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I misteri del chiostro napoletano - Enrichetta Caracciolo, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Analisi, descrizione puntuale con frasi tratte dal testo per esame Letteratura Italiana - Sapienza Università di Roma (Storini)

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica I misteri del chiostro napoletano - Enrichetta Caracciolo e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! I MISTERI DEL CHIOSTRO NAPOLETANO Enrichetta Caracciolo • Patriota e scrittrice italiana, nasce nel 1821. • Costretta in giovane età, dalla madre desiderosa di risposarsi, ad entrare nel convento di San Gregorio Armeno a Napoli. • Nel 1840 prende i voti, nel 46 vorrebbe scioglierli ma papa Pio IX non glielo permette. • Nel 1848 prende posizione contro i Borboni, introduce in convento giornali liberali e denuncia il fenomeno delle monacazioni forzate. • Nel 1860, quando Garibaldi entrò a Napoli, durante la messa di ringraziamento per la sconfitta dei Borboni, depose sull’altare il velo monacale; sposò poi il patriota Giovanni Greuther e pubblicò il suo libro di memorie. • Denuncia nei confronti dell’inerzia, dell’ignoranza e della depravazione del clero … l’oscurantismo, l’impostura, lo spirito d’intrigo, gli istinti tirannici de clero secolare nell’ex regno delle Due Sicilie vengono ritratti in episodi tanto meritevoli della generale attenzione; la barbara pressione, che l’or estinto governo borbonico operò sulla mente, sulla coscienza, sul cuore di que’ miseri popoli. (questo ci dice nella sua premessa del 1864 la baronessa Marta d’Estraignes, amica di Enrichetta) Nella sua apostrofe al lettore Enrichetta scrive che attraverso questo libro di Memorie si è proposta di confermare l’opportunità e la giustizia del Decreto col quale si sopprimono dal Governo italiano i conventi, e disingannare a un tempo coloro, se pur ne restano ancora di buona fede, che tenesser quei luoghi per asili di tutte le religiose virtù. Il suo scopo è quello di disvelare certi misteri, per mostrar quanto non solo tutta la gerarchia clericale sia inutile, ma anzi nociva. • “senza la reclusione monastica, tante giovanette d’ingegno peregrino si sarebbero elle vedute, sepolte in carceri inaccessibili ad ogni lume sociale, a ogni voce dell’umanità?” Enrichetta inoltre riflette sul perché tante donne comunque, pur offrendo loro la libertà, preferirebbero restare nel loro convento. Ella risponde che i confessori di quelle infelici fanno lor prima, anzi sola ed esclusiva cura del deprimerne e immiserirne gli spiriti, insinuandovi massime d’egoismo e di misantropia, che non sono certamente quelle della religione di Cristo, facendo lor vedere fuori del parlatorio la perdizione e l’abisso; La verità di cui Enrichetta è testimone è subito chiarita dalla sua affermazione icastica, che non prevede sfumature di significato -> “io cito date, luoghi, persone. Ognuno potrà riscontrar la verità agevolmente” 1. L’INFANZIA Enrichetta nasce il 17 gennaio 1821 -> “poche settimane prima che l’Italia e la Grecia, questi due emisferi dell’antica civiltà, rialzassero la fronte ai desideri d’indipendenza” La sua vita si sviluppa tra Napoli, nei primi tre anni di vita, e Bari, dove suo padre viene chiamato a ricoprire il suo nuovo incarico da maresciallo. Dopo 4 anni trascorsi a Bari, Enrichetta informa il lettore che il padre fu richiamato a Napoli -> costui, senza saperne la ragione, venne dall’ingiusto governo passato alla quarta classe; né senza fatica finalmente giunse a penetrare d’esser stato incolpato di non so quale fatto politico. L’autrice inoltre ricorda quanto fosse numerosa la sua famiglia -> il soldo della quarta classe non poteva appena bastarle ai più urgenti bisogni del vivere. Dopo tre anni di disagio e sacrificio, il padre della protagonista viene riabilitato e ripristinato alla prima classe -> il suo lavoro lo costringe a trasferirsi nuovamente per il comando, questa volta, di Reggio Calabria -> il giorno della partenza è fissato per il 15 ottobre 1827 -> precisione puntuale, come veniva anticipato dell’apostrofe, alle date e alle tappe quindi di un intero disegno di vita. 2. I PRIMI AMORI Nei primi 8 anni trascorsi a Reggio, le prime tre sorelle di Enrichetta si sposano (siamo dunque nel 1835, Enrichetta ha soli 14 anni); l’altra sola maggiore sorella scompare prematuramente “Disgraziatamente (se l’amor può chiamarsi disgrazia), allo sviluppo del corpo concorse precoce pur quello del cuore” L’educazione ferrea ricevuta in famiglia, ammette Enrichetta, le proibiva di trattenersi troppo a lungo sul verone (tempo in cui si poteva godere del pubblico passeggio) -> la benché minima trasgressione era punita con severo castigo. Ma chi non sa quanto ribelli a’ castighi siano le aspirazioni del cuore a quattordici anni? Enrichetta si innamora di un tale Carlo, che sa da una sua domestica, essere il primogenito di una famiglia, non molto ricca, ma sufficientemente agiata. “Io passava dall’impersonalità della fanciullezza alla coscienza dell’espansiva individualità” Una domenica mattina tuttavia la protagonista viene colta dalla governante intenta in un “discorso aereo e silenzioso” con Carlo, ma subito informa la • “tradirlo? Or che mi rendeva l’amor suo, qual altra fortuna poteva io desiderare?” 4. IL LUTTO La notte tra la domenica e il lunedì prima della partenza di Domenico -> terremoto; durante questo evento, il giovane chiede al padre la mano di Enrichetta. Il terremoto sconvolge l’esistenza della famiglia Caracciolo -> “mio padre, ormai settuagenario, e pregiudicato inoltre nella salute dal lungo disagio, accusava un malessere generale” “Io amava, adorava questo padre con tenerezza non comune: l’amava più della madre, e non senza ragione” La sera del 21 settembre, mentre Enrichetta suonava il pianoforte per lui, egli fu colto da un malore, e si disse in procinto di morire. Dopo una settimana di convalescenza, i medici informarono la famiglia che non vi era più speranza per lui. 5. IL CHIOSTRO “Intanto col padre noi avevamo veduto venir meno ogni mezzo” Il 29 settembre la protagonista, Giuseppina e la madre tornano a Napoli -> “questa domenica catastrofe mi riuniva inaspettatamente a Domenico” “Dopo la morte del padre il pensiero mio ricorreva a Domenico, siccome ad un’ancora di speranza. Egli ci vide, e credette di sognare” “Eravamo già alla metà di novembre, e gli sponsali non potevano aver luogo prima del seguente gennaio” Tuttavia, il padre di Domenico si rifiutava di sostenere economicamente il figlio nel matrimonio con Enrichetta, e inoltre lo intimava di fare quanto prima rientro a Reggio. “Ahimè! Ci disgiungeva il destino per la seconda volta! Quando l’avrei riveduto?” Molti sono i parenti che fanno visita alla vedova Caracciolo e alle figlie, tra le quali anche una zia di Enrichetta, sorella del padre -> “quella appunto della quale io portava il nome, era badessa in San Gregorio Armeno” Domenico, costretto a Reggio, sente divampare di nuovo il mostro della gelosia, e invita Enrichetta a raggiungerlo presto, altrimenti considererà i loro vuoti vani e sciolti. La madre, lette queste righe, scrisse a Domenico che appunto ogni trattativa di matrimonio era recisa. Enrichetta sperava però che un loro prossimo incontro a Reggio avrebbe scongiurato questa fine illecita alla loro relazione “Ma la mia avversa stella aveva altrimenti disposto! Io mi pasceva di splendide speranze, mentre spalancata stavami a’ piedi la voragine” Una mattina infatti Enrichetta riceve dei doni da parte della zia badessa -> “vi fa conoscere che il Capitolo è riuscito all’unanimità per l’ammissione vostra al monastero … venite dunque a ringraziare le monache, e fissare il giorno dell’entratura” Interviene la madre di Enrichetta -> “dille che la monachella le sarà condotta oggi stesso” “In tono grave, e con parole misurate, che mi risuonano tuttora all’udito come sentenza di pena capitale, disse essere stata costretta a fissare il mio ingresso nel monastero sì dalle ristrette sue finanze, sì dal mio capriccio per Domenico” “Ma dopo due mesi le amorevolezze delle monache non avranno espulso dal cuore tuo l’aborrimento pel chiostro, prometto di riprenderti meco. Per ora ritrattarmi non posso, fatto già essendo a tuo favore il Capitolo per l’ammissione” “Tuo padre non ha lasciato per te né dote né tutore:le leggi divine ed umane t’impongono l’ubbidienza, e affé di Dio, tu ubbidirai!” “Il convento non è un carcere, come il mondo generalmente suppone, ma sì orto di salute, intemerato asilo, ove le anime, superiori alle sociali vanità, od abbeverate da disinganni, rinvengono respiro non mai contaminato dall’alito funesto delle passioni né soggetto alle procelle del secolo” Enrichetta, suo malgrado, alla fine acconsente all’ordine della madre, convinta dalle sue parole che la permanenza nel monastero conterà solo un tempo di due mesi. -> “avrei preferito di morire piuttosto che entrare per spontanea volontà in un luogo dove il libro della civiltà prometteva fin dalla prefazione guarentigie* sì scarse” (*guarentigie -> La legge delle guarentigie è un provvedimento legislativo del Regno d'Italia, approvato il 13 maggio 1871, che regolò i rapporti tra Stato italiano e Santa Sede fino al 1929, quando furono conclusi i Patti Lateranensi.) Enrichetta viene costretta ad entrare in convento il 4 gennaio 1840 -> due giorni dopo il matrimonio della sorella Giuseppina. “La sera del 2 gennaio avvenne, com’era stato prestabilito, lo sposalizio di Giuseppina: l’accompagnai piangendo (inseparabili sono le lagrime dal mio dramma!). Essa andava nelle braccia di un uomo che amava: io misera mi allontanava per sempre e da lei e da ogni altro essere diletto” 6. L’ABBANDONO Enrichetta rievoca in queste pagine la storia del monastero di san Gregorio Armeno. • “la novità del luogo, delle persone, degli oggetti, dei costumi, mi divagò un poco. Era quello un mondo nuovo a me del tutto sconosciuto” Ella venendo a contatto con le altre monache, inizia a sondarne il terreno • “strana infatti mi sembrò la gelosia tra donne, stranissimo e volgare il pettegolezzo della monarca Paolina, pestifera la discordia in una casa ermeticamente chiusa e non beneficata dagli influssi della rimanente umanità” • “immersa nel sentimento dell’abbandono, in cui slanciata mi aveva una dura fatalità” -> la madre di Enrichetta promette di tornare dopo aver assistito alla messa, ma la portinaia la avverte della sua partenza alla volta di Reggio. Enrichetta in preda alle convulsioni, sviene. Al suo risveglio nota tutte le donne intorno a lei -> “tutte intente a pascere l’ozio, la curiosità, l’apatia, Enrichetta inoltre riflette su quanto, in tempi antichi, la classe clericale di queste fanciulle non fosse così torbida, anzi -> essendo loro non costrette a vivere in esilio rispetto alla mondanità e alla socialità dell’ambiente cittadino, le loro attività nel monastero apparivano ben più ligie, ispirate comunque da virtù innata. Poi, secondo la protagonista -> “le seduzioni d’amore (vizi del potere) ed in seguito la corruzione, s’impadronirono dello spirito di una folla di giovani beltà, delle quali l’anima pura e senza macchia non era stata fino allora accessibile che all’amicizia ed a tutti i sentimenti che ispira la virtù” “Cento volte un padre inumano, capriccioso, avaro, assistito dell’autorità del nunzio o del vescovo, gettò in un convento la figlia, della quale la situazione gli dava imbarazzo” Il discorso interiore continua così “Era allora la condizione della donna forse peggiore che non è in Turchia oggi” Vedi la citazione completa a pag. 66 -> non-ruolo delle donne nell’accettazione delle volontà altrui che gravano sulla libertà individuale e sulla rispettabilità sociale. Domanda della protagonista: “Qual è lo speciale connotato, il tratto caratteristico, che distingue il convento di donne dal convento di uomini?” • LA CONFESSIONE “Con l’andar del tempo la confessione è diventata per esse la condizione sine qua non della loro esistenza” Il confessore infatti è una persona fidata, di elezione, che dirige la vita delle monache in tutte le operazioni del vivere. A lui vengono confidati i pensieri, i progetti, essendo egli l’unico amico, unico sfogo, unico intermediario tra il cielo, il mondo e il chiostro che ad una monaca sia lecito possedere Qui la protagonista sta riflettendo su quanto la coercizione delle giovani donne all’interno di questo sistema sia de-materializzante -> loro vivono del rapporto con il loro confessore in compenso della loro solitudine (qui vedi appunti 21 marzo) “La mia perseveranza nel dichiarare di non volermi monacare irritava le religiose tutte; esse concordi in questo disegno, davano la colpa al mio confessore, che, a loro dire, non sapeva persuadermi ad abbracciare la vita caustrale” La colpa viene attribuita al confessore, non alla volontà pura e semplice della soggetta in questione -> questa è la coercizione psicologica di cui Storini ci parla. Quella delle consorelle, per Enrichetta, è zotica superstizione, che anzi alimenta il suo disappunto e la sua distanza -> avversione insormontabile Alla domanda del reverendo sul motivo per cui Enrichetta non intende farsi monaca, egli argomenta dicendo che coll’andar del tempo si sarebbe abituata a questa dolce prigionia tanto da non potersene più separare. La protagonista risponde che le Sacre Scritture definiscono colui che si compiace della solitudine, è Dio stesso oppure un bruto. -> smacco a questo non-consorzio umano. Ella dichiara “amo il mondo e mi compiaccio nella società dei miei simili” Vi è poi il ricordo di una “lite” con una conversa, tale Maddalena, la quale era gelosa di Enrichetta per averle sottratto il confessore da lei prediletto -> scene e costumi da titolo del capitolo. Enrichetta è sempre molto ironica quando riporta alla mente questi ricordi, tanto da paragonare le monache in gruppo alle streghe del Macbeth; oppure a considerare l’intervento dell’autorità papale come conclusione di questa singolare commedia. Infatti ella ci parla anche di una frenetica passione delle monache per i preti e per i monaci. Enrichetta stessa diviene bersaglio di numerosi pseudo-corteggiamenti da parte di un prete, il quale le dice che non c’è modo migliore di amare Dio se non quello di ricambiare l’amore e l’adorazione di un vero uomo, capace e degno. Enrichetta risponde che preferirebbe a quel punto un uomo del mondo, e non un prete. La risposta del sacerdote è chiarissima “amare un uomo del mondo? Un profano, un empio, un miscredente, un infedele! Ma tu andresti inevitabilmente all’inferno, l’amore del sacerdote è amore sacro. Inoltre la fede del profano è menzognera, quanto è falsa la vanità del secolo. 9. IL CAMPANELLO 21 Marzo -> Enrichetta prende il proprio abito da educanda “gli argomenti del confessore non riuscivano a dissuadermi dal disegno di lasciare il convento, lungi dall’ispirarmi affetto per la vita monastica, non facevano che aggiungere fastidio alla mia naturale ripugnanza per quello stato” Nel mese di giugno Enichetta riceve dalla madre una lettera in cui le comunica che una cara amica era in procinto di partire da Napoli proprio verso la Sicilia, e che sarebbe stato poi da lì compito proprio della mamma recuperarla per portarla a Reggio -> Qui l’autrice cita due noti versi della Divina Commedia (riferendosi al suicidio di Catone -> Purgatorio I) “libertà vo cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta” la protagonista ci dice che da quel momento in poi, le sue consorelle cercarono sempre di dissuaderla, raccontandole anche assurde storielle intorno a persone cadute nella dannazione per non aver dato ascolto alla voce del Signore che le chiamava al chiostro; -> accusavano il suo come un tradimento peccaminoso Nonostante molte notti turbate da strane figure (influenza psicologica delle altre suore sulla coscienza di Enrichetta -> spesso cercavano di intimorirla minacciandola di poter poi essere vittima di demoni, spettri e sante reliquie per essere fuggita) Enrichetta riesce finalmente ad uscire dal suo chiostro; Tuttavia due sorelle la informano dell’imminente secondo matrimonio della madre, per il quale se ella fosse andata a Reggio, sarebbe stata costretta piuttosto a trasferirsi da un monastero della capitale ad uno della provincia. “un carcere a destra, uno a sinistra, e d’ogni intorno l’abbandono e la desolazione” Un lontano parente allora consiglia ad Enrichetta di tornare nel chiostro napoletano, almeno finché le acque con la madre e con le altre sorelle non si fossero calmate, ma le monache avrebbero accolto il ritorno della giovane solo se quest’ultima si fosse dichiarata pronta a prendere i voti, non dunque per tornare provvisoriamente. Enrichetta, prigioniera delle altrui volontà e necessità -> prende i voti. La protagonista stessa riconosce di aver preso questa decisione per una pura occorrenza di circostanze • “Il dado era tratto… fatale! Sì!” • “per vincolarmi nei lacci dov’era incappata, in modo da non potermene più disimpegnare, i preti e le suore strombazzarono il prodigio di san Benedetto e l’atto della mia conversione con ogni mezzo possibile di pubblicità. Enrichetta infatti intende denunciare l’egoismo e il calcolo narcisistico che impera in questi luoghi. “non rifinirei mai se volessi qui raccontare tutti i tratti d’inumanità che all’insaputa delle leggi dentro i recinti del chiostro impunemente si commettono” 12. LA POVERTA’ E L’UMILTA’ “Disprezzo per quell’isolamento, generato dall’orgoglio e dall’egoismo, che, schivando la vita attiva, ripone i destini del genere umano nella contemplazione, nell’apatia, nella penitenza; si pasce di fantasime, e lungi dallo spegnere le passioni, fomenta la più vile di tutte, un orgoglio tirannico e indomabile” Enrichetta qui riporta un parere del filosofo Herder, il quale aggiunge anche che questa fanatica eloquenza ha solo deturpato la ragione umana • L’autrice riflette su una parola inglese -> PRIESTCRAFT, ovvero frode pretesca. Questo a dimostrare che il clero è dappertutto infetto dallo stesso vizio • L’italiano invece ha un’altra singolare analogia -> applica la stessa denominazione al negoziante e al monaco; hanno entrambi una professione Enrichetta quindi (pag. 108) inizia ad elencare tutti i paradossi e le finte proibizioni che tutti i giorni nota proprio in questo mondo • Rare come le mosche bianche sono le monache, le quali non facciano insolente ostentazione dei loro nobili progenitori -> nelle loro contese vengono sempre a discussione di chi è più nobile dell’altra. 13. LE PAZZE Questa è la considerazione che Enrichetta adduce all’inizio del capitolo : “La privazione della libertà, l’uniformità del vivere, la monotonia delle impressioni, la scarsissima educazione ricevuta, fanno sì che la terza parte di loro o siano matte del tutto, o fissate almeno su di qualche cosa” Questo stato di prigionia contemplativa infatti cozza con il bisogno di mantenere le mentali e corporee facoltà in attività permanente Questo perché il monastero è, ancora una volta e non meno efficacemente, definito una tomba di vive (riadattando la citazione quasi letteralmente a quella di Leopardi in riferimento a Recanati) Enrichetta stessa vive in stretta vicinanza con una suora, tale Angiola Maria, che sembra aver perso il senno -> all’inizio pochi credevano davvero che tale fanciulla fosse impazzita, anzi molte consorelle e superiori sorvolavano e stentavano ad intervenire. Enrichetta è costretta, dal voto di ubbidienza, ad accompagnare e seguire questa monaca, che per lei sembrava nutrire particolare fantasia, finché dopo aver tentato il suicidio ed essere stata visitata da un medico, Angiola Maria viene fatta rinchiudere in manicomio, dove muore sola a causa dei tanti dolori successivi alla “terapia” -> camicia di forza. Il commento di Enrichetta -> “intanto questo incidente aveva aumentato il mio aborrimento pel monastero. Ormai conosceva appieno l’egoismo delle monache: per uscire da quella bolgia soffocante, avrei ben immaginato qualche mezzo idoneo, ma qual dolore non avrei recato alla zia!” Un altro evento ancora interessa la vita di Enrichetta -> dopo Maria Angiola, un’altra conversa le venne affidata, Concetta, anche lei turbata tanto dallo stato di reclusione fino a rifuggire qualsiasi circostanza di compagnia, intenta sempre a piangere da sola e a vaneggiare sulla libertà delle vie napoletane. Avvertita dunque la badessa dello stato di Concetta, non solo compagna ma anche compaesana di Maria Angiola, la superiora rispose ad Enrichetta • “sai, mo, che tu sei l’uccello del malaugurio?” -> “mi tacqui poi; né più parlai sul conto di Concetta” • “la balorda badessa ristringevasi a rimetter l’inferma sotto la protezione della miracolosa Vergine dell’Idria, superiore patrona del convento” Ad un’altra confessione di sincera preoccupazione, giunta da un’anziana monaca compagna di camera di Concetta, nell’averla vista con un fazzoletto alla gola pronta a soffocarsi, la risposta della badessa è “stasera alle litanie farò dire quaranta volte ora pro ea” Un giorno Concetta viene trovata da Enrichetta straziata a terra, con la gamba grondante di sangue -> dopo aver a lungo urlato per essere accompagnata nei soccorsi, cui nessuno rispose, si avvicinò ben presto il prete che però Concetta, con un gesto della mano, scaccia via. Egli, turbato e visibilmente a disagio, si rifugia in monastero. Sopravvennero a visionare il caso anche un ispettore di polizia e un cancelliere, i quali avevano ricevuto l’ordine di entrare nel chiostro perché era arrivata voce che addirittura Concetta fosse stata spinta dal secondo piano, e che per questo reato la colpa era stata fatta ricadere su V.S.R. Dopo l’interrogatorio, Concetta ammise di essersi volontariamente lasciata cadere proprio con l’intento di togliersi la vita. Le domande di Enrichetta allora giungono spontanee -> “ma tutto il peso di questa catastrofe non gravava sulla coscienza della badessa? Nel mentale turbamento che da più mesi travagliava quella misera, non era dover suo di farla assiduamente sorvegliare?” Concetta a lungo andare peggiorò, non solo fisicamente ma anche psicologicamente, infatti le converse convinsero la badessa ad attuarle un esorcismo, che però non ebbe effetto. Enrichetta alla fine ci racconta come la giovane Concetta abbia esalato il suo ultimo respiro, non senza la tipica ironia della sua scrittura -> le monache infatti durante l’esorcismo erano spaventate ma anche curiose di vedere l’anima del demonio fuoriuscire dal corpo di Concetta, ma Enrichetta ci dice che non avrebbero visto uscire proprio nulla, non essendosi compiuto ancora il nono mese. 14. LE LADRE Il vizio e la malvagità più di leggieri trovano rifugio nelle piccole e nelle grandi riunioni di gente. L’egoismo alberga nella parte, non già nel tutto dell’umanità; il monastero contiene in sé tutti i vizi della città, senza averne le virtù e i vantaggi -> la congregazione monastica assume le forme d’una tollerata camorra. Dopo diversi racconti di vari misfatti avvenuti durante il periodo in monastero di Enrichetta, la protagonista riflette proprio sulla natura del vizio -> basta rammentare che sotto il passato governo il furto e la camorra trasudavano, per così dire, copiosamente da tutti i pori della napoletana società 15. I CHIERICI Enrichetta si esprime così in merito a quella che per lei era la doppia natura di ogni metropoli, che anche nel monastero esisteva, e coincideva con la chiesa - > in quest’ultima venivano a sommarsi tra di loro due funzioni tipiche del Foro, quella del sacro ministro e quella dell’attore drammatico • “Mi disgustava la loro ipocrita e simulata bacchettoneria: quel volere ostentare delle virtù ed un candore che non avevano; mi disgustava la persecuzione che movevano a qualcuna delle loro compagne, se per caso stranissimo avesse questa concepito simpatia per un uomo che non fosse sacerdote od avviato al sacerdozio.” La protagonista inoltre ammette di non aver mai sentito alcun interesse nei confronti dei chierici, dei preti o dei confessori, ma di essere invece stata tanto altro che per riconquistare un bene supremo, al cui godimento ho rinunziato per inesperienza, per debolezza, per forza d’avverso destino” Enrichetta allora è risoluta nell’ottenere il definitivo scioglimento dei voti, per il quale bisognava aspettare il quinto anno di professione, provare la violenza morale dell’atto di monacazione, aspettare che la causa prima accettata da Napoli potesse passare a Roma, con un dispendio di denaro non modesto e con ben poche possibilità di successo. “In luogo di quelle illusioni, che di mano in mano svanivano in sul nascere, andava per me spuntando un diverso, e più chiaro lume di salvezza. Ridesto nel sepolcro, ove chiuso da già ventisett’anni giacevasi, il genio dell’italica libertà scuoteva dal crine la polvere della tomba, e riprendeva più bella e più forte l’antica sua via” Qui Enrichetta riprende il filo conduttore topico della sua narrazione -> l’analogia sussistente tra la sua condizione e quella dell’Italia, infatti il capitolo successivo sarà quello di svolta nelle Memorie di questa Vita. 18. IL 1848 Sabbatucci – Vidotto così scrivono sulle rivoluzioni del ’48 : I moti della “primavera dei popoli” si collegano a quelli del ’20-’21 -> simile fu il contenuto dominante delle insurrezioni -> la richiesta di libertà politiche e di democrazia -> spinta verso l’emancipazione nazionale. Cominciarono così con grandi dimostrazioni popolari nelle capitali, sfociate poi in scontri armati. Quelli del ’48 furono moti particolarmente significativi per il massiccio intervento delle classi popolari -> emergere di obiettivi sociali accanto a quelli politici. Furono gli artigiani e gli operai a svolgere il ruolo principale nelle sommosse. Infatti il 48 è stato spesso considerato l’anno ufficiale di nascita del movimento operaio. Ciò che l’Italia richiedeva era la concessione di costituzioni o statuti fondate sul sistema rappresentativo. La prima sollevazione fu quella di Palermo del 12 gennaio -> Ferdinando II di Borbone, il più retrogrado di tutti i regnanti della penisola, fu costretto ad annunciare, il 29 gennaio, la concessione di una costituzione nel regno della due Sicilie. Un moto così ampio, comunque, esploso quasi simultaneamente in paesi molto diversi tra loro per assetto politico e condizioni sociali, non sarebbe stato possibile se non fosse stato favorito da alcuni fattori comuni, presenti nell’intera società europea -> situazione economica ed inquietudine sociale. Enrichetta così apre infatti questo importante capitolo : “ fin dagli ultimi mesi dell’anno 1847 l’orizzonte d’Italia prendeva un aspetto minaccioso, che presagiva imminente ed inevitabile una crisi” “benché dal mondo dei vivi segregata, pure io m’informava di tutto dai parenti, ed il menomo sintomo di mutazione, il menomo movimento popolare mi faceva balzare il cuore” “innalzavo taciti voti all’Onnipossente per la caduta della tirannide e pel trionfo della nazione alla quale io mi gloriavo di appartenere” Una sera, Enrichetta così si rivolge alla conversa: “seguimi, Giuseppa, in Lombardia, o nella Venezia, là dove pugnano i forti per la libertà de’ deboli, dove siamo chiamate pur noi dal dovere di madri, di sorelle, di cittadine; anzi che marcire nel servizio di queste nemiche d’ogni bene altrui, non preferiresti di far da infermiera, da farmacista, da panettiera a’ prodi che vanno ad immolarsi per il miglioramento di tutti?” -> “La figlia del popolano e la figlia del signore formarono una sola persona” Enrichetta comunque sapeva che la Costituzione emanata dal Re, non prometteva in materia religiosa significativi cambiamenti -> né alcuna cosa ond’io potessi sperare di vedere prossimamente soppresse quelle bolgie d’inferno, obbrobbio del nostro secolo, che si chiamano CHIOSTRI. Ella nutriva molta fiducia anche nello stesso Papa Pio IX -> non solo per sua incline aspirazione al concetto di Libertà, ma anche perché correndo determinati tempi, sarebbe stato giusto avanzare qualche riforma proprio adesso. Allora Enrichetta è decisa a scrivere una nuova istanza, da consegnare direttamente al Pontefice -> ella qui dimostra di conoscere molto bene l’arte della retorica, la tecnica del linguaggio applicabile ad ogni situazione, per conseguire con efficacia il raggiungimento di un certo obiettivo -> “deposto però il tuono supplichevole, feci uso questa volta di concetti robusti, quali convenivano a’ tempi” -> “conchiudeva, che se si volesse persistere a negarmi l’impetrata giustizia, io, intrepida davanti a qualsiasi rischio, avrei finalmente usato della libera stampa, e di più lingue, per notificare al mondo intero l’enormità del mio sacrificio” Enrichetta poi ci racconta il COLPO DI STATO DI NAPOLI DEL 15 MAGGIO DEL ’48: Da wikipedia -> Alla vigilia del 15 maggio, i deputati liberali napoletani più intransigenti, del neo eletto parlamento napoletano, insistettero nella richiesta a Re Ferdinando di modificare parte della Costituzione su cui avrebbe dovuto giurare. Nella notte fra il 14 e 15 maggio, mentre i deputati tentavano le ultime negoziazioni col Re, iniziarono a sorgere delle barricate una delle quali in via Toledo, fu eretta davanti a Palazzo Cirella e altre erette nelle vie laterali. Lo stesso giorno Ferdinando sciolse il Parlamento e la guardia nazionale, nomino' un nuovo governo, proclamo' lo stato d'assedio. La feroce repressione causò circa 500 morti. Enrichetta commenta così dopo aver sentito notevoli spari -> “Non c’era più da dubitare: la sorte pendeva a favore del dispotismo” “intanto il mio stato non era immune da ogni pericolo: tutto lasciava presagire che sarei stata pur io compresa nel libro nero della polizia” • “in questo frangente, volle Iddio tenermi la mano. Un cappuccino, proveniente da Roma, dicevasi incaricato da Sua Beatitudine di consegnarmi un Breve d’uscita, e in pari tempo d’esortarmi alla pazienza, essendo stata reputata equivoca dalla Santa Sede la mia condizione monastica” Enrichetta infatti riesce a convincere il Papa della singolarità del suo caso, tuttavia Pio IX stabilisce per lei, e per non scontentare nemmeno il cardinale Riario, di trovare una soluzione di compromesso -> ella avrebbe potuto lasciare il chiostro, ma non per tornare nella casa della madre. Avrebbe dovuto invece sistemarsi in un conservatorio. Il cardinale Riario ovviamente si oppose a questa decisione, e cercò in tutti i modi di isolare Enrichetta, impedendole l’accesso a qualsiasi conservatorio, se non quello di Costantinopoli, nel quale la seguì anche la fedele conversa Maria Giuseppa. La mattina del 28 gennaio 1849 due carrozze si fermarono fuori della porteria: in una stava mia madre, nell’altra il vicario. Dopo nove anni di angosce crudeli, rivarcava alfine quella soglia, che aveva creduto non dover più oltrepassare. Alla fine Enrichetta cita dei versi del I canto dell’Inferno “E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata, “così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva” 19. CONSERVATORIO DI COSTANTINOPOLI “credetti di primo tratto d’essere, per non so quale prodigio, risalita dal regno delle ombre al mondo de’ vivi” Giuseppa venisse interrogata ma che non proseguisse il viaggio con la Caracciolo. “le scale erano tutte gremite di birri, e più di cento persone eransi radunate fuori del portone per godere dello spettacolo” 22. IL RITIRO A MONDRAGONE Enrichetta ormai da un anno e mezzo non era più avvezza all’azione venefica e struggitrice dell’isolamento. “io era donna! Troppo propenso il mondo al sospetto e alla maldicenza, come avrebbe giudicato il mio repentino confinamento in un ritiro, la cui reputazione equivoca poteva somministrare facile appiglio alla calunnia?” Inoltre ad Enrichetta viene proibita la lettura e la scrittura, a patto che le lettere ai parenti vengano prima ispezionate, e così le relative risposte. “quanto più mi sforzava di riafferrare il timone della ragione che di mano mi sfuggiva, tanto m’avvedeva ch’io non ne era più padrona come prima” “il regio revisore aveva adocchiato i miei bauli, e mirava ai libri, ch’erano, a suo credere, ben più pericolosi dell’arsenico, e mettevano in pericolo cosa più preziosa della mia vita” Enrichetta comunque nel ricovero di Mondragone rifiuta ogni tipo di alimento, ferma della sua decisione di lasciarsi morire piuttosto che sopravvivere ancora a quella prigionia -> ella sentiva fuor di sé anche ogni tipo di facoltà mentale, iniziava infatti a credersi pazza, privata della libertà, dunque anche della ragione. Tuttavia, con un abile sotterfugio, Enrichetta riesce a spedire segretamente un biglietto alla madre senza incorrere nella censura delle monache, e dalla risposta capisce che nemiche alla sua libertà erano sia le autorità civili che quelle ecclesiastiche -> non più un solo, ma due poteri locali mi tenevano dietro: la polizia e l’arcivescovado A dire il vero, i sospetti della polizia borbonica non erano ingiusti -> io ho mirato alla reintegrazione della libertà nella terra nativa, prima ancora che la storia romana e gli annali delle nostre repubbliche mi avessero ammaestrato sui destini di essa. I libri, i giornali, il consorzio degli uomini fecero divampare nell’animo mio quel fuoco sacro dell’amor patrio. • “SE TUTTE LE DONNE PENSASSERO E SENTISSERO A MODO MIO, NEPPURE UNA SOLA OSTE BARBARICA SAREBBE MAI CALATA IN ITALIA, OD ALMENO L’ITALIA AVREBBE DA LUNGO TEMPO FINITA COLL’OPERA DEVASTATRICE DEI TIRANNI” Tre sono gli elementi che Enrichetta sente pulsare dentro di sé, i quali non possono sottostare all’egoismo della “curia” • Ragione • Cuore • Volontà “che vale l’esistenza se è cieca di libertà e di coscienza?” Totalmente fuori di sé, Enrichetta custodiva segretamente in un baule un pugnale, con cui, una sera, in preda alla disperazione, decide di ferirsi -> ella prima aveva scritto una lettera alla madre, in cui pregava di perdonarla, e poi si rivolge allo stesso lettore, per ricevere da lui compassione, o quanto meno comprensione per i suoi dolori e le sue follie. “oh, tu che leggi, non mi condannare! Compiangimi!” Ella tuttavia, per mancanza di forze, non riesce ad infliggersi un colpo fatale -> “non era scritto che dovessi morire, in un accesso di demenza, omicida di me medesima! Vissi, piansi, patii ancora” Non potendosi confortare d’altro, essendo costretta al più fiscale isolamento, Enrichetta rivolge le sue attenzioni alle letture delle Vite delle sante e delle martiri “col sacrificio della giovinezza, della beltà, degli averi, e della stessa esistenza, colla pratica d’ogni virtù seppe ancora eclissare e modestia di gerarchi, e dottrine di scuola, ed elucubrazioni di teologi” • “Devozione della donna alla riforma della società, al rinnovamento del genere umano” Secondo Enrichetta una giovane donna dovrebbe istruirsi sui modelli di Epaminonda e Scipione, celebrati nelle pagine di Plutarco -> ruolo degli EXEMPLA “Invece di scrivere romanzi che con effimere commozioni mi snervano il cuore, che con effeminati affetti mi sbaldanziscono l’animo, m’isteriliscono le aspirazioni, provatevi piuttosto a ritemprarmi, se potete, il cuore a fecondi concetti, a sentimenti virili! Ecco come mi alzerete dall’inerzia in cui giaccio, ecco come mi preparerete a secondarvi nella grande opera dell’INCIVILIMENTO!” Intanto Enrichetta intrattiene un discorso con il prete superiore, visto il suo divieto infranto di clausura. Grazie al carteggio clandestino con la madre, infatti, Enrichetta riesce a raccontare la sua storia ad un nunzio apostolico, infrangendo però il suo arresto e il suo stato di clausura. Alla domanda del prete in merito alla fede di Enrichetta, ella così risponde “Se quello che voi chiamate cattolicismo in mano al papa, ai cardinali, ad altri vescovi e preti non dovesse essere altro che un mezzo d’industria, una macchina d’ignoranza e di servaggio, per fermo, io non sarei cattolica!” Ella ammette anzi di essere “cristiana, e ci guadagnerei un tanto” -> “sarò cristiana di quel rito che favorirà la civiltà, il benessere, la libertà de’ popoli. Ecco la fede mia, che pur sarà la fede dell’avvenire” La risposta del prete -> “signora priora, vi raccomando di badare bene che il contagio di tali opinioni sataniche non infetti le giovanette innocenti del ritiro” • “qualche anno ancora e queste giovinette avranno scoperto e detesteranno le vostre imposture al par di me” Enrichetta poi rivolge un’apostrofe al lettore, subito dopo aver raccontato di aver teso un tranello all’inquisitore della sua biancheria, sospettoso della corrispondenza segreta tra la giovane e sua madre • “chiedo grazia al lettore di questa scappata: voleva quasi toglierla; ma le Memorie, non sono, siccome la storia, obbligate a sopprimere il lato comico” Enrichetta comunque non si perde d’animo e decide di scrivere nuovamente un’istanza per Roma, nella quale due erano le alternative che richiedeva -> o la secolarizzazione, oppure il permesso di recarsi personalmente a Roma per far sentire le sue ragioni al Pontefice. La risposta arrivò dopo mesi -> il permesso di ricevimento a Roma non venne accordato, e neppure la proposta di secolarizzazione -> tuttavia condiscendeva a permettere che fosse per l’avvenire dispensata dalla clausura Così Enrichetta inizia a pensare ad una fuga, meta l’Inghilterra oppure l’America (preferendo, in cuor suo, la meta che custodiva le spoglie di Foscolo) -> ma il suo confessore le consiglia piuttosto di far intercedere un suo parente proprio a Roma, così da poter portare comunque la sua causa. Enrichetta allora decide di affidare l’incarico ad una zia materna, la quale avrebbe portato a Roma anche il certificato del medico di Mondragone -> certificato che Enrichetta decide di riportare, per onor del vero nei confronti del lettore. 23. UN BREVE RESPIRO Miratela, essa si alza e pietosa sorride al genere umano; dice alla Grecia “io sono tua figlia!”, dice alla Francia “io sono tua madre!” L’unità che d’un sol lampo rischiara quella magnifica pleiade di città sorelle. Il crocifero vessillo di Savoia, emblema d’indipendenza e di unità, inaugurava il regno della coscienza nazionale, inalberato su tutte quasi le vette della penisola. Enrichetta scrive poi di riportare nelle successive pagine di queste Memorie un manoscritto di sua conoscenza che esprime con mirabile fedeltà i sentimenti del popolo di Napoli e di Sicilia nel momento in cui il rampollo de’ Ferdinandi imbarcavasi alla volta di Gaeta -> l’autrice aggiunge di far cosa buona al lettore, perché il merito ne compenserà la lunghezza. Poi Enrichetta ricorda -> “il 7 settembre è una di quelle date memorande, citando le quali non sarà necessario aggiungere il millesimo” I prodi della Grecia eroica salivano semidei nel cielo: quei de’ tempi moderni ebbero statue; ma nessun eroe antico o moderno ebbe in vita tanti baci cordiali dal popolo, quanti Garibaldi n’ebbe in un solo giorno. Enrichetta ringrazia allora il Cielo e Dio di tre cose 1. D’avermi salvata due volte dalla mia propria disperazione 2. D’avermi sottratta dal despotismo de’ preti e dalla persecuzione delle spie; 3. D’avermi fatta spettatrice d’una fra le più grandi e commoventi scene della palingenesia cristiana. Il dramma è giunto al termine -> la mia storia finisce in questo giorno, che per l’Italia è giorno di nuova creazione. Il nome di cittadina, che dato a tutti non contiene comunemente alcuna distinzione, divenne per me il titolo più proprio; perciò se qualcuno da allora in poi mi ha chiamato per abitudine Suore o Canonichessa, io l’ho interrotto dicendo: chiamatemi Cittadina, e se volete aggiungere una distinzione dite: quella cittadina che provocò e promosse il Plebiscito delle donne in Napoli. In seguito Enrichetta racconta brevemente (non a caso) quello che è l’insorgere dell’amicizia, della stima con un patriota italiano, che diverrà suo marito, nonostante la Chiesa non acconsentisse alla loro unione. “ed eccomi, finalmente felice” “perché, compiendo gli offici di buona moglie, di buona madre, di buona cittadina, perché pur io non potrò aspirare a tesori della Divina Misericordia?”
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