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I mezzi di prova - Appunti di Procedura Penale - Tonini, Appunti di Diritto Processuale Penale

Procedura Penale - capitolo relativi ai mezzi di prova - Tonini

Tipologia: Appunti

2011/2012

Caricato il 06/12/2012

Ghingar
Ghingar 🇮🇹

4.4

(861)

59 documenti

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Scarica I mezzi di prova - Appunti di Procedura Penale - Tonini e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! CAPITOLO IV – I MEZZI DI PROVA Con l’espressione “mezzo di prova” si vuole indicare quello strumento processuale che permette di acquisire un elemento di prova. Il codice prevede sette mezzi di prova tipici: essi sono la testimonianza, l’esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, la perizia e i documenti. Il codice consente che possano essere assunte prove atipiche, e cioè non regolamentate dalla legge. Tuttavia è possibile ammettere una prova atipica solo se questa è idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Occorre che il giudice senta le parti sulle modalità di assunzione della prova prima di decidere con ordinanza sulla richiesta di ammissione. L’ordinanza del giudice che accoglie o respinge la richiesta è controllabile mediante l’impugnazione della sentenza. Il codice pone una netta distinzione tra due mezzi di prova: la testimonianza e l’esame delle parti. La distinzione riguarda aspetti sia di diritto processuale, sia di diritto penale sostanziale. Il testimone ha l’obbligo penalmente sanzionato di presentarsi al giudice e di dire la verità. Viceversa l’imputato, e più in generale le parti private, quando vengono esaminate ai sensi del 208 (Richiesta dell’esame) non hanno l’obbligo di presentarsi, né l’obbligo di rispondere alle domande, né l’obbligo di dire la verità. La qualità di testimone è di regola incompatibile con la qualità di parte privata e, in particolare, di imputato; un’eccezione è la parte civile, che può esser sentita come testimone coi relativi obblighi penali. Le altre parti private (responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) non possono essere chiamate a deporre come testimoni, né possono offrirsi spontaneamente in tale ruolo. Il testimone ha i seguenti obblighi: α. l’obbligo di presentarsi al giudice; se non si presenta senza un legittimo impedimento, il giudice può ordinare il suo accompagnamento coattivo e può condannarlo al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa. β. l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali (198); χ. l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte: se tace ciò che sa, afferma il falso o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza. La deposizione è resa in dibattimento con le forme dell’esame incrociato. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. Le domande devono essere pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Il 194 pone un secondo limite alle domande: esse devono avere ad oggetto “fatti determinati”. Di conseguenza, il testimone di regola non può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali, salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti. Infine, non può deporre su voci correnti nel pubblico. Le deposizioni sulla moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici. Le domande che riguardano la persona offesa dal reato incontrano due limiti. Il primo è posto dal 194.2: nella seconda parte esso dice che La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona. Il secondo riguarda i procedimenti per i delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone: le domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato sono di regola vietate; sono consentite se sono necessarie alla ricostruzione del fatto. Dei fatti da provare il testimone può avere una conoscenza diretta o indiretta. Il codice pone alcune condizioni all’utilizzabilità della deposizione indiretta: α. il testimone indiretto deve indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame; β. quando una delle parti chiede che venga sentita nel processo la persona che ha avuto conoscenza diretta del fatto, il giudice è obbligato a disporne la citazione. È vietato assumere deposizioni su fatti appresi da persone vincolate da segreto professionale o d’ufficio, salvo che queste abbiano comunque divulgato tali fatti (195.6). La prova delle dichiarazioni rese dall’imputato e dall’indagato in un atto del procedimento deve ricavarsi unicamente dal verbale che deve essere redatto ed utilizzato con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento. In primo luogo, il divieto ha natura oggettiva, e cioè pare riferirsi a chiunque riceva le dichiarazioni. In secondo luogo, il divieto ha per oggetto dichiarazioni in senso stretto, e cioè espressioni di contenuto narrativo: risultano quindi riferibili per sentito dire quelle dichiarazioni che costituiscono espressioni di volontà o meri comportamenti. In terzo luogo, le dichiarazioni nei cui confronti opera il divieto sono quelle rese nel corso del procedimento: l’espressione deve essere intesa nel senso di “in occasione” di un atto tipico e non “durante la pendenza” del procedimento. Infine, il divieto riguarda le dichiarazioni dell’imputato che abbiano una valenza di prove, e non quelle che siano rilevanti come fatti storici di reato (che devono essere accertati mediante un processo penale). Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle sommarie informazioni assunte da testimoni o imputati connessi, e sul contenuto delle denunce, querele o istanze, delle informazioni e delle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato. Ex 195.4 fuori delle ipotesi di espresso divieto la testimonianza indiretta della polizia è ammessa. Il codice pone, in via generale, la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare. Non possono essere assunti come testimoni (bensì sono sentiti con l’esame ai sensi del 210) gli imputati concorrenti nello stesso reato (o situazioni assimilate in base al 12). Di regola non possono essere assunti come testimoni, bensì sono sentiti con l’esame ai sensi del 210: - gli imputati in procedimenti connessi nel caso in cui i reati per cui si procede sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri (c.d. connessione teleologica); - gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati ai sensi del 371.2 lettera b). A tale regola sono state poste due eccezioni: α. i soggetti menzionati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi del 444; β. gli imputati menzionati divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell’interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti altrui: in questo caso la compatibilità è parziale perché è limitata ai fatti altrui. Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Esse possono rendere dichiarazioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti e, quindi, senza l’obbligo penalmente sanzionato di dire il vero. Non possono essere assunti come testimoni coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario. Sono altresì incompatibili il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione dell’intervista. Il codice accoglie la regola generale in base alla quale il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell’esame. L’esame del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e della parte civile che non debba essere esaminata come testimone si svolge con regole identiche a quelle che valgono per l’imputato, salvo un particolare. Se le parti private diverse dall’imputato affermano di aver “sentito dire”, valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità previste dal 195. Il regime ordinario dell’esame delle parti comporta che i soggetti menzionati siano esaminati solo se richiedono l’esame o vi consentono; essi non hanno l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Occorre sottolineare che la parte civile, quando è chiamata a testimoniare, è obbligata a deporre in tale qualità e non come parte privata; di conseguenza, assume l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Per quanto riguarda l’esame di persone imputate in procedimenti connessi, l’imputato connesso o collegato può dare quattro tipi di contributi probatori in dibattimento. Possiamo definire “imputato connesso o collegato” l’imputato di quel procedimento che ha rispetto al procedimento principale un rapporto di connessione (12: Casi di connessione) o di collegamento probatorio (371.2 lett. b) a prescindere dalla circostanza che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati. Il codice detta una disciplina apposita per l’imputato di un procedimento connesso nelle ipotesi di concorso nel medesimo reato e situazioni assimilate. Tale soggetto, che d’ora in poi chiameremo “imputato concorrente”, è incompatibile con la qualifica di testimone fino a che nei suoi confronti non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. In linea generale l’imputato concorrente gode delle stesse garanzie riconosciute all’imputato principale. Tuttavia egli è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui: sotto questo profilo l’imputato concorrente viene assimilato al testimone perché ha l’obbligo di presentarsi. Per tutto il resto egli è assimilato alla figura base dell’imputato: il dichiarante ha la facoltà di non rispondere e di mentire impunemente; inoltre è obbligatoriamente assistito da un difensore. Inoltre, l’imputato concorrente è avvisato che ha la facoltà di non rispondere, salvo che si tratti di una domanda sulla sua identità personale. Ancora, se l’imputato concorrente decide di rispondere, non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità (restano punibili solo la calunnia e la simulazione di reato). L’imputato concorrente può tacere anche se la domanda non è suscettibile di assumere un significato autoincriminante. Vi è un regime peculiare per gli imputati connessi teleologicamente o collegati che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato (tali soggetti, se hanno reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri, possono essere chiamati a deporre come testimoni assistiti). I predetti imputati, che per semplificare chiameremo “connessi teleologicamente o collegati”, sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere e sono altresì avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno la qualifica di teste limitatamente a tali fatti. A quel punto inizia l’escussione. L’imputato connesso teleologicamente o collegato ha facoltà di tacere e, se parla, non ha obbligo di verità. Tuttavia, se rende dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altro imputato (collegato o connesso teleologicamente), da quel momento egli diventa compatibile con la qualifica di testimone assistito limitatamente ai fatti dichiarati e deve rispondere su di essi con obbligo di verità. Ogni domanda su nuovi temi di prova concernenti la responsabilità altrui pone l’imputato connesso teleologicamente o collegato nell’alternativa tra tacere o rispondere. Una volta che abbia reso dichiarazioni su fatti altrui, egli è idoneo ad assumere la qualifica di testimone assistito. Quando è sentito eccezionalmente in qualità di testimone, l’imputato è assistito obbligatoriamente dal difensore di fiducia (o d’ufficio) in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre. Il legislatore ha introdotto due categorie di testimonianza assistita: α. la prima scatta dopo che è concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell’imputato collegato o connesso di qualsiasi tipo: l’imputato giudicato può essere “sempre” chiamato come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l’avviso previsto dal 64.3 lett. c). Nel corso della deposizione egli gode del normale privilegio contro l’autoincriminazione, in relazione ad ulteriori reati che abbia commesso. Viceversa, il testimone assistito “giudicato” di regola non gode di alcun privilegio contro l’autoincriminazione sul fatto proprio coperto dalla sentenza irrevocabile, a meno che nel procedimento originario abbia negato la propria responsabilità o non abbia reso alcuna dichiarazione; β. la seconda categoria opera quando non è ancora concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell’imputato collegato o connesso teleologicamente: affinché scatti l’obbligo di deporre come testimone è necessario in primo luogo che l’imputato sia stato ritualmente avvisato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà l’ufficio di testimone; in secondo luogo, una volta avvertito, l’imputato collegato o connesso teleologicamente deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui. Per “riscontro” si intende comunemente il controllo di attendibilità di una dichiarazione. Tutte le dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale devono essere sottoposte ad un riscontro. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. Il codice pone il riscontro come una condizione per l’impiego della dichiarazione del coimputato, senza però eliminare in alcun modo il libero convincimento del giudice; non afferma che se il riscontro ha avuto esito positivo il fatto affermato deve ritenersi “vero”. Ai fini del riscontro il codice impone di valutare “altri elementi di prova”. Ogni dichiarazione è frazionabile, cioè deve essere riscontrata per ogni fatto asserito e per ogni soggetto indicato come responsabile. E parliamo ora di confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali. Il confronto è ammesso esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti. Il giudice richiama ai soggetti le precedenti dichiarazioni, chiede se le confermano e li invita a contestare reciprocamente le dichiarazioni contrastanti. La ricognizione è il mezzo di prova mediante il quale ad una persona che abbia percepito coi propri sensi una persona o una cosa si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili. Secondo il 213 (Ricognizione di persone. Atti preliminari) Quando occorre procedere a ricognizione personale, il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese. L’inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità della ricognizione. Il 214.1 dice come debba essere predisposta la scena: Allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone [c.d. distrattori] il più possibile somiglianti, anche nell’abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest’ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti, sin dove è possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione. Sempre il 214.1 dice come avviene la ricognizione: Nuovamente introdotta quest’ultima [la “persona chiamata alla ricognizione”], il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione il giudice dispone che l’atto sia compiuto senza che quest’ultima possa vedere la prima (214.2). Quando occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato, si osservano modalità analoghe a quelle esposte: il 215 (Ricognizione di cose) richiama il 213, per cui il giudice dispone che siano procurati almeno due oggetti simili a quello da riconoscere. L’esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo (218.1). L’esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso. La perizia ha la duplice natura di mezzo di prova e di mezzo di valutazione della prova. Essa è necessaria quando occorre compiere una valutazione per la quale sono necessarie specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Per legge scientifica si intende quella legge che esprime una relazione certa o statisticamente significativa tra due fatti della natura. La perizia non è l’unico strumento che permette di raggiungere le finalità indicate nel 220: esiste anche la consulenza tecnica di parte entro e fuori dei casi di perizia; inoltre sia il p.m. sia le parti private possono avvalersi dell’opera di esperti fin dalla fase delle indagini preliminari. Il giudice deve utilizzare le valutazioni operate da un consulente tecnico di parte o disporre una perizia. La perizia si caratterizza per essere un mezzo di prova particolarmente garantito: sin dalla fase del conferimento dell’incarico si instaura un contraddittorio tra il perito ed i consulenti delle parti, i quali possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste. Di regola la perizia è disposta a richiesta di parte, eccezionalmente può esser disposta d’ufficio nel dibattimento. Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli: tra gli iscritti negli appositi albi o [al di fuori di tali albi] tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina. Il perito deve presentarsi in udienza ed impegnarsi ad adempiere al proprio ufficio secondo verità. I consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia, presentare al giudice osservazioni e riserve e, infine, proporre specifiche indagini. Il perito può conoscere solo gli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento. Il prodotto finale di questo particolare mezzo di prova è la relazione che il perito svolge. Al pari di quanto avviene per gli altri mezzi di prova, il giudice non è vincolato dalla perizia. Le parti possono nominare consulenti tecnici sia in relazione ad una perizia già disposta (225), sia al di fuori della perizia (233) ed anche per contrastare il risultato di una perizia già svolta. La parte privata non ha l’obbligo di scegliere il consulente all’interno di albi. Non può esser nominato consulente tecnico colui che è chiamato a prestare l’ufficio di testimone. Il perito svolge indagini ed acquisisce risultati probatori per conto del giudice; gli esiti delle operazioni tecniche sono destinati a confluire direttamente nel fascicolo per il dibattimento e sono utilizzabili nella decisione finale. Il consulente di parte propone valutazioni tecniche, che si traducono in un parere esposto oralmente o in memorie.
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