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I Malavoglia - Verga, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

I Malavoglia - Verga Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev'essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron 'Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch'era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. Le burrasche che avevano dispersodi qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio......

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 05/11/2023

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Scarica I Malavoglia - Verga e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! PREFAZIONE Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benes- sere; e quale perturbazione debba arrecare in una fami- gliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle propor- zioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle pas- sioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior preci- sione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che co- testa ricerca del meglio di cui l'uomo è travagliato cre- sce e si dilata, tende anche ad elevarsi, e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddi- sfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro-don Gesualdo, in- corniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad es- 7 sere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa di Ley- ra; e ambizione nell'Onorevole Scipioni, per arrivare al- l'Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosie, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per com- prenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è con- sunto. A misura che la sfera dell'azione umana si allarga, il congegno delle passioni va complicandosi; i tipi si di- segnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l'educazio- ne, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualiz- zarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sen- timenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all'idea, in un'epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un'unifor- mità di sentimenti e d'idee. Perché la riproduzione arti- stica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupo- losamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è neces- saria alla spiegazione dell'argomento generale. Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e feb- brile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'in- sieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l'accompagna dileguansi le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l'immane lavoro, tutte le contrad- 8 CAPITOLO I Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev'essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non vole- va dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all'O- gnina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre co- nosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron 'Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch'era ammarrata sul greto, sotto il lavato- io, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sul- la casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lava- toio; e padron 'Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso — un pugno che sem- brava fatto di legno di noce — Per menare il remo biso- gna che le cinque dita s'aiutino l'un l'altro. 11 Diceva pure: — Gli uomini son fatti come le dita del- la mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo. E la famigliuola di padron 'Ntoni era realmente dispo- sta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le feste e le quarant'ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c'era dipinto sotto l'arco della pescheria della città; e così grande e grosso com'e- ra filava diritto alla manovra comandata, e non si sareb- be soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto «soffiati il naso» tanto che s'era tolta in moglie la Longa quando gli avevano detto «pigliatela». Poi veniva la Longa, una piccina che badava a tessere, salare le acciu- ghe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità: 'Ntoni il maggiore, un bighellone di vent'anni, che si buscava tutt'ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù per rimettere l'equi- librio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata «Sant'Agata» perché stava sempre al telaio, e si suol dire «donna di te- laio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. — Alla domenica, quando entravano in chiesa, l'uno dietro l'altro, pareva una processione. Padron 'Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi: «Perché il motto degli anti- 12 chi mai mentì»: — «Senza pilota barca non cammina» — «Per far da papa bisogna saper far da sagrestano» — oppure — «Fa il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai» — «Contentati di quel che t'ha fatto tuo pa- dre; se non altro non sarai un birbante» ed altre sentenze giudiziose. Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron 'Ntoni passava per testa quadra, al punto che a Trezza l'avrebbero fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il segretario, il quale la sapeva lunga, non avesse predi- cato che era un codino marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che cospirava pel ritorno di Franceschello, onde poter spadroneggiare nel villaggio, come spadroneggiava in casa propria. Padron 'Ntoni invece non lo conosceva neanche di vi- sta Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole» perché «chi comanda ha da dar conto». Nel dicembre 1863, 'Ntoni, il maggiore dei nipoti, era stato chiamato per la leva di mare. Padron 'Ntoni allora era corso dai pezzi grossi del paese, che son quelli che possono aiutarci. Ma don Giammaria, il vicario, gli avea risposto che gli stava bene, e questo era il frutto di quel- la rivoluzione di satanasso che avevano fatto collo scio- rinare il fazzoletto tricolore dal campanile. Invece don Franco lo speziale si metteva a ridere fra i peli della bar- bona, e gli giurava fregandosi le mani che se arrivavano a mettere assieme un po' di repubblica, tutti quelli della leva e delle tasse li avrebbero presi a calci nel sedere, 13 Longa, l'era parso rubato a lei quel saluto; e molto tem- po dopo, ogni volta che incontrava la Sara di comare Tudda, nella piazza o al lavatoio, le voltava le spalle. Poi il treno era partito fischiando e strepitando in modo da mangiarsi i canti e gli addii. E dopo che i cu- riosi si furono dileguati, non rimasero che alcune don- nicciuole, e qualche povero diavolo, che si tenevano an- cora stretti ai pali dello stecconato, senza saper perché. Quindi a poco a poco si sbrancarono anch'essi, e padron 'Ntoni, indovinando che la nuora dovesse avere la bocca amara, le pagò due centesimi di acqua col limone. Comare Venera la Zuppidda, per confortare comare la Longa, le andava dicendo: — Ora mettetevi il cuore in pace, che per cinque anni bisogna fare come se vostro figlio fosse morto, e non pensarci più. Ma pure ci pensavano sempre, nella casa del nespolo, o per certa scodella che le veniva tutti i giorni sotto mano alla Longa nell'apparecchiare il deschetto, o a pro- posito di certa ganza che 'Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funicella della vela, e quando si trattava di serrare una scotta tesa come una corda di violino, o di alare una parommella che ci sarebbe voluto l'argano. Il nonno ansimando cogli ohi! ooohi! intercalava — Qui ci vorrebbe 'Ntoni — oppure — Vi pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La madre, mentre ribatteva il pet- tine sul telaio — uno! due! tre! — pensava a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il figliuolo, e le era rimasto sul cuore, in quel gran sbalordimento, e le picchiava ancora dentro il petto, — uno! due! tre! 16 Il nonno poi aveva certi singolari argomenti per con- fortarsi, e per confortare gli altri: — Del resto volete che vel dica? Un po' di soldato gli farà bene a quel ragazzo; ché il suo paio di braccia gli piaceva meglio di portarse- le a spasso la domenica, anziché servirsene a buscarsi il pane. Oppure: — Quando avrà provato il pane salato che si mangia altrove, non si lagnerà più della minestra di casa sua. Finalmente arrivò da Napoli la prima lettera di 'Ntoni, che mise in rivoluzione tutto il vicinato. Diceva che le donne, in quelle parti là, scopavano le strade colle gon- nelle di seta, e che sul molo c'era il teatro di Pulcinella, e si vendevano delle pizze, a due centesimi, di quelle che mangiano i signori, e senza soldi non ci si poteva stare, e non era come a Trezza, dove se non si andava al- l'osteria della Santuzza non si sapeva come spendere un baiocco. — Mandiamogli dei soldi per comperarsi le pizze, al goloso! brontolava padron 'Ntoni; già lui non ci ha colpa, è fatto così; è fatto come i merluzzi, che ab- boccherebbero un chiodo arrugginito. Se non l'avessi te- nuto a battesimo su queste braccia, direi che don Giam- maria gli ha messo in bocca dello zucchero invece di sale. La Mangiacarrubbe, quando al lavatoio c'era anche Sara di comare Tudda, tornava a dire: — Sicuro! le donne vestite di seta aspettavano appo- sta 'Ntoni di padron 'Ntoni per rubarselo; che non ne avevano visti mai dei cetriuoli laggiù! 17 Le altre si tenevano i fianchi dal ridere, e d'allora in poi le ragazze inacidite lo chiamarono «cetriuolo». 'Ntoni aveva mandato anche il suo ritratto, l'avevano visto tutte le ragazze del lavatoio, come la Sara di coma- re Tudda lo faceva passare di mano in mano, sotto il grembiule, e la Mangiacarrubbe schiattava dalla gelosia. Pareva San Michele Arcangelo in carne ed ossa, con quei piedi posati sul tappeto, e quella cortina sul capo, come quella della Madonna dell'Ognina, così bello, li- sciato e ripulito che non l'avrebbe riconosciuto più la mamma che l'aveva fatto; e la povera Longa non si sa- ziava di guardare il tappeto e la cortina e quella colonna contro cui il suo ragazzo stava ritto impalato, grattando colla mano la spalliera di una bella poltrona; e ringrazia- va Dio e i santi che avevano messo il suo figliuolo in mezzo a tutte quelle galanterie. Ella teneva il ritratto sul canterano, sotto la campana del Buon Pastore — che gli diceva le avemarie — andava dicendo la Zuppidda, e si credeva di averci un tesoro sul canterano, mentre suor Mariangela la Santuzza ce ne aveva un altro, tal quale chi voleva vederlo, che glielo aveva regalato compare Mariano Cinghialenta, e lo teneva inchiodato sul banco dell'osteria, dietro i bicchieri. Ma dopo un po' di tempo 'Ntoni aveva pescato un ca- merata che sapeva di lettere, e si sfogava a lagnarsi della vitaccia di bordo, della disciplina, dei superiori, del riso lungo e delle scarpe strette. — Una lettera che non vale- va i venti centesimi della posta! borbottava padron 'Nto- ni. La Longa se la prendeva con quegli sgorbj, che sem- 18 rimase a bocca aperta; come se quella grossa somma di quarant'onze se la sentisse sullo stomaco. Ma le donne hanno il cuore piccino, e padron 'Ntoni dovette spiegarle che se il negozio andava bene c'era del pane per l'inver- no, e gli orecchini per Mena, e Bastiano avrebbe potuto andare e venire in una settimana da Riposto, con Meni- co della Locca. Bastiano intanto smoccolava la candela senza dir nulla. Così fu risoluto il negozio dei lupini, e il viaggio della Provvidenza che era la più vecchia delle barche del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio. Maruzza se ne sentiva sempre il cuore nero, ma non apriva bocca, perché non era affar suo, e si affaccendava zitta zitta a mettere in ordine la barca e ogni cosa pel viaggio, il pane fresco, l'orciolino coll'olio, le cipolle, il cappotto foderato di pelle, sotto la pedagna e nella scaf- fetta. Gli uomini avevano avuto un gran da fare tutto il giorno, con quell'usuraio dello zio Crocifisso, il quale aveva venduto la gatta nel sacco, e i lupini erano avaria- ti. Campana di legno diceva che lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio! «Quel ch'è di patto non è d'inganno»; che l'anima lui non doveva darla ai porci! e Piedipapera schiamazzava e bestemmiava come un os- sesso per metterli d'accordo, giurando e spergiurando che un caso simile non gli era capitato da che era vivo; e cacciava le mani nel mucchio dei lupini e li mostrava a Dio e alla Madonna, chiamandoli a testimoni. Infine, rosso, scalmanato, fuori di sé, fece una proposta dispe- rata, e la piantò in faccia allo zio Crocifisso rimminchio- 21 nito, e ai Malavoglia coi sacchi in mano: — Là! pagateli a Natale, invece di pagarli a tanto al mese, e ci avrete un risparmio di un tarì a salma! La finite ora, santo diavo- lone? — E cominciò ad insaccare: — In nome di Dio, e uno! La Provvidenza partì il sabato verso sera, e doveva esser suonata l'avemaria, sebbene la campana non si fos- se udita, perché mastro Cirino il sagrestano era andato a portare un paio di stivaletti nuovi a don Silvestro il se- gretario; in quell'ora le ragazze facevano come uno stor- mo di passere attorno alla fontana, e la stella della sera era già bella e lucente, che pareva una lanterna appesa all'antenna della Provvidenza. Maruzza colla bambina in collo se ne stava sulla riva, senza dir nulla, intanto che suo marito sbrogliava la vela, e la Provvidenza si dondo- lava sulle onde rotte dai fariglioni come un'anitroccola. — «Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in mare senza paura», diceva padron 'Ntoni dalla riva, guardan- do verso la montagna tutta nera di nubi. Menico della Locca, il quale era nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che il mare si mangiò. — Dice che i denari potete mandarli a sua ma- dre, la Locca, perché suo fratello è senza lavoro; ag- giunse Bastianazzo, e questa fu l'ultima sua parola che si udì. 22 CAPITOLO II Per tutto il paese non si parlava d'altro che del nego- zio dei lupini, e come la Longa se ne tornava a casa col- la Lia in collo, le comari si affacciavano sull'uscio per vederla passare. — Un affar d'oro! — vociava Piedipapera, arrancan- do colla gamba storta dietro a padron 'Ntoni, il quale era andato a sedersi sugli scalini della chiesa, accanto a pa- dron Fortunato Cipolla, e al fratello di Menico della Locca che stavano a prendere il fresco. — Lo zio Croci- fisso strillava come se gli strappassero le penne mastre, ma non bisogna badarci, perché delle penne ne ha mol- te, il vecchio. — Eh! s'è lavorato! potete dirlo anche voi, padron 'Ntoni! — ma per padron 'Ntoni ei si sarebbe buttato dall'alto del fariglione, com'è vero Iddio! e a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il mesto- lo della pentola, una pentola grossa, in cui bollivano più di duecento onze all'anno! Campana di legno non sape- va soffiarsi il naso senza di lui. Il figlio della Locca udendo parlare delle ricchezze dello zio Crocifisso, il quale a lui gli era zio davvero, perché era fratello della Locca, si sentiva gonfiare in petto una gran tenerezza pel parentado. 23 Padron 'Ntoni non pensava ad altro che alla Provvi- denza, e quando non parlava delle cose sue non diceva nulla, e alla conversazione ci stava come un manico di scopa. — Voi dovreste andare a mettervi con quelli della spezieria, che discorrono del re e del papa; gli diceva perciò Piedipapera. Colà ci fareste bella figura anche voi! li sentite come gridano? — Questo è don Giammaria, disse il figlio della Loc- ca, che litiga collo speziale. Lo speziale teneva conversazione sull'uscio della bot- tega, al fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sa- peva di lettere leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci aveva anche la Storia della Rivoluzione francese, che se la teneva là, a portata di mano, sotto il mortaio di cristallo, perciò quistionavano tutto il giorno con don Giammaria, il vicario, per passare il tempo, e ci pigliavano delle malattie dalla bile; ma non avrebbero potuto stare un giorno senza vedersi. Il sabato poi, quan- do arrivava il giornale, don Franco spingevasi sino ad accendere mezz'ora, ed anche un'ora di candela, a ri- schio di farsi sgridare dalla moglie, onde spiattellare le sue idee, e non andare a letto a mo' dei bruti, come com- pare Cipolla, o compare Malavoglia. L'estate poi non c'era neppur bisogno della candela, giacché si poteva star sull'uscio, sotto il lampione, quando mastro Cirino l'accendeva, e qualche volta veniva don Michele, il bri- gadiere delle guardie doganali; e anche don Silvestro, il segretario comunale, tornando dalla vigna, si fermava 26 un momento. Allora don Franco diceva, fregandosi le mani, che pa- reva un piccolo Parlamento, e andava a piantarsi dietro il banco, pettinandosi colle dita la barbona, con certo sorriso furbo che pareva si volesse mangiare qualcuno a colezione, e alle volte si lasciava scappare sottovoce delle mezze parole dinanzi alla gente, rizzandosi sulle gambette, e si vedeva che la sapeva più lunga degli altri, tanto che don Giammaria non poteva patirlo e ci si man- giava il fegato, e gli sputava in faccia parole latine. Don Silvestro, lui, si divertiva a vedere come si guastavano il sangue per raddrizzare le gambe ai cani, senza guada- gnarci un centesimo; egli almeno non era arrabbiato come loro, e per questo, dicevano in paese, possedeva le più belle chiuse di Trezza, — dove era venuto senza scarpe ai piedi — aggiungeva Piedipapera. Ei li aizzava l'un contro l'altro, e rideva a crepapancia con degli Ah! ah! ah! che sembrava una gallina. — Ecco don Silvestro che fa l'uovo, osservò il figlio della Locca. — Don Silvestro fa le uova d'oro, laggiù al Munici- pio, rispose Piedipapera. — Uhm! — sputò fuori padron Fortunato — pezzen- terie! comare Zuppidda non gli ha voluto dare la figliuo- la. — Vuol dire che mastro Turi Zuppiddu preferisce le uova delle sue galline; rispose padron 'Ntoni. E padron Cipolla disse di sì col capo. — «'Ntroi 'ntroi, ciascuno coi pari suoi», aggiunse pa- 27 dron Malavoglia. Piedipapera allora ribatté che se don Silvestro si fosse contentato di stare coi suoi pari a quest'ora ci avrebbe la zappa in mano invece della penna. — Che ce la dareste voi vostra nipote Mena? disse al- fin padron Cipolla volgendosi a padron 'Ntoni. — «Ognuno all'arte sua, e il lupo alle pecore». Padron Cipolla continuava a dir di sì col capo, tanto più che fra lui e padron 'Ntoni c'era stata qualche parola di maritar la Mena con suo figlio Brasi, e se il negozio dei lupini andava bene, la Mena avrebbe avuto la sua dote in contante, e l'affare si sarebbe conchiuso presto. — «La ragazza com'è educata, e la stoppa com'è fila- ta», disse infin padron Malavoglia, e padron Cipolla confermò che tutti lo sapevano in paese che la Longa aveva saputo educarla la figliuola, e ognuno che passava per la stradicciuola a quell'ora udendo il colpettare del telaio di Sant'Agata diceva che l'olio della candela non lo perdeva, comare Maruzza. La Longa, com'era tornata a casa, aveva acceso il lume, e s'era messa coll'arcolaio sul ballatoio, a riempire certi cannelli che le servivano per l'ordito della settima- na. — Comare Mena non si vede, ma si sente, e sta al te- laio notte e giorno, come Sant'Agata, dicevano le vicine. — Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo, ri- spondeva Maruzza, invece di stare alla finestra. «A don- na alla finestra non far festa». — Certune però collo stare alla finestra un marito se 28 potuto maritare, tanto era superba e sgarbata, e con tutto ciò voleva dargli il figlio di Vittorio Emanuele. — Bel pezzo, la Mangiacarrubbe, seguitava, una sfac- ciata che si è fatto passare tutto il paese sotto la finestra «A donna alla finestra non far festa», e Vanni Pizzuto le portava in regalo i fichidindia rubati a massaro Filippo l'ortolano, e se li mangiavano insieme nella vigna, sotto il mandorlo, li aveva visti lei. — E Peppi Naso, il becca- io, dopo che gli spuntò la gelosia di compare Mariano Cinghialenta, il carrettiere, andava a buttarle dietro l'u- scio tutte le corna delle bestie che macellava, sicché di- cevano che andava a pettinarsi sotto la finestra della Mangiacarrubbe. Quel cuor contento della cugina Anna invece la pren- deva allegra. — Don Giammaria dice che fate peccato mortale a sparlar del prossimo! — Don Giammaria dovrebbe piuttosto far la predica a sua sorella donna Rosolina, rispose la Zuppidda, e non lasciarle far la ragazzetta con don Silvestro, quando pas- sa, e con don Michele il brigadiere, che ci ha la rabbia del marito, con tutti quegli anni e quella carne che ci ha addosso, la poveraccia! — Alla volontà di Dio! concluse la cugina Anna. Quando è morto mio marito, Rocco non era più alto di questa conocchia e le sue sorelline erano tutte minori di lui. Forse che mi son perduta d'animo per questo? Ai guai ci si fa il callo, e poi ci aiutan a lavorare. Le mie fi- gliuole faranno come ho fatto io, e finché ci saranno le pietre al lavatoio avremo di che vivere. Guardate la 31 Nunziata, ora ella ha più giudizio di una vecchietta, e si aiuta a tirar su quei piccini che pare li abbia fatti lei. — E dove è la Nunziata che non si vede ancora? do- mandò la Longa a un mucchio di monelli cenciosi, mes- si a piagnucolare sulla soglia della casuccia lì di faccia, i quali al sentir parlare della sorella alzarono gli strilli in coro. — L'ho vista che andava sulla sciara a fare due fasci di ginestre, e c'era pure vostro figlio Alessi che l'accom- pagnava, rispose la cugina Anna. I bambini stettero a sentire, e poi si rimisero a pigola- re tutti in una volta, e il più grandicello, appollaiato su di un gran sasso, rispose dopo un pezzetto: — Non lo so dov'è. Le vicine avevano fatto come le lumache quando pio- ve, e lungo la straduccia non si udiva che un continuo chiacchierio da un uscio all'altro. Persino la finestra di compare Alfio Mosca, quello del carro dell'asino, era aperta, e ne usciva un gran fumo di ginestre. La Mena aveva lasciato il telaio e s'era affacciata al ballatoio an- ch'essa. — Oh! sant'Agata! esclamarono le vicine; e tutte le facevano festa. — Che non ci pensate a maritar la vostra Mena? chie- deva sottovoce la Zuppidda a comare Maruzza. Oramai deve compire diciotto anni a Pasqua, lo so perché è nata l'anno del terremoto, come mia figlia Barbara. Chi vuol pigliarsi mia figlia Barbara, prima deve piacere a me. In questo momento si udì un fruscio di frasche per la 32 via, e arrivarono Alessi e la Nunziata, che non si vede- vano sotto i fasci di ginestre, tanto erano piccini. — Oh! la Nunziata! esclamarono le vicine. Che non avevi paura a quest'ora nella sciara? — C'ero anch'io, rispose Alessi. — Ho fatto tardi con comare Anna al lavatoio, e poi non ci avevo legna per il focolare. La ragazzina accese il lume, e si mise lesta lesta ad apparecchiare ogni cosa per la cena, mentre i suoi fratel- lini le andavano dietro per la stanzuccia, che pareva una chioccia coi suoi pulcini. Alessi s'era scaricato del suo fascio, e stava a guardare dall'uscio, serio serio, e colle mani nelle tasche. — O Nunziata! le gridò Mena dal ballatoio; quando avrai messo la pentola a bollire, vieni un po' qua. Nunziata lasciò Alessi a custodire il focolare, e corse ad appollaiarsi sul ballatoio, accanto alla sant'Agata, per godersi il suo riposo anche lei, colle mani in mano. — Compar Alfio Mosca sta facendo cuocere le fave; osservò la Nunziata dopo un po'. — Egli è come te, poveraccio! che non avete nessuno in casa che vi faccia trovare la minestra alla sera, quan- do tornate stanchi. — Sì, è vero, e sa pure cucire e si fa il bucato da sé, e si rattoppa le camicie — la Nunziata sapeva ogni cosa che faceva il vicino Alfio, e conosceva la sua casa come la pianta della mano; — Adesso, diceva, va a prender la legna; ora sta governando il suo asino — e si vedeva il lume nel cortile, e sotto la tettoia. Sant'Agata rideva, e la 33 ste dove metterla! gli gridava don Giammaria; e don Franco, ch'era piccino, ci si arrabbiava e accompagnava il prete con parolacce che si sentivano da un capo all'al- tro della piazza, allo scuro. Campana di legno, duro come un sasso, si stringeva nelle spalle, e badava ripete- re che a lui non gliene importava, e attendeva ai fatti suoi. — Come se non fossero fatti vostri quelli della Confraternita della Buona Morte, che nessuno paga più un soldo! gli diceva don Giammaria. — La gente, quan- do si tratta di cavare i denari di tasca, diventa una mani- ca di protestanti, peggio dello speziale, e vi lascia tenere la cassa della Confraternita per farvi ballare i sorci, che è una vera porcheria! Don Franco dalla sua bottega sghignazzava alle loro spalle a voce alta, cercando d'imitare la risata di don Sil- vestro che faceva andare in bestia la gente. Ma lo spe- ziale era della setta, e si sapeva; e don Giammaria gli gridava dalla piazza: — I denari li trovereste, se si trattasse di scuole e di lampioni! Lo speziale stette zitto, perché si era affacciata sua moglie alla finestra; e lo zio Crocifisso, quando fu abba- stanza lontano da non temere che l'udisse don Silvestro il segretario, il quale si beccava anche quel po' di stipen- dio di maestro elementare: — A me non me ne importa — ripeteva — Ma ai miei tempi non c'erano tanti lampioni, né tante scuole; non si faceva bere l'asino per forza, e si stava meglio. — A scuola non ci siete stato voi; eppure i vostri affa- 36 ri ve li sapete fare. — E il mio catechismo lo so, aggiunse lo zio Croci- fisso per non restare in debito. Nel calore della disputa don Giammaria aveva perso il battuto, sul quale avrebbe attraversato la piazza anche ad occhi chiusi, e stava per rompersi il collo, e lasciar scappare, Dio perdoni, una parola grossa. — Almeno l'accendessero, i loro lumi! — Al giorno d'oggi bisogna badare ai fatti propri, conchiuse lo zio Crocifisso. Don Giammaria andava tirandolo per la manica del giubbone per dire corna di questo e di quell'altro, in mezzo alla piazza, all'oscuro; del lumaio che rubava l'o- lio, di don Silvestro che chiudeva un occhio, e del sinda- co «Giufà», che si lasciava menare per il naso. Mastro Cirino, ora che era impiegato del comune, faceva il sa- grestano come Giuda, che suonava l'angelus quando non aveva nulla da fare, e il vino per la messa lo comperava di quello che aveva bevuto sulla croce Gesù Crocifisso, ch'era un vero sacrilegio. Campana di legno diceva sem- pre di sì col capo per abitudine, sebbene non si vedesse- ro in faccia, e don Giammaria, come li passava a rasse- gna ad uno ad uno diceva: — Costui è un ladro — quel- lo è un birbante — quell'altro è un giacobino. — Lo sen- tite Piedipapera che sta discorrendo con padron Malavo- glia e padron Cipolla? Un altro della setta, colui! un ar- ruffapopolo, con quella gamba storta! — E quando lo vedeva arrancare per la piazza faceva il giro lungo, e lo seguiva con occhi sospettosi, per scovare cosa stesse 37 macchinando con quell'andatura. — Quello là ha il pie- de del diavolo! borbottava. — Lo zio Crocifisso si strin- geva nelle spalle, e tornava a ripetere che egli era un ga- lantuomo, e non voleva entrarci. Padron Cipolla, un al- tro sciocco, un pallone di vento colui! che si lasciava abbindolare da Piedipapera… ed anche padron 'Ntoni, ci sarebbe cascato anche lui!… Bisogna aspettarsi tutto, al giorno d'oggi! — Chi è galantuomo bada ai fatti suoi, ripeteva lo zio Crocifisso. Invece compare Tino, seduto come un presidente, su- gli scalini della chiesa, sputava sentenze: — Sentite a me; prima della rivoluzione era tutt'altra cosa. Adesso i pesci sono maliziati, ve lo dico io! — No; le acciughe sentono il grecale ventiquattr'ore prima di arrivare, riprendeva padron 'Ntoni; è sempre stato così; l'acciuga è un pesce che ha più giudizio del tonno. Ora di là del Capo dei Mulini, li scopano dal mare tutti in una volta, colle reti fitte. — Ve lo dico io cos'è! ripigliò compare Fortunato. Sono quei maledetti vapori che vanno e vengono, e bat- tono l'acqua colle loro ruote. Cosa volete, i pesci si spa- ventano e non si fanno più vedere. Ecco cos'è. Il figlio della Locca stava ad ascoltare a bocca aperta, e si grattava il capo. — Bravo! disse poi. Così pesci non se ne troverebbero più nemmeno a Siracusa né a Messi- na, dove vanno i vapori. Invece li portano di là a quinta- li colla ferrovia. — Insomma sbrigatevela voi! esclamò allora padron 38 fazzoletto sugli occhi. Maruzza udendo suonare un'ora di notte era rientrata in casa lesta lesta, per stendere la tovaglia sul deschetto; le comari a poco a poco si erano diradate, e come il pae- se stesso andava addormentandosi, si udiva il mare che russava lì vicino, in fondo alla straduccia, e ogni tanto sbuffava, come uno che si volti e rivolti pel letto. Sol- tanto laggiù all'osteria, dove si vedeva il lumicino rosso, continuava il baccano, e si udiva il vociare di Rocco Spatu il quale faceva festa tutti i giorni. — Compare Rocco ha il cuore contento, disse dopo un pezzetto dalla sua finestra Alfio Mosca, che pareva non ci fosse più nessuno. — Oh siete ancora là, compare Alfio! rispose Mena, la quale era rimasta sul ballatoio ad aspettare il nonno. — Sì, sono qua, comare Mena; sto qua a mangiarmi la minestra; perché quando vi vedo tutti a tavola, col lume, mi pare di non esser tanto solo, che va via anche l'appetito. — Non ce l'avete il cuore contento voi? — Eh! ci vogliono tante cose per avere il cuore con- tento! Mena non rispose nulla, e dopo un altro po' di silen- zio compare Alfio soggiunse: — Domani vado alla città per un carico di sale. — Che ci andate poi per i Morti? domandò Mena. — Dio lo sa, quest'anno quelle quattro noci son tutte fradicie. — Compare Alfio ci va per cercarsi la moglie alla cit- 41 tà, rispose la Nunziata dall'uscio dirimpetto. — Che è vero? domandò Mena. — Eh, comare Mena, se non dovessi far altro, al mio paese ce n'è delle ragazze come dico io, senza andare a cercarle lontano. — Guardate quante stelle che ammiccano lassù! ri- spose Mena dopo un pezzetto. Ei dicono che sono le anime del Purgatorio che se ne vanno in Paradiso. — Sentite, le disse Alfio dopo che ebbe guardate le stelle anche lui; voi che siete sant'Agata, se vi sognate un terno buono, ditelo a me, che ci giuocherò la cami- cia, e allora potrò pensarci a prender moglie… — Buona sera! rispose Mena. Le stelle ammiccavano più forte, quasi s'accendesse- ro, e i tre re scintillavano sui fariglioni colle braccia in croce, come Sant'Andrea. Il mare russava in fondo alla stradicciuola, adagio adagio, e a lunghi intervalli si udi- va il rumore di qualche carro che passava nel buio, sob- balzando sui sassi, e andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno potesse camminare e camminare sem- pre, giorno e notte, non arriverebbe mai, e c'era pure della gente che andava pel mondo a quell'ora, e non sa- peva nulla di compar Alfio, né della Provvidenza che era in mare, né della festa dei Morti; — così pensava Mena sul ballatoio aspettando il nonno. Il nonno s'affacciò ancora due o tre volte sul ballato- io, prima di chiudere l'uscio, a guardare le stelle che luc- cicavano più del dovere, e poi borbottò: — «Mare ama- ro!». 42 Rocco Spatu si sgolava sulla porta dell'osteria davanti al lumicino. — «Chi ha il cuor contento sempre canta» conchiuse padron 'Ntoni. 43 due, padre e figlia, disse compare Turi Zuppiddu, devo- no buscarne dei bei soldi, con una giornata come questa, e tanta gente che viene all'osteria. — Bastianazzo Malavoglia sta peggio di lui, a que- st'ora, rispose Piedipapera, e mastro Cirino ha un bel suonare la messa; ma i Malavoglia non ci vanno oggi in chiesa; sono in collera con Domeneddio, per quel carico di lupini che ci hanno in mare. Il vento faceva volare le gonnelle e le foglie secche, sicché Vanni Pizzuto col rasoio in aria, teneva pel naso quelli a cui faceva la barba, per voltarsi a guardare chi passava, e si metteva il pugno sul fianco, coi capelli ar- ricciati e lustri come la seta; e lo speziale se ne stava sull'uscio della sua bottega, sotto quel cappellaccio che sembrava avesse il paracqua in testa, fingendo aver di- scorsi grossi con don Silvestro il segretario, perché sua moglie non lo mandasse in chiesa per forza; e rideva del sotterfugio, fra i peli della barbona, ammiccando alle ra- gazze che sgambettavano nelle pozzanghere. — Oggi, andava dicendo Piedipapera, padron 'Ntoni vuol fare il protestante come don Franco lo speziale. — Se fai di voltarti per guardare quello sfacciato di don Silvestro, ti dò un ceffone qui dove siamo; borbotta- va la Zuppidda colla figliuola, mentre attraversavano la piazza. — Quello lì non mi piace. La Santuzza, all'ultimo tocco di campana, aveva affi- data l'osteria a suo padre, e se n'era andata in chiesa, ti- randosi dietro gli avventori. Lo zio Santoro, poveretto, era cieco, e non faceva peccato se non andava a messa; 46 così non perdevano tempo all'osteria, e dall'uscio poteva tener d'occhio il banco, sebbene non ci vedesse, ché gli avventori li conosceva tutti ad uno ad uno soltanto al sentirli camminare, quando venivano a bere un bicchie- re. — Le calze della Santuzza, osservava Piedipapera, mentre ella camminava sulla punta delle scarpette, come una gattina — le calze della Santuzza, acqua o vento, non le ha viste altri che massaro Filippo l'ortolano; que- sta è la verità. — Ci sono i diavoli per aria! diceva la Santuzza fa- cendosi la croce coll'acqua santa. — Una giornata da far peccati! La Zuppidda, lì vicino, abburattava avemarie, seduta sulle calcagna, e saettava occhiatacce di qua e di là, che pareva ce l'avesse con tutto il paese, e a quelli che vole- vano sentirla ripeteva: — Comare la Longa non ci viene in chiesa, eppure ci ha il marito in mare con questo tem- paccio! Poi non bisogna stare a cercare perché il Signo- re ci castiga! — Persino la madre di Menico stava in chiesa, sebbene non sapesse far altro che veder volare le mosche! — Bisogna pregare anche pei peccatori; rispondeva la Santuzza; le anime buone ci sono per questo. — Sì, come se ne sta pregando la Mangiacarrubbe, col naso dentro la mantellina, e Dio sa che peccatacci fa fare ai giovanotti! La Santuzza scuoteva il capo, e diceva che mentre si è in chiesa non bisogna sparlare del prossimo — «Chi fa 47 l'oste deve far buon viso a tutti», rispose la Zuppidda, e poi all'orecchio della Vespa: — La Santuzza non vorreb- be si dicesse che vende l'acqua per vino; ma farebbe me- glio a non tenere in peccato mortale massaro Filippo l'ortolano, che ha moglie e figliuoli. — Per me, rispose la Vespa, gliel'ho detto a don Giammaria, che non voglio più starci fra le Figlie di Maria se ci lasciano la Santuzza per superiora. — Allora vuol dire che l'avete trovato il marito? ri- spose la Zuppidda. — Io non l'ho trovato il marito, saltò su la Vespa con tanto di pungiglione. Io non sono come quelle che si ti- rano dietro gli uomini anche in chiesa, colle scarpe ver- niciate, e quelli altri colla pancia grossa. Quello della pancia grossa era Brasi, il figlio di pa- dron Cipolla, il quale era il cucco delle mamme e delle ragazze, perché possedeva vigne ed oliveti. — Va a vedere se la paranza è bene ammarrata; gli disse suo padre facendosi la croce. Ciascuno non poteva a meno di pensare che quell'ac- qua e quel vento erano tutt'oro per i Cipolla; così vanno le cose di questo mondo, che i Cipolla, adesso che ave- vano la paranza bene ammarrata, si fregavano le mani vedendo la burrasca; mentre i Malavoglia diventavano bianchi e si strappavano i capelli, per quel carico di lu- pini che avevano preso a credenza dallo zio Crocifisso Campana di legno. — Volete che ve la dica? saltò su la Vespa; la vera di- sgrazia è toccata allo zio Crocifisso che ha dato i lupini 48 rispose il figlio della Locca senza capir nulla; e come gli altri sghignazzavano rimase a bocca aperta. Sull'imbrunire comare Maruzza coi suoi figlioletti era andata ad aspettare sulla sciara, d'onde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasa- liva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina pian- geva, e quei poveretti, dimenticati sulla sciara, a quel- l'ora, parevano le anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna, le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inven- tare per tranquillarla, e le cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagrime anche essa. Le comari, mentre tornavano dall'osteria coll'orcioli- no dell'olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a ba- rattare qualche parola con la Longa senza aver l'aria di nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, com- par Cipolla, per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un'occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio bron- tolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fuman- dole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovo- ce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzio- ni insolite, li guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volessero rubargliela. Final- mente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si lasciava condur- re, e badava a ripetere: — Oh! Vergine Maria! Oh! Ver- gine Maria! — I figliuoli la seguivano aggrappandosi 51 alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero qual- cosa anche a loro. Mentre passavano dinanzi all'osteria, tutti gli avventori si affacciarono sulla porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già una cosa curiosa. — Requiem eternam, biascicava sottovoce lo zio San- toro, quel povero Bastianazzo mi faceva sempre la cari- tà, quando padron 'Ntoni gli lasciava qualche soldo in tasca. La poveretta che non sapeva di essere vedova, balbet- tava: — Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! Dinanzi al ballatoio della sua casa c'era un gruppo di vicine che l'aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, colle mani sul ven- tre, senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa. — Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di quarant'onze di lupini! 52 CAPITOLO IV Il peggio era che i lupini li avevano presi a credenza, e lo zio Crocifisso non si contentava di «buone parole e mele fradicie», per questo lo chiamavano Campana di legno, perché non ci sentiva di quell'orecchio, quando lo volevano pagare con delle chiacchiere, e' diceva che «alla credenza ci si pensa». Egli era un buon diavolac- cio, e viveva imprestando agli amici, non faceva altro mestiere, che per questo stava in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche, o addossato al muro della chie- sa, con quel giubbone tutto lacero che non gli avreste dato un baiocco; ma aveva denari sin che ne volevano, e se qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì glieli prestava subito, col pegno, perché «chi fa credenza sen- za pegno, perde l'amico, la roba e l'ingegno» a patto di averli restituiti la domenica, d'argento e colle colonne, che ci era un carlino dippiù, com'era giusto, perché «coll'interesse non c'è amicizia». Comprava anche la pe- sca tutta in una volta, con ribasso, e quando il povero diavolo che l'aveva fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano pesargliela colle sue bilancie, le quali era- no false come Giuda, dicevano quelli che non erano mai contenti, ed hanno un braccio lungo e l'altro corto, come 53 vorranno lasciar compare Bastianazzo a casa del diavo- lo; padron 'Ntoni poteva vedere coi suoi propri occhi se si erano fatte le cose senza risparmio, in onore del mor- to; e tanto costava la messa, tanto i ceri, e tanto il morto- rio; — ei faceva il conto sulle grosse dita ficcate nei guanti di cotone, e i ragazzi guardavano a bocca aperta tutte quelle cose che costavano caro, ed erano lì pel bab- bo: il cataletto, i ceri, i fiori di carta; e la bambina, ve- dendo la luminaria, e udendo suonar l'organo, si mise a galloriare. La casa del nespolo era piena di gente; e il proverbio dice: «triste quella casa dove ci è la visita pel marito!» Ognuno che passava, al vedere sull'uscio quei piccoli Malavoglia col viso sudicio e le mani nelle tasche, scrollava il capo e diceva: — Povera comare Maruzza! ora cominciano i guai per la sua casa! Gli amici portavano qualche cosa, com'è l'uso, pasta, ova, vino e ogni ben di Dio, che ci avrebbe voluto il cuor contento per mangiarsi tutto, e perfino compar Al- fio Mosca era venuto con una gallina per mano. — Prendete queste qua, gnà Mena, diceva, che avrei voluto trovarmici io al posto di vostro padre, vi giuro. Almeno non avrei fatto danno a nessuno, e nessuno avrebbe pianto. La Mena, appoggiata alla porta della cucina, colla faccia nel grembiale, si sentiva il cuore che gli sbatteva e gli voleva scappare dal petto, come quelle povere be- stie che teneva in mano. La dote di Sant'Agata se n'era 56 andata colla Provvidenza, e quelli che erano a visita nel- la casa del nespolo, pensavano che lo zio Crocifisso ci avrebbe messo le unghie addosso. Alcuni se ne stavano appollaiati sulle scranne, e ripar- tivano senza aver aperto bocca, da veri baccalà che era- no; ma chi sapeva dir quattro parole, cercava di tenere uno scampolo di conversazione, per scacciare la malin- conia, e distrarre un po' quei poveri Malavoglia i quali piangevano da due giorni come fontane. Compare Ci- polla raccontava che sulle acciughe c'era un aumento di due tarì per barile, questo poteva interessargli a padron 'Ntoni, se ci aveva ancora delle acciughe da vendere; lui a buon conto se n'era riserbati un centinaio di barili; e parlavano pure di compare Bastianazzo, buon'anima, che nessuno se lo sarebbe aspettato, un uomo nel fiore dell'età, e che crepava di salute, poveretto! C'era pure il sindaco, mastro Croce Callà «Baco da seta» detto anche Giufà, col segretario don Silvestro, e se ne stava col naso in aria, talché la gente diceva che stava a fiutare il vento per sapere da che parte voltarsi, e guardava ora questo ed ora quello che parlava, come se cercasse la foglia davvero, e volesse mangiarsi le parole, e quando vedeva ridere il segretario, rideva anche lui. Don Silvestro per far ridere un po' tirò il discorso sul- la tassa di successione di compar Bastianazzo, e ci ficcò così una barzelletta che aveva raccolta dal suo avvocato, e gli era piaciuta tanto, quando gliel'avevano spiegata bene, che non mancava di farla cascare nel discorso ogniqualvolta si trovava a visita da morto. 57 — Almeno avete il piacere di essere parenti di Vitto- rio Emanuele, giacché dovete dar la sua parte anche a lui! E tutti si tenevano la pancia dalle risate, ché il prover- bio dice: «Né visita di morto senza riso, né sposalizio senza pianto». La moglie dello speziale torceva il muso a quegli schiamazzi, e stava coi guanti sulla pancia, e la faccia lunga, come si usa in città per quelle circostanze, che solo a guardarla la gente ammutoliva, quasi ci fosse il morto lì davanti, e per questo la chiamavano la Signora. Don Silvestro faceva il gallo colle donne, e si muove- va ogni momento col pretesto di offrire le scranne ai nuovi arrivati, per far scricchiolare le sue scarpe verni- ciate. — Li dovrebbero abbruciare, tutti quelli delle tas- se! brontolava comare Zuppidda, gialla come se avesse mangiato dei limoni, e glielo diceva in faccia a don Sil- vestro, quasi ei fosse quello delle tasse. Ella lo sapeva benissimo quello che volevano certi mangiacarte che non avevano calze sotto gli stivali inverniciati, e cerca- vano di ficcarsi in casa della gente per papparsi la dote e la figliuola: «Bella, non voglio te, voglio i tuoi soldi». Per questo aveva lasciata a casa sua figlia Barbara. — Quelle facce lì non mi piacciono. — A chi lo dite! esclamò padron Cipolla; a me mi scorticano vivo come san Bartolomeo. — Benedetto Dio! esclamò mastro Turi Zuppiddu, minacciando col pugno che pareva la malabestia del suo mestiere. Va a finire brutta, va a finire, con questi italia- 58 modo, gabbando il prossimo, e vendendo l'acqua sporca a peso d'oro, e se ne infischiavano delle tasse coloro! — Metteranno pure la tassa sul sale! aggiunse compa- re Mangiacarrubbe. L'ha detto lo speziale che è stampa- to nel giornale. Allora di acciughe salate non se ne fa- ranno più, e le barche potremo bruciarle nel focolare. Mastro Turi il calafato stava per levare il pugno e in- cominciare: — Benedetto Dio! —; ma guardò sua mo- glie e si tacque mangiandosi fra i denti quel che voleva dire. — Colla malannata che si prepara, aggiunse padron Cipolla, che non pioveva da santa Chiara, e se non fosse stato per l'ultimo temporale in cui si è persa la Provvi- denza, che è stata una vera grazia di Dio, la fame que- st'inverno si sarebbe tagliata col coltello! Ognuno raccontava i suoi guai, anche per conforto dei Malavoglia, che non erano poi i soli ad averne. «Il mondo è pieno di guai, chi ne ha pochi e chi ne ha assai», e quelli che stavano fuori nel cortile guardavano il cielo, perché un'altra pioggerella ci sarebbe voluta come il pane. Padron Cipolla lo sapeva lui perché non pioveva più come prima. — Non piove più perché han- no messo quel maledetto filo del telegrafo, che si tira tutta la pioggia, e se la porta via. — Compare Mangia- carrubbe allora, e Tino Piedipapera rimasero a bocca aperta, perché giusto sulla strada di Trezza c'erano i pali del telegrafo; ma siccome don Silvestro cominciava a ri- dere, e a fare ah! ah! ah! come una gallina, padron Ci- polla si alzò dal muricciuolo infuriato e se la prese con 61 gli ignoranti, che avevano le orecchie lunghe come gli asini. — Che non lo sapevano che il telegrafo portava le notizie da un luogo all'altro; questo succedeva perché dentro il filo ci era un certo succo come nel tralcio della vite, e allo stesso modo si tirava la pioggia dalle nuvole, e se la portava lontano, dove ce n'era più di bisogno; po- tevano andare a domandarlo allo speziale che l'aveva detta; e per questo ci avevano messa la legge che chi rompe il filo del telegrafo va in prigione. Allora anche don Silvestro non seppe più che dire, e si mise la lingua in tasca. — Santi del Paradiso! si avrebbero a tagliarli tutti quei pali del telegrafo, e buttarli nel fuoco! incominciò compare Zuppiddu, ma nessuno gli dava retta, e guarda- vano nell'orto, per mutar discorso. — Un bel pezzo di terra! diceva compare Mangiacar- rubbe; quando è ben coltivato dà la minestra per tutto l'anno. La casa dei Malavoglia era sempre stata una delle pri- me a Trezza; ma adesso colla morte di Bastianazzo, e 'Ntoni soldato, e Mena da maritare, e tutti quei mangia- pane pei piedi, era una casa che faceva acqua da tutte le parti. Infine cosa poteva valere la casa? Ognuno allungava il collo sul muro dell'orto, e ci dava una occhiata, per stimarla così a colpo. Don Silvestro sapeva meglio di ogni altro come andassero le cose, perché le carte le aveva lui, alla segreteria di Aci Castello. — Volete scommettere dodici tarì che non è tutt'oro 62 quello che luccica, andava dicendo; e mostrava ad ognu- no il pezzo da cinque lire nuovo. Ei sapeva che sulla casa c'era un censo di cinque tarì all'anno. Allora si misero a fare il conto sulle dita di quel che avrebbe potuto vendersi la casa, coll'orto, e tut- to. — Né la casa né la barca si possono vendere perché ci è su la dote di Maruzza, diceva qualchedun altro, e la gente si scaldava tanto che potevano udirli dalla camera dove stavano a piangere il morto. — Sicuro! lasciò an- dare alfine don Silvestro come una bomba; c'è l'ipoteca dotale. Padron Cipolla, il quale aveva scambiato qualche pa- rola con padron 'Ntoni per maritare Mena con suo figlio Brasi, scrollava il capo e non diceva altro. — Allora, aggiunse compare Cola, il vero disgraziato è lo zio Crocifisso che ci perde il credito dei suoi lupini. Tutti si voltarono verso Campana di legno il quale era venuto anche lui, per politica, e stava zitto, in un cantuc- cio, a veder quello che dicevano, colla bocca aperta e il naso in aria, che sembrava stesse contando quante tego- le e quanti travicelli c'erano sul tetto, e volesse stimare la casa. I più curiosi allungavano il collo dall'uscio, e si ammiccavano l'un l'altro per mostrarselo a vicenda. — E' pare l'usciere che fa il pignoramento! sghignazzava- no. Le comari che sapevano delle chiacchiere fra padron 'Ntoni e compare Cipolla, dicevano che adesso bisogna- va farle passare la doglia, a comare Maruzza, e conchiu- 63 tro l'uscio, e strillava dalla mattina, con quella voce fes- sa di pazza, e pretendeva che le restituissero loro il suo figliuolo, e non voleva sentir ragione. — Fa così perché ha fame, disse infine la cugina Anna; adesso lo zio Crocifisso ce l'ha con tutti loro per quell'affare dei lupini, e non vuol darle più nulla. Ora vo a portarle qualche cosa, e allora se ne andrà. La cugina Anna, poveretta, aveva lasciato la sua tela e le sue ragazze per venire a dare una mano a comare Maruzza, la quale era come se fosse malata, e se l'aves- sero lasciata sola non avrebbe pensato più ad accendere il fuoco, e a mettere la pentola, che sarebbero tutti morti di fame. «I vicini devono fare come le tegole del tetto, a darsi l'acqua l'un l'altro». Intanto quei ragazzi avevano le labbra pallide dalla fame. La Nunziata aiutava anche lei, e Alessi, col viso sudicio dal gran piangere che ave- va fatto vedendo piangere la mamma, teneva a bada i piccini, perché non le stessero sempre fra i piedi, come una nidiata di pulcini, ché la Nunziata voleva averle li- bere le mani, lei. — Tu sai il fatto tuo! le diceva la cugina Anna; e la tua dote ce l'hai nelle mani, quando sarai grande. 66 CAPITOLO V La Mena non sapeva nulla che volessero maritarla con Brasi di padron Cipolla per far passare la doglia alla mamma, e il primo che glielo disse, qualche tempo dopo, fu compare Alfio Mosca, dinanzi al rastrello del- l'orto, che tornava allora da Aci Castello col suo carro tirato dall'asino. Mena rispondeva: — Non è vero, non è vero — ma si confondeva, e mentre egli andava spie- gando il come e il quando l'aveva sentito dire dalla Ve- spa, in casa dello zio Crocifisso, tutt'a un tratto si fece rossa rossa. Anche compare Mosca aveva un'aria stralunata, e ve- dendo in quel modo la ragazza, con quel fazzoletto nero che ci aveva al collo, se la prendeva coi bottoni del far- setto, si dondolava ora su di un piede ed ora su di un al- tro, e avrebbe pagato qualche cosa per andarsene. — Sentite, io non ci ho colpa, l'ho sentito dire nel cortile di Campana di legno, mentre stavo spaccando il carrubbo che fu schiantato dal temporale di Santa Chiara, vi ram- mentate? adesso lo zio Crocifisso mi fa fare le faccende di casa, perché non vuol più sentir parlare del figlio del- la Locca, dopo che l'altro fratello gli fece quel servizio che sapete col carico dei lupini. La Mena teneva in 67 mano il nottolino del rastrello, ma non si risolveva ad aprire. — E poi, se non è vero, perché vi fate rossa? Ella non lo sapeva, in coscienza, e girava e rigirava il nottoli- no. Quel cristiano lo conosceva soltanto di vista, e non sapeva altro. Alfio le andava snocciolando la litania di tutte le ricchezze di Brasi Cipolla, il quale, dopo compa- re Naso il beccaio, passava pel più grosso partito del paese, e le ragazze se lo mangiavano cogli occhi. La Mena stava ad ascoltare con tanto d'occhi anche lei, e all'improvviso lo piantò con un bel saluto, e se ne entrò nell'orto. Alfio, tutto infuriato, corse a lagnarsi colla Ve- spa che gli dava a bere di tali bugie, per farlo litigare colla gente. — A me l'ha detto lo zio Crocifisso; rispose la Vespa. Io non ne dico bugie! — Bugie! bugie! borbottò lo zio Crocifisso. Io non voglio dannarmi l'anima per coloro! L'ho sentito dire con queste orecchie. Ho sentito pure che la Provvidenza è dotale, e che sulla casa c'è il censo di cinque tarì al- l'anno. — Si vedrà! si vedrà! un giorno o l'altro si vedrà se ne dite o non ne dite delle bugie, — seguitava la Vespa, dondolandosi appoggiata allo stipite, colle mani dietro la schiena, e intanto lo guardava cogli occhi ladri. — Voi altri uomini siete tutti di una pasta, e non c'è da fi- darsi. Lo zio Crocifisso alle volte non ci sentiva, e invece di abboccar l'esca seguitò a saltar di palo in frasca, e a par- lare dei Malavoglia che badavano a maritarsi, ma a quel 68 faceva l'occhio di triglia per amor della chiusa, e non voleva vederselo più per la casa e nel cortile, che alla fin fine ci aveva sangue nelle vene anche lui! — Sta a vede- re che ora mi fate il geloso! esclamò la Vespa. — Sicuro che son geloso! esclamò lo zio Crocifisso, geloso come una bestia! e voleva pagar cinque lire per fargli rompere le ossa ad Alfio Mosca. Ma lui non lo faceva perché era un cristiano col timo- re di Dio, e al giorno d'oggi chi è galantuomo è gabbato, ché la buona fede sta di casa in via dei minchioni, dove si vende la corda per impiccarsi, la prova era che aveva un bel passare e ripassare davanti la casa dei Malavo- glia, che perfino la gente si metteva a ridere, e diceva che ei faceva il viaggio alla casa del nespolo come quel- li che hanno fatto il voto alla Madonna dell'Ognina. I Malavoglia lo pagavano a furia di sberrettate; e i ragaz- zi, appena lo vedevano spuntare in fondo alla stradic- ciuola, scappavano come se vedessero il ba-bau; ma si- nora nessuno di loro gli parlava di quei denari dei lupi- ni, e i Morti eran lì che venivano, mentre padron 'Ntoni pensava a maritare la nipote. Egli andava a sfogarsi con Piedipapera, il quale l'ave- va messo in quell'imbroglio, diceva agli altri; però gli altri dicevano che ci andava per fare l'occhiolino alla casa del nespolo, e la Locca che gironzava sempre da quelle parti, perché le avevano detto che il suo Menico era andato nella barca dei Malavoglia, e credeva che do- vesse trovarlo ancora là, appena vedeva suo fratello Crocifisso, levava le strida al pari di un uccellaccio di 71 malaugurio, e gli smuoveva la bile anche lei. — Questa qui mi fa far peccato! borbottava Campana di legno. — I Morti non sono ancora venuti, rispondeva Piedi- papera gesticolando; abbiate pazienza. Volete succhiar- gli il sangue a padron 'Ntoni? Già non avete perso nulla, perché i lupini erano tutti fradici, lo sapete! Ei non sapeva nulla; sapeva soltanto che il sangue suo era nelle mani di Dio. E i ragazzi dei Malavoglia non osavano giocare sul ballatoio quando egli passava da- vanti alla porta di Piedipapera. E se incontrava Alfio Mosca, col carro dell'asino, che gli faceva il berretto anche lui, colla faccia tosta, si sen- tiva bollire il sangue, per la gelosia della chiusa. — Mi uccella la nipote per portarmi via la chiusa! brontolava con Piedipapera. Un fannullone! che non sa far altro che andare attorno col carro dell'asino, e non possiede altro. Un morto di fame! Un birbante che le dà ad intendere d'essere innamorato del suo grugno di porco, a quella brutta strega di mia nipote, per amor della roba. E quando non aveva altro da fare andava a piantarsi davanti all'osteria della Santuzza, accanto allo zio San- toro, che sembrava un altro poverello come lui, e non ci andava per spendere un soldo di vino, ma si metteva a guaiolare come lo zio Santoro, tale quale come se chie- desse la limosina anch'esso; e gli diceva: — Sentite, compare Santoro, se vedete da queste parti mia nipote la Vespa, quando Alfio Mosca viene a portare il carico del vino a vostra figlia la Santuzza, state a vedere cosa fan- no fra di loro; — e lo zio Santoro col rosario in mano e 72 gli occhi spenti, gli diceva di sì, che non dubitasse, che era lì per questo, e non passava una mosca che ei non lo sapesse; tanto che sua figlia Mariangela gli diceva: — A voi cosa ve ne importa? perché state a mischiarvi nei fatti di Campana di legno? Già un soldo, che è un soldo, non lo spende all'osteria, e sta davanti all'uscio per nien- te. Però Alfio Mosca non ci pensava nemmeno alla Ve- spa, e se ci aveva qualcheduna per la testa, era piuttosto comare Mena di padron 'Ntoni, che la vedeva ogni gior- no nel cortile o sul ballatoio, o allorché andava a gover- nare le bestie nel pollaio, e se udiva chiocciare le due galline che le aveva regalato si sentiva una certa cosa dentro di sé, e gli sembrava che ci stesse lui in persona nel cortile del nespolo, e se non fosse stato un povero carrettiere dal carro dell'asino, avrebbe voluto chiedere in moglie la Sant'Agata, e portarsela via nel carro dell'a- sino. Come pensava a tutto ciò si sentiva in testa tante cose da dirle, e quando poi la vedeva non sapeva come muover la lingua, e guardava il tempo che faceva, e le parlava del carico di vino che aveva preso per la Santuz- za, e dell'asino che portava quattro quintali meglio di un mulo, povera bestia. Mena l'accarezzava colla mano, la povera bestia, ed Alfio sorrideva come se gliele facessero a lui quelle ca- rezze. — Ah! se il mio asino fosse vostro, comare Mena! — Mena crollava il capo e il seno le si gonfiava pensando che sarebbe stato meglio se i Malavoglia aves- sero fatto i carrettieri, ché il babbo non sarebbe morto a 73 voglia potranno tirarsi su un'altra volta, e la Mena sarà di nuovo un bel partito. Alfio non rispose, perché la Zuppidda lo guardava fisso, co' suoi occhietti gialli, e disse che aveva fretta di andare a consegnare il vino alla Santuzza. — A me non vuole dir nulla! borbottò la Zuppidda. Come se non li avessi visti co' miei occhi. Vogliono nascondere il sole colla rete. La Provvidenza l'avevano rimorchiata a riva tutta sconquassata, così come l'avevano trovata di là dal Capo dei Mulini, col naso fra gli scogli, e la schiena in aria. In un momento era corso sulla riva tutto il paese, uomini e donne, e padron 'Ntoni, mischiato nella folla, guardava anche lui, come gli altri curiosi. Alcuni davano pure un calcio nella pancia della Provvidenza, per far suonare com'era fessa, quasi non fosse più di nessuno, e il pove- retto si sentiva quel calcio nello stomaco. — Bella prov- videnza che avete! gli diceva don Franco, il quale era venuto in maniche di camicia, e col cappellaccio in te- sta, a dare un'occhiata anche lui, fumando la sua pipa. — Questa ora è buona da ardere, conchiuse padron Fortunato Cipolla; e compare Mangiacarrubbe, il quale era pratico del mestiere, disse pure che la barca aveva dovuto sommergersi tutt'a un tratto, e senza che chi c'era dentro avesse avuto tempo di dire «Cristo aiutami!» per- ché il mare aveva scopato vele, antenne, remi e ogni cosa; e non aveva lasciato un cavicchio di legno che te- nesse fermo. — Questo era il posto del babbo, dove c'è la forcola 76 nuova, diceva Luca il quale s'era arrampicato sulla sponda, e qui sotto c'erano i lupini. Ma di lupini non ne rimaneva uno solo, ché il mare aveva tutto lavato e ripulito. Per questo Maruzza non si era mossa di casa, e non voleva più vedere la Provvi- denza finché ci aveva gli occhi aperti. — La pancia è buona, e se ne può ancora fare qualche cosa, sentenziò alfine mastro Zuppiddu il calafato, e dava anche lui dei calci coi suoi piedacci nella Provvi- denza. Con quattro lapazze ve la metto in mare un'altra volta. Non sarà più una barca che potrà resistere al mare grosso, un'ondata di fianco la sfonderebbe come una botte fradicia. Ma per la pesca di scoglio, e per la buona stagione potrà servire ancora. Padron Cipolla, compare Mangiacarrubbe, e compare Cola stavano ad ascoltare senza dir nulla. — Sì, conchiuse infine padron Fortunato gravemente. Piuttosto che buttarla sul fuoco… — Io ci ho piacere! diceva lo zio Crocifisso ch'era lì anche lui a vedere, colle mani dietro la schiena. Siamo cristiani, e bisogna godere del bene altrui; il proverbio dice: «Augura bene al tuo vicino, ché qualche cosa te ne viene». I ragazzi s'erano istallati nella Provvidenza insieme agli altri monelli che volevano arrampicarvisi anche loro. — Quando avremo rattoppata per bene la Provvi- denza, diceva Alessi, sarà come la Concetta dello zio Cola; — e si davano un gran da fare e sbuffavano e si affannavano a tirare e a spingere anche loro la barca da- 77 vanti alla porta di mastro Zuppiddu il calafato, dove c'e- rano i sassi grossi per tener su le barche, e il ramaiuolo pel catrame, e una catasta di coste e di fasciame appog- giate al muro. Alessi era sempre accapigliato coi ragazzi che avreb- bero voluto montare nella barca, e aiutare a soffiare nel fuoco sotto la caldaia della pece anche loro, e quando le buscava minacciava piagnucolando: — Ora che viene mio fratello 'Ntoni da soldato!… Infatti 'Ntoni s'era fatto mandare le carte, e aveva ot- tenuto il suo congedo, sebbene don Silvestro il segreta- rio avesse assicurato che se ci stava altri sei mesi a fare il soldato, avrebbe liberato suo fratello Luca dalla leva. Ma 'Ntoni non voleva starci più nemmeno sei giorni, ora che gli era morto il padre; Luca avrebbe fatto come lui, che s'era pianta la sua disgrazia laggiù dove si trovava, e avrebbe voluto non far più niente, quando gli recarono la notizia del babbo, se non fosse stato per quei cani di superiori. — Per me, disse Luca, ci vado volentieri a fare il sol- dato, in cambio di 'Ntoni. Così, come tornerà lui, potrete mettere in mare la Provvidenza, e non ci sarà più biso- gno di nessuno. — Questo è proprio un Malavoglia nato sputato! os- servava padron 'Ntoni gongolante. Tutto suo padre Ba- stianazzo, che aveva un cuore grande come il mare, e buono come la misericordia di Dio. Una sera, dopo che tornarono le barche dal mare, pa- dron 'Ntoni arrivò in casa trafelato, e disse: — C'è qui la 78 sull'orecchio. — Compare Menico vuol morire becco! disse egli per consolarsi, e questo le piacque, alla Man- giacarrubbe, che l'aveva chiamato «cetriolo» ed ora ve- deva che era un bel cetriolo, e l'avrebbe barattato volen- tieri con quel disutilaccio di Rocco Spatu, il quale non valeva niente, e l'aveva preso perché non c'era altri. — A me non mi piacciono quelle fraschette che fanno all'amore con due o tre per volta, disse la Mangiacarrub- be, tirandosi sul mento le cocche del fazzoletto da testa, e facendo la madonnina. Se volessi bene ad uno, non vorrei cambiarlo nemmeno per Vittorio Emanuele, o Garibaldi, vedete! — Lo so a chi volete bene! disse 'Ntoni col pugno sul fianco. — No che non lo sapete, compare 'Ntoni, e vi hanno detto delle chiacchiere. Se qualche volta poi passate dal- la mia porta, vi racconterò ogni cosa. — Ora che la Mangiacarrubbe ha messo gli occhi ad- dosso a 'Ntoni di padron 'Ntoni, la sarà una provvidenza per la cugina Anna, diceva comare Venera. 'Ntoni se ne andò tutto borioso, dondolandosi sui fianchi, con un codazzo di amici, e avrebbe voluto che tutti i giorni fosse domenica, per menare a spasso la sua camicia colle stelle; quel dopopranzo si divertirono a prendersi a pugni con compare Pizzuto, il quale non aveva paura nemmeno di Dio, sebbene non avesse fatto il soldato, e andò a rotolare per terra davanti all'osteria, col naso in sangue; ma Rocco Spatu invece fu più forte, e si mise 'Ntoni sotto i piedi. 81 — Per la madonna! esclamarono quelli che stavano a vedere. Quel Rocco è forte come mastro Turi Zuppiddu. Se volesse lavorare se lo buscherebbe il pane! — Io le mie devozioni so dirmele con questo qui! di- ceva Pizzuto mostrando il rasoio, per non darsi vinto. Insomma 'Ntoni si divertì tutta la giornata; però la sera, mentre stavano attorno al desco a chiacchierare, e la mamma gli domandava di questo e di quello, e i ra- gazzi, mezzo addormentati, lo stavano a guardare con tanto d'occhi, e Mena gli toccava il berretto e la camicia colle stelle, per vedere com'eran fatti, il nonno gli disse che gli aveva trovato d'andare a giornata nella paranza di compar Cipolla, con una bella paga. — Li ho presi per carità, diceva padron Fortunato a chi voleva sentirlo, seduto davanti alla bottega del bar- biere. Li ho presi per non dir di no, quando padron 'Nto- ni è venuto a dirmi, sotto l'olmo, se ci avessi bisogno di uomini per la paranza. Di uomini io non ne ho mai biso- gno; ma «carcere, malattie, e necessità, si conosce l'ami- stà»; con padron 'Ntoni poi, che è tanto vecchio, ci si perde quel che gli si dà!… — È vecchio ma sa il mestiere, rispose Piedipapera; non ce li perdete i danari; e suo nipote poi è un ragazzo che tutti ve lo ruberebbero. — Quando mastro Turi avrà messo in ordine la Prov- videnza, armeremo la nostra barca, e non avremo più bi- sogno d'andare a giornata; diceva padron 'Ntoni. La mattina, quando egli andò a svegliare il nipote, ci volevano due ore per l'alba, e 'Ntoni avrebbe preferito 82 starsene ancora un po' sotto le coperte; allorché uscì fuori nel cortile sbadigliando, il Tre bastoni era ancora alto verso l'Ognina, colle gambe in aria, la Puddara luc- cicava dall'altra parte, e il cielo formicolava di stelle, che parevano le monachine quando corrono sul fondo nero della padella. — È la stessa cosa come quand'ero soldato, che suonava la diana nei traponti, borbottava 'Ntoni. Allora non valeva la pena di tornare a casa! — Sta zitto, ché il nonno è lì a mettere in ordine gli attrezzi, e si è alzato un'ora prima di noi, gli rispose Alessi. Ma Alessi era un ragazzo che somigliava tutto a suo padre Bastianazzo, buon'anima. Il nonno colla lan- terna andava e veniva pel cortile; fuori si udiva passare la gente che andava al mare, e passava a picchiare di porta in porta, per chiamare i compagni. Però, come giunsero sul lido, davanti al mare nero, dove si spec- chiavano le stelle, e che russava lento sul greto, e si ve- devano qua e là le lanterne delle altre barche, anche 'Ntoni si sentì allargare il cuore. — Ah! esclamò stirandosi le braccia. È una bella cosa tornare a casa sua. Questa marina qui mi conosce. — Già padron 'Ntoni diceva sempre che un pesce fuori del- l'acqua non sa starci, e chi è nato pesce il mare l'aspetta. Nella paranza lo canzonavano perché la Sara l'aveva piantato, mentre serravano le vele, e la Carmela vogava in tondo lenta lenta, lasciandosi dietro le reti come la coda di un serpente. — «Carne di porco ed uomini di guerra durano poco», dice il proverbio, per questo Sara ti ha piantato. 83 — Ahi! borbottava intanto lo zio Cola. Ora che il silenzio era rotto, Barabba chiese a 'Ntoni Malavoglia: — Me lo dai un mozzicone di sigaro? — Non ne ho, rispose 'Ntoni, senza pensare più alla quistione di poco prima, ma te ne darò mezzo del mio. Gli uomini della paranza, seduti sul fondo, colla schiena contro il banco e le mani dietro il capo, cantava- no delle canzonette, ognuno per suo conto, adagio ada- gio, per non addormentarsi, che infatti socchiudevano gli occhi sotto il sole lucente; e Barabba faceva scop- piettare le dita, come i cefali sguizzavano fuori dell'ac- qua. — Essi non hanno nulla da fare, diceva 'Ntoni, e si di- vertono a saltare. — Buono questo sigaro! rispose Barabba, ne fumavi a Napoli, di questi? — Sì, ne fumavo tanti. — Però i sugheri cominciano ad affondare, osservò compare Mangiacarrubbe. — Lo vedi dove si è persa la Provvidenza con tuo pa- dre? disse Barabba; laggiù al Capo, dove c'è l'occhio del sole su quelle case bianche, e il mare sembra tutto d'oro. — Il mare è amaro e il marinaro muore in mare; ri- spose 'Ntoni. Barabba gli passò il suo fiasco, e dopo si misero a brontolare sottovoce dello zio Cola, il quale era un cane per gli uomini della paranza, quasi padron Cipolla fosse là presente, a vedere quel che facevano e quel che non facevano. 86 — Tutto per fargli credere che senza di lui la paranza non andrebbe, aggiunse Barabba. Sbirro! — Ora gli dirà che il pesce l'ha preso lui, per l'abilità sua, con tutto il mare fresco. Guarda come affondano le reti, i sugheri non si vedono più. — O ragazzi! gridò lo zio Cola, vogliamo tirare le reti? perché se ci arriva la maretta ce le strappa di mano. — Ohi! oohi! cominciarono a vociare gli uomini della ciurma passandosi la fune. — San Francesco! esclamava lo zio Cola, ei non par vero che abbiamo preso tutta questa grazia di Dio, colla maretta. Le reti formicolavano e scintillavano al sole a misura che s'affacciavano dall'acqua, e tutto il fondo della pa- ranza sembrava pieno d'argento vivo. — Padron Fortu- nato ora sarà contento, mormorò Barabba, tutto rosso e sudato, e non ci rinfaccerà quei tre carlini che ci dà per la giornata. — Questo ci tocca a noi! aggiunse 'Ntoni, a romperci la schiena per gli altri; e poi quando abbiamo messo as- sieme un po' di soldi, viene il diavolo e se li mangia. — Di che ti lagni? gli disse il nonno, non te la dà la tua giornata compare Fortunato? I Malavoglia si arrabattavano in tutti i modi per far quattrini. La Longa prendeva qualche rotolo di tela da tessere, e andava anche al lavatoio per conto degli altri; padron 'Ntoni coi nipoti s'erano messi a giornata, s'aiuta- vano come potevano, e se la sciatica piegava il vecchio come un uncino, rimaneva nel cortile a rifar le maglie 87 alle reti, a raccomodar nasse, e mettere in ordine degli attrezzi, ché era pratico di ogni cosa del mestiere. Luca andava a lavorare nel ponte della ferrovia, per cinquanta centesimi al giorno, sebbene suo fratello 'Ntoni dicesse che non bastavano per le camicie che sciupava a tra- sportar sassi nel corbello; ma Luca non badava che si sciupava anche le spalle, e Alessi andava a raccattar dei gamberi lungo gli scogli, o dei vermiciattoli per l'esca, che si vendevano a dieci soldi il rotolo, e alle volte arri- vava sino all'Ognina e al Capo dei Mulini, e tornava coi piedi in sangue. Ma compare Zuppiddu si prendeva dei bei soldi ogni sabato, per rabberciare la Provvidenza, e ce ne volevano delle nasse da acconciare, dei sassi della ferrovia, dell'esca a dieci soldi, e della tela da imbianca- re, coll'acqua sino ai ginocchi e il sole sulla testa, per fare quarant'onze! I Morti erano venuti, e lo zio Croci- fisso non faceva altro che passeggiare per la straduccia, colle mani dietro la schiena, che pareva il basilisco. — Questa è storia che va a finire coll'usciere! andava dicendo lo zio Crocifisso con don Silvestro e con don Giammaria il vicario. — D'usciere non ci sarà bisogno, zio Crocifisso, gli rispose padron 'Ntoni quando venne a sapere quello che andava dicendo Campana di legno. I Malavoglia sono stati sempre galantuomini, e non hanno avuto bisogno d'usciere. — A me non me ne importa; rispose lo zio Crocifisso colle spalle al muro, sotto la tettoia del cortile, mentre stavano accatastando i suoi sarmenti: Io non so altro che 88 la Provvidenza, quando sarete in mare? Piedipapera predicava che tutte le ragazze se lo ruba- vano. — Chi è rubato son io! piagnucolava lo zio Crocifis- so. Voglio un po' vedere d'onde prenderanno i denari dei lupini, se 'Ntoni si marita, e se devono anche dare la dote alla Mena, col censo che hanno sulla casa, e tutti quegli imbrogli dell'ipoteca che son saltati fuori all'ulti- mo. Il Natale eccolo qua, ma i Malavoglia ancora non li ho visti. Padron 'Ntoni tornava a cercarlo in piazza, o sotto la tettoia, e gli diceva: — Cosa volete che si faccia se non ho denari? Spremete il sasso per cavarne sangue! Aspet- tatemi sino a giugno, se volete farmi questo favore, o prendetevi la Provvidenza e la casa del nespolo. Io non ci ho altro. — Io voglio i miei danari, ripicchiava Campana di le- gno colle spalle al muro. Avete detto che siete galantuo- mini, e che non pagate colle chiacchiere della Provvi- denza e della casa del nespolo. Egli ci perdeva l'anima ed il corpo, ci aveva rimesso il sonno e l'appetito, e non poteva nemmeno sfogarsi col dire che quella storia andava a finire coll'usciere, perché subito padron 'Ntoni mandava don Giammaria o il se- gretario, a domandar pietà, e non lo lasciavano più veni- re in piazza, per gli affari suoi, senza metterglisi alle cal- cagna, sicché tutti nel paese dicevano che quelli erano danari del diavolo. Con Piedipapera non poteva sfogarsi perché gli rimbeccava subito che i lupini erano fradici, e 91 che egli faceva il sensale. — Ma quel servizio lì potreb- be farmelo! disse a un tratto fra di sé — e non dormì più quella notte, tanto gli piacque la trovata — e andò a tro- vare Piedipapera appena fatto giorno, che ancora si sti- rava le braccia e sbadigliava sull'uscio. — Voi dovreste fingere che mi comprate il mio credito, gli disse, così potremo mandare l'usciere dai Malavoglia, e non vi di- ranno che fate l'usuraio, se volete riavere il vostro dena- ro, né che è danaro del diavolo. — Vi è venuta stanotte la bella idea? sghignazzò Piedipapera, che mi avete sve- gliato all'alba per dirmela? — Son venuto a dirvi pure per quei sarmenti; se li volete potete venire a pigliarveli. — Allora potete mandare per l'usciere, rispose Piedipa- pera; ma le spese le fate voi. Quella buona donna di co- mare Grazia s'era affacciata apposta in camicia per dire a suo marito: — Cosa è venuto a confabulare con voi lo zio Crocifisso? Lasciateli stare quei poveri Malavoglia, che ne hanno tanti di guai! — Tu va a filare! rispondeva compare Tino. Le donne hanno i capelli lunghi ed il giu- dizio corto. — E se ne andò zoppicando a bere l'erba- bianca da compare Pizzuto. — Vogliono dargli il cattivo Natale a quei poveretti, mormorava comare Grazia colle mani sulla pancia. Davanti a ogni casa c'era la cappelletta adornata di frasche e d'arance, e la sera vi accendevano le candele, quando veniva a suonare la cornamusa, e cantavano la litania che era una festa per ogni dove. I bambini gioca- vano ai nocciuoli, nella strada, e se Alessi si fermava a guardare colle gambe aperte, gli dicevano: 92 — Tu vattene, se non hai nocciuoli per giocare. — Ora vi pigliano la casa. Infatti la vigilia di Natale venne apposta l'usciere in carrozza pei Malavoglia, talché tutto il paese si mise in subbuglio; e andò a lasciare un foglio di carta bollata sul canterano, accanto alla statua del Buon Pastore. — L'avete visto l'usciere che è venuto pei Malavo- glia? andava dicendo comare Venera. — Ora stanno fre- schi! Suo marito, che non gli pareva vero di aver ragione, allora cominciò a gridare e a strepitare. — Io l'avevo detto, santi del Paradiso! che quel 'Ntoni a bazzicare per la casa non mi piaceva! — Voi state zitto che non sapete nulla! gli rimbeccava la Zuppidda. Questi sono affari nostri. Le ragazze si ma- ritano così, se no vi restano sulla pancia, come le casse- ruole vecchie. — Che maritare! ora che è venuto l'usciere! Allora la Zuppidda gli piantava le mani sulla faccia. — Che lo sapevate che doveva venire l'usciere? Voi abbaiate sempre a cose fatte, ma un dito, che è un dito, non lo sapete muovere. Infine l'usciere non se la man- gia, la gente. L'usciere è vero che non si mangia la gente, ma i Ma- lavoglia erano rimasti come se li avesse presi un acci- dente tutti in una volta, e stavano nel cortile, seduti in cerchio, a guardarsi in viso, e quel giorno dell'usciere non si misero a tavola in casa dei Malavoglia. — Sacramento! esclamava 'Ntoni. Siamo sempre 93 dotale, e per la barca faremo il reclamo in nome di ma- stro Turi Zuppiddu. Vostra nuora non c'entra nella com- pera dei lupini. L'avvocato seguitò a parlare senza sputare, senza grattarsi il capo, per più di venticinque lire, talmente che padron 'Ntoni e i suoi nipoti si sentivano venire l'acquo- lina in bocca di parlare anche loro, di spifferare la loro brava difesa che si sentivano gonfiare in testa; e se ne andarono intontiti, sopraffatti da tutte quelle ragioni che avevano, ruminando e gesticolando le chiacchiere del- l'avvocato per tutta la strada. Maruzza che stavolta non era andata, come li vide arrivare colla faccia rossa e gli occhi lucenti, si sentì sgravare di un gran peso anche lei, e si rasserenò in viso aspettando che dicessero quel che aveva detto l'avvocato. Ma nessuno apriva bocca e sta- vano a guardarsi l'un l'altro. — Ebbene, domandò infine Maruzza la quale moriva d'impazienza. — Niente! non c'è paura di niente! rispose tranquilla- mente padron 'Ntoni. — E l'avvocato? — Sì, l'avvocato l'ha detto lui che non ci è paura di niente. — Ma cosa ha detto? insisté Maruzza. — Eh, lui sa dirle le cose; un uomo coi baffi! Bene- dette quelle venticinque lire! — Ma infine cos'ha detto di fare? Il nonno guardò il nipote, e 'Ntoni guardò il nonno. — Nulla, rispose alfine padron 'Ntoni. Ha detto di non far nulla. 96 — Non gli pagheremo niente, aggiunse 'Ntoni più ar- dito, perché non può prenderci né la casa né la Provvi- denza… Non gli dobbiamo nulla. — E i lupini? — È vero! e i lupini? ripeté padron 'Ntoni. — I lupini?… Non ce li abbiamo mangiati, i suoi lu- pini; non li abbiamo in tasca; e non può prenderci nulla lo zio Crocifisso; l'ha detto l'avvocato, che ci rimetterà le spese. Allora successe un momento di silenzio; intanto Ma- ruzza non sembrava persuasa. — Dunque ha detto di non pagare? 'Ntoni si grattò il capo, e il nonno soggiunse: — È vero, i lupini ce li ha dati, e bisogna pagarli. Non c'era che dire. Adesso che l'avvocato non era più là, bisognava pagarli. Padron 'Ntoni scrollando il capo borbottava: — Questo poi no! questo non l'hanno mai fatto i Ma- lavoglia. Lo zio Crocifisso si piglierà la casa, e la barca, e tutto, ma questo poi no! Il povero vecchio era confuso; ma la nuora piangeva in silenzio nel grembiule. — Allora bisogna andare da don Silvestro; conchiuse padron 'Ntoni. E di comune accordo, nonno, nipoti e nuora, persino la bimba, andarono di nuovo in processione dal segreta- rio comunale, per chiedergli come dovevano fare per pa- gare il debito, senza che lo zio Crocifisso mandasse del- l'altre carte bollate, che si mangiavano la casa, la barca e 97 tutti loro. Don Silvestro, il quale sapeva di legge, stava passando il tempo costruendo una gabbia a trappola che voleva regalare ai bambini della Signora. Ei non faceva come l'avvocato, e li lasciò chiacchierare e chiacchiera- re, seguitando ad infilar gretole nelle cannucce. Infine disse quel che ci voleva: — Orbè, se la gnà Maruzza ci mette la mano, ogni cosa si sarebbe aggiustata. La pove- ra donna non sapeva indovinare dove dovesse mettere la sua mano. — Dovete metterla nella vendita, le disse don Silvestro, e rinunziare all'ipoteca della dote, quantunque i lupini non li abbiate presi voi. — I lupini li abbiamo presi tutti! mormorava la Longa, e il Signore ci ha casti- gati tutti insieme col prendersi mio marito. Quei poveri ignoranti, immobili sulle loro scranne, si guardavano fra di loro, e don Silvestro intanto rideva sotto il naso. Poi mandò a chiamare lo zio Crocifisso, il quale venne ruminando una castagna secca, giacché aveva finito allora di desinare, e aveva gli occhietti più lustri del solito. Dapprincipio non voleva sentirne nulla, e diceva che lui non ci entrava più, e non era affar suo. — Io sono come il muro basso, che ognuno ci si appog- gia e fa il comodo suo, perché non so parlare come un avvocato, e non so dire le mie ragioni; la mia roba par roba rubata, ma quel che fanno a me lo fanno a Gesù Crocifisso che sta in croce; e seguitava a borbottare e brontolare colle spalle al muro, e le mani ficcate nelle tasche; né si capiva nemmeno quel che dicesse per quel- la castagna che ci aveva in bocca. Don Silvestro sudò una camicia per fargli entrare in testa che infine i Mala- 98 CAPITOLO VII Quello fu un brutto Natale pei Malavoglia; giusto in quel tempo anche Luca prese il suo numero alla leva, un numero basso da povero diavolo, e se ne andò a fare il soldato senza tanti piagnistei, che oramai ci avevano fat- to il callo. Stavolta 'Ntoni accompagnando il fratello col berretto sull'orecchio, talché pareva fosse lui che partis- se, gli diceva che non era nulla, e anche lui aveva fatto il soldato. Quel giorno pioveva, e la strada era tutta una pozzanghera. — Non voglio che mi accompagniate — ripeteva Luca alla mamma; — già la stazione è lontana. — E sta- va sull'uscio a veder piovere sul nespolo, col suo fardel- letto sotto il braccio. Poi baciò la mano al nonno e alla mamma, e abbracciò Mena e i fratelli. Così la Longa se lo vide partire sotto l'ombrello, ac- compagnato da tutto il parentado, saltando sui ciottoli della stradicciuola ch'era tutta una pozzanghera, e il ra- gazzo siccome era giudizioso quanto il nonno, si rim- boccò i calzoni sul ballatoio, sebbene non li avrebbe messi più, ora che lo vestivano da soldato. — Questo qui non scriverà per danari, quando sarà laggiù, pensava il vecchio; e se Dio gli dà giorni lunghi, 101 la tira su un'altra volta la casa del nespolo. Ma Dio non gliene diede giorni lunghi, appunto perché era fatto di quella pasta; — e quando giunse più tardi la notizia che era morto, alla Longa le rimase quella spina che l'aveva lasciato partire colla pioggia, e non l'aveva accompagna- to alla stazione. — Mamma! disse Luca tornando indietro, perché gli piangeva il cuore di lasciarla così zitta zitta sul ballato- io, come la Madonna addolorata; quando tornerò vi av- viserò prima, e così verrete ad incontrarmi tutti alla sta- zione. — E quelle parole Maruzza non le dimenticò fin- ché le chiusero gli occhi; e sino a quel giorno si portò fitta nel cuore quell'altra spina che il suo ragazzo non assisteva alla festa che si fece quando misero di nuovo in mare la Provvidenza, mentre c'era tutto il Paese, e Barbara Zuppidda s'era affacciata colla scopa per spaz- zar via i trucioli. — Lo faccio per amor vostro; aveva detto a 'Ntoni di padron 'Ntoni; perché è la vostra Prov- videnza. — Voi colla scopa in mano sembrate una regina: ri- spose 'Ntoni. — In tutta Trezza non c'è una brava mas- saia come voi! — Ora che vi portate via la Provvidenza non ci verre- te più da queste parti, compare 'Ntoni. — Sì che ci verrò. E poi per andare alla sciara questa è la strada più corta. — Ci verrete per vedere la Mangiacarrubbe, che si mette alla finestra quando passate. — La Mangiacarrubbe gliela lascio a Rocco Spatu, 102 ché ci ho altro pel capo. — Chissà quante ce ne avete in testa, delle belle ra- gazze di fuori regno, non è vero? — Qui ce n'è pure delle belle ragazze, comare Barba- ra, e lo so io. — Davvero? — Per l'anima mia! — O a voi che ve ne importa? — Me ne importa, sì! ma ad esse non gliene importa di me, perché ci hanno i zerbinotti che passeggiano sotto le finestre, colle scarpe inverniciate. — Io non le guardo nemmeno, le scarpe inverniciate, per la Madonna dell'Ognina! La mamma dice che le scarpe inverniciate son fatte per mangiarci la dote e ogni cosa; e qualche bel giorno vuole uscire fuori sulla stra- da, colla rocca in mano, a fare una commedia con quel don Silvestro, se non mi lascia in pace. — Che lo dite sul serio, comare Barbara? — Sì, davvero! — Questa cosa mi piace! disse 'Ntoni. — Sentite, andateci il lunedì alla sciara, quando mia madre va alla fiera. — Al lunedì il nonno non mi lascerà pigliar fiato, ora che mettiamo in mare la Provvidenza. Appena mastro Turi disse che la barca era in ordine, padron 'Ntoni venne a pigliarsela coi suoi ragazzi, e tutti gli amici, e la Provvidenza, mentre camminava verso la marina, barcollava sui sassi come avesse il mal di mare, in mezzo alla folla. 103
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