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I longobardi (C. Azzara) - Riassunto, Appunti di Filologia Germanica

Il documento contiene il riassunto completo di tutti i capitoli del libro "I longobardi" di Claudio Azzara.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 14/03/2022

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Scarica I longobardi (C. Azzara) - Riassunto e più Appunti in PDF di Filologia Germanica solo su Docsity! I longobardi – Claudio Azzara Capitolo 1 – La nascita della stirpe Non esistono molte fonti storiche su cui fare affidamento per ricostruire la nascita dei Longobardi. La cultura dei barbari era orale e quindi non abbiamo fonti scritte dirette. Anche gli autori romani trascurarono questi popoli finché non entrarono a contatto con l’impero. Per quanto riguarda i longobardi, abbiamo l’Origo gentis Langobardorum, presente in 3 codici manoscritti che contengono l’Editto delle leggi dei longobardi. Si tratta della redazione scritta in latino (seconda metà VII secolo) dell’ancestrale saga dei longobardi. Questa saga ripercorreva le vicende della tribù dalla genesi e prima migrazione fino al regno di Pertarito in Italia (671-688). L’inserimento di questa saga nei codici che riportano leggi non è casuale, perché per i longobardi, la norma trovava fondamento e legittimazione solo nella tradizione della gens. La versione scritta della saga è piuttosto breve: tratta velocemente i fatti più vicini nel tempo (es. soprattutto quelli posteriori all’insediamento in Italia), ma tratta in modo approfondito il momento della nascita della tribù. L’Origo narra infatti che, in un’isola chiamata Scadanan (probabilmente quella regione della Svezia meridionale chiamata Scania), vi era la tribù dei Winnili. Essa era governata dai fratelli Ibor ed Aio e dalla loro madre Gambara. Questa tribù venne sfidata da quella dei Vandali, i quali pretendevano il pagamento di un tributo. Alla vigilia della guerra, i due contendenti si appellarono al dio Wotan e gli chiesero di ottenere la vittoria. Wotan rispose che avrebbe concesso la vittoria a coloro che fossero comparsi per primi alla sua vista al momento del risveglio. I Winnili chiesero quindi l’intercessione di Frea, moglie di Wotan, la quale girò il letto del marito dalla parte opposta, in modo tale che egli dormisse con la faccia rivolta verso il loro schieramento. Frea suggerì inoltre ai Winnili di disporre sul campo di battaglia anche le donne con i capelli sciolti lungo il volto, in modo che sembrassero barbe degli uomini. Quando Wotan si svegliò, vide i Winnili e chiese chi fossero quelle lunghe barbe (è da qui che si chiamano longobardi). Dopo ciò, dette la vittoria ai Winnili. Molto tempo dopo, Paolo Diacono liquidò l’Origo, perché lo riteneva una ridicola favola, in quanto affondava le sue radici nel passato pagano dei longobardi. La competizione per lo sfruttamento di risorse nel nord Europa portò i longobardi a scontrarsi contro un’altra popolazione. I Winnili si appellarono nuovamente a Wotan che assegnò loro un nuovo nome e li protesse. Riferendosi alle rappresentazioni pittoriche che Teodolinda aveva fatto eseguire tra il VI e il VII secolo, Diacono ci dice che i longobardi portavano un’acconciatura tipica, che prevedeva una lunga barba fusa con lunghi capelli e la nuca rimaneva rasata (questa acconciatura fu abbandonata con la cristianizzazione). L’Origo ci parla anche delle migrazioni longobarde, soprattutto di quelle verso Golanda, Anthaib, Bainaib e Burgundaib. Indice della vocazione guerriera del popolo longobardo sarebbe l’adozione del culto del dio della vittoria Wotan. Alcuni pensano che questo rito sia una sorta di sostituzione di un rito alla fertilità nei confronti di una divinità femminile (es. Frea). Questo giustificherebbe anche la simpatia di Frea nei confronti dei longobardi. Paolo Diacono, oltre a quanto detto nell’Origo, aggiunge che la migrazione dei longobardi dalla loro sede primitiva fino allo scontro con i vandali, sarebbe dovuta ad un sovrappopolamento di quella terra, che costrinse un gruppo di guerrieri tirati a sorte a spostarsi per alleggerire il carico demografico. L’indicazione di due re, Ibor e Aio, non ci deve sorprendere, perché era frequente presso popolazioni barbare (es. anche gli anglosassoni erano guidati da Hengst e Horst). Forse questa eredità proviene dal fatto che esistesse un capo per i tempi di pace e uno per quelli di guerra. Capitolo 2 – Dalla Scandinavia alla Pannonia Si potrebbe pensare che dalla Scania, i Winnili-longobardi si siano diretti inizialmente nell’isola di Rügen, la quale potrebbe corrispondere alla Scoringa (quest’ultima si trova in Diacono). Probabilmente fu qui che avvenne lo scontro con i Vandali (I sec. a.C.). Anni dopo i longobardi si spostarono a Mauringa (oggi dovrebbe essere la regione dei laghi del Meclembrugo occidentale), dopo aver forzato il confine con gli assipitti. Secondo le fonti, i longobardi si trovarono in difficoltà, data la loro inferiorità numerica. Secondo l’Origo, nello scontro con i vandali, i longobardi avevano posto rimedio integrando le donne. Secondo Diacono, i Vandali furono intimoriti dal fatto che tra i longobardi vi fossero dei cinocefali (uomini spietati con testa di cane). Il cane lupo è proprio una figura legata a Wotan. Si pensa che i cinocefali non fossero altro che uomini molto forti, i quali indossavano forse delle pelli di animali in cui si identificavano. Per aumentare il numero di combattenti, i longobardi liberarono schiavi, così che essi potessero combattere. Si dice inoltre che le tribù barbare, una volta sconfitta una popolazione, chiedessero ai superstiti di entrare nella loro tribù. In alcuni casi, si hanno anche testimonianze di due realtà che si fondono per dare origine ad una più grande. A garantire l’identità unitaria vi era la condivisione di certi valori, posti a fondamenti di alcune tribù. Un altro mezzo di identità unitaria era il valore militare, quindi il rischio e la volontà di combattere per un capo. Lasciata Mauringa, i longobardi si trasferirono in Golanda (brughiera di Luneburgo). Nella regione del Bardengau, lungo l’Elba, sono state ritrovate sepolture individuabili come longobarde. Qui i longobardi erano dediti all’agricoltura, allevamento, lavorazione di metalli e ceramica, e alle guerre e razzie. Nei secoli dopo Cristo, i longobardi entrarono in contatto con i romani e quindi alcuni scrittori come Tacito iniziarono a considerarli. Nel 5 d.C. Tiberio si scontrò con i longobardi e li ricacciò lungo la riva destra dell’Elba. Nel 167 un esercito di longobardi e di altre genti si spinse verso la Pannonia. Questo esercito venne però respinto da quello romano. Salvo questi cenni, i romani non considerarono molto i longobardi, perché essi vivevano lontani dal limes renano e non erano un popolo che costituiva un pericolo immediato. Le successive tappe della migrazione (forse alla fine del IV secolo) sono quelle che la saga riprodotta dall’Origo chiama Anthaib, Bainaib e Burgundaib. Alcune tracce archeologiche fanno supporre che Bainaib e Burgundaib si trovassero nella bassa Austria, nei territori dei baini e dei burgundi. I longobardi migrarono o per la pressione dei Sassoni sull’Elba o per le prospettive di bottino in territorio romano, le quali erano aumentate dopo la disfatta dell’esercito romano ad Adrianopoli nel 378. La tradizione ci parla anche di scontri con gli Unni, popolazione molto potente. Nel 478 Odoacre fa crollare il regno dei rugi nella bassa Austria, così come aveva fatto qualche decennio prima con quello romano d’occidente. Molti abitanti del bacino danubiano abbandonarono le loro terre e si trasferirono a sud delle Alpi; questo spinse i longobardi a spostarvisi. Guidati da Godeoc, i longobardi partirono dalla Boemi e Moravia e si diressero in quelle zone. Successivamente, guidati dal re Tatone, essi si postarono nel Marchfeld, ad est di Vienna. Qui, i longobardi incontrarono gli Eruli e li sbaragliarono. Diacono, nell’Historia Longobardorum, evidenzia come il Rodolfo, re degli eruli, fosse talmente convinto della vittoria tanto da restare a giocare a tavoliere in una tenda. Però, dopo la sconfitta, gli eruli scomparvero e i longobardi divennero molto potenti. Durante il regno di Vacone (510-540), i longobardi sottomisero gli svevi e strinsero alleanze con altre stirpi attraverso la politica matrimoniale del loro re: Vacone si sposò infatti la figlia del re dei Turingi, quella del re dei Gepidi e poi quella del re degli Eruli. Vacone fece inoltre sposare due sue figlie con principi Franchi e strinse un’alleanza anche con Bisanzio. Dio. In molte aree dell’impero l’ordinamento ecclesiastico venne sconvolto e molte sedi episcopali furono abbandonante, soprattutto quelle a stretto confine con i territori longobardi. I longobardi, quando si convertirono al cristianesimo, adottarono la variante ariana, considerata eretica sin dal IV secolo. Essi disponevano quindi un proprio clero e di propri luoghi di culto (l’arianesimo era quindi un modo per differenziarsi dai romani). Tuttavia, il paganesimo non scomparve del tutto nei longobardi. Nel VII e VIII secolo, come si legge anche nell’Editto di Rotari, nella società longobarda rimasero delle credenze come quella nelle streghe o nel valore magico di erbe ed amuleti ( credenze profondamente condannate dal cristianesimo). I longobardi adottarono il culto dell’arcangelo Michele, tanto è vero che a lui sono accostate tre caratteristiche tipiche anche di Wotan: 1. Essere un guerriero 2. Avere funzione di psicopompo (nell’antichità greca, lo psicopompo era colui che accompagnava le anime dei defunti) 3. Dominatore degli agenti atmosferici Paolo Diacono sottolinea la strage di possessores avvenuta nel decennio di dominio ducale: i longobardi si impossessarono direttamente delle terre dei romani, uccidendo o saccheggiando i proprietari e sottoponendo a tributo i contadini che le lavoravano. Per i contadini e i piccoli proprietari, lo stanziamento dei longobardi ebbe conseguenze meno gravi  essi dovevano lavorare o versare tributi non più ai romani, ma ai longobardi (era una situazione molto simile). Alcune lettere di Gregorio Magno testimoniano che molte famiglie di contadini preferivano restare sotto i longobardi e non tornare sotto i romani. In una lettera ad Agilulfo, Gregorio lo pregò di risparmiare i contadini, i quali sarebbero stati utili anche ai longobardi. Si può quindi dire che la condizione dei romani sotto ai longobardi dipendeva molto dalle regioni e dal ceto sociale (l’aristocrazia ne risentì maggiormente rispetto ai ceti più poveri). Presso la società longobarda, chi godeva di pieni diritti era l’exercitalis, ossia l’uomo adulto capace di portare le armi. Le donne era sottoposta alla custodia di un uomo, il quale possedeva una sorta di potere di protezione nei suoi confronti (esso era il mundoaldo). Il mundoaldo era generalmente un uomo vicino alla donna e, quando ella si sposava, il mundoaldo poteva diventare il marito (ovviamente sotto pagamento di denaro). Il mundoaldo assicurava protezione alla donna, ne amministrava i beni e la rappresentava legalmente. Una donna longobarda non poteva quindi mai vivere sotto il mundio di se stessa. Con il passare del tempo, la donna ottenne sempre più privilegi, come quello di donare i propri beni alle istituzioni ecclesiastiche senza il consenso del mundoaldo. A partire dall’VIII secolo, con la cattolicizzazione, una donna poteva anche rifiutare un marito che non era di suo gradimento. Come in tutte le realtà medievali, l’unica via di emancipazione femminile era quella monacale. La popolazione romana non si mischiava ai non liberi o ai semiliberi. Anche la schiera dei servi era organizzata al suo interno a seconda delle mansioni che uno doveva svolgere e in base all’utilità nel lavoro (es. i servi ministeriali, coloro che lavoravano nelle case padronali, valevano più dei servi rusticani, coloro che lavoravano la terra). Lo schiavo poteva anche diventare libero attraverso la cerimonia traditio in quarta manus  allo schiavo venivano consegnate le armi e poi veniva accompagnato verso una quadriga e gli veniva detto che poteva prendere la strada che voleva. I longobardi, molto spesso, si mescolarono con la popolazione romane: si insediarono nei palazzi pubblici dell’amministrazione locale e poi si mischiarono anche con gli autoctoni. Tra la popolazione urbana, i longobardi erano una minoranza. Essi dovevano anche ricorrere ai servizi di artigiani e mercanti romani (≠ i goti proibirono qualsiasi scambio tra loro e romani) e a volte ci furono anche dei matrimoni misti. Una cosa che avvicinò molto i longobardi ai romani fu la cristianizzazione avvenuta nel VII secolo e sancita dal ripudio dell’arianesimo da parte del re Ariperto nel 653. Tale conversione si vede anche nell’abbandono della pratica di seppellire i morti con il corredo funerario. Altri elementi di fusioni furono l’adozione di nomi romani da parte dei longobardi e viceversa, e la condivisione della stessa lingua: nell’VIII secolo il longobardo era scomparso. Capitolo 4 – Forme d’insediamento e organizzazione del territorio I longobardi che scesero in Italia erano organizzati come un esercito in marcia, ordinato in gruppi (farae). Questi gruppi erano distaccamenti militari di exercitales-arimanni, legati fra loro anche da vincoli di parentela e subordinati ad un capo (dux). Il termine fara è stato molte volte visto come sinonimo di Sippe. In realtà, fara sembra più simile a faran o fahren (in latino expeditio) e va inteso come un distaccamento militare che si separava dalla gens per partecipare ad una spedizione. Le diverse farae si stabilirono su varie parti del territorio italiano, quelle più strategiche, ed erano governate da capi  debole coordinamento regio. Si preferì occupare città che costituivano le principali vie di traffico e che erano dotate di infrastrutture qualificate. Talvolta si preferirono anche i centri sopraelevati, efficaci come punti di osservazione e più agevoli da difendere. Gli insediamenti rurali si collocarono invece su terreni fertili. Nelle città i longobardi occuparono, almeno all’inizio, quartieri separati. Nelle campagne l’abitazione era spesso isolata, si attaccava ad una casa romana per cercare di sfruttarne le strutture superstiti ed era circondata da recinzioni, siepi, steccati e fossati. All’interno della casa vivevano sia padroni sia servi, assieme agli animali e agli strumenti di lavoro. La casa longobarda (curtis) era soggetta all’autorità del capo famiglia e qualsiasi violazione della proprietà poteva essere punita anche con l’omicidio. Gli scavi archeologici hanno dimostrato che non ci furono devastazioni di città come raccontato nelle fonti scritte (salvo alcuni casi); anche il fenomeno di migrazione totale dalle città alle campagne è stato messo in discussione. L’esempio di come un testo scritto abbia generato un’interpretazione imprecisa può essere quello della città di Padova. Essa era una città romana importante che, secondo Diacono, sarebbe stata distrutta dal re Agilulfo e i suoi abitanti sarebbero fuggiti. Questo è stato smentito dal fatto che, poco tempo dopo, Padova riacquistò un’importanza notevole e recuperò in fretta abitanti e funzioni  questo non sarebbe stato possibile se tutte le sue strutture fossero state completamente rase al suolo. Nel caso dell’alto medioevo, il concetto di decadenza urbana deve essere rivisto. Si preferisce infatti parlare di ridefinizione urbana, derivata dal cambiamento delle esigenze abitative e dal forte calo demografico (quest’ultimo si verifica in seguito a processi di selezione, trasferimento di sezioni e cambio d’uso delle varie superfici e costruzioni). Il riscontro archeologico a proposito della presenza longobarda in Italia si limita a sepolture, riunite in necropoli più o meno vaste. Le tombe longobarde erano caratterizzate dalla presenza di corredi funebri (retaggio di credenze pagane). Per le donne, questo corredo era costituito da anelli, orecchini, pettini, stoviglie, vasellame; vi erano anche fibule a staffa e ad S, che servivano per tenere fermi gli indumenti sul corpo (es. tunica o mantello). Nelle tombe maschili, assieme ad anelli e fibule, si trovavano le armi: spatha a due tagli, scudo di legno, lancia, scramasax (sciabola corta), frecce, elmo e corazze. La diversa qualità dei materiali ritrovati nelle sepolture è indice del rango sociale dell’inumato. Dopo l’ingresso in Italia, i corredi funebri longobardi sono più ricchi rispetto all’epoca precedente  le scorrerie e lo sfruttamento economico delle risorse della penisola aveva portato ad un arricchimento. Esso aveva anche portato ad una separazione maggiore fra l’élite e il resto degli arimanni. Con l’avanzare dei processi di cristianizzazione, iniziati già nel VII secolo, le tombe longobarde sono quasi indistinguibili da quelle romane, poiché iniziano a scomparire i corredi. Un oggetto ritrovato molto frequentemente nelle tombe longobarde era una sottile crocetta in lamina d’oro, decorata con figure zoomorfe o antropomorfe. Un tempo si pensava che fossero ornamenti d’abito, ma poi è stato dimostrato che queste crocette erano realizzate per essere cucite sul sudario appoggiato sul volto dei defunti. Per avere un quadro d’insieme degli insediamenti longobardi nella penisola italiana è necessario incrociare vari tipi di fonti: materiali, letterarie, documentarie e toponomastiche (per quelle toponomastiche, non ci si deve fare troppo affidamento, perché spesso non indicano la presenza longobarda). Sappiamo quindi che i longobardi si trovavano principalmente lungo la valle del Po, nella valle dell’Adige, in Friuli e nei principali ducati, quali Verona, Trento, Brescia, Reggio Emilia, Torino, Spoleto e Benevento. Con il tempo cambia anche il modo di organizzare amministrativamente il territorio. I duchi passano infatti da essere comandanti di distaccamenti militari a figure che esercitano un potere su un ambito spaziale definito, indicato come civitas o iudicaria. Alle città importanti in epoca imperiale, i longobardi preferirono città strategiche (es. a nord-est si optò per Cividale anziché Aquileia). Alcuni ducati furono dotati di particolare prestigio e forza all’interno del regno. Un esempio è quello del Friuli: fu il primo centro longobardo in Italia e mantenne sempre una viva coscienza della propria eccellenza e della propria identità. I duchi friulani occuparono anche la carica regia con Ratchis e il suo successore Astolfo (774- 756). Capitolo 5 – La costruzione del regno Durante il regno di Agilulfo e della sua consorte Teodolinda (591-615) si ebbe un primo tentativo di rafforzare il potere regio. Le ragioni furono essenzialmente due: 1. Emanciparsi dal condizionamento dell’assemblea del populus-exercitus, ossia l’aristocrazia di stirpe; 2. Ricercare una definizione territoriale della figura regia e cercare di renderla accettabile anche dai sudditi romani. Fu così che Adaloaldo, figlio di Agilulfo, venne battezzato nella chiesa di San Giovanni e poi incoronato nel circo di Milano (circo era un luogo importante politicamente, perché vi si incontravano il princeps e il popolo). L’avvicinamento ai romani durante l’età di Agilulfo si manifestò anche nella ricerca della collaborazione di consiglieri romani. Tutto questo non significava però una fuoriuscita dalla tradizione longobarda. Teodolinda, cattolica, fece fare nel suo palazzo dei dipinti che raffiguravano scene delle saghe longobarde, appartenenti al passato pagano. Anche il manufatto noto come lamina di Agilulfo miscela iconografia barbara e romana. È possibile vedere il re in trono affiancato da guerrieri barbuti e armati alla longobarda (elmo a lamelle, scudo rotondo e lancia), ma anche angeli raffigurati come vittorie alate pagane e uomini recanti offerte votive in segno di sottomissione. Agilulfo e Teodolinda fecero inoltre registrare un’apertura in ambito religioso. Teodolinda, bavara di nascita, era cattolica e accordava il proprio favore alla forma scismatica dei Tre Capitoli. Tra gli esponenti dello scisma e a sua figlia Aurona / accecò suo figlio Sigisprando). L’unico che venne risparmiato fu il figlio più piccolo, ossia il futuro re Liutprando. Anche Giustiniano II, quando dopo 10 anni di esilio tornò al trono, fece uccidere i suoi predecessori Leonzio e Tiberio e fece cavare gli occhi al patriarca Gallicino. Gli anni del governo di Rotari (636-652) furono importanti per quanto riguarda il consolidamento territoriale e politico del regno. I longobardi aveva l’Italia da Nord al centro (esclusa la Liguria, parte del Veneto e Ravenna), mentre l’impero romano aveva l’Italia dal centro al sud, escluso il ducato di Benevento. I confini non erano così protetti, anche se erano sorvegliati: in alcune zone, i pastori romani potevano invadere le zone longobarde per il pascolo e viceversa. Il nome di Rotari è legato prevalentemente alla codificazione del diritto longobardo, sino a quel momento trasmesso oralmente. Il 22 novembre del 643, nel suo palazzo di Pavia, Rotari promulgò l’Editto. Con l’Editto, Rotari voleva ottenere il sostegno degli exercitales. Il re longobardo non riuscì però a proporsi in veste di fonte del diritto, perché nel costume della sua stirpe le decisioni venivano prese in assemblea (re + popolo- esercito + membri potenti dell’aristocrazia). Alcune istituzioni non furono abbandonate, come quella del duello giudiziale: accusato e accusatore si battevano in duello per vedere chi aveva ragione. Fu invece eliminata la faida e introdotto il pagamento di una compensazione (una parte andava anche al re). Chi non aveva soldi per pagarla, veniva ridotto in schiavitù presso la famiglia dell’offeso e la pena di morte veniva usata solo raramente. Alle leggi dell’Editto di Rotari obbedivano solo i longobardi e, dall’VIII secolo in poi, anche i romani che entravano nell’esercito. I romani rispettavano generalmente il loro diritto, che restava quello del clero. Accanto alle leggi scritte di Rotari, vigevano altre leggi orali (eredità del passato). Capitolo 6 – L’VIII secolo: apogeo e rovina Nell’VIII secolo un cambiamento repentino del quadro politico generale portò ad un’alleanza anti-longobarda tra papato e Franchi. Essa porterà poi, nel 774, alla conquista del regno longobardo da parte di Carlo. La crescente stratificazione su base economica della gens longobarda dette vita ad un uovo ceto di possessores che indicavano se stessi come arimanni-exercitales, ma avevano raggiunto un alto grado dal punto di vista economico-sociale. Essi potevano essere sia longobardi sia romani. Il re decise di stabilire un vincolo di fedeltà attraverso il quale questa nuova classe si legava a lui. Coloro che invece erano pauperes, o populus, restavano esclusi sia da questo patto di fedeltà sia dalla partecipazione all’esercito. Come testimoniano alcune disposizioni di legge emanate dal re Astolfo nel 750, potevano far parte dell’esercito solo coloro che avevano un alto prestigio economico. Tra i possessores rientravano anche i negotiantes, ossia mercanti che non basavano le proprie ricchezze su beni immobili o proprietà, ma su capitali liquidi. Questo ci fa anche capire come l’attività economica nell’VIII secolo fosse più fiorente rispetto alle epoche precedenti. L’istruzione, a quel tempo, continuò a riguardare una minima parte della popolazione. Non esistevano scuola, ad eccezione di quelle poche ecclesiastiche che avviavano al sacerdozio, e il sistema educativo romano non veniva adottato. A Pavia, presso la corte, la cultura letteraria era appannaggio di ecclesiastici come il vescovo Damiano e il diacono Tommaso; l’aristocrazia laica rimaneva estranea a questo tipo di educazione. Il modello di istruzione longobardo, opposto a quello romano, era funzionale alla cultura orale e alla struttura sociale tradizionale della tribù. I maschi venivano avviati al combattimento (combattevano contro i loro coetanei) e non si dedicavano ai libri. Tra le attività frequentate dai giovani longobardi vi erano quindi la lotta, i duelli e la caccia. Anche il goto Teodorico aveva chiesto di educare i propri figli al combattimento, piuttosto che preferire l’istruzione scolastica. In molti casi il ceto senatorio romano fu spinto a modificare il proprio sistema educativo, imitando quello dei barbari. Le ragazze longobarde apprendevano invece come svolgere le mansioni domestiche (es. tessitura). Le donne di rango principesco ricevevano un’educazione letteraria sconosciuta ai maschi di pari livello sociale. Un esempio è quello di Teodolinda: oltre a farsi committente degli affreschi nel palazzo di Monza, essa si sarebbe interessata al dibattito teologico sui Tre Capitoli e ricevette un libro in dono da papa Gregorio. Alcuni documenti sembrano testimoniare, nel VII e VIII secolo, che un’educazione elementare venisse proposta ai laici nelle scuole ecclesiastiche. Questi laici dovevano forse essere avviati a determinate professioni quali mercante, orafo, monetario e medico. Rispetto al passato, molte cose venivano trasmesse attraverso il canale della pratica piuttosto che attraverso un’istruzione basata sui libri. Per esempio, la determinazione dei confini rurali fu affidata a liti confinarie (gli agrimensori erano scomparsi), mentre i saperi relativi alla tecnica delle costruzioni non venivano tramandati da architetti, bensì da magistri commacini. Nell’VIII secolo, l’autorità regia cercò di emanciparsi dagli arimanni-exercitales, soprattutto nella funzione legislativa. Si pretendeva infatti di farla dipendere dalla volontà del monarca e del Dio cristiano. Il regno di Liutprando rappresenta il punto di massima espressione di tale fenomeno, perché si dichiarò Christianus Langobardorum rex. La sua attività legislativa veniva fatta dipendere dalla volontà celeste (lo scopo era anche quello di assicurare ai sudditi la salvezza terrena e quella celeste). La sollecitudine verso la religione cattolica si manifestò nelle norme di Liutprando che vietavano l’esercizio di pratiche culturali pagane (es. adorazione di alberi o fonti sacre), nella proibizione di matrimoni consanguinei. Lo si vide anche nelle leggi che proteggevano il clero e ne regolavano la partecipazione ad atti di pubblica rilevanza. Di notevole importanza fu l’ammissione delle donazioni pro-anima, ossia di lasciti a beneficio di chiese, xenodochi e altri luoghi santi. Questa pratica introdusse elementi di novità nelle forme di trasmissione patrimoniale, aprendo la via al testamento. Le donazioni pro-anima avevano lo scopo di arricchire la chiesa e di svantaggiare i lignaggi. A partire dagli anni Cinquanta dell’VIII secolo si ebbe un’abbondante attività di fondazione di monasteri. Iniziative simili erano state fatte anche nei ducati di Spoleto e Benevento. Il re Agilulfo aveva assicurato il proprio sostegno al monastero di Bobbio. Tra il VII e l’VIII secolo, tre aristocratici beneventani avevano dato vita alla fondazione di San Vincenzo al Volturno. Negli anni Venti dell’VIII secolo, il monastero di Montecassino venne nuovamente abitato da monaci  era stato creato da Benedetto nel VI secolo ed era stato abbandonato perché i longobardi erano arrivati in Italia. Il re Liutprando istituì a Pavia il monastero di San Pietro. In questi monasteri si rifugiarono molte famiglie longobarde eminenti, anche se non spinte da istanze spirituali. I monasteri erano infatti centri di importanza economica, politica e culturale, oltre che religiosa. Con l’avvicinarsi della fine del regno, quindi quando gli intenti bellicosi di Carlo Magno iniziarono a fare paura, molti aristocratici fuggirono verso i monasteri, perché essi erano luoghi sicuri dove rifugiarsi. Lo sforzo di consolidamento del potere regio nell’VIII secolo si espresse per mezzo di un’opera che mirava a creare strutture burocratiche più efficienti e centralizzate, e a disciplinare le spinte centrifughe locali. Il palazzo di Pavia venne concepito come un centro amministrativo e di governo. La presenza dell’autorità regia sul vasto territorio del regno si esprimeva attraverso le curtes (insieme di beni fiscali costituitosi con Autari e ampliatosi in seguito), amministrate dai gastaldi. Attraverso costoro, il re poteva anche controllare i duchi. Il modello di organizzazione previsto dall’autorità regia si basava sulla suddivisone del territorio in distretti chiamati iudicariae, civitates, fines e territoria. Ognuno di essi era poi sottoposto all’autorità di uno iudex. La disciplina delle particolarità e della autonomia dovette essere perseguita anche con interventi armati contro i duchi meno disposti ad assecondare la politica del re. Liutprando, ad esempio, si dovette impegnare in campagne militari in diversi ducati. Egli puntò ad acquisire un controllo diretto dei due ducati di Spoleto e Benevento. Egli ottenne la sottomissione sia del duca di Spoleto Transamondo sia di quello di Benevento Romualdo II. Il regno, nonostante questi tentativi, non fu mai veramente coeso. Non deve infatti sorprendere che nel 756 i longobardi di Benevento presero parte all’assedio di Roma insieme al re Astolfo e poi, due anni più tardi, si allearono con Pipino e papa Paolo I contro Pavia. L’accresciuta stabilità raggiunta con Liutprando fornì la base per poter programmare un’ulteriore espansione territoriale, approfittando della debolezza di Bisanzio tenuta impegnata dall’avanzata degli arabi. Nel 740 Ildeprando, nipote di Liutprando, invase Ravenna, costringendo l’esarca Eutichio a rifugiarsi nelle lagune venete. Con l’aiuto della flotta venetica, Eutichio rientrò a Ravenna, ma senza successo. Dopo una nuova spedizione contro Ravenna nel 743, papa Zaccaria mediò salvando la posizione dei bizantini in Italia. Tra il 750 e il 751, il re Astolfo inflisse un colpo di grazia all’esarcato, conquistando Comacchio e Ferrara ed entrando a Ravenna. Astolfo impose anche tributi al pontefice e rafforzò la propria autorità su Spoleto e Benevento. Nel 770, con il nuovo re Desiderio, i longobardi si impossessarono dell’Istria. Con il crollo dell’esarcato, il regno si poteva estendere a tutta la penisola, inglobando anche Roma. Un evento peggiore si verificò alla morte di papa Paolo I nel 767: Desiderio, re longobardo, pretese di ingerire nella scelta del successore al soglio pontificio. Desiderio sosteneva l’azione del prete longobardo Waldiperto, il quale rimpiazzò Costantino con Filippo. Con la paura che il papa potesse diventare un vescovo dei longobardi, Filippo fu rimpiazzato da Stefano III e Waldiperto torturato a morte. Desiderio, bloccando le porte di Roma, tenne in ostaggio il papa per farsi consegnare due potenti funzionari romani. I funzionari Cristoforo e Sergio avevano chiesto l’intervento del re longobardo perché sanasse i conflitti scoppiati in città dopo la morte di papa Paolo I. Essi avevano poi respinto Filippo e trucidato Waldiperto e ricercato il sostegno dei duchi di Spoleto e Benevento per agire contro il loro re. Essi furono poi consegnati al re Desiderio, furono accecati e uccisi in carcere. Dopo la loro eliminazione, il padrone di Roma era Paolo Afiarta, che voleva un’alleanza con il regno longobardo. Egli organizzò anche il negoziato tra Stefano III e Desiderio. Afiarta fu poi allontanato dal papa Adriano I, fautore dell’orientamento anti-longobardo e filo-franco. Il papato, davanti al crescente potere longobardo e quello bizantino diminuente, chiese aiuto ai Franchi. Il papa Stefano II si recò da Pipino il Breve nel 754 per sollecitare un intervento franco in Italia. I franchi non esaudirono mai i desideri dei papi, ma si impegnarono comunque in campagne militari contro i longobardi. La risposta definitiva arrivò con Carlo Magno, figlio di Pipino, il quale ruppe l’alleanza con i longobardi e scese in Italia. Desiderio venne catturato dai Franchi e fu trasferito oltralpe, mentre suo figlio Arechi fuggì a Costantinopoli. I Franchi conquistarono poi il ducato di Spoleto, ma non riuscirono mai a fare la stessa cosa con quello di Benevento. I longobardi non resistettero a lungo, soprattutto perché molti duchi non furono fedeli al loro re, ma tentarono di salvare i propri interessi. I Franchi, tuttavia, non migrarono in massa in Italia, ma si trasferirono solo gli uomini che dovevano assumere i ruoli centrali di comando. La maggioranza dell’élite longobarda entrò a far parte del nuovo assetto. Carlo Magno si dichiarò re dei Franchi e dei Longobardi. un nucleo di suoi abitanti a Salerno. Nell’839 Sicardo, figlio di Sicone, venne assassinato (gli aristocratici vedevano minati i loro poteri a causa del potere accentratore instaurato da Sicone) e Radelchi divenne nuovo principe. Una parte degli aristocratici scelse però Siconolfo, fratello di Sicardo, che si installò a Salerno. Tra i due pretendenti scoppiò un conflitto che si concluse con la mediazione dell’imperatore franco Ludovico II, il quale portò alla divisione del regno in due parti: una parte con Benevento e a capo Radelchi; l’altra con capitale Salerno e retta da Siconolfo. Accanto a questi due si rafforzò un terzo polo, ossia Capua, guidata dal conte Landolfo. Alla sua morte, il potere venne spartito tra i suoi quattro figli. Sul letto di morte, Landolfo aveva consigliato ai suoi figli di fomentare sempre il dissidio tra Benevento e Salerno, perché solo così Capua sarebbe potuta emergere. Nell’861 i capuani rovesciarono, con una congiura, il principe di Salerno Ademaro, sostituendolo con Guaiferio. Nell’856 fu eretta una nuova Capua sulla piana del Volturno. Landolfo, figlio dell’omonimo padre, riunì nelle proprie mani l’autorità ecclesiastica (era vescovo) e il potere secolare, cercando di ottenere da Ludovico II l’elevazione di Capua a sede arcivescovile. Dopo la morte di Ludovico II nell’875, l’Italia meridionale aveva un nuovo problema, ovvero gli arabi. Il vuoto politico lasciato a sud dai carolingi nel IX secolo fu colmato da Bisanzio. Tra l’878 e l’881 Salerno e Benevento si riavvicinarono a Costantinopoli. Capua, al contrario, assunse una politica ostile nei confronti dell’impero d’Oriente, proprio per ribadire la propria autonomia da Salerno e Benevento. In seguito, anche Benevento si accostò a Capua contro l’impero d’Oriente (Capua sostenne Benevento nella riconquista di Bari, ma poco dopo Atenolfo di Capua strinse una pace con Bisanzio, lasciando Aione da solo, il quale dovette abbandonare Bari). Dopo questa parentesi, Salerno, Benevento e Capua si allearono con l’impero e condussero campagne militari vittoriose contro i saraceni. Nella seconda metà del X secolo ci fu un ribaltamento delle alleanze, dovuto all’affermazione della dinastia imperiale ottoniana in Occidente. Ad approfittarne fu nuovamente Capua che, grazie a Pandolfo Capodiferro, raggiunse la sua massima espansione. Dopo che Ottone ebbe concesso a Pandolfo anche il ducato di Spoleto, Pandolfo era il signore più potente dell’Italia centro-meridionale. Con la sua morte, la sua vasta creazione politico-territoriale unitaria andò in frantumi: a Salerno e Benevento, i suoi eredi furono cacciati e sostituiti da esponenti locali; Spoleto fu assegnata a Transamondo III. Una successiva alleanza longobarda con Bisanzio spinse Enrico II e Corrado II a scendere nel mezzogiorno, prendendo Capua e facendo fuggire i principi. Capua venne infine concessa al principe di Salerno, ma in seguito l’imperatore Enrico III sottrasse Capua a Salerno per indebolire quest’ultima. Dalla fine del X secolo, cavalieri normanni erano stati reclutati dai principi longobardi per essere impiegati come mercenari nelle guerre ai due principati, al ducato capuano e contro i bizantini. I normanni avevano combattuto, ma avevano anche assunto iniziative autonome. Soprattutto dopo la vittoria a Civitate contro gli eserciti del papa nel 1053, i normanni poterono procedere alla conquista del sud. Capua cadde nelle loro mani nel 1057. Nel 1073, a Benevento, il principe Landolfo IV si sottomise al papa Gregorio VII, passando quindi sotto il dominio della chiesa di Roma. L’ultima a cedere fu Salerno, difesa fino al 1076. Capitolo 9 – I Longobardi nella storia d’Italia Il periodo compreso tra la fine dell’impero romano d’Occidente (476) e la conquista delle regioni centro- settentrionali da parte di Carlo Magno (774) ha goduto di uno scarso interesse storiografico. È stato anche visto negativamente come periodo di declino nei campi delle istituzioni, dell’economia, delle strutture sociali e della cultura, rispetto al precedente della Roma imperiale. Questo periodo è stato quindi visto come un’epoca buia, come l’assassinio della civiltà romana per mano dei barbari invasori, incapaci di costruirne una nuova e di lasciare un’eredità significativa ai secoli successivi. Una simile lettura dell’lato medioevo barbaro è stata influenzata dall’indiscussa eccellenza dell’antichità romana, considerata come fondamento della tradizione italiana. Il periodo longobardo, da sempre, è sempre stato vittima di deformazioni di prospettiva e giudizio. Nota è la lettura che ne è stata fatta durante il Risorgimento negli ambienti cattolico-liberali antiasbrugici: l’inesistente schiavitù dei romani per mano dei longobardi simboleggiava la sottomissione degli italiani del XIX secolo al potere della casa d’Asburgo. Ci sono state anche forme di rivalutazione della vicenda longobarda, che però risultano anch’esse infondate. Niccolò Machiavelli, ad esempio, vide la fine del regno longobardo per iniziativa dei papi e dei loro alleati franchi come l’occasione mancata di un’unificazione della penisola sotto i re longobardi. I longobardi sono quindi stati visti come i potenziali artefici di un’unificazione italiana e i paladini dell’opposizione pontificia. Dall’altra parte sono stati anche visti come un corpo estraneo all’identità nazionale, mai assimilato e infine rimosso dalla chiesa, vera custode della tradizione romano-cristiana. Alle tradizionali letture dell’esperienza longobarda in Italia è stata rimpiazzata un’interpretazione più corretta: i primi tempi dell’invasione hanno portato a stravolgimenti, mentre il resto del percorso storico del Regno fu caratterizzato da una progressiva, lenta e contrastata acculturazione romano-cattolica e di adattamento dei tessuti originari longobardi che portò ad una fusione etnico-culturale con l’elemento romano.
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