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I mezzi di prova, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Riassunto con schemi efficaci per la memorizzazione del Capitolo I MEZZI DI PROVA del Manuale Sassani di Procedura Civile.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 29/02/2016

serena.miceli.39
serena.miceli.39 🇮🇹

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Scarica I mezzi di prova e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! CAPITOLO 21: I MEZZI DI PROVA LA PROVA TESTIMONIALE Si dice testimonianza la dichiarazione che, resa in giudizio da un terzo (teste) estraneo alla controversia, dà notizia dell'esistenza o della conformazione dei fatti rilevanti per la decisione della causa la dichiarazione del testimone ha lo scopo di fornire al giudice gli elementi fattuali da utilizzare per il giudizio, restandone esclusi i giudizi logico-ricostruttivi del teste, le sue opinioni sulla portata degli eventi e le relative valutazioni giuridiche. Il risultato della testimonianza fornisce sempre un dato sottoposto al libero apprezzamento del giudice, a cui è rimessa tanto la valutazione del grado di attendibilità del teste, quanto la compatibilità della dichiarazione con il complesso dei dati istruttori. Vista la consapevolezza dei rischi comportati dall’affidarsi tout court al ricordo ed al raccordo degli eventi il codice prevede vari limiti e divieti: -L’art 2721 lascia intendere il disfavore della legge per la prova testimoniale dei contratti e in genere degli atti privati cui si suole dare forma scritta (art 2726 estende al pagamento e alla remissione del debito le norme stabilite per la prova testimoniale dei contratti) La prova non è ammessa quando il valore dell’oggetto del contratto superi i 2,58 euro! Però il secondo comma tempera ciò prevedendo che il giudice possa ammettere la prova anche oltre il limite tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza- -L’art. 2722 c.c. estende il disfavore della legge alla prova per testimoni intesa a controbattere il valore probatorio di un documento; la testimonianza è inammissibile se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, quando si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea; la norma dà corpo al dato di comune esperienza che, di fronte ad una stipulazione in forma scritta, è poco plausibile che le parti non abbiano messo per iscritto tutte le loro manifestazioni di volontà, lasciando alla forma orale pattuizioni di contenuto aggiuntivo o addirittura contrastanti con quanto risultante dal documento. Una minore implausibilità caratterizza invece gli accordi verbali, aggiunti o contrari, successivi alla stipulazione scritta dei contratti, sicché l’art. 2723 c.c. lascia all'autorità giudiziaria il potere di consentire la prova testimoniale previo giudizio di verosimiglianza (“soltanto se appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali”), sempre avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza. La prova testimoniale è però ammessa in ogni caso (cioè senza le limitazioni di cui sopra) in tre ipotesi previste dall’art. 2724 c.c.: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto, che è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta domanda, che, pur non essendo prova del fatto, lasci apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; 3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova (es. furto in ufficio). (In realtà tuttavia nei casi in cui la legge richieda la forma scritta ad probationem, l’unico caso che determina l’ammissbilità della prova altrimenti inammissibile per le eccezioni di cui sopra è il caso 3). LA PROVA TESTIMONIALE E’ LA PIU’ TIPICA DELLE COSTITUENDE: quindi è soggetta al giudizio di ammissibilità e rilevanza ed è subordinata ad apposito provvedimento ammissivo. La prova testimoniale viene dedotta dalla parte mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata (art. 244). La esclusiva riserva alla parte della deduzione della prova, attualmente è prevista solo nel processo di fronte a giudice collegiale, poiché l'art. 281-ter ha dato al giudice monocratico il potere di disporre d'ufficio la testimonianza, con il correlato potere di formularne capitoli, quando la notizia dell'esistenza di un teste derivi dalla esposizione dei fatti delle parti. Per poter essere sentito come teste, il terzo deve essere del tutto indifferente all'esito del giudizio , infatti vengono eliminate tutte le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio (art. 246); inoltre l'ordinanza che ammette la prova può ridurre le liste dei testimoni sovrabbondanti.(anche se il giudice può in un momento successivo decidere di ascoltare i testi inizialmente ritenuti superflui perché magari i primi sono stati ambigui ecc) Su richiesta della parte interessata, i testi vengono invitati a comparire per rendere la loro dichiarazione (intimazione ai testimoni, art. 250). L'ufficiale giudiziario intima poi ai testimoni ammessi dal giudice istruttore di comparire nel luogo, nel giorno e nell'ora fissati, indicando loro il giudice che assume la prova e la causa nella quale devono essere sentiti; con la legge di riforma 80/2005 si è introdotta la possibilità che l'intimazione al teste possa essere effettuata anche dal difensore attraverso l'invio di copia dell’atto a mezzo di fax o posta elettronica. All'atto dell'assunzione della testimonianza i testi vengono identificati (art. 252), e devono dichiarare il loro eventuale interesse nella causa (le parti possono fornire info sull’attendibilità d testimone ed egli in questo caso deve fornire i necessari chiarimenti). A questo punto i testi prestano giuramento: essi sono esaminati singolarmente e separatamente (cioè senza che l'uno possa ascoltare gli altri) e sono ammoniti dal giudice “sull’obbligo di dire la verità e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false e reticenti” (art. 251). Il giudice istruttore interroga il testimone sui fatti sui quali è chiamato a deporre, ma può anche rivolgergli, d'ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili a chiarire fatti stessi; le risposte devono provenire personalmente dal teste che non può servirsi di scritti personali. Se vi sono divergenze tra le deposizioni di due o più testimoni, il giudice istruttore, su istanza di parte o d'ufficio, può disporre che essi siano messi a confronto (art. 254). Ai sensi dell'art. 257, comma 1, se alcuno dei testi si riferisce, per la conoscenza di fatti, ad altre persone, il giudice può disporre d'ufficio che esse siano chiamate a deporre; si tratta del caso della testimonianza de auditu o de relato (cioè di seconda mano: il testimone non ha percepito i fatti con i suoi sensi ma gli è stato riferito da altri, perciò la testimonianza ha un valore ridotto e si dà la possibilità di sentire questi “altri”). È vietato, a norma dell'art. 253 comma 2, alle parti e al pubblico ministero di interrogare direttamente i testi. In realtà al divieto la legge non ricollega alcuna sanzione: accade spesso che le domande siano formulate dagli avvocati! La mancata comparizione del teste intimato consente di ordinare una nuova intimazione, ma il giudice può disporre l'accompagnamento forzato del teste all'udienza stessa o ad altra successiva (art. 255 comma 1); con la medesima ordinanza il giudice, in caso di mancata comparizione senza giustificato motivo, può condannarlo ad una pena pecuniaria tra i 100 e i € 1000; se invece il testimone compare e rifiuta di giurare, o rifiuta di deporre senza giustificato motivo, ovvero se vi è fondato sospetto che egli non abbia detto la verità, o ancora sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale (art. 256). L’art. 257-bis ha introdotto nel processo italiano una forma di testimonianza per iscritto, l'ammissibilità della quale è subordinata all'accordo delle parti, ed è disposta dal giudice tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza. Il teste rende la deposizione rispondendo separatamente ad ogni quesito; egli deve compilare il modello di testimonianza in ogni sua parte precisando a quali quesiti non è in grado di rispondere e indicandone la ragione. La deposizione è sottoscritta dal testimone con apposizione di propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza; il documento viene spedito con raccomandata o consegnato in cancelleria; la mancata consegna o spedizione del termine fissato dal giudice può dar luogo alla condanna pecuniaria fino a € 1000 prevista per il teste che non compare. Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il teste sia chiamato a deporre oralmente davanti a lui, ovvero davanti al giudice delegato in caso di assunzione fuori dalla circoscrizione ai sensi In caso di litisconsorzio necessario: il giuramento deve provenire da tutti i litisconsorti per valere da prova legale, altrimenti è sottoposto al libero apprezzamento del giudice. A. Il giuramento decisorio Una parte può volontariamente rimettere la decisione della causa all'altra, semplicemente deferendole giuramento, cioè chiedendole di dichiarare solennemente sotto giuramento che uno o più fatti decisivi da essa affermati sono veri; in questo modo la parte deferente rimette alla volontà della controparte l'esito della controversia; reagendo al giuramento deferitole, la parte chiamata a giurare deve dire la verità, poiché false dichiarazioni configurano il reato di falso giuramento (art. 371 c.p.). Il giuramento è l’unico caso in cui la parte deve dire la verità perché nell’interrogatorio formale essa non ha alcun obbligo di rendere dichiarazioni veritiere. Non è un evento frequente ma talvolta si verifica: ad es. perché la parte prima di perdere la causa per mancato assolvimento dell’onere della prova è in un certo senso obbligata a rimettere quale ultima ratio, la sorte della controversia alla onestà e coscienza della controparte. Limiti: L’art. 2739 stabilisce che il giuramento non può essere deferito: -per la decisione di cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre; -non è nemmeno consentito giurare sul fatto illecito; - per superare la prescrizione di forma scritta imposta dalla legge per la validità del contratto, cioè per superare, attraverso asseverazione giurata, la nullità di un contratto mancante della forma scritta prescritta ad substantiam. (quindi non è vietato se la forma è ad relationem). - non è consentito alle parti negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l'atto stesso. Il giuramento deve essere prestato personalmente dalla parte e può essere effettuato solo da persona capace di disporre del diritto a cui i fatti giurati si riferiscono. Alla prestazione del giuramento consegue la prova legale dei fatti giurati: l’art. 2738 comma 1 precisa che l'altra parte non è ammessa provare il contrario, e, dal canto suo, il giudice non può in alcun modo argomentare in maniera difforme, dovendo limitarsi a prendere atto di quanto giurato per basare su di esso la decisione. La forza di prova legale del giuramento resta tale anche in caso di successivo accertamento della sua falsità; l'art. 2738 prosegue stabilendo che l'altra parte non può chiedere la revocazione nella sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso (diversità di regime rispetto alla revocabilità della sentenza per prova ritenuta falsa). L’unica cosa che si può domandare nel caso di condanna penale per falso giuramento è il risarcimento del danno. Il giuramento decisorio può essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore, con dichiarazione fatta all'udienza dalla parte o dal procuratore munito di mandato speciale, o con atto sottoscritto dalla parte (art. 233); esso deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro specifico. Come tutte le prove costituende, la prestazione del giuramento è assoggettata ad apposito provvedimento ammissivo del giudice. Anche l'ordinanza ammissiva del giuramento decisorio fa parte dei provvedimenti che vanno notificati personalmente al contumace. La parte deferente può revocare il giuramento fino al momento in cui la controparte abbia dichiarato di essere pronto a prestarlo; un'ipotesi particolare di revocabilità del giuramento è quella in cui il giudice modifica la formula proposta dal deferente (art. 236): in tal caso questi può revocarlo, e ciò nonostante la controparte si sia dichiarata pronta a giurare. La parte a cui sia stato deferito il giuramento decisorio può: 1. asseverare con giuramento la formula deferitagli (la parte giura e vince totalmente o parzialmente la causa); 2. rifiutarsi di giurare (la parte non giura e vince la controparte che ha deferito il giuramento: l’art. 239: la parte alla quale il giuramento decisorio è deferito, che non si presenta senza giustificato motivo all'udienza fissata, o, comparendo rifiuta di prestarlo, soccombe rispetto alla domanda o al punto di fatto relativamente al quale il giuramento è stato ammesso); 3. asseverare con giuramento una formula diversa da quella deferitagli (la parte giura su un altro oggetto e perde perché una modificazione della formula equivale a un rifiuto di giurare); 4. riferire il giuramento (la parte a cui è deferito il giuramento decisorio, finché non abbia dichiarato di essere pronto a giurare, può riferirlo all'avversario nei limiti fissati dal codice civile (art. 234), in questo caso è previsto un altro limite: è vietato il riferimento qualora il fatto che ne è l’oggetto non è comune ad entrambe le parti). B. Il giuramento suppletorio Il giuramento suppletorio è una tecnica di decisione della causa riservata al giudice in sede di valutazione delle risultanze probatorie: un giudice in dubbio sulla prova del fatto decisivo può rimettere alla parte il potere e la responsabilità di scegliere deferendole giuramento. La parte invitata a giurare assume su di sé tutte le formalità e le responsabilità connesse all'istituto: prima fra tutte la responsabilità, anche penale, del fatto giuramento con l'obbligazione in tal caso di risarcire i danni. Il giuramento si dice suppletorio perché supplisce appunto agli elementi di prova mancanti. Si presenta come un’attenuazione dell’onere probatorio: la parte cui viene deferito, pur senza aver dato piena prova della sua affermazione può ancora vincere la causa semplicemente asseverando il fatto ad essa favorevole. Rientra nella discrezionalità del giudice se chiedere giuramento se uno dei fatti rilevanti non è compiutamente provato ma neanche del tutto sprovvisto di prova. A differenza del giuramento decisorio, il suppletorio non è riferibile alla controparte: la parte a cui è deferito il giuramento non può liberarsi dal proprio impegno investendo la controparte del compito di giurare o soccombere. Per quanto non disposto sul suppletorio il cpc rinvia alle norme del decisorio. Il giuramento estimatorio è deferito dal giudice al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti. Se la stima del valore dell'oggetto della domanda è obiettivamente impossibile o molto difficile, la perplessità del giudice può essere superata dalla remissione alla parte di una dichiarazione giurata, con gli stessi effetti del giuramento suppletorio (compreso il divieto di riferimento). 4) LA PROVA DOCUMENTALE Le prove documentali regolate dal cc sono sostanzialmente: atto pubblico; scrittura privata; scritture contabili delle imprese soggette a registrazione; riproduzioni meccaniche. Il codice regola anche il valore probatorio delle copie degli atti e degli atti di ricognizioni o di rinnovazione. L’atto pubblico Per atto pubblico l’art. 2699 c.c. intende il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato; l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in Sua presenza o da lui compiuti. ATTENZIONE: L’atto pubblico deve provenire da notaio o da altro pubblico ufficiale assimilato, come tale esso è imputato integralmente al p.u. MA NEL SENSO SPECIFICO DELLA ATTRIBUZIONE DELLA SUA REDAZIONE DOCUMENTALE E DELLA CORRELATA RESPONSABILITA’, NON NEL SENSO CHE AL P.U. SIA IN QUALCHE MODO IMPUTABILE IL CONTENUTO DEL DOCUMENTO. L’ATTO GIURIDICO RAPPRESENTATO DAL DOCUMENTO RESTA IMPUTABILE SOLO ALLA O ALLE PARTI DICHIARANTI, PERCIO’ E’ DETTO ETEROGRAFO, PER DISTINGUERLO DALLA SCRITTURA PRIVATA CHE E’ AUTOGRAFA. La pubblica fede che la legge ricollega all'atto pubblico significa, dal punto di vista processuale, che l'atto pubblico è prova legale rispetto: 1. alla provenienza del documento; 2. alla data e al luogo della redazione dell'atto; 3. all'identità delle parti presenti alla redazione dell'atto; 4. alle dichiarazioni rese dalle parti; 5. a tutti gli altri fatti avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale e come tali accertati nell'atto. Tutti i dati coperti dalla pubblica fede fanno stato fino a querela di falso; ciò significa che essi non possono venir contestati se non attraverso una formale accusa di falsità, in mancanza della quale essi si impongono al giudice senza consentire alcuna prova contraria. Per la sua stabilità viene usato per atti e negozi di rilevante impegno giuridico e patrimoniale, talvolta è la legge stessa a prescriverlo ad substantiam. La pubblica fede non copre le dichiarazioni delle parti nel senso di garantirne la veridicità; essa riguarda solo il fatto che, in una certa data, un certo luogo, davanti un certo notaio, le parti hanno fatto quelle dichiarazioni, come tali registrate dal notaio. In tal senso si dice che la pubblica fede riguardi l’estrinseco e non l’intrinseco dell’atto. La scrittura privata Con scrittura privata si indica il documento sottoscritto dal soggetto privato e recante dichiarazioni imputabili al sottoscrittore proprio in virtù della sua sottoscrizione (documento autografo). Secondo l’art. 2702 c.c., la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta. Ad essere pienamente provata, fino a querela di falso, è solo la provenienza della dichiarazione dal sottoscrittore, non invece l’esistenza o l’attualità dell’effetto giuridico conseguente alla dichiarazione stessa: se la dichiarazione ha ad oggetto l’assunzione di una obbligazione, ad essere provato è il fatto che il sottoscrittore ha reso quella dichiarazione, non l’obbligazione in sé che potrebbe non essere affatto sorta perché, ad esempio, il dichiarante era incapace. Le dichiarazioni aventi ad oggetto fatti sfavorevoli per il dichiarante possono configurare confessione: se questo è il caso, una volta provata la provenienza della dichiarazione risulterà provata anche la confessione in cui essa si risolve sicchè la scrittura privata varrà da prova indiretta della confessione (prova della prova). La firma si ha per riconosciuta: 1. se essa era stata originariamente autenticata come tale da notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò abilitato; 2. se esplicitamente Tizio la riconosce come sua, o l’ha in precedenza riconosciuta come tale; 3. se egli non la disconosce, attraverso sua formale negazione, o attraverso dichiarazione di non conoscerla resa nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione in giudizio; 4. se Tizio è stato dichiarato contumace. Se si ricorre i queste ipotesi Tizio potrà superare la presunzione della provenienza solo con querela di falso, cioè dovrà asserire e provare che il testo della dichiarazione con la sua sottoscrizione non è suo bensì è imputabile a qualcun altro. (Dovrà quindi sostenere che è stato commesso ai suoi danni un falso materiale, cioè ad esempio alterazione dei caratteri di scrittura) Quando la sottoscrizione non è legalmente attribuibile alla parte contro cui la scrittura è prodotta, questa non avrà bisogno di esperire alcuna querela di falso, e spetterà invece alla controparte dimostrare la provenienza la scrittura. Ora, la sottoscrizione non si considera legalmente attribuita nell'ipotesi in cui essa sia stata formalmente negata: secondo l’art. 214 comma 1, colui contro cui la scrittura viene prodotta è infatti tenuto a negare formalmente la propria sottoscrizione; quando questo accade, la parte che intende valersi della scrittura, se vuole ancora servirsene deve chiederne la verificazione (art. 216 comma 1). ESEMPIO: poiché un documento che presenta la mia sottoscrizione mi attribuisce la dichiarazione in esso contenuta, volendo negare la mia paternità della dichiarazione: • se ritengo che la sottoscrizione sia apocrifa, mi basta negare che essa provenga da me alla prima occasione processuale utile; in tal modo costringo la mia controparte a fare istanza di verificazione della autografia della sottoscrizione, se vuole servirsi del documento; • se la sottoscrizione è effettivamente ed innegabilmente mia, posso contestare la corrispondenza della dichiarazione alla sottoscrizione, proponendo querela di falso. IL DOCUMENTO INFORMATICO L’art. 1 del dlgs 82 del 2005 (codice dell’amministrazione digitale) definisce il documento informatico come la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. La disciplina prevista dalla legge si sostanzia in una fictio juris che assimila il documento informatico a quello cartaceo che a seconda dei casi è trattato come atto pubblico, scrittura privata, riproduzione, copia. Attualmente il documento informatico può avere diverse tipologie: a. Documento rappresentativo di fatti o cose, sottoposto al regime delle riproduzioni meccaniche; b. Documento che rappresenti copia di atti pubblici, scritture private, documenti in genere, sottoposto alla disciplina in tema di copie degli atti ove siano rispettate le condizioni previste dall’art 22 di detto decreto legislativo; c. Documento che si sia invece formato all’origine tramite computer secondo la volontà dell’uomo e che sia, anche solo parzialmente rappresentativo di tale volontà. In questa categoria sono racchiusi a loro volta: -documento privo di firma, -documento semplice, dotato cioè di firma elettronica, -documento dotato di firma digitale o elettronica qualificata o elettronica avanzata, -documento dotato di firma digitale, elettronica, qualificata o avanzata, che sia stato formato dinanzi a un notaio (atto pubblico informatico) oppure che sia stato autenticato da notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. La differenza dell’efficacia probatoria accordata a questi tipi di documenti dipende essenzialmente dal tipo di firma utilizzata: dunque i primi due tipi hanno un’efficacia subordinata al libero apprezzamento del giudice tenuto conto delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità e sono contestabili con qualsiasi prova. Invece gli altri documenti dotati di firma c.d. forte sono equiparati alle tipologie di prove documentali corrispondenti, quindi valgono come PROVE LEGALI DELLA PROVENIENZA DELLE DICHIARAZIONI DEL SOTTOSCRIVENTE. Anche qui quindi contro esse bisognerà esperire per superare le presunzioni la querela di falso o la verificazione a seconda dei casi. L’utilizzo di firma si presume riconducibile al titolare salvo che questi ne dia prova contraria. LE PROVE ATIPICHE Esistono prove non espressamente regolate dalla legge e che la giurisprudenza tende ad ammettere come prove atipiche o innominate. E’ come se si sostenesse il principio di un tipicità dei mezzi di prova, da cui dovrebbe desumersi l’impossibilità di ammettere prove non riconosciute come tali dalla legge. Il catalogo delle atipiche è in realtà molto relativo nel tempo: fino a poco tempo fa si discuteva dell’ammissibilità anche del documento informatico e della testimonianza scritta come prove, ora invece esse sono previste dalle norme stesse. In sostanza in assenza dei mezzi di prova previsti dalla legge o comunque nel caso in cui questi siano insufficienti, si tende ad ammettere le prove atipiche purchè rispettino le necessarie cautele procedimentali legate ai principi del giusto processo (contraddittorio, parità delle armi, attuazione del diritto alla prova contraria). Si nega ovviamente che tramite tali mezzi si possano aggirare divieti legislativi, si pensi ai limiti soggettivi ed oggettivi all’ammissibilità della prova per testimonianza. Il problema vero sta nell’efficacia da attribuire alle stesse! Talvolta si adopera il procedimento analogico facendo quindi riferimento ai mezzi tipici, talaltra questa via non è possibile. La giurisprudenza oscilla fra il riconoscimento di un semplice valore indiziario oppure argomenti di prova o ancora prudente apprezzamento del giudice su di esse. (Prove atipiche sono considerate le perizie stragiudiziali, le scritture private provenienti da terzi, risultanze di prove ematologiche o del DNA, accertamenti della velocità ad es tramite autovelox, i verbali redatti da agenti di pubblica sicurezza, gli atti o i verbali dei procedimenti arbitrali, le info assunte dal giudice nel procedimento camerale o arbitrale conforme. PROVA ILLECITA: in genere si intende il documento esibito a scopi probatori la cui apprensione o produzione o possesso non possono considerarsi legittimi oppure in violazione di obblighi di segretezza o riservatezza. Le tesi sono differenti: secondo alcuni si dovrebbe applicare la disposizione corrispondente del codice di procedura penale che vieta l’utilizzazione delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalle legge; secondo altri invece le prove nel processo civile dovrebbero essere comunque utilizzate, il problema della loro provenienza rileverebbe eventualmente in ambito di responsabilità civile e/o penale.
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