da interpretazioni univoche ma anzi continuamente aperta a nuove direzioni. Non si avrebbe torno a sospettare che, al di là delle oggettive difficoltà degli studiosi, per i quali parlare e scrivere di cinema con le immagini significa di fatto imparare un nuovo linguaggio: non solo quello dei codici visivi e sonori, ma anche quello di software e strumenti digitali. 3. Il montaggio come principio di comprensione e di conoscenza Se è un nuovo linguaggio per immagini quello che siamo chiamati a imparare, è opportuno tornare a riflettere sulle strutture profonde di questo linguaggio, e quindi sul montaggio in quanto non solo principio di organizzazione e di articolazione del visivo, ma in quanto processo di apprensione e di incontro tra la dimensione sensibile è quella intellettuale. Nel 1977, in occasione di un’esposizione intitolata Il Montaggio, Gianfranco Baruchello scrive “Montare è combinare le immagini in modo diverso così che l’emotività e la ragione dello spettatore si inseriscano nel processo … ma forse è più di questo”. Il montaggio è in realtà non solo il fondamento creativo che ha contrassegnato la prassi artistica del 900, ma è uno strumento essenziale nel suo generare senso, conoscenza, comprensione degli artefatti culturali che ci circondano. Il montaggio non è soltanto un cardine dell’organizzazione dell’immagine, anche e soprattutto cinematografica, ma un mezzo di svelamento dei suoi meccanismi di funzionamento e dei suoi significati più profondi. A Ejzenštejn si deve un’approfondita disamina del montaggio come principio generativo sotteso a qualunque produzione artistica. La centralità del montaggio nel pensiero ejzensteiniano è chiara già nel 1926, quando nel famoso intervento Béla dimentica le forbici il maestro sovietico difende con veemenza il primato del processo di montaggio come mezzo di produzione del significato dell’opera cinematografica. Ejzenštejn ha questa idea trasversale condivisa del montaggio come attività che consente di scomporre e ricomporre in nuoce unità, di creare a partire dal frammento, di sperimentare configurazioni inedite dell’esistente. 6 Altrettanto emblematica, e in linea con questa idea del montaggio che produce conoscenza, è la figura di Aby Warburg, che con il suo atlante incompiuto Mnemosyne si proponeva di ordinare e raccogliere immagini provenienti dalle più svariate fonti e in formati differenti nel tentativo di fare una storia dell’arte per rime gestuali, quelle formule del pathos che per lo studioso tedesco sopravvivono, in quanto intrinsecamente legate a passioni primitive e universali, e riaffiorano nella storia delle rappresentazioni artistiche non seguendo un principio cronologico-evolutivo, ma piuttosto per salti, apparizioni. L’approccio allo stridio delle formule del pathos, di conseguenza, si serve del montaggio come strumento euristico e morfologico con cui mettere in relazione le forme e cartografarne le migrazioni. Il pensiero di Warburg ha trovato negli ultimi anni gradi popolarità: è stato ripreso, studiato, rievocato soprattutto riguardo pratiche contemporanee che tentano di interrogarmi sulla nostra relazione con le immagini, in particolare un un’epoca in cui i dispositivi digitali rendono l’archiviazione, la moltiplicazione, la circolazione delle immagini così semplice e immediata da rischiare un accumulo indifferenziato, la perdita della dimensione storica, l’incapacità di interpretarne il senso. Analisi di due progetti che in modo più o meno diretto ricordano le tavole di Mnemosyne e l’approccio allo studio dell’immagine di Warburg, e che nella loro natura si affidano profondamente alla funzione di indagine delle operazioni di montaggio: 1. Il primo è il thesaurus di immagini cinematografiche ipotizzato da Harun Farocki e Wolfgang Ernst. Nel saggio Towards an Arhive of Visual Concepts, Ernst pensa al processo di digitalizzazione delle immagini come alla possibilità di avere un archivio in cui esse possano essere catalogate e selezionale non più solo in base ai metadati inseriti dai singoli individui, e quindi ricavati da caratteristiche che è l’occhio umano a percepire, ma tramite la capacità dei media digitali: le immagini sono così processare e catalogate da una memoria visuale endogena i cui principi di funzionamento non sono più unicamente determinati dall’intervento umano, ma dalla stessa architettura del medium che raccoglie e processa le immagini. Questa proposta metodologica di Ernst si incontra poi con un progetto che Farocki accarezzava da tempo: quello di creare una sorta di dizionario dei topoi cinematografici su CD-rom; 2. Una proposta di ricerca che per certi versi affine è quello di Lew Manovich. Di recente lo studioso ha orientato dli sforzi del suo gruppo di lavoro verso un nuovo paradigma di ricerca, denominato cultural analytics, che ha lo scopo di impiegare a fini analitici e didattici “l’analisi computazionale su larga scale e la visualizzazione interattiva di pattern culturali. Fondamentale è l’idea di visualization: visualizzazione come metodo di elaborazione dei dati. Fra le tecniche adoperare dalla media visualization, Manovich annovera il collection montage: l’aggregazione a fini comparativi di un numero anche molto elevato di immagini, una possibilità che perfino alcuni software di ampia diffusione sono in grado di mettere in pratica. Il collection montage consente di individuare motivi e ricorrenze tra le immagini. Il procedere incestante del montaggio è governato da due tensioni, due forze più complementari che antitetiche: continuità e discontinuità. Sono moltissimi gli studiosi che hanno utilizzato queste categorie per descrivere, da un lato la continuità propria del cinema narrativo, in cui ciascuna 7 inquadratura segue naturalmente quella che precede, secondo dei rapporti di concatenazione causa/effetto che restituiscono l’illusione di uno spazio e di un tempo cinematografico perfettamente coerente; dall’altro la discontinuità, il palesarsi degli scarti, dei tagli, l’accostamento delle immagini secondo principi poetici o ideologici. Appare però particolare che la discontinuità avrebbe proprio quel potenziale critico attraverso il quale le immagini possono produrre riflessione, pensiero. Le altre forme della discontinuità sono definire forme del tempo: lavorano non su una concezione dialettica dello scontro compre processo generativo e produttore di nuovi significati, ma piuttosto su un’idea del montaggio come lavoro sul tempo, sulla frequenza, non in quanto illusione di continuità spaziale e cronologica ma come discontinuità in cui più che choc emotivi sono in gioco piccoli traumi percettivi. Basata sulla dicotomia continuità/discontinuità e anche la distinzione che Amiel propone nel suo Estetica del montaggio. Lo studioso francese individua due spinte contrapposte, ma non mutualmente esclusive, che sottendono l’organizzazione e l’articolazione dell’immagine cinematografica: découpage e collage: - Découpage: è un’operazione di scomposizione del visibile che avviene prima delle riprese vere e proprie e deriva soprattuto da un principio di articolazione interna della realtà descritta piuttosto che da un principio di frammentazione/articolazione; - Collage: le immagini cozzano, urtano una contro l’altra, dialogano senza proporre il tragitto limpido di uno sguardo unificante. A partire da questa macrodistinzione, Amiel distingue tre tipi di montaggio, di cui il montaggio narrativo e due discontinuee (montaggio discorsivo e montaggio per corrispondenze). Il montaggio discorsivo è un montaggio significante, in cui ciascun frammento, ciascuna inquadratura, mantiene la sua identità, ha importanza in sé e non in quanto elemento di un processo metonimico- narrativo in cui si rimanda a un intero. Diversamente, il montaggio per corrispondenze è: un montaggio senza rete, senza risorse narrative o intellettuali, senza giustificazione esterna. Una forma che lavora sul tempo, che crea nessi poetici e sensibili più che narrativi o dialettici, che scandisce e punteria ritmicamente il fluire delle immagini, che procede per scarti e shock, che non rinuncia in toto, ovviamente, a una funzione semantica, ma che non si concede però a un’interpretazione chiara e univoca. 10 1.1 Forme dell’appropriazione: il film d’archivio sperimentale Sul film di found footage esiste una bibliografia in costante aggiornamento. In occasione del convegno The Audiovisual Essay: Practice and Theory, il primo in Europa interamente dedicato a tale argomento, organizzato nel 2013, sono stati proiettati lavori fondamentali insieme a numerosi video essay contemporanei. Due questioni fondamentali che definiscono la relazione tra found footage e video essay: 1. La prima è quella delle possibili strategie formali, di linguaggio messe in pratica dai film di found footage, strategie di cui il video essay si appropria. Si pensi all’intervento sullo scorrimento e sulla durata di alcune sequenze cinematografiche, o di film interi; ma anche al meccanismo della ripetizione, o al ricorso a schemi o pannelli multipli per consentire la fruizione simultanea di immagini o addirittura di ordini di immagini differenti; oppure all’operazione dettagliante, di scomposizione analitica, ottenuta tramite il rifotografare e il rifilmare. Tutte prassi di elaborazione formale che evidenziano proprio quella funzione analitico- decostruttiva del montaggio che sottraggono le immagini dei film dal loro contesto originario e le selezionano, arrivando anche a sfigurarle. 2. Va osservato come questo lavorio incessante di appropriazione e trasformazione di film, che fanno parte di un canone costituitosi a partire dalle varie storie del cinema, ne esplori le strutture profonde, ne interroghi i significati. Rose Hobart non è solo un omaggio a un attrice ma anche una possibile riflessione sul divismo, sulla trasfigurazione del corpo e della gestualità sullo schermo. Martin Arnold attraverso il found footage propone una sua rilettura del testo filmico debitrice della teoria del film di matrice psicoanalitica, che ha spesso indirizzato la propria attenzione proprio al film classico. 1.2 Imparare attraverso le immagini: histories, rimontaggi, critofilm La produzione di documentari, di programmi tv sul cinema, di materiali audiovisivi che hanno un intento più dichiaratamente didattico e critico non è mai stata adeguatamente studiata o mappata. Solo di recente, in occasione della 52ª Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, Adriano Aprà ha curato un comune dal titolo Critofilm. Cinema che pensa il cinema: questo tenta l’impresa di rintracciare i percorsi del documentario sul cinema: arrivando anche a proporre una filmografia evidentemente parziale, ma comunque imponente per la quantità di voci. Alla genericità del termine documentario Aprà preferisce il termine critofilm. Le potenzialità che questa forma di critica audiovisiva manifesta vengono volte anche da alcuni registi e critici cinematografici riuniti intorno alla rivista Cinema&Film. Nell’ approfondita monografia che Michael Witt dedica a Godard e alle sue Historie(s) di cinéma, lo studioso inglese ha proposto una breve ricognizione nel panorama trascurato degli audiovisual film critics and historians, ricordando in primis come fra le prime forme di studio del cinema e del suo linguaggio vi siano i rimontaggi effettuati da Lev Kulesov nei suoi laboratori, che hanno contribuito alla formazione di diversi cineasti russi negli anni 20, e per i quali molto spesso il materiale di partenza era fornito da pellicole estere. 11 Rimontare i film della storia del cinema, per avere una maggiore comprensione del funzionamento del linguaggio cinematografico e mettere in pratica le regole basilari, è una prassi didattica ed educativa il cui valore è stato evidenziato ancora in anni recenti. Istituzioni come le cineteche, atte a conservare preziosi reperti della storia del cinema, insieme alle aule per l’insegnamento della teoria e della pratica cinematografica sono spesso state luoghi in cui rintracciare dei percorsi, storici e semantici, tra le immagini cinematografiche, nel migliore dei casi operando proprio una sorta di montaggio per visioni. Similmente i cineclub, i circoli, i cineforum, le retrospettive hanno spesso assunto anche in Italia una funzione didattica e divulgativa di cui poi, con il moltiplicarsi dei supporti di registrazione e archiviazione delle immagini, si sono fatti carico anche medium diversi dal cinema. Per Aprà è proprio l’avvento della televisione, in primis, a dare avvio al critofilm come genere, perché ne diventa il luogo di distribuzione elettivo. Studio cinema, in particolare, rappresenta un caso molto interessante: si tratta di vere e proprie lezioni di analisi del film, tenute in uno studio televisivo e condotte con l’ausilio della moviola, oggetto fisicamente presente in studio e controllato da un montatore professionista, a cui gli studiosi davano di volta in volta indicazioni per far partire la sequenza da analizzare, metterla in pausa, mandare avanti velocemente per trovare il punto di interesse successivo. Fra i critici e gli studiosi di cinema che, in Italia, hanno accompagnato alla propria attività di scrittura critica e saggistica con quella della ricerca di forme alternative di analisi per immagini va di nuovo mansionato Adriano Aprà. L’avvento della televisione, poi del digitale, la diffusione dei supporti per l’home video hanno contribuito all’aumento esponenziale della produzione di documentari sul cinema. 1.3 Ciné-moi: il film-saggio Parliamo delle Historie(s) du cinéma di Godard: si tratta di un progetto complesso è anomalo, per il quale è pressoché impossibile ipotizzare una finalità didattica. Il progetto godardiano sembra appartenere a una delle categorie più instabili e interessanti emerse recentemente, quella del film- saggio. Nel suo saggio del 1992, In Search of The Centaur: The Essay Film, Philip Lopate pensa il film- saggio come una bestia mitologica, un’unione tra il film e un genere letterario, il saggio, che a differenza di altri fatica a trovare un suo equivalente su grande schermo. Lopate considera fondamentale, per definire il film-saggio, la sua sostanziale aderenza all’equivalente letterario —> non sarebbe sufficiente una certa forma di riflessività a definire l’appartenenza di un film al genere saggistico, ma deve possedere delle caratteristiche ben definite: - La presenza di parole, siano esse pronunciate da una voce over o consegnate tramite testo scritto; - Deve presentare il punto di vista di un singolo, la sua personale prospettiva; - Deve costituire il tentativo di trovare la risposta a un qualche interrogativo; - Deve affrontare, a differenza del documentario, le questioni di una prospettiva personale, da un punto di vista ben definito. 12 Si evince da queste caratteristiche che il trattamento delle immagini ha un’importanza secondaria per lui; in questo senso è perfettamente comprensibile che il film-saggio di configuri come un esperimento impossibile, perché schiacciato dall’eccessiva aderenza al suo equivalente letterario. Quella di definire il film-saggio è una sfida teorica forse non ancora del tutto vinta. Nonostante la difficoltà, che ancora persiste, a definire quello che non è un genere cinematografico, ma piuttosto una forma ibrida, a metà strada tra documentario e finzione, come sottolinea a più riprese Apra, diversi contributi critici hanno recentemente provato innanzitutto a tracciare il percorso storico di una forma di cui qua e la affiorano, nel corso della storia del cinema, diversi precursori esemplari. Due fra i più importanti teorici del film-saggio, Laura Rascaroli e Timothy Corrigan, hanno sottolineato l'importanza del pensiero di Alexandre Astruc nello sviluppo di una riflessione sulla forma saggio al cinema: difatti, nel suo Naissance d'une nouvelle avant-garde: la caméra-stylo, Astruc afferma che al cinema si offre la possibilità di pensare per immagini, e di tramutare quel pensiero in una scrittura visiva che non sia soltanto schiava dello sviluppo narrativo, ma che si apra a ogni sorta di riflessione sui più disparati argomenti. Una forma quella del film-saggio non soltanto ibrida, complessa, dai contorni sfuggenti, ma anche effimera, nutrita dalle innovazioni tecnologiche che da un lato ne sfidano la permanenza, la rendono più fragile e instabile, ma dall’altro consentono al film-saggio di costituirsi come opera personale, intima, più immediata. Questa dimensione soggettiva, per Lopate necessaria ma non sufficiente a definire il film saggio, è essenziale anche per Rascaroli e Corrigan. Corrigan, la cui visione ha diverse cose in comune con quella di Rascaroli, dal canto suo considera come elementi costituitivi del film-saggio: l’incontro tra un’istanza soggettiva e la sfera pubblica, un incontro che contribuisce a ridefinire costantemente, a rimodellare il pensiero e il sentire del soggetto. Questa visione dell’esperienza pubblica come uno spazio di negoziazione costante dell’identità del soggetto del film-saggio, e del suo sguardo, costituisce la differenza, per Corrigan, tra il film-saggio e le altre forme del documentario in cui si è più inclini a esercitare la propria autorevole visione sul mondo. Tornando a Godard e alle sue Historie. Un progetto radicale che sfigura le immagini e le trasforma in frammenti nella speranza di intraprendere un percorso di rielaborazione dei traumi della memoria e della storia e acquisisce allo stesso tempo un potente strumento per comprendere il presente e scongiurare la ripetizione degli errori del passato. Solo attraverso la rottura, lo scardinamento dell’ordine esistente delle rappresentazioni e il loro ricostituirsi in configurazioni inedite di esercita quella funzione di accesso critico alla storia che accomuna il lavoro di Godard al pensiero di Benjamin. Se guardiamo molte delle caratteristiche essenziali attribuire fin qui al film- saggio, la vocazione saggistica del lavoro di Godard sembra piuttosto evidente. Le Historie(s) du cinèma chiamano in causa un patrimonio condiviso di visioni il cui accostamento, all’interno dei singoli capitoli, ha lo scopo di far scaturire delle riflessioni intorno a esse. In alcuni passaggi, il Godard critico cinematografico e intellettuale sembra più disposto a condividere il proprio sapere e le proprie intuizioni analitiche. 15 Capitolo 3 – Strategie formali: il linguaggio delle immagini 1. Proposte per una tassonomia dei videosaggi Nonostante la nascita dei video essay sul cinema sia piuttosto recente, non sono mancati i tentativi di definire, seppure in modo provvisorio, non solo i contorni ma anche le principali caratteristiche formali. Uno dei primi tentativi è quello di Christian Keathley. Nel saggio La caméra-stylo: notes in video criticism and cinephilia, Keathley fa una breve premessa sull’impatto delle tecnologie digitali non solo sulla ricezione dei film, ma anche sull’esercizio della critica e dell’analisi. Individua più uno spettro di possibilità estetiche del video saggio, che oscillerebbe tra le forme explanatory e poetic. Alla prima categoria appartengono i lavoro che assolvono a una funzione argomentativi e didattica; alla seconda quelli che presenterebbero piuttosto un registro poetico più spiccato e una minore chiarezza espositiva. A distinguere la prima tipologia dalla seconda è soprattuto il suo fare affidamento sul linguaggio verbale. I video caratterizzati da un registro poetico farebbero ricorso ad altre risorse: il linguaggio verbale può essere presente, ma è solo una componente di un complesso lavoro di rielaborazione dell’immagine che spesso dialoga più con il film d’arte d’archivio che con il testo divulgativo o accademico. È possibile tracciare delle evidenti analogie tra l’explanatory mode di Keathley e le prassi didattico- documentarie, e tra poetic mode e film di found footage sperimentale. Ciò significa però che anche lo spectrum di Keathley rischia di mettere in secondo piano strategie ibride, come quella della saggistica. Di certo questi tentativi di individuare tendenze, o poli, entro cui situare la produzione dei video essay non possono che rimandare a una distinzione più profonda e sostanziale, che riguarda proprio il montaggio e i suoi principi di articolazione. Cristina Álvarez López e Adrian Martin, ricorrendo a una terminologia propria della semiotica, distinguono tra una tendenza all’omogeneità del montaggio del video essay o all’eterogeneità. Il montaggio per i due studiosi si basa inoltre, inevitabilmente, su un processo di selezione che illumina e mette in risalto alcuni aspetti del materiale di partenza, per occultarne altri. Organizzare secondo queste direttrici la produzione contemporanea di video essay significherebbe però dover attribuire inevitabilmente delle precise intenzioni estetiche e comunicative ai singoli lavori, più che coglierne la natura fortemente ibrida determinata tanto dalle diverse prospettive teoriche e critiche sorprese a ciascun video essay, quanto dall’assorbimento di elementi propri di pratiche e modelli anche molto diversi. Altri studiosi hanno già riflettuto sulle possibili tecniche formali impiegate dai video saggi. Per esempio Catherine Grant ha individuato alcune strategie possibili nel video essay. Si tratta di un’ipotesi di massima, nata dall’osservazione ravvicinata del fenomeno, che non ha la pretesa di esaurire le possibilità di linguaggio dei video essay, ma cerca di individuarne le strategie formali più ricorrenti. 16 2. Dalla voice-of-God alle voci ironiche, soggettive, embodied L’utilizzo della voice over è ricorrente nei video essay online. Si tratta di una scelta formale che presenta il vantaggio di condurre in modo chiaro analisi di un certo grado di complessità: idealmente, l’argomentazione del critico o dello studioso guida l’interpretazione delle immagini, che a loro volta dovrebbero corroborare le osservazioni della voce. La voice over diventa anche un mezzo economico e pratico di trasmissione delle informazioni. Ma come agisce la voice over nel video essay? Che tipo di strategie retoriche mette in campo? Il commento audio è uno degli espedienti, se non l’espediente principale, di un lavoro di tipo esplicativo, che ambisca a far comprendere con chiarezza la propria visione su un argomento. Spesso viene definita come voice of God: una voce che nel rivolgersi allo spettatore tenta di convincerlo dell’assoluta bontà delle proprie osservazioni. Nei video essay la voice over appartiene spesso all’autore del lavoro nella sua interezza; più raramente, ci possono essere due identità distinte: quella dell’editor e quella del critico o studioso che invece si fa carico del commento delle immagini. Tra i video saggi in cui viene utilizzata la voice over, in molti presentano anche un registro formale, un tono distaccato e professionale. Certamente, non in tutti i video essay che fanno uso di una voice over formale c’è lo stesso grado di elaborazione visiva dell’immagine: in certi casi le clip sono giustapposte in modo sequenziale, col sonoro originale in parte o completamente coperto dalla voce, e relegate a una funzione più illustrativa. Anche se nei video essay lo scollamento tra immagine e parola è meno evidente, va considerato che la loro funzione avviene soprattuto online, in un contesto in cui l’utente è spesso sollecitato da una miriade di ulteriori stimoli visivi e sonori, e invitato a un tipo diverso di lettura delle informazioni. L’utilizzo di un tipo di voice over disembodied, impersonale, dai toni neutri ha sollevato diverse critiche nell’ambito degli studi sul documentario. Eppure, le posizioni sulla voice over andrebbero riviste, per almeno due ragioni: - Non tengono conto di tutti quelli usi della voice over maggiormente ironici, che si distaccano dal modello canonico di voice of God e che problematizzano proprio il rapporto con l’immagine; - Presuppongono quasi a priori un intento ingannevole e mistificatorio del documentario. Nel caso specifico del Video essay l’utente ha a disposizione una serie di informazioni contestuali per cui il lavoro di riflessione e interpretazione non si esaurisce affatto nell’accettare acriticamente la lettura proposta. Il legame tra linguaggio e immagine, per cui il senso dell’uno viene rafforzato dall’evidenza dell’altra, non può essere in alcun modo sottovalutato. Keathley stesso utilizza la voice over per creare questo effetto che definisce uncanny, perturbante: la scoperta di un qualcosa di nuovo, estraneo, in ciò che si ritiene noto, familiare. Il video saggio può trasformarsi anche in un mezzo attraverso cui l’autore svela una connessione intima, personale, tra la sua biografia e il film che analizza, che costituisce l’innesco per una serie di 17 riflessioni su se stessi e la propria storia, anche di cinefilo. I primi lavori di Kevin B. Lee, per esempio, sono caratterizzati da una forte impronta autobiografica. Si possono verificare poi casi in cui la voce è embodied, con la fonte visualizzabile sullo schermo invece che relegata fuori campo. Può trattarsi di casi al limite tra la videointervista e il videosaggio: il più delle volte l'oggetto (il film) e la sua analisi o interpretazione critica rimangono centrali rispetto a un soggetto (il critico, lo studioso) che pur rendendosi visibile resta in secondo piano. A quello che si potrebbe definire come eccesso di embodiment corrisponde un caso estremo di disembodiment. Sempre Kevin B. Lee ha realizzato nel 2015 Siri Says HER Should Win 2014 Oscar for Best Picture, parte di una serie intitolata Oscar 2014: Video Evidence. Il video è dedicato a Her (Lei, Spike Jonze, 2014), meritevole secondo Lee dell'Oscar come miglior film, e la cui protagonista è una voce totalmente disembodied, priva di corpo (è un sistema operativo intelligente). Lee si mostra fin da subito all'interno dell'inquadratura, investito dal fascio di un proiettore diretto su un telo alle sue spalle, sul quale vengono mostrate le immagini dei film insigniti della nomination: in questo modo, il critico sembra letteralmente immerso in essi. Tutto il video è però concepito come una conversazione fra lui e Siri, l'applicazione per iPhone che funge da assistente e funziona tramite riconoscimento vocale. La voce automatica di Siri, a cui Lee fa dire frasi coerenti e certamente più complesse di quelle di solito pronunciate dall'applicazione, instaura con l'autore un dialogo che richiama la situazione rappresentata nel film. Uno sguardo d'insieme ai videosaggi che utilizzano la voce sembra confermare come il suo uso non caratterizzi solo i lavori che Keathley definisce explanatory. Accanto a forme più convenzionali di commento autorevole se ne palesano altre più dubitative, più soggettive o perfino finzionali. E lavori caratterizzati da un registro formale e da un'argomentazione più accademica coesistono con video che adottano invece un registro più informale e un tono diretto. Una varietà così ampia di possibili declinazioni della voce dimostra come anche l’autorità di cui viene investita, o il modo in cui sollecita le interpretazioni e guida alla lettura delle immagini, sia soggetta alle oscillazioni e ai mutamenti determinati dalla crescente complessità del panorama mediale che ci circonda. 3. Scrivere sulle immagini: video essay e testo scritto L’impiego frequente della voice over nei video saggi testimonia di quanto il linguaggio verbale sia ampiamente utilizzato anche nel caso delle analisi per immagini. In questo senso sembra esserci una sorta di continuità con le riflessioni di Bellour sull’avvento della tecnologia video. Tuttavia, il sonoro non è l’unico mezzo impiegato per articolare a livello verbale le proprie osservazioni. Frequente è anche l’utilizzo di testi scritti, che possono presentarsi in varie forme: ci sono cartelli su fondo monocromo, sottopancia, scritte in sovrimpressione o ai bordi del quadro, altri segni grafici. È opportuno innanzitutto distinguere fra didascalie, intertitoli presenti all’interno dei video essay e quei per i testi che invece ne delimitano i confini, vale a dire i titoli di testa e i titoli di coda. Il titolo nel video essay ha spesso la funzione di indicare immediatamente la questione sulla quale ci si 20 In ogni caso l’operazione di remix e di rimontaggio del video essay si organizza sempre intorno a un determinato principio ordinante. Questa funzione può essere svolta dal linguaggio verbale, sia che si presenti in forma di voice off/over che di testo scritto. La prevalenza della componente verbale nel guidare la lettura delle immagini è evidente sia nei casi in cui esse siano montate in modo sequenziale, sia quando invece vengono usati split screen o riquadri multipli. Christa Blumlinger ha evidenziato come esistano grossomodo due tendenze compositive in quello che lei chiama cinema di seconda mano: la prima è quella dei compilation film, in cui le immagini sono assemblate e legate insieme. I tropi della narrazione lineare da un lato, la rottura delle convenzioni dominanti dall’altro: le considerazioni di Blumlinger trovano un’eco nell’idea di spectrum di Keathley. Anche il video essay tende a organizzarsi o tramite una certa tendenza alla linearità espositiva, oppure cerca forme più suggestive, meno immediate a convenzionali di aggregazione del materiale. Nei video che utilizzano il montaggio sequenziale senza voice over o intertitoli viene soltitamente messo in evidenza un elemento specifico del/dei film presi in esame, sia esso stilistico, tematico, o storico. Nel video saggio che può avvalersi di commento over o di didascalie invece è più facile spaziare tra fattori stilistico-formali, di contenuto, o notazioni storiche, allargando il campo di indagine; per quanto riguarda i video che organizzano le proprie immagini senza tali ausili diventa fondamentale restringere il campo ricorrendo al titolo del video come primo, forte orientamento. Il sonoro rimane un elemento fondamentale per legare insieme le immagini. Coagulando suono e immagine i lavori meno argomentativi trovano un ritmo interni che contribuisce a guidare l’organizzazione dei materiali. Si può inoltre osservare che molto spesso questi video hanno nell’individuazione di motivi specifici un chiaro strumento di connessione e aggregazione delle immagini. Sono numerosi anche i video essay che si focalizzano su motivi cinematografici, di fatto combinando la logica sintagmatica del montaggio sequenziale con l’intento paradigmatico, associativo, che si manifesta nel raccogliere le diverse, possibili occorrenze di un determinato elemento. La focalizzazione può avvenire sia a livello macro che micro: - Macro nel caso in cui l’intero video esplori un singolo motivo all’interno del film, della filmografia di un regista, di un genere, di una tradizione storica, ecc…; - Micro perché molto spesso se a essere esplorata è una dimensione più ampia, a scandire il seguirsi delle immagini può essere il raggruppamento in piccoli blocchi che presentano similarità, rimandi interni. Gli aspetti dell’opera cinematografica che i video essay possono analizzare e restituite con straordinaria efficacia sono del resto proprio quelli legati ai corpi, ai gesti, al movimento. Anche nel video essay corpo, gesti, movimenti all’interno delle immagini assumono grande rilevanza. Nel sottrarre il montaggio sequenziale alla sua dimensione narrativa/sintagmatica il video essay non ne fa soltanto uno strumenti in grado di smascherare convenzioni, ripetizioni cliché, o una forma di 21 collezionismo feticistico del simile o dell’identico, ma un mezzo di scoperta, di rivelazione di nuovi percorsi possibili tra le immagini. 4.1 Veicoli possibili della memoria: split e mosaic screen Secondo Chaterine Grant lo studio dell’inter-testualità al cinema può avvalersi della possibilità che l’editing digitale offre di mostrare simultaneamente le immagini tramite split e multiple screen, rendendone immediatamente visibili i punti di contatto e le concessioni. Gli studi solo split screen sono relativamente esigui, è quasi mai si interrogano su questioni di poetica o estetica di tale forma. Fanno eccezione le riflessioni proposte da Lev Manovich ne Il linguaggio dei nuovi media: più volte infatti lo studioso Russo ritorna sulla distinzione tra montaggio temporale e montaggio spaziale: - Nel montaggio temporale realtà separare danno origine a momenti consecutivi; - Il montaggio spaziale coinvolge un numero elevato di immagini, anche di dimensioni e proposizioni diverse, che appaiono contemporaneamente sullo schermo. Il montaggio spaziale ritrova una sua centralità con l’arrivo del computer con le sue interfacce grafiche. Si potrebbe affermare che il montaggio spaziale anche nel video saggio rappresenta un veicolo della memoria, uno strumento non solo comparativo, ma più in generale capace di guidare lo sguardo tra immagini del passato e immagini del presente. Questa funzione è diversa da quella che split e multiple screen rivestono nel cinema di finzione, quindi nel regime della narrazione. La suddivisione dello schermo in più riquadri consente non solo di accostare tra loro le immagini di uno o più film per evidenziarne le relazioni, ma anche esplorarne i processi di realizzazione. Si tratta di un utilizzo più raro, ma che si rivela particolarmente efficace. Riquadri dipoi e multipli sono anche la cifra stilistica di uno dei pochi video saggisti italiani: Davide Rapp li ha utilizzati sia con finalità comparatistica sia come strumento atti a ricostruire lo spazio finzionale. Ci si i inoltre saggi che attraverso la suddivisione dello schermo in riquadri, invece, chiamiamo direttamente in causa l’atto di post-produzione e di manipolazione del videosaggista. In un articolo del 2008 Sergio Dias Branco ha sottolineato come il termine split screen, nella definizione volutamente ampia che ne danno Bordwell e Thompson in Film Art: An Introduction, venga usato senza troppi distinguo per indicare tutte le forme di suddivisione e frammentazione dell'immagine sullo schermo. Ma, secondo lo studioso, in alcuni casi l'espressione mosaic screen risulterebbe invece più adeguata. Il mosaic screen si distingue intanto per alcune caratteristiche estetiche: a differenza dello split screen, la suddivisione non avviene a partire dai bordi dello schermo, i singoli riquadri sono separati da contorni molto netti e lo sfondo, spesso scuro, rimane molto visibile. A essere rilevante, però, è soprattutto una differenza di tipo semantico. La descrizione del mosaic screen ricorda per molti aspetti l’uso dei riquadri multipli che fa il video saggio, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti formali. Tuttavia, anche se nei video essay questi riquadri non sono in effetti legati da rapporti di consequenzialità o di simultaneità, il loro utilizzo è comunque finalizzato a creare una connessione anche molto forte fra le immagini, un’interdipendenza, un dialogo, e non a disconnetterle. 22 Da un lato, la definizione molto generica di split screen di Bordwell e Thompson si presta a descrivere anche i riquadri multipli dei video saggi. Dall’altro, l’articolata descrizione delle proprietà del mosaic screen individua in effetti alcuni tratti salienti del montaggio spaziale nel video essay. L’utilizzo dei riquadri multipli non ha soltanto finalità comparative o di analisi. Similmente a a quanto avviene nel caso delle Pay Tv e dei servizi on demand anche nei video essay in alcuni casi si può riempire lo schermo di riquadri, ciascuno dei quali costituito da un film diverso, per poi successivamente concentrarsi su un titolo per volta. L’utilizzo del montaggio spaziale realizza l’utopia di vedere le immagini cinematografiche in modi del tutto nuovo. Svincolare dallo scorrimento in sequenza, affiancate simultaneamente, esse chiedono allo spettatore di cooperare indovinando il percorso di senso che si trova dietò a tale costruzione, o creandone uno personale. Entra in gioco la capacità critica di chi guarda, che deve rendere significativi gli accostamenti delle immagini sforzandosi di esplorare con attenzione lo spazio ad alta densità informatica che si viene a costituire. Avvantaggiandosi delle modalità di fruizione online chi guarda può arricchire e rinnovare ogni volta la sua comprensione del testo. Veicolo della memoria, strumento di scoperta dei meccanismi del linguaggio cinematografico, o forma di esercizio critico attivo e quasi tattile, il montaggio spaziale evidenzia quanto i confini dell’immagine nell’era digitale siano sempre più fluidi, mobili. 5. L’immagine duttile: l’uso degli effetti nei video essay I software di editing, sia amatoriali sia professionali, consentono di realizzare rapidamente un post- produzione alcuni effetti che prima potevano essere ottenuti solo durante le riprese, o con una più faticosa e complessa elaborazione dei fotogrammi in moviola. Alterazioni del colore, ritagli, transizioni, sovrimpressioni, filtri, alterazioni della velocità, deformazioni: l’immagine cinematografica non è mai stata così duttile. Ci sono alcuni effetti il cui utilizzo è fondamentale per l’esplorazione critica che si prefiggono i video saggi: accelerazione, slow motion o interruzione del movimento per mezzo del fermo immagine, sovrimpressione e ritaglio o dettaglio hanno importanti funzioni espressive, critiche e analitiche, e sono diversi i lavori che ne esplorano ed espandono le potenzialità. La sovrimpressione e la dissolvenza incrociata hanno una funzione simile a quella dello split screen: invece di distribuire le immagini nello spazio dell’inquadratura procedono per stratificazioni che sembrano richiamare i palinsesti. Non sembra del tutto fuorviante pensare alla sovrimpressione nel video essay come a una tecnica che, più che servire alla comparazione, ambisce a evocare il ricordo, la memoria delle immagini cinematografiche, i loro fantasmi. “Nella sovrimpressione si sovrappongono metonimia e metafora” – Marc Vernet La riflessione teorica sulle immagini si è spesso concentrata sulla relazione tra stasi e movimento, sulla questione della velocità, sulla dimensione temporale del medium cinematografico e sui suoi rapporti con la fissità dell'immagine fotografica. Le evoluzioni tecnologiche successive al cinema hanno rinvigorito l'interesse per questi interrogativi, che riguardano a tutti gli effetti la natura stessa del mezzo cinematografico. 25 Capitolo 4 – I video essay tra passato e futuro 1. Tra autoritarismi, forme virali e contaminazioni metodologiche: il vecchio e il nuovo dei videosaggi Il cosiddetto videographic criticism è un ambito di ricerca in continuo mutamento; questa apertura ne costituisce la ricchezza e insieme rende ogni tentativo di fissarne i contorni e le caratteristiche principali un’impresa i cui esiti rimangono sempre parziali, alberi. La riflessione sui temi e sulle questioni affrontate nei video saggi fornisce una chiave di lettura Lee capire se, e in che termini, queste forme audiovisive di critica e di analisi contribuiscano ad arricchire e a rinnovare l’orizzonte dei discorsi sul cinema. I video essay possono avere per oggetto l’opera di un determinato regista, ma anche performance settoriali, oppure il lavoro di altre figure della produzione e della post-produzione, come direttori della fotografia e montatori; vi sono recensioni dei singoli film; video essay dedicati a specifiche forme di linguaggio, ricognizioni storiche e così visa. A una prima osservazione emerge come l’approccio autoriale rimanga uno dei mezzi più adottati: è come se il video essay diventasse un mezzo ulteriore, per critici e studiosi, si esercitare il proprio ruolo di conoscitori e riconoscere nelle immagini le marche di uno stile e di una poetica. La ricerca quasi ossessiva delle Marche d’autore cui si dedicano moltissimi video saggisti trova una giustificazione nelle possibilità offerte dai software di montaggio. Una volta squadernato sulla timeline che ne mostra ke miniature il film si sviluppa nello spazio, non più solo nella sua durata, e consente all’occhio di abbracciare simultaneamente le immagini che lo compongono: in questo modo è più facile individuare i pattern ricorrenti in uno o più film, almeno per quanto concerne alcune somiglianze nella mise en scene. L’accostamento poi, tramite il montaggio, sollecita e incoraggia anche in chi guarda il riconoscimento di certe ricorrenze. E accanto al cinema di Hollywood e alle altre fasi e momenti fondamentali della storia del cinema trovano spazio anche cinematografie nazionali meno esplorare. La centralità dell’autore nel video essay online non dipende soltanto dal desiderio di utilizzare gli strumenti digitali per esercitare la propria competenza di conoscitore. A determinare il successo dell’approccio autoriale e anche il fatto che molti video essay sono realizzati per essere pubblicati su piattaforme di società di distribuzione, come Criterion, per i quali l’autore è il prodotto da vendere. Lo scontro tra finalità promozionali e forme critiche non è certamente nuovo, e accomuna i video essay tanto la produzione di contenuti extra du DVD quanto i trailer cinematografici. Associazione tra il video saggio e il trailer: entrambi possono intervenire, attraverso il montaggio, per illuminare aspetti specifici di un film, e soprattutto entrambi veicolano attraverso l’immagine stessa, e il suo surplus anche emotivo, il proprio messaggio, in caso certo più squisitamente promozionale e giocato sull’anticipazione, nell’altro più interessato a suggerire osservazioni e riflessioni, il più delle volte effettuate a posteriori, quando cioè il film è già stato distribuito. Il video essay che accompagna un prodotto destinato alla vendita o al noleggio attraverso l’analisi afferma la validità e i motivi di interesse del proprio oggetto, e al contempo invita gli utenti a scoprire o riscoprire un determinato film. 26 Ragioni legate al profitto, al prestigio e alla visibilità spongono molte realtà online alla creazione e condivisione di contenuti appetibili, che possano ricevere tante visualizzazioni. La produzione video saggistica in rete, dunque, sembra inevitabilmente condizionata dalla necessità di compiacere gli utenti, confermandone desideri e aspettative. Non solo: la questione della diffusione online spinge diversi siti a scegliere le strategie formali e il linguaggio da adottare nei video essay in funzione della loro adeguatezza rispetto alle modalità di embedding, di incorporazione di un determinato oggetto del flusso di testo e immagini di social network come Facebook. Il rischio quindi è quello di una produzione omologata sia dal punto di vista contenutistico che formale. Ripetizioni Certe ripetizioni ossessive rischiano di svuotare di senso tanto la matrice che le varie copie/filiazioni, per le quali diventa sempre più difficile innestare elementi di novità. Oltretutto, al di là della produzione più evidente perché più condivisa sui social, sui blog, sui siti internet dei quotidiani, i video essay riescono a svincolarsi da formule collaudate e approcci scontati, per percorrere piuttosto sentieri meno battuti, o per illuminare aspetto dei film che, se consegnati all’analisi scritta, non possono essere affrontati con altrettanta incisività. Per esempio, le questioni di grammatica e sintassi filmica sono oggetto di numerosi video che, per chiarezza e accuratezza, possono costituire un valido strumento di introduzione al linguaggio filmico. 1.1 Autoetnografie e illuminazioni cinefile Anche quando si muovono in territori più familiari i video essay possono ricorrere ad approcci innovativi, o sperimentare modi di rielaborazione creativa che contribuiscono a distanziarli dalle forme canoniche della scrittura critica e saggistica. Nel caso delle analisi di singoli film l’approccio utilizzato nei video saggi può oscillare tra l’accuratezza analitica della recensione specializzata; una ricerca di taglio più accademico; o un lavoro sulle immagini in forma più sperimentale. È interessante confrontare due video su Stella Dallas realizzato da Catherine Grant. Il primo, Magnifying Mirror (2013) è un lavoro pensato per illustrare alcuni passaggi dal volume che Andrew Klevan dedica all’attrice: un frammento in particolare di una scena in cui la Stanwyck si guarda allo specchio è semplicemente rallentato e ripetuto per accompagnare l’analisi di quello stesso momento condotta dallo studioso. Le ripetizioni e la slow motion creano un ritmo ipnotico, cadenzato anche dalle parole dello studioso, che conduce un’analisi puntuale. A distanza di circa un anno, Grant torna a riflettere sia sul film di Vidor sia sulla versione muta di Henry King del 1925. In questo caso, si tratta di una comparazione focalizzata, in particolare, sull’ultima scena del film. The Marriages of Laurel Dallas (2014), non c’è voice over, ma solo un accompagnamento musicale. Il riquadro dello schermo è diviso in due parti: in altro a sinistra scorrono le immagini della prima versione, in basso a destra quelle della seconda. Non si tratta di un vero e proprio split screen: le immagini si sovrappongono leggermente al centro, creando non solo in confronto tra i due film, ma anche una parziale sovrimpressione. 27 L’aspetto meditativo ed esperienziale di The marriages of Laurel Dallas, di Grant, richiama, già nella scelta degli aggettivi usati dalla studiosa per descriverlo, una relazione con l’immagine più intima e personale. Indipendentemente dall’argomento trattato il video saggio può perseguire l’obiettivo di chiarire dei nessi, rendere immediatamente visibili e comprensibili le connessioni, fornire un catalogo per immagini di stilemi e motivi cinematografici appartenenti, per esempio, a un determinato genere o presentarne, esempio, l’evoluzione all’interno della storia del cinema. In altri casi, il risultato prodotto dal lavoro di montaggio può mantenere delle ambiguità, delle zone d’ombra, conservare vistosamente le tracce di un’esperienza intima del film, singolare, talvolta perfino difficile da condividere. Questo è ancora più evidente nel caso dei due video che Catherine Grant e Chiristian Keathley realizzano per accompagnare il saggio The Use of an Illusion. Nel testo, i due attori articolano una riflessione sulle relazioni fra la cinefilia e il video essay. I due autori chiariscono come il video saggio rappresenti per loro una sorta di prolungamento di questa esperienza, un modo per rimandare al proprio mondo interiore, al proprio vissuto pur non rinunciando del tutto alla riflessione critica o teorica. I due video che accompagnano il testo, non a caso, ruotano arrenò a un processo di indagine, di svelamento di connessioni, concrete o inesistenti, che riverberano il vissuto personale dei due studiosi, e in particolare una loro comune esperienza. I lavori di Grand e Keathley, ma anche, per esempio, il primo video essay che Adrian Martin realizza in autonomia sembrano voler ripartire da questi piccoli frammenti di memoria, queste tessere di un racconto, di un puzzle trasformato in collage, per ripercorre almeno in parte le catene di associazioni che hanno generato, o anche solo per riaccenderle, renderle visibili, condividerle. È in questa forma ribelle, forse un po’ anarchica, resta a rientrare nei confini più consueti del saggio argomentativo che il video saggio si propone come sguardo non per forza nuovo, ma rinnovato. Nell’assumersi il rischio di un’associazione tra le immagini inconsueta i video essay si fanno carico di un’aspirazione forse sovversiva: quella di rintracciare l’identico nel differente. Oppure il video saggio può far esplodere i contrasti, può far scontrare le immagini perché di illuminino a vicenda In questo senso, si potrebbe dire che il potenziale del video essay risiede tanto nella lezione di Warburg che in quella di Bataile e dei suoi «Documents», in cui, come ricorda Grespi, le immagini si fanno «segni migranti, oggetti mobili e mutevoli, sempre sul punto di alterarsi». Il filtro della soggettività, proprio della forma saggistica, si esercita anche nella capacità di ripartire dai frammenti della propria memoria, della propria esperienza di spettatore, per ricostruire un percorso analitico che abbracci tanto le nostre visioni cinematografiche, quanto il modo in cui ne facciamo esperienza. Accanto a un utilizzo delle immagini e del montaggio che supporta visivamente e in modo più o meno efficace forme di ricerca, di analisi sul film e di riflessione critica che già hanno una loro solida tradizione in forma scritta, c'è la possibilità di un percorso tra le immagini di tipo diverso, in linea con le prospettive di sviluppo suggerite appunto dal lavoro di Burgin e dalle riflessioni di Grant e Keathley.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved