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I luoghi dell'arte: storia, opere, percorsi. Dall'età della Maniera al Rococò, vol. III unità 15, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi dettagliata dell'unità 15 del manuale di arte moderna,

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 05/09/2020

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Scarica I luoghi dell'arte: storia, opere, percorsi. Dall'età della Maniera al Rococò, vol. III unità 15 e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Storia dell’arte moderna, U 15 Scenario in mutamento: Tra il 1492, anno della morte di Lorenzo il Magnifico, e il 1525, anno della battaglia di Padova, L’Italia vive un periodo turbolento: prendono luogo le guerre d’Italia tra francesi e spagnoli per l’egemonia sulla penisola, inizia la decadenza commerciale dei centri italiani indeboliti dall’apertura delle rotte oceaniche che favoriscono i porti fiamminghi, spagnoli e portoghesi. Nel 1494 scende in Italia il re francese Carlo VIII, nel 1499 il successore Luigi XII, alleato di Venezia, occupa Milano scacciando il Moro; nel 1500 piega Napoli, nel 1509 sconfigge i veneziani ad Agnadello (con l’appoggio del papa e dell’imperatore). Nel 1513 i francesi lasciano la penisola, a seguito di questo vi sono numerosi cambi di alleanze. La situazione si stabilizza con l’ascesa di Carlo d’Asburgo al trono di Spagna, nel 1919 viene eletto anche imperatore Carlo V che sconfigge i francesi a Pavia nel 1525. Milano passa quindi sotto il dominio spagnolo, l’imperatore ha ora il controllo politico dell’intera penisola. Evoluzione del panorama artistico: Nonostante i problemi socio-politici, a livello culturale si verifica una grande fioritura in Italia: Roma torna ad essere centro artistico di prima importanza, si sviluppo quel nuovo linguaggio che era nato a Milano, monumentale e classico, per opera di Leonardo e Bramante. Il nuovo linguaggio si estende a Venezia tra 1500-10 per opera di Giorgione e Tiziano, a Firenze 1501-08 per opera di Leonardo, Michelangelo e Raffaello; a Roma grazie al pontificato di Giulio II (1503-13) e dei suoi successori. L’antichità ha ancora più importanza che durante la fase rinascimentale, Roma assume per ovvie ragioni nuovamente il ruolo guida dell’antichità, diventando tappa fondamentale per la formazione di ogni artista, si diffonde un linguaggio artistico comune capace di superare le particolarità locali quattrocentesche. La nuova ambizione è quella di costruire un linguaggio che possa trasmettere ideali assoluti e universali. La “Maniera Moderna”: Le Vite di Vasari, pubblicate la prima volta nel 1550 e poi nell’edizione aggiornata del 1568, è la fonte principale per la cultura figurativa italiana. Nel Proemio della terza parte riconosce Leonardo come iniziatore della​ maniera moderna​ che si stacca radicalmente dal linguaggio quattrocentesco. Il ruolo degli antichi e la grazia: Secondo Vasari la maniera moderna sta nella valorizzazione della scultura e pittura antica, integrando la naturalezza dei movimenti, plasticità delle figure, armonia degli atteggiamenti. SI assiste in questo momento al superamento della mera riproduzione della realtà fenomenica, giudicata secca e tagliente. Per Vasari questa maniera era già stata in parte mitigata dal contributo del Perugino e del bolognese Francesco Francia, definiti dalla critica contemporanea come protoclassicisti, nello stile di transizione che tendeva a realizzare composizioni su ritmi armonici e simmetrici. Nella ricostruzione vasariana è Leonardo il primo moderno, in quanto in grado di riprodurre in maniera sottilissima le minuzie della natura, anche tramite grazia divina. Il concetto rinascimentale di grazia è la qualità eccelsa di distinzione del perfetto gentiluomo, la quale non la ostenta ma non può vivere senza. La formazione del giovane Michelangelo: Se Vasari considera Leonardo come iniziatore della maniera moderna, lo storico vede l'opera di Michelangelo Buonarroti come il vertice assoluto di tale maniera. la formazione dell'artista Fiorentino, più giovane di 20 anni di Leonardo, avviene nella capitale Toscana, dove frequenta Domenico Ghirlandaio studiando opere di maestri come Giotto e Masaccio, recandosi nel giardino di San Marco, dove era conservata parte della raccolta di Lorenzo il Magnifico, e in cui si radunavano artisti e letterati tra cui Angelo Poliziano. Il sovrintendente delle antichità del giardino era Bertoldo di Giovanni, il quale contribuisce in maniera determinante a sviluppare il talento scultoreo di Michelangelo. Nella Zuffa dei Centauri altorilievo scolpito con l'entourage del giardino di San Marco poco prima della morte del Magnifico, Michelangelo illustra su suggerimento del Poliziano, un tema tratto dalle metamorfosi di Ovidio sviluppandosi sulla rappresentazione del combattimento. Il critico Johannes Wilde ha notato che questo rilievo anticipa il programma dell'intera vita di Michelangelo ponendo in rapporto l'Antico con la sua emulazione e superamento. dopo un soggiorno a Bologna, il ritorno a Firenze, Michelangelo si reca a Roma città in cui soggiornerà per quasi tutta la sua vita. Quando nell'agosto del 1498 viene incaricato di scolpire La Pietà per un ambasciatore francese, Michelangelo esegue, reinterpretando in chiave rinascimentale un'iconografia gotica diffusa nel nord Europa, “l'opera di marmo più bella che sia oggi a Roma”. Michelangelo costruisce un gruppo compatto e armonico, raccordando l'andamento orizzontale del corpo abbandonato del Cristo con quello verticale della Vergine seduta mediante la disposizione del panneggio allargato sulle ginocchia della madre. il rapporto con il mondo classico traspare anche nell'iconografia sacra. L'utilizzo di una tecnica raffinatissima segna qui il superamento della tradizione scultorea quattrocentesca. Confronto serrato: Leonardo e Michelangelo: Tra il 1501, anno del ritorno di Leonardo nel primo luogo che gli frutta commissioni, e il 1508, anno in cui Raffaello lascia Firenze per trasferirsi a Roma, la capitale Toscana diviene la culla della nuova cultura figurativa italiana. nonostante la spiego dirsi degli ideali umanistici e il perdurante ristagno di attese millenaristico ed escatologica e legate alla predicazione di Savonarola, all'inizio del XVI secolo maturano a Firenze le premesse che già si erano radicate a partire da Masaccio e Donatello, dando luogo ad una nuova stagione ricca di capolavori assoluti. In un breve giro d’anni Leonardo elabora il cartone per Sant’Anna, la Vergine, il Bambino e San Giovannino, che fornisce ai contemporanei la soluzione per strutture unitariamente le composizioni entro uno schema geometrico piramidale. Nello stesso periodo Michelangelo è alle prese con il colossale David e dipinge la Sacra Famiglia. Inoltre, quasi in gara tra loro, Leonardo e Michelangelo sono chiamati dalla Repubblica fiorentina a eseguire i progetti per la decorazione della Sala del Gran Consiglio del Palazzo Vecchio a Firenze. L’arrivo di un giovane di talento: Raffaello Nell’ottobre 1504 il giovane Raffaello Sanzio da Urbino (1483- 1520) giunge nella captale toscane per elaborarvi in tempi straordinariamente brevi la propria fondamentale interpretazione della Maniera moderna. La posizione artistica di Raffaello viene descritta con lucidità da Vasari, secondo il quale Raffaello seppe trarre dalla cultura figurativa fiorentina gli spunti più vitali per fecondare la propria facilità inventiva, già maturata negli anni tra le La portata delle idee artistiche elaborate a Roma nel secondo decennio del Cinquecento resta impressionante e vedrà presto una diffusione a livello internazionale. Raffaello e il culto dell’antico: Raffaello continua a intrattenere rapporti sia con i committenti privati che con quelli pubblici; per i committenti privati realizza numerosi ritratti connotati da un'invenzione sicura che esprime monumentalità o eloquenza drammatica, si occupa poi anche di architettura e del recupero delle antichità romane, delle quali era diventato esperto. nella corte di Papa Leone decimo Raffaello assume un ruolo attivamente integrato con quello degli umanisti che circondano il papà, proponendo stimoli e anticipazioni che lo spingono per fino a criticare l'operato dei precedenti Pontefici. La via del Correggio alla Maniera moderna: Antonio Allegri,chiamato Correggio dal nome del borgo natale in provincia di Reggio Emilia, nasce nel 1489, si forma a Modena, nel 1506 affresca in sant’Andrea la cappella sepolcrale di Mantegna. Si avvicina a Lorenzo Costa e Pietro Perugino, forse in un soggiorno romano del 1517-18 viene a conoscenza dell’operato di Raffaello e Michelangelo. La sua prima commissione importante avviene nel 1519, con la Camera della Badessa di San Paolo a Parma: in cui dimostra uno stile all’insegna del classicismo morbido, con sottigliezze prospettiche e luministiche, vibrante luce dorata. Nella piccola Adorazione dei Magi, opera giovanile, dimostra innesti padani, nell’interesse verso l’arte fiamminga, conoscenza della lezione di Leonardo tramite giochi di chiaro-scuro. Nella Madonna col bambino e Tre Santi, Pala dipinta per una chiesa di Modena, mantiene l'interesse per la morbidezza leonardesca, guarda la Madonna Sistina di Raffaello e a Tiziano, dai quali ricava spunti per dinamizzare il soggetto, cui conferisce una monumentalità che si associa la sua via naturale per l'espressione degli affetti, della tenerezza, frutto del sostrato Lombardo. Il caso degli eccentrici padani: nei primi decenni del Cinquecento La grande pianura padana È percorsa è abitata da artisti che consapevoli E aggiornati sulla maniera moderna, restano irregolari della pittura. tali furono sperimentatori e si qualificano con una sintetica quanto felice definizione di Roberto Longhi come gli “eccentrici”. Essi sono stati oggetto di una rivalutazione critica negli ultimi decenni, che ha consentito di riscoprire il valore della loro espressività forzata e talvolta grottesca. Raramente erano attivi per le corti, presso le quali vigeva un codice linguistico più intellettuale. Gli eccentrici condividono con la maniera moderna l'impostazione unitaria e monumentale, la capacità di esprimere sinteticamente elaborati concetti religiosi e mitologici, l'abilità di coinvolgere lo spettatore nella rappresentazione. Atlante delle opere: - Libreria Piccolomini: Giunto al declino della propria carriera, ma ancora famoso, nel 1502 il Pinturicchio viene incaricato dal Cardinale Francesco Todeschini Piccolomini di eseguire la decorazione della libreria annessa al Duomo di Siena. il pittore qui a fresca scene della vita di Pio II, Prendo spunto dal memoriale redatto dallo stesso papà. le storie sono qui eseguite con grande perizia tecnica e minuzia descrittiva, Ma le scansioni spaziali risultano troppo elementari talvolta le figure principali si affollano parallelamente al piano del dipinto, mentre il paesaggio sembra posticcio e non si integra nel racconto. Raffaello esegue per il suo maestro il Pinturicchio i disegni per tre delle dieci scene del ciclo, Dimostrando capacità tecnica e prontezza di invenzione. Nello studio per la partenza di Enea Silvio Piccolomini per il Concilio di Basilea, la sicurezza dell'impianto di Raffaello consente ai personaggi di attraversare lo spazio orizzontale con fluidità e naturalezza, mentre il paesaggio portuale si integra gradualmente e coerentemente con la scena del primo piano, ritmata su una articolata alternanza di vuoti e di direttrici spaziali divergenti, generate dalle gambe dei personaggi e dei cavalli. Nella traduzione pittorica il Pinturicchio non comprende a fondo il modello di Raffaello, e non rinuncia al gusto per la sovrabbondanza decorativa . L’effetto finale è il ribaltamento delle prospettive, derivato dall’attenuazione della profondità spaziale come per esempio accade nel caso del Cavaliere centrale che si volge verso lo spettatore esterno per catturarne l'attenzione. La presenza di Raffaello a Siena rimane circoscritta alla collaborazione con Pinturicchio, nella cui bottega si forma Baldassarre Peruzzi, che sarà tra i protagonisti della stagione del rinnovamento classicista Romano. - Sant’anna, la Vergine, il Bambino e San Giovannino: 1501-03 carboncino, National gallery di Londra. La rappresentazione di questi personaggi è cara alla tradizione fiorentina e adatto a rappresentare la regina Anna di Bretagna. Pensata da Leonardo forse su sollecitazione del re di Francia Luigi XII, poco prima di lasciare Milano nel 1499; È possibile che è lasciata la corte Sforzesca l'artista abbia portato con sé i primi studi sul soggetto, riprendendo più volte la composizione. Non si esclude che lasciata Milano porti con sé i suoi disegni nei soggiorni a Mantova, Venezia, in Romagna presso Cesare Borgia e a Firenze (1501-02). A questa composizione si dedica anche durante il soggiorno milanese del 1506-13 e in Francia tra 1513-19, dove realizzerà il dipinto oggi al Louvre (incompiuto). Diversi disegni sono presenti a Firenze e Milano, citati dalle fonti. Resta solo quello della National Gallery. Sono rappresentati sant’anna con la Vergine sulle ginocchia e il Bambino che si protende verso san Giovannino, il paesaggio appena accennato. Leonardo sviluppa in modo più serrato sia la composizione formale che i rapporti psicologici della Vergine delle rocce fornendo un modello per i pittori della maniera moderna. La scena è posta in struttura piramidale: modello compositivo organico e monumentalità plastica alle figure, con una solida plasticità tipicamente fiorentina. Il pittore pone attenzione ai motivi espressivi e gestuali: convinzione di rendere anzitutto gli stati d’animo; Leonardo giunge nella convinzione della necessità di trovare corrispondenza tra gesto espressivo e necessità psicologica o, attraverso iter progettuale fondato su variazioni fondate mediante il disegno. Sant’anna, la Vergine, il Bambino e l’agnello, conservato al Louvre 1513: san Giovannino è qui sostituito dall’agnello, che rappresenta l’animale sacrificale, simbolo della passione. La struttura è nuovamente piramidale, ponendo attenzione al rapporto madre/figlio, mentre il paesaggio è reso con notevole trasparenza. - David, Michelangelo, 1501-04, galleria dell’accademia Firenze Michelangelo lascia Firenze nel 1494 dopo la morte del protettore Lorenzo il Magnifico e la presa di potere da parte di Savonarola. Si stabilisce quindi a Bologna, e dopo un breve ritorno a Firenze, nel 1496 si stabilisce a Roma. Nel 1501 torna a Firenze e viene incaricato dall’opera del duomo di realizzare un David per un contrafforte della chiesa di Santa Maria del fiore. Il blocco di marmo era già stato scolpito da Agostino di Duccio, che tuttavia non terminò l’opera (1463-63). Il David di Michelangelo è colto l’attimo prima dello scontro con Golia. Michelangelo sceglie di rappresentarlo nudo, elimina anche gli accessori di Donatello. L’opera viene compiuta nel 1504, il governo fiorentino gli attribuisce valore simbolico e politico: David è il simbolo del cittadino-guerriero glorioso in lotta contro la tirrania per la difesa della Repubblica. Data la bellezza dell’opera si apre un dibattito cui prendono parte anche Giuliano da Sangallo e Leonardo; l’opera non viene più collocata sul contrafforte della cattedrale, ma accanto al Marzocco, il leone simbolo di Firenze all’ingresso di Palazzo vecchio. Nel 1872 l’opera viene rimossa da palazzo della Signoria, e al suo posto viene messa una copia, mentre l’originale si sposta presso le gallerie dell’accademia. La scultura è a tutto tondo, ma pensata dall’artista per essere osservata dal basso, per questo presenta alcune motivate distorsioni: fianchi e torso sono ridotti, testa e piedi sovradimensionati. Le mani sono particolarmente grandi per il significato del nome David: fortis manu, viene aggiunto un muscolo al polso destro per dare maggiore possenza alla mano. Michelangio è qui interessato alla rappresentazione di corpi ideali che studia dal vero, e tradotti con energica sintesi scultorea. - Studi per la battaglia di Anghiari e per la battaglia di Càscina 1503-06 Commissione del gonfaloniere Pier Solderini per celebrare l’importanza politica e simbolica di Palazzo vecchio, vuole affrescare la sala del Gran consiglio con soggetti storico-propagandistici (prendendo d’esempio il palazzo Ducale di Venezia). La prima commissione è a Leonardo nel 1503, e a Michelangelo nel 1504; un gruppo di umanisti individua due battaglie che siano in grado di testimoniare la capacità fiorentina di combattere contro nemici potenti e contro i nemici di sempre, ovvero i milanesi e i pisani. La battaglia di Anghiari tocca a Leonardo: verificatasi nel 1440 contro i Visconti, momento in cui i fiorentini cercano di strappare le bandiere di guerra; a Michelangelo toccherà invece la battaglia di Cascina: del 1364 contro i pisani, rappresenta l’imboscata dei pisani mentre i fiorentini si bagnano nell’Arno. Entrambi gli affreschi non verranno realizzati, Leonardo comincia il lavoro ma deve interromperlo per l’esito negativo del tentativo di dipingere a olio sulla parete. Entrambe le rassicurazioni erano monumentali di corpi presentati in una scala maggiore del vero, concepite con intenzioni espressive radicalmente diverse. Leonardo vuole evidenziare la violenza della zuffa e le alterazioni prodotte sulle fisionomie umane mentre Michelangelo pone l'accento sulla rappresentazione dei vigorosi corpi nudi, fissati impose variate e contorte desunte da sculture classiche secondo il principio della varietas. Leonardo concepisce la battaglia di Anghiari come punto di arrivo dei propri studi sugli atteggiamenti umani: afro in combattimen infiniti scorci di pazzia bestialissima. I cartoni preparatori sono frammentari a causa dell’usura, restano invece testimonianze di fonti e copie: Rubens cartone di Leonardo; l’unica copia del cartone di Michelangelo è attribuita a un allievo fiorentino Aristotele da Sangallo oggi a Norfolk, e si può confrontare con un cartone di Michelangelo eseguito prima degli studi per l’opera finale; entrambi presentano monumentali corpi, ricchi di chiasmi e movimenti. Sia Michelangelo che Leonardo presentano corpi monumentali più grandi del reale, ma intenzioni differenti: Mentre Leonardo presenta l’alterazione prodotta dalla situazione sulle fisionomie umane e animali, i corpi nudi e gli atteggiamenti contorti servono per sottolienare la furia che li anima, in MIchelangelo la rappresentazione dei corpi nudi è derivazione da sculture classiche e dal naturalezza precedentemente conseguito per puntare su una rappresentazione più sottilmente intellettuale. - Mosè salva le figlie di Jetro, 1523, olio su tela, Uffizi, Rosso Fiorentino La formazione di Rosso Fiorentino e in parte legata alla frequentazione della Bottega di Andrea Del Sarto, si svolge in modi sostanzialmente autonomi e porta la sua prima produzione nella Firenze a cavallo del 1520. L’opera di Mosè che salva le figlie di Jethro versa oggi in cattive condizioni: lasciato incompiuto dall'autore è stata tagliata lungo tutto il suo perimetro. l'opera si costruisce su un affollarsi di anatomie connotate da un forte plasticismo di matrice michelangiolesca, il dipinto non è strutturato entro un intelaiatura spaziale prospettico e due igienistica, mai scalato teatralmente lungo tre piani paralleli. è probabile che il dipinto degli Uffizi debba identificarsi con quello ricordato da Vasari come il quadro di ignudi bellissimi in una storia di Mosè. Il riferimento biblico ha indotto studiosi a rileggere il brano dell'esodo, in cui la figura del giovane Mosè è presentata anche come un esempio di virtù eroiche e morali. Tra i diversi episodi dell'esodo si narra di come Mosè avesse contribuito a sedare una rissa scoppiata tra due giovani ebrei, e di come avesse ucciso un egiziano che tiranneggia e percuoteva un suo fratello, di come fosse intervenuto in difesa delle figlie del sacerdote Jethro . Una delle Fanciulle salvate, Sephora, sarebbe poi divenuta la moglie di Mosè. questi tre episodi, già narrati da Botticelli non ho fresco, vengono accorpati da Rosso Fiorentino, che pone al centro della composizione l'uccisione del l'egiziano da parte di Mosè. in primo piano i due ignudi Reverse si rappresentano quasi certamente Iris osi, ormai separati, mentre al terzo livello compare nuovamente Mosè che irrompe con il manto di gonfio di aria in soccorso delle figlie di Jethro. Circondata dalle sue pecore dalle capre, Sefora assiste alla scena in attesa è stupita, con le braccia spalancate come una vergine annunciata. l'uso esasperato di elementi contrapposti sono in frutto dell'assorbimento di spunti desunti della scultura classica. Dipinta Appena due anni prima anche la deposizione coniuga la novità formale plastica con una spiritualità tormentata. derivata dalla meditazione su opere gotiche la tavola presenta la propensione a smaterializzare i personaggi, risolvendo lì in angolature e figure geometriche. La deposizione di Volterra e però caratterizzata da una cromia accesa e studiata che sortisce effetto drammatico è lacerante. - La Deposizione, Iacopo Pontormo, 1526, olio su tela, Cappella Capponi Firenze Il banchiere Ludovico Capponi vuole trasformare nel 1525 una cappella all’interno di Santa Felicita nella sua cappella sepolcrale, affida il progetto al Pontormo. L’artista ci lavora per tre anni, realizza la pala con la Deposizione, un affresco laterale con l’Annunciazione, i quattro Evangelisti nei pennacchi (collaborazione con l’allievo Bronzino), e la cupola ormai distrutta distrutta, quattro Patriarchi, un Dio padre benedicente. Quest’opera del Pontormo è della sua fase matura: manifesta infatti influenze nordiche, di Dürer specialmente, nell’incisività del segno e nelle deformazioni espressive, Michelangelo nelle torsioni dei corpi. Nella tavola della Deposizione l’artista non inserisce nessuna definizione ambientale, non c’è nemmeno la croce. Ai personaggi classici del soggetto se ne aggiungono nuovi come i due giovani che portano il corpo di cristo. Si osservano due gruppi di personaggi, intorno al cristo, trovando il proprio apice nella donna in alto a sinistra, e intorno alla Vergine con andamento diagonale a zig zag. Il dramma della scena è espresso attraverso i colori esplosivi e non realistici, stesi senza ricorso al chiaroscuro anche perchè in origine una sola finestrella illuminava la cappella, e i colori intensi contribuivano a rendere leggibile la pale. La sepoltura di Ludovico si trovava esattamente sotto l’altare, il corpo di cristo è proiettato in tale direzione, come se fosse calato nel sepolcro; deposto sull’altare: il corpo di cristo come offerta per la redenzione di tutti gli uomini. Il modello della Deposizione di Pontormo è sicuramente la Deposizione Baglioni di Raffaello, anche questo presenta due gruppi di persone; altro modello è la Morte di Meleagro cui si ispira il giovane in primo piano, questi però si volge verso lo spettatore. - Il Tempietto di San Pietro in Montorio a Roma, Donato Bramante, 1502-08 Bramante arriva a Roma alla fine del 1499, studia i monumenti e le rovine, portando a maturazione lo stile architettonico che si fa più monumentale e meno incline alle sperimentazioni degli anni milanesi. Il tempietto di San Pietro in Montorio è costruito alla sommità del Gianicolo, o monte Aureo. Secondo la tradizione era qui avvenuta la crocifissione a testa in giù di San Pietro,e per questo Bramante lo concepisce come un martyrium, ovvero uno degli edifici paleocristiani destinati al culto dei martiri. I templi paleocristiani erano a pianta centrale cruciforme o raggiera, mentre il tempio di Bramante si presenta a pianta circolare e periptero: circondato da colonne. L’edificio, dal forte valore celebrativo era troppo piccolo per le liturgie, e in origine doveva sorgere all’interno di un cortile circolare colonnato con quattro cappelle angolari, proponendo un chiaro richiamo alla nuova basilica di San Pietro. Il progetto originario esalta i rapporti geometrici dei cerchi concentrici dando maggiore monumentalità al complesso, concepito come sistema unitario di assi che si incrociano nel punto della crocifissione di San Pietro. Per mancanza di risorse finanziarie non vengono posizionate le statue nelle nicchie del tamburo e non viene realizzato il cortile. La concezione plastica del progetto si evidenzia nell’irradiarsi della circonferenza attraverso la scalinata, nella balaustra sporgente rispetto al corpo inferiore e nel profilarsi delle paraste che riprendono lo slancio delle colonne. Tale organica plasticità torna nel progetto di San Pietro, e verrà assimilata anche da Michelangelo, che la sviluppa in una direzione ancora più grandiosa. Rispetto alle opere milanesi di Bramante, il tempietto presenta una notevole riduzione dei partiti decorativi maturata grazie ad una approfondita conoscenza del trattato vitruviano: si assiste quindi ad una riduzione drastica degli aspetti decorativi, sostituiti da un semplice ordine dorico che conferisce eleganza, così come nel trattato vi è scritto che ogni ordine è adatto al soggetto a cui è dedicato il tempio (ionico femminilità; dorico eroi maschili). Proprio a San Pietro erano attribuiti eroismo e fortezza, e per questo si osserva la corrispondenza delle scelte formali classiche e il loro utilizzo moderno, nell'assolvere i compiti di liturgia e celebrazione, dimostrando la novità del tempietto. Le scelte classiche si adattano alla celebrazione di San Pietro, primo pontefice cui allude anche la decorazione a rilievo nella trabeazione: 12 oggetti ripetuti 4 volte che alludono all’autorità papale e ai misteri eucaristici. In precedenza Bramante, appena giunto a Roma, era stato incaricato di progettare il chiostro di Santa Maria della Pace, costruito su un modulo quadrato e adatto a coordinare secondo rapporti armonici i singoli elementi, sia nella pianta che nell’alzato. In questa opera la scelta modulare rivela la corrispondenza con l’insegnamento di Brunelleschi, cui Bramante aggiunge una visione grandiosa dell’architettura, evidente nell’utilizzo del doppio pilastro al pianterreno e al primo piano, dove è sovrammesso a una porzione di muro e conferisce maggiore agilità alla colonnina collocata al centro dell’intercolumnio. - La Basilica di San Pietro, Donato Bramante, 1508 Nella scritta “Templi Petri Instauratio”, impressa nella medaglia celebrativa murata nel primo pilastro della nuova basilica di San Pietro il 18 aprile 1506, si spiega quale fosse l’intento di Giulio II nell’avviare l’impresa: la basilica paleocristiana era infatti precedentemente fatiscente, Giulio II non vuole la sua ristrutturazione ma incarica Bramante di progettare un nuovo monumentale complesso per celebrare il trionfo di Roma come capitale della cristianità. Numerosi sono i disegni per il progetto, e quando iniziano i lavori non c’è ancora quello definitivo. Bramante concepisce la Basilica a pianta a croce greca inscritta in un quadrato, coronato dalla cupola emisferica e quattro cupole più piccole inserite tra i bracci minori. La scala prescelta echeggiava la grande mole delle architetture di età imperiale, cui rimandava la ricerca di proporzioni euritmiche, evidenziata dalla regolare geometria centralizzata che caratterizzava l’impianto. La volontà di conferire all’edificio un valore assoluto guida le scelte formali di Bramante e il loro accoglimento da parte di Giulio II, che vi intende collocare la sua tomba, progettata da Michelangelo nel 1505. Bramante opera nella Basilica di San Pietro la prima vera rivitalizzazione dell’architettura antica fondata su una concezione globale e non solo più sulla grammatica degli ordini e delle geometrie. - La Tomba di Giulio II, Michelangelo, 1505-45, San Pietro in Vincoli La Tomba di GIulio II, commissionata dal pontefice nel 1505, oggi murata nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli dove viene collocata nel 1545. Strutturata su due registri sovrapposti, sull’ordine inferiore presenta Lia e Rachele, Mosè è al centro, cui corrisponde sul secondo registro la rappresentazione del pontefice semidisteso, sormontato a sua volta dalla Vergine col Bambino. Il progetto iniziale è monumentale, prevedeva la posa di oltre 40 statue, doveva essere praticabile con il sepolcro all’interno, ma nel frattempo il pontefice cambia idea e chiama Michelangelo per affrescare la volta della cappella Sistina, a seguito del quale è forzato un ridimensionamento del progetto. Sappiamo ancora poco del primo progetto di Michelangelo per la tomba di Giulio II, probabilmente doveva trattarsi di un monumento a stanza praticabile come il sacello di un santo, con il sepolcro del pontefice collocato a vista all’interno. L’esterno, qualificato da una struttura ascendente a più livelli, avrebbe dovuto essere animato da una selva di statue probabilmente sormontate dall’immagine di GIulio II raffigurato come San Pietro. Un gruppo di statue bronzee avrebbero raccontato i fatti salienti della vita del pontefice, mentre i soggetti delle statue di marmo sarebbero state di natura allegorica e celebrativa, alludendo filosoficamente al progressivo percorso dell’anima che torna all’empireo. Solo a partire dal 1513, dopo aver finito il progetto della Cappella Sistina, Michelangelo elabora un secondo progetto: riduzione statue e accentuazione verticale; nel registro inferiore osserviamo le statue delle Vittorie alternate agli Schiavi, simbolicamente lo spirito che si dibatte nella prigione del corpo; nel secondo livello ci sono Mosè e San Paolo; Giulio II colto nel sonno della morte e Angeli; nell’ultimo registro vi sono infine una Vergine col Bambino Benedicente. Nel 1516 Leone X ordina a Michelangelo di spostarsi a Firenze per un nuovo progetto, ovvero la facciata di San Lorenzo, e solo allo scadere dell’anno l’artista firmerà un terzo contratto per una sepoltura ridimensionata e ormai assimilata al tradizionale monumento a parete. L’artista troverà una soluzione sbrigativa nel 1545 con l’inserimento di Mosè al centro solo in parte compiuto da Michelangelo. I due Schiavi scolpiti dall’artista sono oggi al Louvre e noti con nomi convenzionali: il Morente e il Ribelle, assimilati agli ignudi della volta della sistina. Essi esprimono atteggiamenti antitetici: il primo rinasce a una vita nuova, il secondo si libera dalle catene. favore della Chiesa: la decorazione ha fine di propaganda. L’evento principale rappresentato è la Cacciata di Eliodoro dal tempio, che allude al diritto divino concesso alla chiesa di possedere beni terreni, contro cui si scaglia il ladro Eliodoro che tenta di rubare il tesoro dal tempio. Eliodoro viene presentato in primo piano a destra, quasi schiacciato dagli zoccoli del cavallo montato dall’angelo armato; in centro si trova il sacerdote Ania che ha ottenuto l’intervento divino con la preghiera; a sinistra si assiste all’ingresso del papa con un corteo. Gli eventi sono dipinti con chiaroscuro più marcato che in passato. Un miracolo è il soggetto della Messa di Bolsena; il soggetto ispirato ad un fatto miracoloso avvenuto nel 1263: un sacerdote che dubitava nella transustanziazione, vede sgorgare sangue dall’ostia durante l’eucarestia. La tovaglia intrisa di sangue viene conservata come reliquia da Sisto IV che istituisce il corpus domini; la rappresentazione è un omaggio al precedente pontefice di cui Giulio è nipote, e vuole inoltre ribadire l’autorità dottrinale del Papa. Si presentano delle difficoltà per l'asimmetria della finestra e la necessità di congiungere la scena del miracolo con quella di Giulio II davanti alla reliquia: vengono risolte con finti gradini e la divisione delle reazioni degli astanti, frenetici quelli partecipanti alla messa, impassibili quelli del seguito papale. L’influenza fiamminga e veneta nelle scelte cromatiche è ben evidente. L’affresco successivo è quello della Liberazione di san Pietro dal carcere: ispirato agli atti degli apostoli porta alle estreme conseguenze la ricerca cromatica, unendo luci notturne, artificiali, soprannaturali. In tre serrate sequenze a narrazione continua: al centro si trova il santo in carcere; a destra il santo e l’angelo che sorpassano le guardie assopite; a sinistra il risveglio delle guardie. Papa Leone Magno incontra Attila alle porte di Roma: è l’ultimo affresco della stanza, auspicio della vittoria di Giulio II sui francesi. La composizione è dinamica, mette in risalto la figura di Leone X, nelle fattezze di Leone Magno, succeduto a Giulio II. Stanza dell’incendio di Borgo: 1514-17, sala da pranzo del pontefice. La volta della stanza viene decorata con i temi della grazia e della giustizia divina, sulle pareti vi è la glorificazione delle storie dei papi Leone III, Leone IV che Leone X che Giulio II considera precursori del proprio pontificato. Per la decorazione di questa stanza Raffaello si avvale dell’impiego sempre più massiccio della bottega, Giulio Romano in primis. L’affresco con l’Incendio di Borgo, un quartiere romano, rappresenta il miracolo di Leone IV, che riuscì a placare le fiamme; tale è una allegoria politica, per cui Leone X si autoproclama capo di stato capace di spegnere la guerra. L’impostazione scenografica e teatrale è dominante: il primo piano è affolatissimo, le linee prospettiche del pavimento conducono alla loggia dalla quale il papa sta benedicendo, a fianco si trova la facciata di San Pietro decorata a mosaico. Il primo piano e il fondo sono connessi dalla donna inginocchiata; lo spettatore si identifica con la portatrice d’acqua. L’iconografia è derivante dalla descrizione omerica dell’incendio di Troia: a sinistra vi è il richiamo all’episodio di Enea che porta sulle spalle Anchise. Se la prima stanza concilia l’ideale umanistico di antico e presente, la seconda esprime la consapevolezza del tramonto di tale temperie, sostituito dall'irrequietezza e dall'incertezza del presente; la terza propone una ricostruzione di un universo figurativo eclettico in cui ambientare le scene, in tema con la crisi politica e morale del periodo. La storia della quarta stanza detta di Costantino, commissionata a Raffaello nel 1517 da Leone X e condotta a termine dalla sua bottega, riguarda già un nuovo capitolo, portando agli esiti del Manierismo, - Sacra Conversazione, Raffaello, 1513-14, olio su tela, Staatliche Gemaldegalerie Dresda Chiamata anche Madonna Sistina perché ubicata nella chiesa piacentina di san Sisto, costituisce il modello per le novità pittoriche per gli artisti settentrionali. Sono presenti numerose innovazioni: eliminata l'ambientazione paesaggistica, è presente il motivo del doppio tendaggio aperto sulla visione celeste. In primo piano si trova la balaustra con la tiara di San Sisto e i due putti che accentuano l’effetto illusionistico. San Sisto e Santa Barbara intercedonoo tra mondo divino e mondo umano:Mentre la Vergine discende a piedi scalzi, santa Barbara guarda verso i fedeli, mentre San Sisto li indica guardando la Madonna. L’effetto risulta avvolgente, è creato con il rigonfiamento dell’abito e del velo. Gli attributi iconografici dei santi sono assorbiti e quasi nascosti. Un’unica diagonale unisce la testa di Sisto a quella della Madre con i Figlio, gli spettatori sono resi partecipi dal gesto di Sisto e dallo sguardo di Barbara. Se si eccettuano i toni caldi del tendaggio verde e l’accensione dei rossi ritmicamente disposti, il dipinto si caratterizza principalmente da gamme fredde, dominate dal Blu e dall’oro del Pivale d Sisto con le insegne dei Della Rovere, retto dal contrasto con l’azzurro e l’arancio di Barbara. In questa Pala Raffaello dimostra di aver recepito le novità proposte da Michelangelo nelle ultime storie della Genesi della volta della Cappella Sistina. Sacra Conversazione: Madonna di Foligno: Raffaello giunge alla finestra di risultato elaborando diverse soluzioni di pale d’altare; secondo la Madonna del baldacchino, lasciata incompiuta Firenze, era già pervenuto un risultato moderno, con la Madonna di Foligno rinnova l'impianto di tali immagini. Abbandona l'ambientazione architettonica e dipinge la pala come una visione e apparizione posti in un arioso paesaggio per i per l'interesse di Raffaello per la pittura Veneta; in questa opera Raffaello cura la caratterizzazione dei personaggi e affida a San Giovanni Battista il compito di stabilizzare un rapporto diretto con lo spettatore - Cartone per l’arazzo San Paolo predica ad Atene, Raffaello, 1515-18, tempera su carta, Victoria & Albert Museum Mentre è ancora intento all'opera della terza delle stanze vaticane, Raffaello viene caricato da leone Decima per eseguire dei cartoni per 10 arazzi raffiguranti scene tratte da gli Atti degli Apostoli, a completamento dell'allestimento della Cappella Sistina. L'importanza di tale commissione è chiara , Raffaello è chiamato a lasciare la sua impronta nella nuova e prestigiosa cappella Vaticano creando una eco non indifferente per le future commissioni. Pur avvalendosi ancora dell'aiuto della Bottega, Raffaella si dedica quasi interamente da solo alle storie di San Pietro e San Paolo, realizzando invertendo destra e sinistra nella controparte a tempera supporto cartaceo i modelli policromi da inviare nelle Fiandre per la realizzazione degli arazzi sulla sua impronta. Nella scena in cui San Paolo predica ad Atene il cartone per la ratto o molla raffigura il santo intenta a predicare un quartetto di filosofi radunati nel aeropago della città greca, caratterizzata da architetture monumentali. iI gesto delle stanze e di isolamento in cui si erge la sua costante figura evidenziano lo sfruttamento da parte di Raffaello di ogni risorsa di eloquenza e retorica. studia attentamente la disposizione dei genitori destinati essere trascinati dal personaggio del primo piano, ovvero Dionigi, colto in atteggiamento entusiastico in uno spazio tra l'osservatore esterno e la gradinata del tribunale Greco. - Villa Madama a Roma, 1518, Raffaello Quando nel 1518 leone Decimo intende far costruire una qualcosa di Linda suburbana le rive del Tevere alle pendici del Monte Mario, gli danno questo progetto a Raffaello, che aveva più volte dimostrato il proprio interesse per lamentarti tettonico la grandiosa Villa viene costruita solo in una piccola parte del suo progetto originario, dopo la morte di Raffaello il cantiere viene affidato ad Antonio di Sangallo il giovane, ma la scomparsa di Clemente VII i lavori si interrompono. La villa costituisce un modello di riferimento per generazioni di artisti che la considerano alla stregua di un edificio antico. L'edificio è pensato da Raffaello coniugando la sua familiarità con le fonti antiche, maturata su Vitruvio e Plinio il Vecchio,con la profondità conoscenza dei monumenti classici sviluppati nei anni leonini. L'artista si prefigge di porre la corte medicea in condizione di poter ripristinare funzioni antiche come prendere bagni delle Terme, allestire spettacoli in un teatro stabile, organizzare corsa di cavalli. Anche in architettura Raffaello intende restituire la realtà visiva del mondo plastico, dal quale attinge concetti moderni.. - La Trasfigurazione, Raffaello, 1518-20, olio su tavola, Pinacoteca vaticana Nel 1517 Giulio de’ Medici, vescovo della diocesi di Narbonne, ordina due pale italiane da collocare nella cattedrale della città. Si tratta della Resurrezione di Lazzaro, affidata a Sebastiano del Piombo coadiuvato da Michelangelo, e della Trasfigurazione, affidata a Raffaello, che riesce a completarla quasi del tutto prima di morire; le rifiniture sono ad opera di Giulio Romano. L’opera piacque così tanto al futuro papa che non la inviò a Narbonne,ma decide di sistemarla nel 1523 nel tempietto di san Pietro in Montorio, dove rimane fino all’epoca napoleonica. Il tema è inteso come esaltazione della figura di Cristo, inizialmente vuole inserire solo la scena della trasfigurazione, ma inserisce anche l’episodio del risanamento di un bambino indemoniato. La tavola è divisa in due zone: Cristo sulla sommità del monte Tabor; apostoli e familiari disperati alle pendici. Questi non sono episodi collegati nel racconto evangelico, ma vengono unificati grazie alla luce diffusa che emana Cristo: luce che risana il fanciullo. La realizzazione è preceduta da numerosi disegni e cartoni preparatori: studia i gesti nei minimi dettagli, si coglie la dipendenza dalla figura di Eva cacciata dal paradiso di Michelangelo nella cappella Sistina. I restauri dimostrano numerose variazioni in corso d’opera. Raffaello colloca in primo piano due figure-cerniera tra dipinto e spettatore: l’apostolo all’estrema sinistra con in mano il libro; la donna inginocchiata.Oltre ad impostare una composizione così attenta al conseguimento di effetti drammatici, Raffaello effettua la scelta cromatica di colori brillanti. Ricorrenze della trasfigurazione di Raffaello, la resurrezione di Lazzaro dipinta Roma da Sebastiano Luciani, detto del Piombo, col del patrocinio al Michelangelo, legato al pittore veneto centri estetici. La resurrezione di Lazzaro è un dipinto gremito di figura, tra le quali si riconoscono i principali protagonisti della scena: a sinistra è Cristo ai cui piedi vi è inginocchiata Maria Maddalena, che è intenta nella supplica a Cristo per un intervento per riportare in vita il fratello morto. Intorno a Cristo si radunano gli apostoli, appena oltre la seconda figura femminile stante si identifica con Marta, altra sorella di Lazzaro. In risposta al possente gesto di Cristo Lazzaro si rianima e si siede appena fuori il proprio Sepolcro. Il miracolo viene collocata in una ariosa scena fluviale in parte paesistica e in parte urbana romanizzata. - I tre filosofi: Giorgione, 1500-05 olio su tela, Vienna Nel 1525 il veneziano Marcantonio MIchiel vede in casa del suo amico Taddeo Contarini una tela da allora nota con I tre Filosofi, e ne parla in termini positivi decantando la maniera mirabile con cui è stata realizzata.Il dipinto, lievemente decurtato in epoca remota, presenta tre figure maschili molto caratterizzate: un vecchio barbuto con pergamena; un orientale col turbante; un giovane che dà loro le spalle. La natura costituisce la vera protagonista del dipinto. Dopo che per molto tempo gli studiosi si sono affannati a cercare di capire il soggetto del dipinto, considerato come allegoria delle tre età dell’uomo, o dei diversi stati della filosofia, nel 1978 Salvatore Settis ravvisa la rappresentazione volutamente criptica dei Magi: essi sono colti mentre studiano il motivo del bagliore che hanno visto in fondo alla grotta del monte Victorianus, capiscono che è il primo segnale della salvezza dell’uomo, promessa dall’acqua della sorgiva e dall’edera e fico, interpretabili come simbolo della Grazia, tramite i simboli di redenzione e del legno della croce. L’esame radiografico del dipinto ha evidenziato che in un primo tempo Giorgione aveva reso più esplicita l’individuazione dei personaggi e del soggetto, ma aveva poi optato per un occultamento degli elementi più riconoscibili, schiarendo per esempio la pelle dell’orientale che in origine era moro, secondo la diffusa consuetudine rappresentativa indicante i Magi come derivanti da tre parti diverse del mondo. Giorgione ferma sulla tela il momento in cui i Magi stupefatti capiscono che la redenzione è vicina. Giorgione, in questa composizione presenta dei debiti formali: il sentimento della natura avvolgente è tratto dalla conoscenza di Leonardo; il paesaggio verdissimo presenta affinità con Dürer; la figura orientale rimanda al favoloso oriente ritratto dai fratelli Bellini nel teleri della scuola di San Marco. La sostanza cromatica è mutevole secondo le fonti luminose. La commistione di tutti questi elementi rifusi in una sostanza cromatica densa costituisce il frutto maturo della rivoluzionaria visione artistica di Giorgione, che conferisce ai suoi personaggi un’autorevole monumentalità pienamente moderna. - La Tempesta, Giorgione - Paesaggio con figure: 1500-05 olio su tela, Gallerie dell’accademia Venezia. titolo convenzionale, deriva dalla situazione metereologica del dipinto, in cui un placido panorama fluviale viene sconvolta da un teporale, nel momento in cui un fulmine squarcia le nubi. Tre figure animano la tela: un uomo in abiti rinascimentali, una donna coperta solo da un drappo che allatta il bambino e guarda verso lo spettatore. Non ci sono documenti che descrivano l’opera e ne svelino il significato, probabilmente comprensibile da una ristretta cerchia di intellettuali. Marcantoni Michiel nota questa tela in casa di un veneziano Gabriele Vendramin nel 1530, lo registra semplicemente come un paesaggio con tempesta con una zingara ed un soldato. Lo stesso Gabriele Vendramin attribuisce alle opere che possiede un valore morale, è molto probabile che quindi la tela avesse un altro significato oltre a quello paesistico. Nessuna spiegazione del quadro risulta davvero convincente, e nemmeno le radiografie condotte sull’opera hanno risposto all’enigma sul significato, ma hanno sppp chiarito il modo di operare dell’artista: senza disegni preparatori, direttamente sulla tela (la donna era al posto dell’uomo). Se gli studiosi hanno per lungo tempo reputato la tela come puramente paesistica, osservando lo spostamento della donna in corso d’opera è impossibile che sia solo un paesaggio, all’inizio del Cinquecento non esistono quadri di genere, ogni opera ha un significato, e se la donna può compiere atti così radicalmente diversi come bagnarsi in un ruscello o allattare un pargolo, deve esserci un significato più profondo nella tela. In attesa che qualche studioso trovi la chiave di lettura per l’opera, va comunque detto che questa tela rappresenta un capolavoro per la novità che propone nella resa paesistica calda e immediata che viene penetrata dal turbamento della tempesta. La tempesta si risolve come natura in un amalgama cromatico unitario, sebbene modulato da un’infinità di torni, senza ricorrere a ricostruzioni prospettiche o a contorni incisivi. - Amor sacro e Amor profano, 1514, Tiziano, olio su tela, Galleria Borghese Il titolo con il quale questo dipinto di Tiziano è oggi ricordato è frutto di un’interpretazione del dipinto, in uso a partire dal XVIII secolo. Non si sa ancora il reale significato dell’opera, nonostante le numerose interpretazioni congiunte di studiosi. La scena è ambientata in un paesaggio idilliaco ricco di immagini allegoriche, un paesaggio scosceso difeso da un castello, a richiamare la difficile via delle virtù; a destra si ha un disteso popolato da greggi e cani, simboleggiando la voluptas, il piacere; il sarcofago al centro in cui Amore mescola l’acqua non è che una rappresentazione della Temperanza. Due donne assai somiglianti, quella a sinistra del sarcofago è vestita, mentre l’altra mostra il corpo nudo. Lo stemma sul sarcofago è di Nicolò Aurelio, uomo di spicco del cinquecento a Venezia che sposa nel 1514 Laura Bargotto, nonostante gli ostacoli politici. Il dipinto è il regalo di Nicolò alla moglie, probabilmente rappresentata dalla donna vestita di bianco, che presenta la chioma sciolta, guanti, le rose, incarnando la sposa ideale casta e sensuale; l’altra donna, una Venere, è allegoria amorosa in cui la sensualità viene stemperata dalla fiamma ardente tradizionale simbolo di amore eterno. Il dipinto deve essere letto in rapporto con la letteratura amorosa del tempo, sviluppata soprattutto nella cerchia di Pietro Bembo, in cui nella mediazione tra castità e sensualità trova forza il matrimonio. La cultura in cui opera il giovane Tiziano è la stessa in cui opera Giorgione, ma i due artisti utilizzano diversi linguaggi formali: Giorgione opera tramite l’occultamento di significati nascosti, Tiziano si esprime con un approccio diretto. Nel dipinto dell’Amor Sacro e l’Amor profano TIziano imposta simmetrie cromatiche, una frontalità che asseconda i ritmo orizzontale del sarcofago, indizio di chiarezza esaltata anche dalla precisa volumetria delle due figure; il ritmo tizianesco imprime al dipinto simmetrie cromatiche, nella contrapposizione tra le stoffe bianche e quelle rosse che rimanda alla Venere dormiente di Dresda realizzata da Giorgione con la collaborazione di Tiziano. Le tre età dell’uomo: Spetta ancora alla fase giovanile di Tiziano anche l’esecuzione delle Tre Età dell’Uomo, in cui la scena è dominata da un uomo e da una donna che dopo aver suonato i flauti sono rapiti dal trasporto erotico. A destra, dove il paesaggio si distende morbidamente, si vedono due putti dormienti, abbracciati e protetti da Amore dal rischio che l’albero secco crolli loro addosso, e poco discosto un vecchio reca in mano due teschi, che alludono alle meditazioni sulla morte. Se letta in ogni dettaglio questa allegoria rivela numerosi significati complessi, qui importa sottolineare come Tiziano abbia saputo evocare il tema dello scorrere del tempo anche mediante la definizione del tramonto, adattando a finalità narrative le osservazioni atmosferiche già condotte da Giorgione. - L’assunta dei Frari, Tiziano 1516-18 olio su tavola, Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari Quando nel mese di maggio 1518 l’opera di Tiziano viene messa sull’altare della chiesa francescana, l’artista ha raggiunto la piena maturità espressiva, e la sua pittura ad oggi costituisce uno dei capisaldi dell’arte moderna. La grande cornice marmorea rimanda ad un arco classico e fa risaltare l’Assunzione della Vergine e la sua imminente coronazione, la vittoria sul peccato e il distacco dalla condizione umana. Tiziano sceglie di distinguere chiaramente la sfera terrena da quella divina: la sfera divina si distingue da quella terrena - animata dai gesti degli apostoli - per la luce più intensa e calda; la Vergine ascendente, con le braccia protese al Padreterno soprastante, è circondata da un emiciclo di angeli festanti. Probabilmente vi sono numerosi riferimenti anche all’Immacolata concezione: il tema era difeso dai francescani. Il significato primario dell’opera è la celebrazione dell’Assunzione gloriosa della Vergine, cui assistono gli apostoli convenuti per seppellirla. Non viene rappresentato il sepolcro vuoto della vergine come nella successiva Assunzione del 1535, per il duomo di Verona, tesa più a evidenziare il distacco di Maria dalla terra che a esaltarne la raggiunta gloria celeste. Se dal punto di vista compositivo il dipinto si impernia sulla contrapposizione del mondo divino da quello terreno, prendendo a modello la Disputa sul sacramento di Raffaello, l’energia eroica è in Tiziano del tutto nuova. Si inseriscono in una costruzione dalla moderna monumentalità e all’avanguardia per l’epoca, che suscita inizialmente perplessità tra i committenti, ma presto diventa la pala mariana di riferimento per i pittori settentrionali. La gamma cromatica scelta è accesa e lontana dalle variazioni tonali giorgionesche. Tiziano sperimenta particolari effetti luministici, come il chiarore ultraterreno nella parte alta della tavola, che restituisce enfasi dorata. Si ha un forte contrasto tra luce soprannaturale e luce cupa del mondo terreno. L’accendersi dei rossi unifica la composizione. L’effetto finale è quello di presentare al fedele in contemplazione, presenze vitali e reali che assumono vita sotto i suoi occhi. - La Pala di Pesaro, Tiziano 1519-26 olio su tela, Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari. La tela si trova nella stessa chiesa dell’Assunzione, per la cappella gentilizia della famiglia Pesaro. Il soggetto della tela è facilmente riconoscibile, è una Sacra Conversazione con santi Pietro, Francesco e Antonio affiancati da alcuni personaggi della famiglia committente. Il taglio diagonale usato è innovativo, e inaugura una nuova tipologia in voga fino all’età tardo barocca. Dagli esami radiografici e tecnici condotti sulla tela si riconosce che all’inizio Tiziano pensa di impostare la scena più tradizionalmente all’interno di una chiesa e che solo in un secondo tempo opta per ambientare la scena in una poderosa architettura esterna. L’architettura recupera significati simbolici connessi ai singoli elementi architettonici, come le colonne, da ricondurre all’Immacolata concezione cui l’altare è dedicato; monumentalità alla composizione è enfatizzata accentuando così l’impianto teatrale e la magnificenza della scena. Come già nell’Assunta, anche qui colore rosso gioca un ruolo dominante: esso torna infatti nel manto della Vergine, nel drappo con lo stemma, nel mantello del committente, ma viene stemperato con i toni freddi del cielo e della pietra. Superata, grazie alla diagonale, la fissità della composizione, si può riconoscere che la gestualità dei committenti è ancora medievale; essi sono infatti inginocchiati, ma Tiziano coglie le caratteristiche fisionomiche e psicologiche di ognuno riproducendole in brillanti ritratti. L’immagine di San Francesco costituisce una chiara citazione alla figura medesima rappresentata da Bellini nell’Estasi di San Francesco, ma il dialogo che il santo intesse con il Bambino intento a giocare con il velo della Madre, o la naturalezza con cui Pietro media tra la Vergine e Iacopo Pesaro evidenziano la modernità dell’artista, che plasma con il colore energiche forme vitali immerse nell’atmosfera. Come in ogni dipinto del Rinascimento, la gestualità conserva anche profondi significati simbolici: San Francesco e Cristo, nel modo in cui il santo mostra Fin dalle prime il giovane Parmigianino si pone in concorrenza con Correggio, del quale osserva e assimila ogni azione, a partire dalla decorazione della Cupola di San GIovanni Evangelista, da cui Parmigianino prende le mosse. Nel 1523 dipinge un camerino da bagno nella rocca di Fontanellato, raffigurandovi il mito di Diana, ma in toni eleganti e intellettualistici, lontani dal classicismo umanistico dispiegato da Correggio nella Camera di San Paolo. Gli atteggiamenti sono più forzati, la cromia è densa: la tempra sperimentale dell’artista si rivela con forza. - La cupola di San Giovanni Evangelista, Correggio, 1520-22, Parma la decorazione della nuova chiesa viene affidata a correggio da una colta commissione benedettina. Qui, lungo le navate, affrescate da collaboratori, sono presenti scene che alludono alla religione pagana e ebraica, mentre nella cupola e nel catino absidale (oggi perduto) il Trionfo della fede cristiana. Nella cupola viene commissionato a Correggio di illustrare la seconda parusia, ovvrero la seconda venuta di Cristo sulla terra alla fine del mondo, secondo il dettato dell’Apocalisse di san Giovanni. Una densa corona di nuvole popolata dagli apostoli e da testa d’angeli cinge un cielo incandescente con al centro la figura di Cristo, non perfettamente centrale perchè la cupola è impostata su un rettangolo. La visione avuta da San Giovanni nell’Isola di Pathmos è presentata da Correggio senza fare ricorso a intelaiature architettoniche, ma come irruzione del paradiso sulla testa del profeta, il santo compare, scorciatissimo, schiacciato dalle nubi contro il tamburo. L’invito a a partecipare all’evento miracoloso giunge all’osservatore anche dalle vitali coppie di figure con pennacchi di imposta collocate in posizione mediana tra cielo e terra. La ricostruzione ipotetica dei percorsi che in origine si snodavano nella chiesa ha consentito di individuare due diversi livelli di fruizione della scena; da una parte i fedeli laici situati sotto l’arco di conclusione della navata hanno un punto di vista simile a quello degli apostoli; mentre i monaci, situati nel coro sotto la volta dipinta, scorgono il santo nascosto ai laici. L'immagine scorciata di Cristo rivela la formazione mantegnesca e l’aggiornamento sulle opere raffellesche, specialmente la recente cappella Chigi di Santa Maria del popolo (1516). Nella cupola di San Giovanni, Correggio affida alle nuvole la funzione di architettura sul modello dell’assemblea celeste affrescata da Raffello nella Disputa del sacramento nella stanza della Segnatura, riuscendo comunque a mantenere intatto il valore simbolico conferito dalle Sacre Scritture alle nuvole stesse, spesso presentate come simboli visivi di rivelazione o di apparizione divina. Le nuvole erano infatti spesso utilizzate come elementi mobili nelle sacre rappresentasizioni. La luce, che rappresenta grazia divina, penetra da uno spazio profondo e non razionalizzato, e le figure si muovono con monumentale padronanza di gesti, che echeggiano ‘interesse per la Volta michelangiolesca della Cappella Sistina, sia l'Interesse per Leonardo. - La cupola del Duomo di Parma, Correggio, 1526, affreschi Mentre lavora alla cupola di San Giovanni Evangelista, nel 1522 Correggio firma il contratto per la decorazione ad affresco della cupola e degli interni del duomo di Parma, cui attende tra 1526-28 lasciando interrotti i lavori nel 1530. L’edificio romanico, con una cupola gotica impostata su base ottagonale, era dedicato all’Assunzione della Vergine, tema fulcro anche dell’affresco. Come in San Giovanni Evangelista, anche qui rinuncia all’impalcatura architettonica sostituita da un turbinio di nubi concentriche. La rappresentazione coinvolge anche il tamburo ottagonale della cupola, che ospita una balaustra contro la quale sono collocati angeli e apostoli con torce accese, a simbolo della ressurrezione e immortalità. Al di sopra della prima fascia, in una serie di cerchi concentrici, si sviluppa il paradiso con angeli e santi, la Vergine ascende al cielo attesa da Adamo ed Eva, simbolo dell’umanità, al centro, in un alone di luce, la figura di Cristo scorciato arditamente da sottinsù. Anche in questa cupola considera i diversi punti di vista: lo spettatore avrebbe dovuto sostare all’imbocco della scalinata che saliva alla zona dell’altare, considerando che la visione complessiva sarebbe stata preclusa dall’arcone che conclude la navata. Da tale punto avrebbe colto l’invito dei santi, entro monumentali nicchie nei pennacchi, a partecipare alla visione. Utilizza per questa impostazione alcuni espedienti: nasconde la divisione della cupola gotica in spicchi per ottenere un continuum; opera correzioni prospettiche, di scorcio e di rappresentazione per superare le deformazioni delle figure a causa delle inclinazioni delle pareti. - L’Adorazione dei Pastori, La Notte, Correggio 1529-30 olio su tavola, Dresda. soprannome a quest’opera è dovuto all’ambientazione non solita. Commissionato a Correggio nel 1522 per la chiesa di San Prospero a Reggio Emilia. Tale rappresenta un’opera di maturità artistica: è infatti complessa l’impaginazione, la ricerca illuministica, il clima sentimentale Madre/Figlio. La colonna accanto al muro in rovina allude al crollo del Tempio di Augusto nel momento della nascita di Cristo, così come viene descritto nella Legenda Aurea di Iacopo da Varazze. Unifica nella rappresentazione il momento dell’annucio ai pastori con il momento dell’Adorazione. La donna si fa schermo per proteggersi dalla luce divina. La ricerca illuministica si pone in parallelo alle precedenti prove di Raffaello e di Tiziano, molto stimato tra gli artisti padani del tempo. Utilizza incroci di diagonali che permettono di proiettare la scena in profondità verso il paesaggio assorbito dalla notte. L’uso della luce e lo schema compositivo sono una novità che si consoliderà nella pittura del XVII secolo.
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