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I problemi dell'Italia post unitaria, Appunti di Storia

La situazione politica e sociale dell'Italia dopo il 1861

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 21/06/2021

mattehawk
mattehawk 🇮🇹

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Scarica I problemi dell'Italia post unitaria e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! L’ITALIA POST-UNITARIA (1861-1914) 17/03/1861: nasce il Regno d’Italia 20/09/1870: le truppe italiane entrano a Roma. Roma capitale. Fine del potere temporale della Chiesa. A uscire vincitore in questa fase storica nella politica italiana è il partito “cavouriano”, liberale e moderato. Con l’unità, il partito mazziniano, tra i fautori degli ideali politici che costituirono al Risorgimento, non vede ascoltata la propria proposta di modifica in senso democratico della Costituzione del neonato Regno d’Italia. Il Regno d’Italia adotterà infatti lo Statuto Albertino (concesso dal re di Sardegna Carlo Alberto a seguito dei tumulti del 1848). Lo Statuto era infatti una costituzione di stampo censitario (si votava in base al reddito): il bacino di italiani votanti all’indomani dell’Unità è di circa 300mila persone. Pur cambiando lo status quo, con la nascita del Regno d’Italia, il sovrano regnante del Regno di Sardegna Vittorio Emanuele II , non cambierà il proprio numero dinastico (definendosi quindi “primo” re d’Italia) ma manterrà il numero dinastico in essere. La limitatezza del diritto di voto sarà uno dei fattori che acuirà la Questione Sociale del nostro paese, tra fine ‘800 e inizio ‘900, con la scalata in campo economico ed industriale della borghesia. A livello di governi politici, l’Italia post-unitaria vede questa alternanza: 1861-1876: governo della Destra liberale 1876-1922: governo della Sinistra liberale Il Parlamento del Regno d’Italia sarà principalmente espressione del partito liberale (suddiviso per l’appunto tra Destra e Sinistra). Numericamente esigui i mazziniani (cioè repubblicani) e i socialisti. L’Italia del post-Unità affronta vari problemi: l’adozione di una moneta comune, l’unificazione dei sistemi di pesi e misure, l’unificazione dell’esercito (alla fine le forze di terra rimarranno ai Piemontesi mentre la marina ai Napoletani), leggi comune, reti di comunicazione e alfabetizzazione. I problemi rilevanti del paese si caratterizzavano in TRE QUESTIONI: a) Questione Meridionale b) Questione Romana  Cattolica c) Questione Sociale Questione Meridionale: I problemi nel Meridione nascono dall’estensione della validità costituzionale dello Statuto Albertino al Sud. Le leggi del Regno di Sardegna vengono estese anche agli ex territori borbonici. Il Sud viene quindi trattato dai Savoia come una “colonia”, un territorio di conquista. Il Meridione era infatti più arretrato del Centro- Nord: mancava l’industrializzazione, vigeva un sistema feudale di gestione dei terreni, la miseria dei contadini prosperava. I nuovi territori italiani del “vecchio” Regno delle Due Sicilie si aspettavano riforme dal nuovo stato. In particolar modo nel settore agricolo, prevalente nell’economia del Sud. Il sistema agricolo del Regno delle Due Sicilie era di tipo latifondista, controllato dal ceto nobiliare e degli ecclesiastici (siamo ancora in una logica feudale in pratica). Nel Nord e nel Centro Italia, per volontà del governo sabaudo, si erano formati gruppi di piccoli proprietari terrieri. Nel Sud questo non avverrà: anche con l’Unità si manterrà il precedente sistema latifondista (solo che i padroni non erano più i Borbone ma i Piemontesi), retto da braccianti poverissimi, che abitavano in piccole e medie aree rurali e che ottenevano una misera paga giornaliera (questo problema tra le cause dell’imponente emigrazione verso l’America). Le delusioni per le mancate riforme portarono a moti insurrezionalisti verso il governo, costituendosi poi nel cosiddetto fenomeno del “brigantaggio”. Il brigantaggio costituisce una vera e propria fase di guerra civile nel paese ed è inoltre alla base del sorgere di una antropologia razzista nei confronti dei meridionali. Un filosofo e antropologo torinese di nome Cesare Lombroso arriva infatti a studiare la fisionomia (tratti somatici, crani e volti) dei briganti uccisi per identificare dei tratti comuni di “delinquente” per rafforzare la sua tesi razzista. La situazione economica nel Sud Italia peggiorò con l’emanazione della cosiddetta tassa sul macinato. Un’imposta che impoverì i ceti rurali ed agricoli già poverissimi. Questione Romana: La Questione parte con la necessità di fare di Roma la capitale d’Italia. Nelle guerre di indipendenza il Regno di Sardegna aveva ricevuto un sostegno dal sovrano francese Napoleone III, in cambio della cessione alla Francia della Savoia e del Nizzardo. I moti popolari del Centro Italia e l’annessione delle regioni centrali al Regno di Sardegna avevano raffreddato gli entusiasmi di Napoleone III, che vedeva nelle guerre italiane una fonte di indebolimento per gli austriaci e una speranza di creare un governo italiano subalterno al suo volere. Napoleone III era però anche un protettore del Papa (inoltre i clericali in Francia erano tra i suoi principali sostenitori e finanziatori), quindi non poteva accettare un ulteriore rafforzamento dei Savoia. Ecco perché l’avanzata garibaldina si interrompe. Tuttavia, la sconfitta francese nella guerra franco-prussiana (1870) permette all’esercito italiano di entrare a Roma (20/09/1870). La Questione diverrà da “Romana” a “Cattolica”, perché il 1870 segna la fine del potere temporale del Papa. Il pontefice si considererò ostaggio del Regno d’Italia e si ritirò in esilio volontario entro le “Mura Leonine” di Piazza San Pietro. Il potere temporale del Papato non sarà “ripristinato” sino al febbraio del 1929, quando il Regime Fascista troverà un nuovo accordo col Papato: nascerà così lo Stato della Città del Vaticano. Il Regno d’Italia nei mesi successivi all’annessione di Roma arrivò addirittura a pagare un canone di risarcimento al Papa per legittimare la conquista della città. Fu tutto vano: il pontefice Pio IX con il “Non Expedit” (non è permesso) vietò ai credenti cattolici di partecipare alla vita politica del neonato stato italiano. Questa proibizione farà del neonato Stato Italiano uno stato laico (non esiste un partito cattolico in Parlamento); inoltre ciò fa diminuire ancor più l soglia censitaria di votanti alle elezioni. La Questione Romano-Cattolica si intreccia qui con quella Sociale. Alla fine degli anni ’80 dell’Ottocento in Italia erano nati i primi gruppi sindacali di lavoratori1 (Fasci Siciliani, Lega delle Donne) e nel 1892 a Genova viene fondato il Partito Socialista Italiano, il partito degli operai e dei lavoratori. L’Italia in questa fase tenta un avvio di uno sviluppo industriale su tutto il territorio (o quasi, vedi il Sud escluso): il cuore industriale del paese di afferma nel cosiddetto “triangolo industriale” formato da Genova, Torino e Milano. Anche il Papa entra nel dibattito sociale: Leone XIII emanò nel 1890 le “Rerum Novarum”, “manifesto” della dottrina della Chiesa sul lavoro, in risposta alla tesi marxiste e socialiste. La posizione della Chiesa si afferma come anti-classista, improntata sul dialogo degli attori sociali. Il Parlamento Italiano di fine ‘800 abbiamo detto che è espressione per la sua totalità o quasi del Partito dei Liberali. I Socialisti sono comunque in forte crescita: nel 1903 un grande sciopero2 dei lavoratori blocca il paese, costringendo il primo ministro Giovanni Giolitti a concedere un’estensione del voto a più cittadini. Si passerà quindi a un bacino di votanti di circa 5 milioni di italiani. Dal voto rimanevano esclusi alcuni gruppi sociali: le donne e gli analfabeti o semi-analfabeti (poteva votare chi otteneva la seconda elementare). 1 Questi gruppi nel 1906 si fonderanno assieme dando vita alla CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro). 2 Le dinamiche di contestazione e di sciopero erano scoppiate anche prima del 1903. Nel 1898 il generale dell’esercito italiano Fiorenzo Bava Beccaris a Milano ordinerà di aprire il fuoco sulla folla dei manifestanti. Nel 1900 i disordini sociali raggiungeranno l’apice con il regicidio di Umberto I da parte dell’anarchico Gaetano Bresci. La morte di Umberto portò al trono il giovane Vittorio Emanuele III, sovrano sino al 1946.
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