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I poveri e l'assistenza a Brescia nel XVI e XVII secolo, Appunti di Storia Moderna

La situazione dei poveri e l'assistenza a Brescia nel XVI e XVII secolo, compresi i monti di pietà, gli ospedali e le case di cura, nonché le difficoltà economiche e le tensioni politiche che influenzarono queste istituzioni. Vengono inoltre menzionate le confraternite e la loro funzione di assistenza ai poveri.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 07/08/2018

simo-9825
simo-9825 🇮🇹

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Scarica I poveri e l'assistenza a Brescia nel XVI e XVII secolo e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! I poveri della città Nel 1527 il consiglio imponeva una taglia su tutti gli estimati, il cui ricavato sarebbe stato distribuito ai poveri. La primavera era stata inclemente e la raccolta dei cereali ne aveva risentito; 2 cittadini per ogni squadra urbana avevano il compito di fare degli elenchi riguardanti i bisogni di buona fama e impossibilità di mantenere la famiglia, escludendo gli stranieri giunti in città da meno di un lustro. I popolani esclusi scontenti si rivolsero alla Serenissima, accusando i governanti locali e allo stesso tempo un’assemblea irritata scaricava la colpa della carenza sui rettori. Calmate le recriminazioni politiche scattarono una serie d’interventi, come la distribuzione di denaro, anche se la situazione era ancora difficile. Anche per il 1528 il raccolto fu insufficiente e insieme alla situazione sanitaria complicò la situazione. Al consiglio non restò che rivolgersi all’Ospedale Grande; per la prima volta in età moderna vi fu una crisi di sussistenza tale da proiettare i suoi effetti sugli equilibri sociali. Le azioni operative non si discostarono dall’intervento per gli operai a scapito dei forestiere che non erano in città da più di un anno. Da 10 anni dopo il 1539 per la città vagavano circa 14mila mendicanti. Questo dimostra che le urgenze della fame risultano insensibili alle norme istituzionali. Nella seconda metà del 1447 vi erano solo alcuni piccoli ospedali nel bresciano, ma la città ne era ben fornita e volti ad assistere frange diversificate della popolazione. L’usura cattolica ed ebraica costituiva un elemento di pesante condizionamento per le attività economiche, cosi l’associazione dei Monti di Pietà costituì un’adeguata risposta alle convinzioni economiche del tempo. Ai Monti di Pietà venivano dati dei prestiti ai poveri ma non ai vagabondi. La società d’antico regime creò un insieme di articolazioni che avevano il loro asse portante nel tessuto confraternale. Ricordarsi dei poveri venne fatto attraverso l’uso dei lasciti per alleviare i loro disagi. Questi lasciti venivano dati alla varie confraternite o ai poveri. Nel corso del tempo questi lasciti avevano garantito l’adempimento alla funzione liturgica e alla carità. Capitolo primo il sistema ospedaliero 1. La modalità d’intervento Nella relazione di fine mandato (aprile 1562) il podestà Paolo Correr, parlava dell’esistenza in città di 6 ospedali, descrivendone 3, della Misericordia, degli Incurabili e dell’ospedale Grande come base per l’assistenza cittadina, mentre gli altri 3 costituirono il retaggio della tradizione medievale con scarsa disponibilità finanziaria. Era infatti un periodo di transizione per l’assistenza bresciana, infatti nel ‘400 la concentrazione ospedaliera diete una risposta politica e istituzionale per i bisogni di assistenza. La chiesa aveva un ruolo importante per la mediazione dei beni dei poveri rendendo vescovi e curia interlocutori. Molto attivi per la fusione degli ospedali erano le confraternite, che però non favorivano una laicità poiché rimanevano stabili le categorie ecclesiastiche. Determinate in quest’opera di fusione investirono in un opera caritatevole che venne apprezzata. I confratelli misero a disposizione la loro competenza di gestione trasformando l’ospedale in uno snodo di compensazione socio-economico. Così si creò l’Ospedale Grande (hospitale magnum) che venne invidiato in tutta Italia settentrionale, anche se inizialmente vi furono delle discussioni tra il Vescovo Pietro del Monte e il Consiglio cittadino e i confratelli. Inizialmente fu utilizzato come centro di ricovero per gli esposti e gli indigenti, poi per i poveri e luogo terapeutico. Cominciò appena a funzionare prima di diventare teatro di discordia cittadina. Il grande ospedale infatti voleva esser gestito dalla nobiltà cittadina; nel 1479 il consiglio maggiore operò severe verifiche contabili, ma si riservo anche l’elezione diretta degli amministratori. Le scelte relative dell’ospedale grande marcavano il successo sviluppo della struttura ospedaliera, degli organi istituzionali che reggevano le sorti espresse dai membri delle famiglie nobili, alcuni dei quali avevano un ruolo importante nella politica d’assistenza cittadina. Le norme dell’istituto testimoniano un intervento a favore della povertà più che della malattia. Agli inizi del ‘500 i confratelli, promotori di iniziative spirituali e benefiche, si proposero come supplenti per rispondere alle emergenze del “morbo giallo” comparso in Italia a fine ‘400 1 Nel marzo del 1521 il consiglio cittadino deliberò la fondazione di un ospedale degli incurabili contando soprattutto sulla generosità privata; per avviare e gestire il nuovo ospedale vennero eletti 7 deputati scelti fra i più influenti del consiglio cittadino, ma ben presto la gestione passò nelle ani dei nobili del consiglio. Nel 1548 vi fu una grande riorganizzazione degli Incurabili poiché li sarebbero state ricoverate solo le donne e i maschi al Grande ospedale. A inizi ‘500 l’attenzione si spostò anche sulle ragazze orfane garantendo loro la formazione fino ai 16 anni. Il nobile Ugoni fu una figura emblematica tra i nobili dell’assistenza. 2) Le nuove esigenze Nel 1348 il Grande ospedale decise di mantenere anche le orfane. A metà secolo il nuovo clima religioso di matrice tridentina sollecitò una particolare attenzione per il mondo delle giovani donne, così nacque il conservatorio delle Zitelle di S. Agnese, che aveva il ruolo di sostituire le famiglie. Per sostenere le ragazze venne fondato la casa del soccorso che avevo lo scopo di promuovere un percorso di riscatto esistenziale. Sempre a sostegno delle donno ci era la casa delle Convertite della Carità, che però aiutava solo le prostitute decise a vivere con estremo rigore. Nel 1532 per gli orfani era stato creato un ospedale della Misericordia gestito da una congregazione laica, che contava sulla vendita dei manufatti degli orfani per andare avanti. Tale orfanotrofio non tardò ad attirare la solidarietà bresciana anche se non gli garantiva un stabilità patrimoniale. Esso ospitava solo gli orfani di entrambi i genitori e a 20 anni gli permettevano di uscire per acquistare una buona formazione umana e professionale. L’organizzazione delle strutture recettive per questi “poveri strutturali” (infanzia e donne) non coincideva con i “poveri congiunturali” che riguardavano i poveri della crisi bresciana della sussistenza del XVI. In tale crisi si crearono le istituzioni caritative-assistenziali. Nel 1539 e il 1540 vennero poste le basi per la costituzione della casa di Dio. L’ospedale grande doveva sfamare 1700 poveri e faceva da casa anche ai senza tette, ma nel 1540 nella città vagavano moltitudini di senza dimora e quindi favorì la nascita della casa di Dio. Nel 1570 si decise di ospitare i poveri in apposite case rendendo una pura e semplice formalità la casa di Dio. Nell’estate del 1575 ancora una volta i raccolti erano stati inclementi creando così la necessità di erigere dell’elemosina da destinata ai cittadini, facendo aumentare le spese del consiglio, che arrivarono a impegnare i bene comunali. Questi furono gli ultimi interventi prima della fuga in campagna del ceto dirigente difronte alla peste. Successivamente i nobili del consiglio vennero incaricati di elaborare un testo normativo per istituzionalizzare le mendicità che era a spina nel fianco di un ceto dirigente attento ai problemi sociali. I primi decenni del nuovo istituto era caratterizzato da una mancanza di mezzi e sopperiva alle sue necessità dotandosi degli avanzi di bilancio del Monte vecchio. Si completa così un reticolo assistenziale dove spesso gli eventi si erano incaricati di trascurare le scelte operative. Nei decenni successivi la peste vi fu una rivolta borghese contro il monopolio del potere da parte della nobiltà che però vennero sedate, ma che allo stesso tempo introduce la pressione dei gruppi emergenti, in particolare per l’ascesa della toga. Tutta via tutto rimase invariato fino al crollo della Serenissima. 3) Il costo dell’assistenza Le strutture accoglievano all’incirca 1500 ricoverati. I requisiti richiesti regolavano l’accesso alle singole strutture dei livelli più bassi di orfanotrofi e casa di Dio ove vi erano più poveri fino ad arrivar alle Zitelle e Convertite dovei numeri diminuivano. Le esigenze finanziarie di un istituto come l’ospedale grande risultavano rilevanti soprattutto per le spese farmaceutiche, che diventavano sempre più gravose anche per gli Incurabili che tra i 2 era quello meno dotato. Gli scontri per le eccessive onerosità per gli ospedali non osarono placarsi accentuando così il problema sociale. Particolarmente grave era la situazione fuori dalle mura cittadine, tanto che la Valcamonica chiese aiuto all’ospedale grande per l’accoglienza di alcuni ricoverati dando vita ad un patto di solidarietà. Per tutto il corso del ‘600 le condizioni dell’ospedale rimasero precarie, solo nel ‘700 vennero riviste alcune regole per rispondere al meglio ai bisogni, anche se aumentarono gli sbarramenti per i forestieri. 2 che dove la povertà era più diffusa. Questa forma di carità nella città si realizzava tramite la distribuzione di generi alimentari. Il risultato delle confraternite fu una forma di pietà individuale dei fedeli. Oltre alla visita agli ammalati, l’aspetto più importante della prassi del muto soccorso era rappresentato dal beneficio funerario. Ai poveri andavano le eccedenze di gestione e alle confraternite di accudire i poveri della parrocchia; oltre all’elargizione di generi alimentari fornivano la dote alle ragazze nubili. Uomini e donne aderendo alla confraternita dovevano versare una modesta tassa annuale che veniva aggiunta a quella versata ogni anno per rinnovare la partecipazione al gruppo. Grazie alle rendite le confraternite riuscirono a superare le conseguenze della peste sull’economia. Quando le condizioni finanziare lo permettevano i cappellani godevano d una propria remunerazione aggiuntiva, come compenso per il lavoro fornito insegando ai bambini a leggere scrivere e a fare conti. All’interno della confraternita oltretutto vi era un controllo molto fermo che permetteva eguali diritti per tutti i membri. Inoltre esse avevano la responsabilità dell’altare e dell’intera parrocchia. Le confraternite erano caratterizzati dalla sudditanza al clero ed era molto marca la presenza del parroco nell’amministrazione. 2) Le confraternite associazione Accedere ad una confraternita non precludeva l’accesso ad altre. Il reclutamento specifico femminile costituiva un limite all’incremento di capitale. Il diffondersi delle confraternite avviene grazie al concili di Trento. Nonostante all’interno delle confraternite vi fossero più donne solo gli uomini potevano partecipare alla vita associativa. Tuttavia dopo la fiammata post-tridentina le confraternite andavano ad affievolirsi, ma ciò non diminuì le opere caritative. Ciò ottenne l’attenzione dei magistrati veneziani che volevano rimettere sul mercato le risorse economiche. Rigore tanto acclamato e cercato dai veneziani per via della malversazione reiterata compiuta nel piccolo gruppo. Tale rigore serviva per incrementare e conservare un patrimonio prezioso per i meccanismi economici cittadini. Per il funzionamento di questa complessa organizzazione religiosa e finanziaria provvedevano ufficiali regolarmente eletti che agivano in collaborazione con il parroco, stabilendo le quote da devolvere alla carità. 3) Le scuole della dottrina cristiana Le scuole della dottrina cristiana sorte nei decenni postridentini si erano ampiamente radicate in città; il loro livello di organizzazione dipendeva dalla popolazione e dalla sua disponibilità a impegnarsi. La loro guida spettava al rector o ai cappellani. L’impegno del clero colto era di cristianizzare e acculturare il popolo, punto forte del cattolicesimo era infatti puntare sull’educazione di base per i bambini e gli adulti. Compito dei parroci era quello di istruire. Nel 1565 venne ristampato il Libretto verso il quale ogni scuola doveva orientarsi. Papa Pio V esortava i vescovi a consolidare l’opera sottolineando il valore pedagogico e istituzionalizzando il fitto reticolo delle strutture. Nell’organizzazione delle scuole risultavano tutti i ceti sociali. Ad operare in ogni scuola erano sopramaestri che sovraintendeva, i pescatori ei silenzieri organizzavano materialmente la scuola. Al cancelliere ai maestri e ai sopramaestri spettava anche il compito di insegnare. L’alto numero dei collaboratori e dei frequentanti ne faceva un evento socio- culturale di grande rilevo. La continua attenzione del potere politico conscio dell’opera benefica di acculturamento della popolazione, portò benefici sull’ordine pubblico. Cosi la scuola si espanse e diffuse in tutta la città. Nell’attività pastorale e nelle scuole non potevano mancare i poveri dato che tutto era rivolto soprattutto a loro, per alfabetizzarli. Nell’organizzazione Bs u influenzata da Milano, dove i ragazzi erano divisi per età, livello di acculturazione e sesso. Il metodo di insegnamento era rudimentale ma arrivava ai propri obbiettivi; infatti l’aspetto di formazione culturale doveva avere un proprio spazio d’autonomia. La scuola dei cappellani era pubblica e vi fu un progressivo aumento dei maestri con il corso del tempo. Ognuno di essi aveva un attestato che dimostrava non tanto la loro capacità d’insegnare ma 5 la loro integralità morale. Fondamentale era la necessità di seguire i lineamenti più convenienti, assicurando alla società d’antico regime un tranquillo mantenimento del suo status. 6
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