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I PROCESSI SPECIALI E L’ESECUZIONE FORZATA - diritto processuale civile, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Sintesi discorsiva dei processi speciali e dell’esecuzione forzata alla luce della nuova Riforma Cartabia sulla giustizia. Testo di riferimento= I processi speciali e l’esecuzione forzata (diritto processuale civile) di Giampiero Balena, terzo volume, sesta edizione, pubblicato nel novembre 2023. La sintesi comprende tutti gli argomenti del volume, ad esclusione del capitolo dedicato alle controversie in materia di persone, minorenni e famiglie. Del capitolo sull’espropriazione forzata non sono trattate piccole parti (sezioni 2,3,4,5,6)

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 16/01/2024

SilviaRABI
SilviaRABI 🇮🇹

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Scarica I PROCESSI SPECIALI E L’ESECUZIONE FORZATA - diritto processuale civile e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! LE CONTROVERSIE DI LAVORO E PREVIDENZIALI Nell’ambito dei processi a cognizione piena di competenza del tribunale un posto di assoluta preminenza spetta al rito delle controversie individuali di lavoro e previdenziali, sia perché è regolamentato in modo organico e autonomo rispetto a quello ordinario, sia perché le relative controversie raggiungono un numero di poco inferiore al totale di tutti gli altri processi a cognizione piena che seguono il rito ordinario. Materie delle cause cui si applica e relative competenze (art 409 cpc): 1) rapporti di lavoro subordinato, anche non inerenti all’esercizio di un’impresa; 2) rapporti di mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria, affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari (salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie); 3) rapporti di lavoro parasubordinato, caratterizzati da una netta dipendenza economica del prestatore d’opera rispetto al committente (rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione); 4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici economici (es Enel, Poste Italiane); 5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice. N.b. sebbene l’art 409 consideri le sole controversie individuali di lavoro, altre norme attribuiscono al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, anche le non molte controversie collettive. Quanto alla competenza (spettante in 1’ grado al tribunale in funzione di giudice del lavoro), è individuata sulla base di 3 criteri: il luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro, il luogo in cui si trova l’azienda, il luogo in cui si trova una dipendenza dell’azienda alla quale è addetto il lavoratore o presso cui prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. L’opinione prevalente ritiene che questi 3 fori sono tra loro concorrenti e che la scelta compete sempre all’attore. -Competente per territorio per i rapporti di cui al n3 è invece in via esclusiva il giudice del domicilio del lavoratore parasubordinato; -Competente per territorio per i r. di lavoro alle dipendenze delle PA è in via esclusiva il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio a cui il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto. Solo quando i criteri anzidetti siano inapplicabili (es domicilio all’estero) si applica il foro generale ex art 18 che guarda alla residenza, domicilio o dimora del convenuto, che dunque ha rilievo residuale. L’incompetenza può essere eccepita tanto dal convenuto (nella memoria che costituisce il suo primo atto difensivo) quanto dal giudice d’ufficio, non oltre l’udienza di discussione. Dopo che è eccepita l’incompetenza, il giudice rimette la causa al tribunale in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a 30 gg per la riassunzione con rito speciale. L’EVENTUALE TENTATIVO PREVENTIVO DI CONCILIAZIONE L’art 413 prevede un tentativo di conciliazione facoltativo (obbligatorio prima del 2010). Vediamo i passaggi: A) chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti di cui all’art 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale cui aderisce, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri ex art 413. La richiesta deve precisare generalità delle parti, esposizione dei fatti posti a fondamento della pretesa, il luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o in cui si trova l’azienda, il luogo in cui devono esser fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura. Essa sarà sottoscritta all’istante e consegnata o spedita (con raccomandata con avviso di ricevimento) alla commissione adita e alla controparte. A partire da tale momento si ha effetto interruttivo della prescrizione e sospensivo (per la durata del tentativo e per 20 gg successivi alla sua conclusione) della decadenza. B) Se la controparte accetta la procedura conciliativa, entro 20 gg dal ricevimento della copia della richiesta, deposita una memoria presso la commissione, contenente difese, eccezioni in fatto e in diritto ed eventuali domande in via riconvenzionale (ove ciò non avvenga ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria). Entro 10 gg dal deposito la commissione fissa la comparizione delle parti. C) Se la conciliazione ha esito positivo, il relativo verbale viene sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione ed acquista efficacia esecutiva tramite decreto del giudice. Se invece ha esito negativo la commissione formula una proposta bonaria per la definizione della controversia. Di tale proposta, qualora la sua mancata accettazione non sia sorretta da adeguata motivazione, il giudice terrà conto in sede di giudizio. Infine, se il tentativo sia stato richiesto dalle parti (ossia se il convenuto l’accettato depositando la memoria), al successivo ricorso giurisdizionale saranno allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo conciliativo non riuscito da cui il giudice potrà dedurre eventuali dichiarazioni confessorie o altri elementi rilevanti sul piano probatorio. PREMESSA SUL SISTEMA DI PRECLUSIONI Il legislatore del 73 che riformò il rito del lavoro pensò che un rigido sistema di preclusioni fosse indispensabile per assicurare la minima durata del processo. Per tale motivo questo rito si caratterizza rispetto a quello ordinario per il fatto che le attività difensive sono ancorate ai primi atti rispettivi delle parti, con limitate possibilità di integrare o variare le allegazioni e le richieste istruttorie iniziali, nel corso del processo. Ciò penalizza l’attore che scopre fin dal primo momento tutte le risorse istruttorie senza attendere la costituzione dell’avversario. Il convenuto invece, pur sottostando al medesimo regime, ha l’indubbio vantaggio di poter regolare la propria strategia difensiva su quanto il ricorrente ha indicato nell’atto introduttivo. Questa materiale disparità tra le parti dovrebbe trovare un fattore di riequilibrio nei cospicui poteri istruttori autonomi del giudice del lavoro, che nella prassi ha comunque usato con parsimonia. RICORSO INTRODUTTIVO E ADEMPIMENTI SUCCESSIVI AL SUO DEPOSITO La forma che assume la domanda è diversa rispetto al rito ordinario: qui abbiamo un RICORSO diretto al giudice del lavoro (e non un atto di citazione), pertanto nella domanda mancano gli elementi della vocatio in ius del convenuto, che si realizza in seguito tramite un’attività combinata dell’ufficio e dell’attore. Se guardiamo gli elementi dell’editio actionis, non vi sono differenze rispetto all’atto di citazione ex art 163: (contenuto->)ufficio giudiziario adito, generalità ed altri dati per individuare le parti, oggetto della domanda, fatti ed elementi di diritto su cui la domanda si fonda, relative conclusioni, mezzi di prova richiesti, documenti offerti in comunicazione. Unica peculiarità attiene al fatto che, non essendo prevista preclusione alcuna per i mezzi di prova, se ne deduce che il ricorrente, al pari del convenuto, debba indicare nell’atto introduttivo, a pena di decadenza, ogni mezzo di prova richiesto o documento prodotto. Deposito-> dopo la sottoscrizione, il ricorso è depositato presso la cancelleria del giudice adito insieme ai documenti eventualmente indicati in esso (a partire da qui inizia la litispendenza, ossia la pendenza della causa, nonché ogni effetto processuale e sostanziale della domanda). Entro 5 gg il giudice fissa con decreto l’udienza di discussione in cui le parti compaiono personalmente. Tra il deposito e l’udienza non devono decorrere più di 60 gg. Sia il ricorso che il decreto di fissazione dell’udienza devono esser notificati al convenuto dall’attore entro 10 gg dalla data di pronuncia del decreto. Tra la notificazione al convenuto e l’udienza deve intercorrere un termine di almeno 30 gg (in caso di notifica all’estero elevato a 40 gg, mentre quello di 60 è elevato a 80 gg). I VIZI DEL RICORSO E DELLA FASE INTRODUTTIVA Il fatto che manchino disposizioni ad hoc per il rito in esame ha reso controverso il tema dei vizi che si verificano nella fase introduttiva del giudizio. Oggi si ritiene che la disciplina di cui all’art 164 sia applicabile anche a tale rito, quanto meno ai vizi che attengono alla formulazione della domanda in senso stretto (petitum, causa petendi, esposizione dei fatti). Per quel che riguarda invece i vizi della vocatio in ius, essi determinano la nullità della fase introduttiva, che tuttavia è sanabile con efficacia retroattiva ove sia ottemperato l’ordine di rinnovazione del giudice (nuova notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza). I dubbi riguardano piuttosto l’ipotesi in cui all’udienza di discussione si rileva che, non essendosi il convenuto costituitosi, la notificazione è stata omessa: in tal caso la giurisprudenza ritiene che il giudice debba riconoscere un nuovo termine per provvedere alla notifica (nonostante la mancata IL PROBLEMA DEI LIMITI DEI POTERI OFFICIOSI Finalità dei poteri istruttori del giudice: si esclude che tali poteri debbano essere usati solo a vantaggio della parte debole, ossia del lavoratore. Il giudice deve piuttosto favorire la ricerca della verità materiale, ossia un accertamento dei fatti particolarmente attendibile non eccessivamente condizionato da regole formali. Limiti: non sussistono limiti temporali (“in qualsiasi momento”), sussiste invece il divieto di usare la propria scienza privata così come il principio per cui l’allegazione dei fatti principali è riservata di regola alle parti. Condizioni che devono ricorrere per l’esercizio dei poteri: il giudice non può spingersi fino a sostituirsi integralmente all’iniziativa probatoria delle parti, anche ove essa sia carente. Tali poteri devono avere un ruolo integrativo rispetto ai mezzi di prova esperiti su istanza di parte, presupponendo una situazione di incertezza del giudice nella valutazione dei fatti. Un orientamento giurisprudenziale garantistico e condivisibile ritiene che in tali casi l’uso dei poteri istruttori sia doveroso ma comunque sindacabile sotto il profilo dell’eventuale difetto di motivazione, dalla Corte di Cassazione. LE ORDINANZE ANTICIPATORIE DI CONDANNA L’art 423 prevede che il giudice, in ogni stato e grado del giudizio, può pronunciare 2 ordinanze di condanna, costituenti entrambe titolo esecutivo. 1) la 1’ordinanza può esser chiesta da una qualunque delle parti e ha ad oggetto il pagamento delle somme non contestate. Trattasi dunque di un provvedimento del tutto analogo a quello del processo ordinario. 2) la 2’ ordinanza può esser pronunciata esclusivamente ad istanza del lavoratore per il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando il giudice ritenga il diritto accertato e nei limiti per cui ritiene raggiunta la prova. Il provvedimento è del tutto simile a quello della sentenza di condanna provvisionale ma la forma (ordinanza) è indice della natura sommaria, e ciò lo si desume dal fatto che non essendo autonomamente impugnabile il giudice potrebbe pronunciarla in base ad una cognizione superficiale o incompleta, potendo poi revocarla o modificarla con la sentenza che decide la causa. Secondo la tesi prevalente tale ordinanza sopravvive all’estinzione del processo ma è inidonea ad acquisire l’efficacia di giudicato, non potendo escludere una successiva azione di ripetizione delle somme pagate. 3) infine nulla esclude che nel rito del lavoro si ammetta anche l’ordinanza di ingiunzione. LA DISCIPLINA DELL’ERRORE SUL RITO A)Se è stato adottato il rito ordinario al posto di quello del lavoro il giudice fissa con ordinanza l’udienza di discussione e il termine perentorio entro cui le parti possono provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi, mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. B) Se è stato adottato il rito del lavoro al posto di quello ordinario il giudice dispone che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie, altrimenti la rimette con ordinanza al giudice competente fissando un termine perentorio non superiore ai 30 gg per la riassunzione con rito ordinario. Ciò vale quando si tratti di un errore sul rito e non quando quest’ultimo ha inciso pure sulla competenza del giudice adito: in tal caso il giudice deve spogliarsi della controversia rimettendo le parti dinanzi al giudice competente (per materia o valore). Poiché ciò che è stato fatto prima del provvedimento di conversione del rito va valutato sulla base della disciplina del rito erroneamente adottato, tale provvedimento non implica la regressione del processo ad una fase anteriore e non incide sulla validità degli atti compiuti. Unica eccezione per il caso sub b), in cui le probe possono essere usate dal giudice solo entro i limiti di ammissibilità consentiti dalle norme ordinarie. Quanto alle preclusioni già maturate, anch’esse si valutano in base alla disciplina del rito ordinario. In senso contrario depone un d lgs 2011 per cui in caso di errore restano ferme decadenze e preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. LA FASE DECISORIA E L’ESECUTIVITA’ DELLA SENTENZA Parecchie sono le peculiarità del rito del lavoro nella fase decisoria e nell’iter di formazione della sentenza. Di regola tutto si conclude con la discussione orale, alla quale fa seguito la pronuncia della sentenza che dev’esser immediatamente portata a conoscenza delle parti tramite lettura nella stessa udienza, tanto del dispositivo, quanto dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Solo quando il giudice lo ritiene necessario (la controversia presenta questioni di notevole complessità) è consentito il rinvio a nuova udienza e l’assegnazione di un termine non superiore a 10 gg per il deposito di note difensive, fermo restando che a tale nuova udienza si avrà la discussione orale e l’immediata decisione. Sempre in caso di complessità della controversia, il giudice può limitarsi a leggere in udienza il dispositivo e fissare un termine non superiore a 60 gg per il deposito della sentenza in cancelleria (il dispositivo non potrà esser modificato dalla sentenza successivamente depositata neppure se il giudice ha commesso un errore). La particolarità concernente le modalità della pronuncia si riflette sul regime di esecutività della sentenza: 1) se si tratta di una sentenza di condanna favorevole al datore di lavoro si fa un rinvio alla disciplina comune (artt 282 e 283); 2) se si tratta di sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dal rapporti di lavoro: in tal caso ferma restando la provvisoria esecutività della condanna, il lavoratore ha il vantaggio di poter iniziare immediatamente l’esecuzione forzata sulla base di una copia del dispositivo letto in udienza senza dover attendere il deposito della sentenza in cancelleria. Anche per queste sentenze il soccombente può chiedere al giudice d’appello l’inibitoria, ossia la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, ove possa derivargli un gravissimo danno (tuttavia l’inibitoria può riguardare una sola parte della somma per cui è pronunciata condanna e non può mai esser totale: resta comunque autorizzata l’esecuzione provvisoria fino all’importo di 258 euro). Ovviamente, l’inibitoria presuppone che vi sia un giudice investito dell’appello e che il datore abbia dunque già impugnato. Si spiega dunque perché l’art 433 c2 consente, ove l’esecuzione forzata sia iniziata prima della notificazione della sentenza (dunque solo sulla base della lettura del dispositivo), di proporre appello con riserva dei motivi (il soccombente non conoscendo la motivazione della decisione non può motivare l’impugnazione, quindi lo farà in seguito entro il termine ordinario dell’appello). CENNI SULLA DISCIPLINA SPECIFICA DELLE CAUSE DI LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLE P.A. Uniche peculiarità attengono all’ipotesi in cui nel processo sorga una questione concernente “l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto/accordo collettivo nazionale (CCNL) sottoscritto dall’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle P.a.)-> in tal caso il giudice con ordinanza non impugnabile rinvia l’udienza di discussione di almeno 120 gg e dispone la comunicazione degli atti all’Aran affinchè questa convochi i sindacati firmatari e promuova un accordo circa l’interpretazione autentica del contratto/accordo collettivo. In assenza di tale accordo il giudice decide la questione con sent non definitiva impugnabile solo con ricorso immediato in Cassazione entro 60 gg dal deposito della sentenza. La decisione della Cassazione vincola, in caso di annullamento, il solo giudice che aveva pronunciato la sentenza cassata. L’APPELLO IN GENERALE, FASE INTRODUTTIVA E APPELLO INCIDENTALE All’appello nel rito del lavoro è applicabile la disciplina ordinaria, ove vi sia compatibilità, così come più a monte le disposizioni generali sulle impugnazioni. L’atto introduttivo è un ricorso che deve esser depositato nella cancelleria della corte d’appello territorialmente competente, in funzione di giudice del lavoro. Contenuto (a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico): il capo della decisione che viene impugnato, le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di 1’ grado, le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata (si tratta degli stessi elementi prescritti per il rito ordinario). La fase introduttiva è tutta conforme a quella del rito ordinario, a parte i termini: fermo restando che l’udienza di discussione ha luogo entro 60 gg dal deposito del ricorso e che l’appellante notifica il ricorso e il decreto di fissazione entro 10 gg dalla quest’ultimo, il termine minimo che deve intercorrere tra tale notifica e l’udienza è di 25 gg (anziché 30), elevato a 60 gg quando va eseguita all’estero. Altra differenza attiene alla composizione collegiale del giudice, perché il decreto di fissazione dell’udienza compete al presidente della corte e indica il giudice incaricato della relazione. Quanto ai vizi, vale la disciplina illustrata per il processo di 1’ grado: poiché il processo inizia col deposito del ricorso, ogni vizio della vocatio in ius non può incidere sulla valida proposizione dell’appello, implicando solo la necessità di rinnovazione degli atti viziati (in caso di mancata costituzione dell’appellato). Anche la costituzione delle parti ricalca la disciplina del 1’ grado: dunque, mentre l’appellante si costituisce col deposito del ricorso, l’appellato deve costituirsi almeno 10 gg prima dell’udienza depositando in cancelleria il proprio fascicolo e una memoria difensiva contenente le sue difese e, a pena di decadenza, l’eventuale appello incidentale e i motivi specifici su cui si fonda. Per l’impugnazione incidentale l’unica differenza attiene al fatto che deve esser in ogni caso notificato alla controparte 10 gg prima dell’udienza. LA DISCIPLINA DEI NOVA Nel rito del lavoro l’esclusione dei nova in appello sembra molto più netta che nel processo ordinario: a) non sono ammesse nuove domande (per un orientamento opinabile il divieto include l’emendatio libelli); b) non sono ammesse nuove eccezioni (di ogni tipo): l’orientamento più conforme alla volontà del legislatore è nel senso di escludere l’allegazione di qualunque nuovo fatto impeditivo, estintivo o modificativo. Ciò non toglie né che il giudice può rilevare d’ufficio l’effetto di fatti che erano già stati allegati o acquisiti agli atti del processo di 1’ grado né che le parti propongano mere difese (cd eccezioni improprie). c) non sono ammessi nuovi mezzi di prova (inclusi documenti). Tale preclusione incontra solo l’eccezione del giuramento decisorio ed estimatorio e di quelle prove che il collegio ritenga indispensabili ai fini della decisione. Devono inoltre ritenersi ammissibili i nuovi mezzi istruttori e i nuovi documenti che la parte, per causa ad essa non imputabile, non ha potuto chiedere o produrre nel giudizio di 1’ grado. In caso di ammissione di nuove prove, il collegio rinvia la causa ad una nuova udienza da tenersi entro 20 gg(sia per l’assunzione delle prove, sia per la discussione e la pronuncia della sentenza). LA TRATTAZIONE DELLA CAUSA E LA FASE DECISORIA (IN APPELLO) Al di là dell’ipitesi in cui siano eccezionalmente ammesse nuove prove o sia disposta una consulenza tecnica, il processo d’appello dovrebbe concludersi già alla prima udienza, con la relazione orale al collegio del giudice designato, la discussione dei difensori e la pronuncia immediata della sentenza. Casi di rinvio dell’udienza di discussione: 1) quando l’appellante omette di comparire alla prima udienza e dunque occorre la fissazione di una nuova (che sarà comunicata alla parte non comparsa). 2) quando è stato proposto appello con riserva dei motivi: in tal caso per la discussione e la decisione sull’istanza di inibitoria della sentenza appellata si fissa un’udienza ad hoc in una data anteriore a quella dell’udienza di discussione. Modalità della decisione: lettura del dispositivo in udienza e deposito della sentenza entro 60 gg. Analogamente all’appello nel rito ordinario si prevede un iter semplificato in caso di declaratoria di improcedibilità dell’appello, quando l’impugnazione sia inammissibile o manifestamente infondata, quando sia manifestamente fondata e il giudice lo ritenga opportuno per la ridotta complessità o per l’urgenza della causa. In tali casi, il collegio, sentiti i difensori pronuncia sentenza con immediata lettura del dispositivo e della motivazione (quest’ultima redatta in forma sintetica). Si applica la disciplina del 1’ grado anche in caso di errore sul rito, la norma che consente un rinvio della discussione e decisione per concedere alle parti un termine per depositare note difensive e quella che consente al lavoratore vittorioso di iniziare l’esecuzione con una copia del dispositivo della sentenza. LE DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER LE CONTROVERSIE IN MATERIA DI LICENZIAMENTO La L Fornero aveva introdotto una disciplina autonoma e articolata per le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del licenziamento nei casi di cui all’art 18 St. Lavoratori ma è stata abrogata dalla Riforma del 2009 che ha assoggettato tali impugnative al rito del lavoro fin qui esaminato. Al tempo stesso ha dettato norme specifiche che attribuiscono a tali controversie una corsia privilegiata: quando è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, la relativa domanda ha carattere prioritario rispetto ad altre cause. Inoltre il presidente di sezione deve assicurarsi che i relativi procedimenti abbiano una durata media processo di cognizione, subisce gli effetti della sentenza contro il suo dante causa, si capisce perché l’opinione prevalente interpreta estensivamente l’art 477, ammettendo che il titolo esecutivo sia utilizzabile anche contro il successore il cui acquisto sia posteriore alla formazione del titolo contro il suo dante causa. Inoltre l’eventuale controllo circa la legittimazione attiva e passiva è subordinato all’eventualità che il debitore la contesti tramite opposizione all’esecuzione, non essendo previsto un controllo preventivo. Nell’ipotesi in cui invece la successione nel titolo si abbia quando il processo sia già in corso, vengono in rilievo gli artt 110 e 111 cpc, che tuttavia sembrano riferirsi al solo processo di cognizione. Ad ogni modo, nel caso della successione universale, il processo esecutivo proseguirà perché non si applica l’istituto dell’interruzione e il successore potrà esercitare i poteri processuali che spettavano al suo dante causa. Quanto alla successione a titolo particolare, sebbene si voglia escludere la diretta applicabilità dell’art 111, si finisce poi per ammettere che se il trasferimento del titolo avviene a processo esecutivo già iniziato, la legittimazione attiva e passiva delle parti non ne risente. GLI ATTI PRELIMINARI ALL’INIZIO DELL’ESECUZIONE: NOTIFICAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO E PRECETTO Se la legge non dispone altrimenti, l’inizio dell’esecuzione forzata deve esser preceduto dalla notificazione del titolo in copia attestata conforme all’originale e del precetto. L’esecuzione dev’essere iniziata poi entro 90 gg dalla notifica del precetto (il termine rimane sospeso se contro il precetto è proposta opposizione). Il precetto può esser notificato unitamente al titolo esecutivo personalmente alla parte interessata. In alcuni casi poi, la notifica del precetto deve esser successiva a quella del titolo in forma esecutiva poiché soggetta ad un termine dilatorio (il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi ma si può notificare loro il precetto dopo 10 gg dalla notificazione del titolo). Ma qual è il contenuto del precetto? In cosa consiste? Secondo l’art 480 consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di 10 gg, con l’avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata. Il presidente del tribunale può non rispettare tale termine e autorizzare l’esecuzione forzata qualora ricorra pericolo nel ritardo. Elementi essenziali del precetto, richiesti a pena nullità: indicazione delle parti, data di notificazione del titolo esecutivo (se fatta separatamente) o trascrizione dello stesso quando è richiesto dalla legge, residenza o elezione domicilio dell’istante nel comune in cui ha sede il giudice per l’esecuzione, avvertimento che il debitore può rimediare alla situazione di sovraindebitamento tramite un accordo di composizione della crisi con l’ausilio di apposito organismo o proponendo ai creditori un piano del consumatore. Il precetto infine deve esser sottoscritto, personalmente dalla parte o dal difensore munito di procura. L’intermediazione di un difensore è invece solo facoltativa. La notificazione del precetto comporta l’interruzione della prescrizione del diritto risultante dal titolo. L’ESPROPRIAZIONE FORZATA IN GENERALE L’espropriazione, è la forma più frequente ma anche complessa di esecuzione forzata, perché ha come obiettivo finale dare attuazione ad un credito pecuniario, e ciò implica una serie di attività di varia natura (individuazione beni del debitore da destinare al soddisfacimento del creditore, trasformazione degli stessi in denaro, ripartizione del ricavato tra i più creditori). I modelli di tale processo esecutivo sono 3: espropriazione mobiliare presso il debitore, espropriazione mobiliare verso 3’, espropriazione immobiliare. IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE E LE DISPOSIZIONI GENERALI SULL’ESPROPRIAZIONE Uff giudiziario competente per l’esecuzione forzata è il tribunale,la cui competenza territoriale si determina: a) in linea generale, in base al luogo in cui si trovano i beni immobili o mobili assoggettati all’esecuzione; b) in base al luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del terzo debitore se l’espropriazione ha per oggetto crediti ed è diretta nei confronti di una P.A.; c) in base al luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore se l’espropriazione riguarda autoveicoli, motoveicoli o rimorchi. Nell’ambito di tale ufficio, la nomina del giudice (magistrato persona fisica) spetta al presidente del tribunale su presentazione del fascicolo d’ufficio a cura del cancelliere, entro 2 gg dalla sua formazione. I poteri del giudice dell’esecuzione sul piano formale sono simili a quelli che spettano al giudice istruttore nel processo di cognizione (vi è un richiamo alla norma che sancisce l’immutabilità e alla norma che gli attribuisce i poteri di direzione del procedimento), mentre sono diversi sul piano sostanziale, in ragione dei peculiari obiettivi dell’espropriazione che non mira a decidere alcunchè ma solo a soddisfare i creditori. Per le medesime ragioni, il processo di espropriazione non si snoda tra un’udienza e l’altra: il giudice fissa un’udienza per l’audizione delle parti solo se lo ritiene necessario o la legge lo richiede. Ciò porta a dire che non vi è un pieno contraddittorio, ma si contesta che un contraddittorio c’è e riguarda non l’esistenza del diritto risultante dal titolo bensì questioni incidenti sui possibili provvedimenti del giudice dell’esecuzione. Quanto alla pubblicità dell’espropriazione, si prevede la pubblicazione di un avviso contenente tutti i dati che possono interessare al pubblico nel portale delle vendite pubbliche del Ministero della giustizia. L’omissione di tale pubblicazione entro il termine stabilito dal giudice è causa di estinzione del processo esecutivo, qualora dipenda da causa imputabile al creditore pignorante. IL PIGNORAMENTO IN GENERALE Tranne che per i beni mobili dati in pegno o gravati da ipoteca, l’espropriazione forzata inizia col pignoramento, che serve essenzialmente a individuare i beni del debitore da assoggettare all’esecuzione e a vincolarli alla soddisfazione del creditore precedente e di quelli eventualmente intervenuti nel processo esecutivo. Al di là delle diverse forme che può assumere (in base alla natura dei beni su cui cade), consiste nell’ingiunzione, rivolta al debitore, di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito indicato i beni colpiti dal pignoramento stesso. Elementi di forma-contenuto comuni ad ogni tipo di pignoramento: 1) invito al debitore ad effettuare, presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione, con l’avvertimento che in mancanza o in caso di irreperibilità presso tali luoghi, le successive notificazioni/comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice; 2) l’avvertimento al debitore che può chiedere (dopo il pignoramento) la conversione di quest’ultimo, ossia la sostituzione delle cose o dei crediti pignorati con una somma di denaro; 3) l’avvertimento che l’eventuale opposizione all’esecuzione è inammissibile se proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione (salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti o che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile). -Si badi poi che l’avvenuta esecuzione di un pignoramento non esclude pignoramenti successivi dello stesso bene ad istanza dello stesso o di altro creditore, i quali producono effetti autonomi e indipendenti (nel senso che i vizi del primo pignoramento non possono incidere sulla validità o efficacia degli altri). Per evitare complicazioni i pignoramenti successivi confluiscono nel procedimento avviato col primo e attribuisce loro i medesimi effetti che comporterebbe un intervento del creditore. -L’efficacia del pignoramento è limitata nel tempo, perché cessa se nei 45 gg successivi non viene presentata istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati. I POTERI DELL’UFFICIALE GIUDIZIARIO NELL’ESECUZIONE DEL PIGNORAMENTO -Se i beni pignorati sono insufficienti o per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione, l’uff giudiziario invita il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili e il luogo in cui si trovano e le generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione cui incorre per l’omessa o la falsa dichiarazione. Dalla dichiarazione del debitore (raccolta in un verbale) scaturiscono effetti diversi in base alla natura del bene: se trattasi di beni mobili in possesso del debitore, si considerano pignorati fin dal momento della dichiarazione, se trattasi di crediti o beni mobili in possesso di 3’, il pignoramento si considera perfezionato nei soli confronti del debitore, che si considererà custode della somma o della cosa qualora il terzo gli effettui il pagamento o gli restituisca la cosa non avendo ancora ricevuto la notifica del pignoramento. Se trattasi di beni immobili, il creditore procede ai sensi della normativa sull’espropriazione immobiliare. LA RICERCA CON MODALITA’ TELEMATICHE DEI BENI DA PIGNORARE Su istanza del creditore munito di titolo esecutivo e di precetto, l’ufficiale giudiziario (del tribunale del luogo in cui ha residenza/domicilio/dimora/sede il debitore) procede alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’istanza deve indicare l’indirizzo di posta elettronica ordinaria del difensore e non può esser proposta prima che sia scaduto il termine di 10 gg concesso al debitore per adempiere (tranne se vi è pericolo nel ritardo). Dopo l’autorizzazione del presidente del tribunale, l’ufficiale giudiziario inizia la ricerca con collegamento telematico diretto alle banche dati delle P.A. Terminate le operazioni, redige processo verbale in cui indica le banche dati interrogate e le relative risultanze, dandone comunicazione al creditore istante. Dopodichè procede al pignoramento munito del titolo esecutivo e del precetto, anche acquisendone copia del fascicolo informatico. GLI EFFETTI DEL PIGNORAMENTO -Primo effetto del pignoramento è l’inefficacia degli atti di alienazione e di tutti gli atti dispositivi (es usufrutto) dei beni sottoposti a pignoramento nei confronti del creditore pignorante e di quelli che intervengono nell’esecuzione. L’art 2913cc va letto nel senso che il debitore può disporre giuridicamente dei beni ma l’atto di disposizione non è opponibile al creditore pignorante e agli altri (inefficacia relativa), i quali procederanno come se il bene appartenesse ancora al debitore. Dato che dell’inefficacia giovano anche altri creditori si parla di “vincolo a porta aperta” (contrapposto al vincolo a porta chiusa del seq. conservativo). Nel valutare condizioni e limiti di tale inefficacia, bisogna guardare alla natura dei beni pignorati: per i beni mobili non registrati sono salvi gli effetti del possesso in buona fede (quest’ultimo determina l’acquisto della proprietà a titolo originario, dunque è opponibile a tutti i creditori). Sono poi inefficaci nei confronti dei creditori (anche anteriori al pignoramento) le alienazioni di beni immobili o mobili registrati la cui trascrizione sia successiva a quella del pignoramento, di beni mobili o di universalità di mobili che non abbiano data certa anteriore al pignoramento, le cessioni di credito notificate al debitore ceduto,gli atti a titolo gratuito trascritti entro l’anno anteriore alla trascrizione del pignoramento. Nell’ultima ipotesi, il debitore e il terzo assoggettato ad espropriazione, possono opporsi all’esecuzione adducendo all’eventus damni e alla scientia damni, che costituiscono condizione per l’accoglimento dell’azione revocatoria. CONVERSIONE E RIDUZIONE DEL PIGNORAMENTO Conversione: come detto, il debitore può sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro corrispondente al totale dei crediti dei creditori, maggiorato dai relativi interessi e spese. La richiesta di conversione può esser avanzata (max 1 volta) prima che sia disposta la vendita e deve esser accompagnata, a garanzia di serietà e a pena di inammissibilità, dal deposito in cancelleria di una somma pari ad almeno 1/6 del totale dei crediti. Dopo l’accoglimento della richiesta, l’importo globale è determinato con ordinanza dal giudice dell’esecuzione entro 30 gg dal deposito dell’istanza (se sussistono giustificati motivi può esser rateizzato entro un termine max di 48 mesi) e i beni del debitore saranno liberati dal pignoramento dopo il versamento della somma (rateizzata o no). Qualora il debitore non adempie al versamento o omette/tarda il versamento della rata di oltre 30 gg, su richiesta del creditore il giudice dispone senza indugio la vendita delle cose pignorate. Riduzione: può esser disposto dal giudice, d’ufficio o su istanza, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo totale dei crediti e delle spese. Infine, in caso di cumulo dei mezzi di espropriazione (il creditore può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge), il giudice dell’esecuzione può, su opposizione del debitore e con ordinanza non impugnabile, limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o in mancanza a quello scelto dal giudice stesso. nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto verso l’acquirente o assegnatario, salvo il caso di collusione col creditore procedente. Gli altri creditori diversi da quello procedente non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto abbiano ricevuto in sede di espropriazione”. Il legislatore mira dunque ad assicurare stabilità alla vendita forzata e all’assegnazione, escludendo che risentano di vizi formali intervenuti nel processo esecutivo, sebbene l’opinione prevalente ricavi a contrario dalla lettera “nullità che hanno preceduto” che la disposizione non si applichi ai vizi direttamente incidenti sulla v/a o sugli atti che ne costituiscono l’immediato presupposto, purchè i vizi medesimi siano stati fatti tempestivamente valere mediante opposizione agli atti esecutivi. -Questione più controversa è quella della rilevanza di vizi che riguardano più a monte il diritto stesso (del creditore di procedere all’esecuzione): più avanti vedremo che essi sono deducibili tramite opposizione all’esecuzione (es il debitore deduce l’inesistenza del titolo esecutivo o l’estinzione del credito). LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO E LE POSSIBILI CONTROVERSIE Esaurita (attraverso vendita o assegnazione) la liquidazione dei beni pignorati, si apre l’ultima fase dell’espropriazione, ossia la distribuzione della somma ricavata (costituita dal prezzo/conguaglio delle cose vendute/assegnate e dai frutti, rendite e proventi, nonché da ciò che è stato eventualmente ottenuto, a titolo di multa o risarcimento, dall’aggiudicatario inadempiente). A)Tale fase è semplice quando vi è solo la pretesa del creditore procedente o, in presenza degli altri, la somma soddisfi tutti: il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, si limita a disporre il pagamento di quanto spetta ai creditori, per capitale, interessi e spese. L’eventuale residuo spetterà al debitore esecutato. B) Se invece, intervenuti altri creditori, la somma non sia sufficiente a soddisfare tutti: la distribuzione avviene sulla base di un apposito piano o progetto di riparto, che in caso di espropriazione mobiliare può esser concordato dalle parti e che terrà conto delle eventuali cause di prelazione e dell’entità dei crediti dei rispettivi creditori chirografari. C) Ulteriore complicazione può aversi in caso di intervento di creditori sforniti di titolo esecutivo, il cui credito sia stato disconosciuto dal debitore, in tutto o in parte: se i creditori entro 30 gg esperiscono l’azione di cognizione per procurarsi il titolo, il piano di riparto terrà conto anche delle somme loro spettanti, che verranno accantonate (in attesa che si conclude l’azione stessa) per un max di 3 anni. Decorso tale termine (o anche uno più breve) il giudice dispone la comparizione delle parti e distribuisce la somma accantonata. D) in sede di distribuzione possono poi sorgere controversie tra i creditori concorrenti, o tra creditore e debitori o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o all’ammontare di un creditore o la sussistenza di un diritto di prelazione. In tal caso decide il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza che può sospendere la distribuzione, impugnabile solo con l’opposizione agli atti esecutivi, cioè con un rimedio che dà luogo ad un giudizio a cognizione piena, destinato a concludersi con sentenza inappellabile (ma ricorribile per cassazione). Esempio è quello del creditore che contesta il credito di altro creditore allegando un fatto estintivo, impeditivo o modificativo (es intervenuto pagamento, nullità del titolo esecutivo), purchè si tratti di un credito pari o superiore al proprio. La contestazione è ammessa anche verso i crediti che il debitore ha espressamente o tacitamente riconosciuto (visto il rischio di accordi fraudolenti tra questi e il creditore). Il debitore potrebbe invece contestare l’esistenza o l’ammontare della pretesa di un creditore munito di titolo esecutivo, affinchè ottenga la somma avanzata dopo la distribuzione. -Quanto a natura e oggetto dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione che si esprime su tali controversie e della sentenza pronunciata in seguito all’eventuale opposizione agli atti esecutivi, si ritiene che ambo i provvedimenti vertano solo sul diritto del creditore di partecipare al riparto (oggetto), senza determinare un accertamento con efficacia di giudicato sulla sussistenza o misura del credito o della causa di prelazione. -Quanto alla stabilità della distribuzione, per quel concerne i rapporti tra diversi creditori, l’esaurimento della fase di distribuzione e la preclusione delle eventuali impugnazioni determinano una situazione non più modificabile, data l’irrevocabilità del provvedimento che pone fine al processo esecutivo. Per quel che concerne i rapporti tra debitore e creditori, non sono impedite eventuali azioni di ripetizione d’indebito. L’ESECUZIONE PER CONSEGNA O RILASCIO Al di là delle difficoltà materiali di tal tipo di esecuzione (es sfratto immobile abitato), lo schema è semplice. -Se il diritto da attuare ha per oggetto la consegna di dati beni mobili, il tutto consiste nella ricerca del bene da parte dell’ufficiale giudiziario presso il luogo in cui presumibilmente si trovano e secondo le norme del pignoramento mobiliare (art 513), e nella sua consegna alla parte istante. Unica complicanza può aversi se l’ufficiale trovi il bene già pignorato: in tal caso la parte istante deve proporre opposizione di terzo all’esecuzione ai sensi dell’art 619 cpc. -Si il diritto da attuare è il rilascio di un immobile, la parte esecutata deve esser informata del gg e dell’ora in cui l’esecuzione inizierà, con l’accesso dell’ufficiale giudiziario sul posto. Tale esecuzione può aver luogo sia sulla base di un titolo esecutivo, che di un verbale di conciliazione, che di un atto pubblico. L’atto di precetto deve contenere (oltre ai consueti elementi) la descrizione sommaria dei beni da consegnare/rilasciare e indicare il termine per la consegna/rilascio. In caso di difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte può chiedere al giudice, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti. Inoltre è ammessa l’estinzione per rinuncia ad opera della parte istante. Infine, la liquidazione delle spese del procedimento è effettuata al giudice dell’esecuzione (a carico della parte esecutata), con decreto che costituisce titolo esecutivo, che secondo i più ha natura monitoria, come se si trattasse di un decreto ingiuntivo, pertanto impugnabile tramite opposizione dinanzi lo stesso giudice che l’ha pronunciato. Vediamo il procedimento: inizia con un preavviso notificato dall’u.g. almeno 10 gg prima dell’accesso sul luogo dell’esecuzione. Il gg e l’ora in cui l’accesso avverrà (specificati nel preavviso), l’ufficiale si reca sul luogo e usando i suoi poteri coercitivi immette la parte istante (o altra persona da lei designata) nel possesso dell’immobile, consegnandole le chiavi o ingiungendo ai detentori di riconoscere il nuovo possessore. Quando le operazioni non si possono concludere in un solo gg, l’ufficiale accederà all’immobile più volte senza dover reiterare l’avviso. Se nell’immobile sono presenti mobili appartenenti alla parte esecutata, l’ufficiale intima all’esecutato o al terzo di esportarli entro un certo termine dando atto di tale intimazione nel verbale delle operazioni da lui eseguite. Trascorso tale termine senza relativo adempimento, l’ufficiale individua, anche tramite estimatore, il valore di realizzo dei beni e le spese per la loro custodia e per l’asporto: se il valore è superiore a tali spese, nomina il custode che li trasporta altrove e li vende secondo le forme dei mobili pignorati, altrimenti se manca l’istanza in merito della parte interessata o l’anticipazione delle spese occorrenti e non appare utile il tentativo di vendita, i beni si considerano abbandonati e ne è disposto lo smaltimento o la distruzione (fermo restando che prima di tale momento il proprietario può sempre chiedere la riconsegna, previo pagamento delle spese di custodia e asporto). L’ESECUZIONE DEGLI OBBLIGHI DI FARE O NON FARE Premessa: è opportuno premettere che l’esecuzione forzata, come sappiamo, non è utilizzabile per attuare obblighi materialmente o giuridicamente infungibili. Inoltre, l’obbligo di non fare in quanto tale non è suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica, essendo solo ammissibile una condanna a disfare, ossia a distruggere ciò che era stato realizzato in violazione dell’obbligo, a spese dell’obbligato. Spesso però il confine tra obblighi fungibili e infungibili è incerto, quel che è certo è che tale tipo di esecuzione è consentita solo in presenza di un titolo esecutivo giudiziale, probabilmente sul presupposto che la fungibilità dell’obbligo deve esser valutata dal giudice di cognizione in via preventiva. Procedimento: inizia (dopo la notifica del titolo esecutivo e del precetto) col ricorso al giudice dell’esecuzione, in cui si chiede che siano determinate le modalità dell’esecuzione-> in tali casi infatti, il t.e. si limita a determinare l’obiettivo che il creditore ha diritto di conseguire in vista dell’obbligo di fare o non fare gravante sul debitore, senza stabilire come si raggiunga. Pertanto, nonostante l’art 612 non lo dica, l’ufficiale integrerà il contenuto generico del titolo. Il giudice deciderà poi con ordinanza e su istanza dell’ufficiale, può impartire con decreto (quindi inaudita altera parte) le opportune disposizioni occorrenti per superare le difficoltà sorte nel corso dell’esecuzione. In ambo i casi il provvedimento è impugnabile con opposizione agli atti esecutivi. LE MISURE COERCITIVE PER L’ATTUAZIONE DI CONDANNE NON AVENTI AD OGGETTO IL PAGAMENTO DI SOMME DI DENARO -L’art 614 bis aveva introdotto una misura coercitiva di natura civile dalla portata ampia, volta ad assicurare l’esecuzione (indiretta) delle condanne aventi ad oggetto obblighi di fare infungibile o di non fare, che non possono trovare attuazione col processo esecutivo. Nel 2015 è stato esteso l’ambito applicativo dell’istituto, che può ora esser usato per garantire l’attuazione di qualunque provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro (dunque a fronte di obblighi di fare, non fare, consegnare, rilasciare, indipendentemente dalla loro fungibilità o infungibilità). -Procedimento: il giudice, col provvedimento di condanna, fissa su richiesta di parte, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. La somma è determinata tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del vantaggio derivante dall’inadempimento, del danno quantificato e prevedibile e di ogni altra circostanza utile. Il giudice deve inoltre determinare la decorrenza della misura e può fissare un termine max della sua durata per evitare che la penalizzazione del debitore sia eccessiva e sproporzionata rispetto alla gravità dell’inadempimento. Il provvedimento in questione costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione, inosservanza o ritardo. Si tratta dunque di un istituto che non ha a che vedere con l’esecuzione forzata vera e propria, in quanto trattasi di una misura coercitiva civile di carattere generale, mirante ad assicurare la collaborazione dell’obbligato per l’adempimento di qualsiasi obbligo che non abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro. -Competenza: prima della riforma del 2022 la sua applicazione competeva al solo giudice della cognizione, oggi anche al giudice dell’esecuzione, qualora non sia stata chiesta nel processo di cognizione o quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna. -Il relativo provvedimento, sia quando costituisce statuizione accessoria rispetto alla condanna inerente l’obbligo di fare/non fare/rilasciare/consegnare, sia quando concesso dal giudice dell’esecuzione, è dipendente dalla condanna principale, quindi se questa viene caducata dal giudice dell’impugnazione, ne sarà automaticamente travolta anche la misura, quindi sorgerà il diritto alla ripetizione delle somme eventualmente pagate in esecuzione della sentenza riformata o cassata. -I problemi interpretativi inerenti a tale istituto sono molteplici: A) quanto all’ambito di applicazione, sono escluse le controversie in materia di lavoro subordinato e di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ed è comprensibile data l’incoercibilità delle obbligazioni gravanti sul lavoratore. Ciò che colpisce è che non sia stata prevista analoga esclusione per i rapporti di lavoro autonomo o professionale, dato che per esso si profilano esigente di tutela della sfera di libertà del prestatore analoghe (es scrittore che si è impegnato con l’editore a scrivere un romanzo). Tale discriminazione, meramente giustificabile adducendo alla mancanza di subordinazione, fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale. B) Cosa significa che l’applicazione della misura coercitiva deve escludersi quando sarebbe manifestamente iniqua? La premessa è che il ricorso all’esecuzione indiretta (misura coercitiva) ha senso ove l’interesse del titolare del diritto leso non può trovare realizzazione per altre strade. Si ricordi anche che la reintegrazione in forma specifica può essere accordata al danneggiato, in luogo del risarcimento, ove non risulti eccessivamente onerosa per il debitore. Alla luce di ciò si può pensare che la misura coercitiva vada esclusa: 1) quando l’adempimento dell’obbligo comporterebbe una penalizzazione eccessiva per il debitore (anche non patrimoniale); 2) quando il facere si concreta in una prestazione a carattere strettamente personale cui si contrappone un interesse del creditore patrimoniale, che può dunque esser soddisfatto mediante tutela risarcitoria per equivalente (che è l’alternativa quando non si applica la misura coercitiva). C) si rilevano poi rischi di compressione del diritto di difesa del debitore: dato che il provvedimento che un’unica udienza, si torna al giudizio di cognizione (finora spettava al giudice dell’esecuzione solo perché l’opposizione si accompagna ad una richiesta di sospensione dell’esecuzione, su cui si esprime il giudice dell’esecuzione), quindi si applicano i criteri ordinari di competenza e il rito pertinente alla materia della causa (es rito lavoro se si tratta di una materia di cui all’art 409). Se i criteri ordinari portano ad affermare la competenza dello stesso ufficio giudiziario cui appartiene il giudice dell’esecuzione, questi fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata. Se invece risulta competente un altro ufficio giudiziario, il giudice dell’esecuzione rimette ad esso la causa, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa (dunque la parte interessata dà un nuovo impulso al giudizio, o con un atto introduttivo o con una comparsa di riassunzione. La ratio è probabilmente quella di verificare se le parti sono interessate, alla luce dell’esito della preliminare fase inibitoria, ad ottenere una sentenza sul merito dell’opposizione). Tale sentenza è soggetta a tutte le impugnazioni proprie della sentenza di 1’ grado, quindi anche all’appello (notevole differenza rispetto alla sentenza che definisce l’opposizione agli atti esecutivi). L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI L’opposizione agli atti esecutivi, riguardando il modo in cui si svolge l’esecuzione, può servire a contestare la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, nonché la legittimità di qualunque altro singolo atto del processo esecutivo o provvedimento del giudice dell’esecuzione. (n.b. Per regolarità formale si fa riferimento al titolo esecutivo e non a tutti gli altri atti, che saranno censurabili solo per nullità). A differenza dell’opposizione all’esecuzione, l’opposizione agli atti esecutivi è soggetta a termine di decadenza di 20 gg, che decorrono: a) dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto quando riguardino vizi propri di tali atti; b) dal primo atto di esecuzione, se attengono alla stessa notificazione del titolo esecutivo o del precetto; c) dal gg del compimento dell’atto, quando il vizio riguardi un diverso atto o provvedimento (in tal caso il dies a quo è quello dell’effettiva conoscenza dell’atto stesso o di uno che lo presuppone). Rilevabilità del vizio: dovendosi applicare la disposizione per cui le nullità sono di regola dichiarabili su eccezione della parte interessata, il giudice dell’esecuzione può rilevare d’ufficio un vizio formale solo se in ragione della reculiare natura del vizio, la nullità è prevista non nell’interesse esclusivo delle parti ma a tutela del corretto esercizio della funzione giurisdizionale. Modalità d’instaurazione: anche in tal caso vale la distinzione basata sul momento in cui è introdotta: se l’esecuzione non è iniziata, con atto di citazione, se è iniziata con ricorso al giudice dell’esecuzione->nel 2’ caso, come nell’opposizione all’esecuzione, il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione e il termine perentorio per la relativa notifica assieme a quella del ricorso. Poi all’udienza si limita a pronunciare con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili o a sospendere la procedura, assegnando un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito. La decisione della causa spetta al giud dell’esecuzione, tramite sentenza non impugnabile ma ricorribile per cassazione e soggetta al regolamento di competenza. Legittimazione: essendo un rimedio generale rispetto all’illegittimità degli atti del processo esecutivo, è utilizzabile non solo dal debitore esecutato ma da tutti i soggetti coinvolti nel processo (debitor debitoris), i quali assumono la qualità di litisconsorti necessari nel relativo giudizio laddove possano risentire effetti positivi o negativi dall’accoglimento dell’opposizione. L’OPPOSIZIONE DI TERZO ALL’ESECUZIONE L’espropriazione forzata, al di là di quando si rivolge ad un soggetto diverso dal debitore, può colpire per errore beni di proprietà di 3’ o su cui 3’ vantano diritti reali di godimento. In tal caso il 3’ ha come rimedio l’opposizione di terzo all’esecuzione, che non incontra limiti temporali (purchè prima della vendita/assegnazione dei beni) che non va confusa con l’opposizione di terzo che è un’impugnazione. Ricordando quanto si è detto sugli effetti della vendita e assegnazione, capiamo che tale rimedio non è sempre uno strumento esclusivo ed indispensabile: in alcuni casi potrebbe anche agire in rivendica contro l’acquirente o l’assegnatario, successivamente alla conclusione del processo esecutivo. Ciò non toglie che il 3’ ha interesse ad evitare l’espropriazione, sicchè la scelta dell’opposizione mira ad ottenere la sospensione dell’esecuzione nel tempo occorrente a decidere sull’esistenza del diritto che vanta sui beni pignorati. Se poi la sospensione non è concessa o l’opposizione è proposta in un momento successivo alla vendita, il 3’ può far valere il proprio diritto sulla somma ricavata dalla vendita, tramite opposizione tardiva. Inoltre, per proteggere i creditori da possibili accordi fraudolenti tra debitori e 3’, impedisce all’opponente di provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati, a meno che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal debitore o dal 3’. Si tratta dunque di una presunzione legale (relativa) di appartenenza al debitore di tutti i mobili esistenti presso la sua abitazione o azienda, superabile solo attraverso atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento. Il procedimento ricalca quello dell’opposizione del debitore, sicchè tenendo conto che in tal caso si tratta di un’esecuzione necessariamente già iniziata, l’opposizione va proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione, che fissa con decreto l’udienza di comparizione e il termine per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza le parti possono raggiungere un accordo e il giudice deve darne atto con ordinanza, adottando i provvedimenti diretti ad assicurare la prosecuzione o l’estinzione del processo esecutivo. Se l’accordo non è raggiunto il giudice provvede sull’istanza di sospensione dell’esecuzione e poi fisserà un termine per l’introduzione o la riassunzione del relativo giudizio. Un tema delicato riguarda i rapporti tra tale opposizione e gli altri rimedi esperibili dal 3’ nei confronti di un’esecuzione che illegittimamente lo coinvolge. Non sfugge infatti che tale opposizione pare utilizzabile nei confronti della sola espropriazione e non anche quando la lesione del diritto del 3’ discenda da un’esecuzione forzata in forma specifica (per la consegna/rilascio/attuazione di obbligo di fare/disfare). Cosa accade dunque se il 3’ afferma ad es di essere il possessore dell’immobile per il cui rilascio è stata avviata l’esecuzione. Secondo l’opinione prevalente si deve distinguere a seconda che il 3’ intenda solo contestare il diritto del creditore di procedere esecutivamente nei suoi confronti o voglia contestare la legittimità del t.e.: nel 1’ caso il rimedio è l’opposizione all’esecuzione ex art 615, nel 2’ occorre l’impugnazione tramite opposizione di terzo (ordinaria o revocatoria). Qualora il titolo esecutivo non sia di tipo giudiziale, l’unico rimedio sarebbe l’opposizione all’esecuzione, laddove il 3’ vanti un diritto autonomo. SOSPENSIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO A differenza che nel processo di cognizione, in cui rappresenta un evento anomalo, la sospensione gioca un ruolo importante nel processo esecutivo perché serve ad evitare che un’esecuzione forzata ingiusta o illegittima produca un danno irreversibile per il debitore. LA SOSPENSIONE CONSEGUENTE A UN’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE O AGLI ATTI ESECUTIVI Al di là delle ipotesi in cui la sospensione è prevista dalla legge o disposta dal giudice dell’impugnazione, essa presuppone di regola la proposizione di un’opposizione all’esecuzione, che vi sia l’istanza della parte interessata e che ricorrano gravi motivi. Dagli artt 618 e 624 emerge che può scaturire anche da opposizione agli atti esecutivi, la quale è svincolata dai gravi motivi e rimessa invece alla discrezionalità del giudice. -Sulla richiesta di sospensione il giudice provvede con ordinanza, soggetta al reclamo al collegio (stesso rimedio contro provvedimenti cautelari). Per l’opposizione agli atti esecutivi invece l’ammissibilità del reclamo è dubbia e controversa ma la si riconosce per evitare sospetti di illegittimità costituzionale. Al di là di quali questioni, il provvedimento di sospensione può condurre all’estinzione del processo esecutivo, ove nessuna delle parti sia interessata a coltivare il giudizio di opposizione: infatti, se è stata proposta un’opposizione e il giudice dell’esecuzione ha ritenuto di sospendere, può accadere che nessuno dei creditori insista nell’esecuzione forzata (ritenendo evidentemente sussistenti le ragioni addotte dall’opponente) e che l’opponente, dal canto suo, non ha interesse a perseguire una sentenza sul merito. Alla luce di ciò comprendiamo l’art 624 c3: in caso di sospensione, se l’ordinanza non viene reclamata o viene confermata in caso di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio di cui all’art 616, il giudice dell’esecuzione dichiara anche d’ufficio l’estinzione del processo esecutivo. In altre parole, divenuto definitivo il provvedimento di sospensione, il debitore o il 3’ opponente può optare liberamente tra proseguire la causa relativa all’opposizione e l’estinzione del processo esecutivo La medesima disciplina si applica anche in caso di opposizione agli atti esecutivi, ove compatibile. *N.b. negli artt 615 e 619 si parla di opposizione all’esecuzione ma è implicito che l’opposizione sia anche al precetto, perché una loro discriminazione dal punto di vista dell’impugnabilità è irrazionale. LA SOSPENSIONE SU ISTANZA DEI CREDITORI Per la sola espropriazione forzata, l’art 624 bis prevede che il giudice dell’esecuzione, su istanza di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo e sentito il debitore, possa discrezionalmente sospendere il processo esecutivo per un periodo max di 24 mesi. L’istanza è soggetta a diversi limiti temporali (in base al tipo di espropriazione) ed è revocabile in ogni momento, anche su richiesta di uno solo dei creditori, dopo aver sentito il debitore. La ripresa del processo si ha entro i 10 gg successivi alla fine del periodo di sospensione. LA DISCIPLINA COMUNE ALLE IPOTESI DI SOSPENSIONE Forma: per l’istanza di sospensione dell’esecuzione non sono previste particolari forme, quindi quando non è contenuta nel ricorso con cui è stata proposta opposizione, potrebbe esser avanzata con autonomo ricorso o anche oralmente in udienza. Come detto, sull’istanza il giudice provvede con ordinanza (eventualmente revocabile e modificabile), ma nei casi urgenti può disporre la sospensione già col decreto con cui fissa l’udienza di comparizione delle parti (in tale udienza poi deciderà con ordinanza, confermando o revocando il provvedimento reso inaudita altera parte). Gli effetti della sospensione del processo esecutivo sono analoghi a quelli della sospensione nel p. di cognizione, risolvendosi nel divieto di porre in essere atti esecutivi, fatta salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, che può autorizzare atti urgenti o indifferibili. La ripresa del processo si avrà con ricorso, da proporsi entro il termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione (col provvedimento che disponeva la sospensione) e comunque in ogni caso entro 6 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza d’appello che rigetta l’opposizione. IL GIUDICE COMPETENTE E LA DOMANDA D’INGIUNZIONE Il giudice competente alla pronuncia del decreto ingiuntivo si individua coi consueti criteri di competenza (territorio, materia e valore), dunque spetta o al giudice di pace o al tribunale (in comp monocratica) che avrebbe dovuto conoscere della domanda proposta in via ordinaria. -In aggiunta a tali criteri, il ricorrente può adire, qualora si tratti di un credito relativo a prestazioni fornite in occasione di un processo, anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa cui il credito si riferisce. -Avvocati e notai possono anche rivolgersi al giudice competente per valore del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine o il consiglio notarile di appartenenza. -Forma e contenuto domanda d’ingiunzione: va proposta con ricorso che indica: giudice adito, parti, oggetto, ragioni della domanda, conclusioni, indicazione prove a supporto dell’istanza. Se il ricorrente può stare in giudizio personalmente indicherà anche la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice, ove manchi le notificazioni saranno eseguite presso la cancelleria. Se invece si avvale di un difensore con procura, lo indicherà nel ricorso. -Il ricorso è poi depositato in cancelleria assieme ai documenti allegati, che non potranno esser ritirati prima della scadenza del termine accordato al debitore per l’opposizione. POSSIBILE RIGETTO DELLA DOMANDA. CONTENUTO DECRETO INGIUNTIVO E SUA NOTIFICAZIONE La fase sommaria è molto semplice perché l’unica attività che compete al giudice è quella di accogliere o rigettare la domanda contenuta nel ricorso, sottopostogli dal cancelliere coi documenti allegati. -Il rigetto può aversi per qualsiasi ragione, processuale o di merito, che implicherebbe il rigetto della domanda di condanna proposta in via ordinaria (es mancanza presupposto processuale). Può esser totale o parziale e secondo la Corte giustizia UE, se la domanda si fonda su un contratto stipulato tra professionista e consumatore, potrebbe derivare dall’eventuale abusività delle relative clausole. E’ possibile che il giudice richieda l’integrazione della prova ove reputi la domanda insufficientemente giustificata o la prova inadeguata, e in tal caso pronuncia il rigetto con decreto motivato se il ricorrente non adempie all’invito o il giudice ritenga di non poter accogliere la domanda neppure dopo l’integrazione. Il rigetto non ha effetto preclusivo perché non impedisce la riproposizione della domanda. -Se sussistono i presupposti per l’accoglimento, il giudice entro 30 gg dal deposito del ricorso, con decreto motivato ingiunge all’altra parte di pagare la somma o consegnare la cosa entro 40 gg, con l’avvertimento che entro tale termine può opporsi e che senza opposizione si avrà esecuzione forzata in suo danno. Col decreto il giudica liquida le spese e le competenze del procedimento, ingiungendone il pagamento. (n.b. Sempre secondo la CGUE, ove il provvedimento riguardi un contratto concluso da un consumatore, la motivazione deve dar conto della verifica effettuata dal giudice circa la non abusività delle clausole). Dopo l’accoglimento, si ha notificazione in copia autentica del ricorso e del decreto, cui il ricorrente è tenuto a provvedere entro 60 gg dalla pronuncia. Essa determina la pendenza della lite. La data della notifica parrebbe rilevante sia per la produzione degli effetti sostanziali che processuali della domanda. Intesa alla lettera tale previsione si rivela però incongrua, perché condurrebbe a ritenere irrilevanti, dal punto di vista degli effetti della domanda, tutta la fase sommaria anteriore alla notificazione del decreto, pertanto l’interpretazione correttiva è quella per cui il deposito del ricorso è il momento al quale si deve guardare per la produzione degli effetti (stabilire sussistenza della giurisdizione, competenza dell’ufficiale giudiziario adito ecc). In caso di mancata notificazione, il decreto ingiuntivo diviene inefficace e l’intimato ha a disposizione un procedimento semplificato ex art 188 disp.att. per far sì che il giudice dichiari l’inefficacia con ordinanza non impugnabile. In caso di notificazione tardiva non si ha inefficacia e l’intimato può reagire con opposizione. EVENTUALE ESECUTIVITA’ PROVVISORIA ORIGINARIA DEL DECRETO INGIUNTIVO Di regola, il decreto ingiuntivo acquista qualità di titolo esecutivo solo con lo spirare del termine per l’opposizione oppure, se questa è stata proposta, dal giorno in cui viene rigettata. Tuttavia, ove ricorrano determinate condizioni, il giudice può concedere esecuzione provvisoria del decreto, o dall’inizio (quando pronuncia ingiunzione) o dopo l’istaurazione del giudizio di opposizione. -Ipotesi in cui il decreto ingiuntivo ha esecuzione provvisoria: a) quando il credito si fonda su cambiale, assegno bancario o circolare, certificato di liquidazione di borsa o su atto ricevuto da notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato; b) quando vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo (es pericolo atti fraudolenti dell’intimato); c) quando il ricorrente ha prodotto documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto. Se la provvisoria esecutività è concessa, il provvedimento ingiunge al debitore di pagare o consegnare, senza dilazione (per evitare l’esecuzione forzata). In tali casi il giudice può dispensare il ricorrente dall’osservanza del termine dilatorio di 10 gg prescritto dall’art 482. Il decreto provvisoriamente esecutivo è titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del debitore. L’OPPOSIZIONE DEL DEBITORE, TEMPESTIVA E TARDIVA Opposizione tempestiva: l’intimato, ricevuta la notifica del decreto ingiuntivo, può proporre opposizione entro 40 gg dinanzi l’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice del provvedimento, tramite atto di citazione notificato al ricorrente o presso il difensore-procuratore o nella residenza dichiarata/domicilio eletto. L’opposizione tardiva è ammessa solo se l’intimato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del decreto, per irregolarità della sua notificazione o per caso fortuito/forza maggiore o, pur avendone avuto conoscenza, di non aver potuto rispettare il termine sempre caso fortuito o forza maggiore. La disposizione è incongrua perché attribuisce all’intimato un onere probatorio gravoso e perché potrebbe valere anche in caso di nullità della notificazione, mentre la regola è che in caso di nullità della notificazione non si ha proprio la decorrenza del termine per l’opposizione. L’opposizione tardiva non è comunque illimitata nel tempo, perché non può esser proposta dopo che siano trascorsi 10 gg dal compimento del primo atto dell’esecuzione forzata. NATURA ED OGGETTO (DUPLICE) DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE Il giudizio di opposizione introduce un giudizio a cognizione piena, che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario e che sfocia in una sentenza (che in alcuni casi si sostituisce al decreto ingiuntivo). Più in particolare, seguirà il rito adeguato al tipo di diritto che si è fatto valere in via monitoria. Dubbia è la natura di tale giudizio ma stando all’opinione prevalente può affermarsi che: -è un processo di 1’ grado in cui si accerta sia se sussistevano i presupposti per la pronuncia dell’ingiunzione, sia la fondatezza della domanda alla base del decreto. Ciò implica che l’opposizione potrebbe approdare ad una sentenza di condanna anche quando il decreto ingiuntivo non poteva esser concesso per difetto dei presupposti o viceversa potrebbe concludersi con rigetto totale o parziale della domanda, o con sentenza di cessazione della materia del contendere (in caso di avvenuto adempimento); -seppur l’opposizione sia proposta dall’intimato, la ripartizione degli oneri probatori tra le parti resta quella determinata dalla domanda formulata in via monitoria(il creditore fornirà prova dei fatti costitutivi il diritto). Ciò implica che le prove documentali usate dal ricorrente per ottenere il decreto ingiuntivo, potranno avere nel giudizio di opposizione solo l’efficacia loro attribuita dalle regole ordinarie. Tenuto conto di tutto ciò, possiamo dire che il giudizio di opposizione ha natura composita e un oggetto duplice: pur dando luogo ad un processo di 1’ grado opera come impugnazione del decreto pronunciato inaudita altera parte (1), al tempo stesso introduce un ordinario processo di cognizione che ha ad oggetto la domanda di condanna posta a fondamento del ricorso per ingiunzione. POSSIBILI RELAZIONI CON ALTRI GIUDIZI A COGNIZIONE PIENA:LITISPENDENZA,CONTINENZA, CONNESSIONE A)ipotesi di incompetenza del giudice che ha pronunciato decreto ingiuntivo; B)ipotesi in cui la domanda di condanna avanzata in via monitoria sia stata già anteriormente proposta in via ordinanza dinanzi un altro ufficio giudiziario, determinandosi così una situazione di litispendenza; C) ipotesi in cui la domanda di condanna sia in relazione di continenza rispetto ad altra causa, precedentemente proposta dinanzi un altro ufficio giudiziario; D) ipotesi in cui la domanda di condanna alla base dell’ingiunzione è connessa con altra domanda oggetto di separato giudizio (pendente dinanzi altro giudice) o proposta nello stesso giudizio di opposizione, esorbitando però la competenza del giudice adito. In tutte queste situazioni, l’opinione prevalente ritiene che la competenza del giudice dell’opposizione in quanto tale sia funzionale e non ammette deroghe per connessione e che, a decidere su legittimità e validità del decreto, sia sempre l’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che lo ha emesso, mentre ciò che può trasmigrare al altro giudice è solo la causa avente ad oggetto il merito dell’ordinaria azione di condanna, virtualmente cumulata nel medesimo giudizio di opposizione. Questa premessa non causa problemi nelle ipotesi sub a) e d), mentre è incongrua nei casi sub b) e c) in vista della disposizione per cui solo la notificazione del decreto ingiuntivo determina pendenza della lite. Le Sez Unite ritengono che la pendenza della causa introdotta dal ricorso per ingiunzione, una volta intervenuta la notifica del ricorso e del decreto, va fatta risalire alla data del deposito del ricorso medesimo, quindi è il giudice della causa ordinaria a dover dichiarate la continenza in favore di quello adito in via monitoria. LA DISCIPLINA SPECIFICA DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE -Il giudizio di opposizione si svolge secondo le norme del procedimento ordinario dinanzi il giudice adito. Unica peculiarità riguarda la mancata/tardiva costituzione dell’attore-opponente, perché in tal caso si ha improcedibilità dell’opposizione, che rende immutabile il decreto ingiuntivo. -Tenuto conto poi che nel giudizio di opposizione, posizione processuale e sostanziale delle parti non coincidono, dato che il creditore opposto è colui che ha proposto la domanda di condanna in via monitoria, si discute sulla possibilità che l’opposto proponga con la propria comparsa domande riconvenzionali o diverse da quelle poste a base del ricorso per ingiunzione. La soluzione corretta è quella che guarda alla posizione formale delle parti e che in vista di ciò riconosce al creditore opposto tutti i poteri processuali che normalmente competono al convenuto, quindi anche la proposizione di tali domande (che spesso non avrebbe potuto proporre nel ricorso per ingiunzione). -Analoga soluzione vale per la chiamata di 3’, che l’opponente può effettuare mediante lo stesso atto di opposizione, a meno che l’interesse all’intervento non derivi dalle difese svolte dal creditore opposto nella propria comparsa di risposta. Quanto al creditore, può richiedere la chiamata nella comparsa di risposta, specificando che chiede a tal fine il differimento della prima udienza. ESECUTIVITA’ PROVVISORIA DEL DECRETO IN PENDENZA DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE Al di là del caso in cui il decreto ingiuntivo acquista efficacia provvisoria fin dall’origine, potrebbe acquisirla solo in seguito al rigetto dell’opposizione o all’estinzione del relativo processo. Più in particolare: -l’art 648 cpc prevede che, se il decreto non è già esecutivo ai sensi dell’art 642, il giudice nella 1’ udienza: a) deve concedere l’esecuzione provvisoria parziale limitatamente alle somme non contestate, a meno che l’opposizione sia proposta per vizi procedurali che prescindono dalla contestazione del credito; b) può concedere l’esecuzione provvisoria se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione; c) deve concederla in ogni caso se l’istante offre cauzione per l’ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni. Secondo la Corte Cost in tal caso il giudice conserva comunque il potere di valutare, ai fini della concessione della provvisoria esecuzione, gli elementi probatori (prova scritta o di pronta soluzione) e IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI LICENZA O SFRATTO Tale procedimento offre al locatore e al concedente che intendano agire per ottenere il rilascio dell’immobile oggetto di locazione/comodato/affitto di azienda, una possibile scorciatoia rispetto al processo ordinario, perché può addivenire in modo rapido ad un provvedimento che consenta al ricorrente di accedere al processo esecutivo. Esso però, a differenza del procedimento per ingiunzione, inizia con atto di citazione e dunque assicura fin dall’inizio il contraddittorio tra le parti. La sua specialità e sommarietà vanno piuttosto ricondotte ad una circostanza particolare: 1) se il convenuto omette di comparire alla prima udienza o non si oppone, il procedimento viene definito con un’ordinanza non impugnabile, equivalente nella sostanza ad una sentenza di condanna esecutiva; 2) se il contenuto compare e si oppone, il procedimento prosegue secondo le forme e le garanzie del processo a cognizione piena per esser definito con sentenza, fermo restando che il giudice può in presenza di date condizioni pronunciare un’ordinanza non impugnabile di condanna al rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto. Ipotesi in cui è esperibile: le azioni che possono esperirsi tramite tale procedimento sono 2-> A) azione di rilascio per scadenza del contratto di locazione/comodato/affitto di azienda. In tal caso il locatore/concedente agisce o per intimare al conduttore lo sfratto ove il contratto sia già scaduto o in vua preventiva, ossia prima della scadenza, chiedendo un provvedimento di condanna in futuro (in tal caso può cumulare in unico contesto sia la licenza, che occorre per evitare che il contratto si rinnovi, sia la citazione per la convalida dell’intimazione); b) azione di sfratto per morosità (riguarda solo la locazione o l’affitto di azienda ed implica una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento nel pagamento del relativo canone). In tal caso il locatore può chiedere nello stesso atto che il giudice pronunci separata ingiunzione per il pagamento dei canoni scaduti. c) in seguito alla cessazione del contratto di prestazione d’opera in cui il godimento dell’immobile costituisce il corrispettivo, anche parziale (es alloggio di servizio concesso al portiere). LA FASE INTRODUTTIVA E LA COSTITUZIONE DELLE PARTI -La competenza spetta al tribunale del luogo in cui è ubicato l’immobile locato. -L’atto introduttivo riveste la forma dell’atto di citazione, che però presenta le seguenti peculiarità: a) quanto al contenuto, sono richiesti solo gli elementi ex art 125 (ufficio giudiziario, parti, oggetto, ragioni della domanda, conclusioni), integrati dall’invito a comparire nell’udienza indicata e dall’avvertimento che in caso di mancata comparizione o mancata opposizione, il giudice convaliderà la licenza o lo sfratto; b) il termine minimo di comparizione è di 20 gg e può esser abbreviato (su istanza dell’intimante) fino alla metà dal presidente del tribunale, quando si tratti di una causa che richiede pronta spedizione; c) per evitare che l’intimazione non pervenga a conoscenza del conduttore, per un verso è escluso che sia notificata presso il domicilio eletto, per l’altro se l’atto non è consegnato nelle mani dell’interessato si prevede che l’ufficiale giudiziario lo avverta dell’avvenuta notifica tramite lettera raccomandata. -La costituzione delle parti è analoga a quella dinanzi il giudice di pace: può avvenire in cancelleria o in udienza. Il convenuto anzi non ha neppure bisogno di una formale costituzione (tramite difensore) perché se vuole opporsi alla convalida può farlo comparendo personalmente all’udienza. Da ciò si deduce che non operano le preclusioni tipiche del rito ordinario. I POSSIBILI ESITI A)IN CASO DI MANCATA COMPARIZIONE DEL LOCATORE-> qualora il locatore o concedente ometta di comparire all’udienza fissata nell’atto di citazione, gli effetti dell’intimazione cessano (ossia il procedimento viene definito in mero rito, con ordinanza), al di là dalla comparsa del conduttore/affittuario/comodatario. Tuttavia la mancata comparizione dell’attore non fa venir meno gli effetti (sostanziali) della licenza eventualmente contenuta nell’atto introduttivo, idonea comunque a impedire la rinnovazione del contratto. B) IN CASO DI MANCATA COMPARIZIONE O NON OPPOSIZIONE DEL CONVENUTO-> il giudice convalida la licenza o lo sfratto con ordinanza esecutiva a meno che risulti che il convenuto non abbia avuto conoscenza della citazione o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore (in tal caso il giudice ordina la rinnovazione della citazione e rinvia la causa ad udienza successiva). -Quando si tratta di sfratto per morosità la convalida è subordinata alla circostanza che il locatore attesti in giudizio espressamente che la morosità persiste, e il giudice in tal caso può imporgli di pagare una cauzione. In mancanza di tale attestazione lo sfratto non è convalidato e il procedimento può solo proseguire nelle forme ordinarie, qualora l’attore insista nel chiedere la risoluzione per inadempimento. Sempre in relazione allo sfratto per morosità, se l’attore l’aveva richiesto nell’atto introduttivo, il giudice può pronunciare un separato decreto ingiuntivo (in calce ad una copia dell’atto introduttivo) che costituisce titolo esecutivo per l’ammontare dei canoni già scaduti e delle spese concernenti l’intimazione. Tale provvedimento è impugnabile nelle forme e modalità previste per l’opposizione a decreto ingiuntivo, ma l’impugnazione non incide sull’avvenuta risoluzione del contratto. Quanto alla natura del provvedimento di convalida: la non opposizione è una fattispecie in cui il legislatore conferisce autonomo rilievo al riconoscimento della domanda senza profili di sommarietà, mentre in caso di mancata comparizione il giudice deve verificare non solo la sussistenza dei presupposti processuali ma anche la fondatezza della domanda. Tuttavia è pur sempre una verifica allo stato degli atti che non implica un accertamento del diritto al rilascio. Pertanto l’ordinanza di convalida (che equivalga ad una condanna al rilascio o ad una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento) può ritenersi un provvedimento schiettamente sommario. C) IN CASO DI OPPOSIZIONE DEL CONVENUTO-> se l’intimato compare all’udienza e si oppone alla convalida, quest’ultima rimane esclusa e il processo prosegue secondo le regole proprie del giudizio ordinario a cognizione piena, affinchè la domanda del locatore sia decisa con sentenza. Tenuto conto che nella materia trova applicazione il rito speciale ex art 447 bis, l’art 667 stabilisce che il giudice deve disporre con ordinanza il mutamento del rito, fissando poi l’udienza di discussione e il termine perentorio entro cui le parti provvedono all’eventuale integrazione degli atti introduttivi. Prima che si addivenga a tale provvedimento che segna la conclusione della fase speciale e sommaria, si prevede la possibile pronuncia di 2 distinti provvedimenti anticipatorii, idonei ad attribuire immediatamente un titolo esecutivo al locatore, per il pagamento di una parte dei canoni o per il rilascio dell’immobile: 1) Il provvedimento anticipatorio che attribuisce un t.e. per il pagamento di una parte dei canoni riguarda il solo sfratto per morosità e presuppone che l’intimato neghi la propria morosità contestando l’ammontare della somma pretesa dal locatore, ammettendo implicitamente di essere in parte inadempiente. Sussistendo una parziale non contestazione, per un verso resta esclusa la convalida dello sfratto, per l’altro il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa entro un termine non superiore a 20 gg e fissando una nuova udienza successiva a tale termine. Se a tale udienza l’ordine resta inadempiuto, convaliderà l’intimazione di sfratto e pronuncerà il provvedimento d’ingiunzione relativo al pagamento dei canoni. 2) Il provvedimento anticipatorio che attribuisce un t.e. per il rilascio dell’immobile si ha quando l’opposizione dell’intimato si concreta nella proposizione di eccezioni non fondate su prova scritta. In tal caso il giudice, su istanza del locatore e purchè non sussistano gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto, immediatamente esecutiva ed eventualmente subordinata alla prestazione di una cauzione. Inoltre non risente dell’eventuale successiva estinzione del giudizio. In pratica il legislatore presuppone che i fatti costitutivi del diritto siano non controversi o assistiti da prova scritta, ed allora dinanzi ad eccezioni del convenuto che richiedono l’assunzione di prove costituende, consente la pronuncia di una condanna sommaria con riserva di tali eccezioni. Considerato che il provvedimento non è impugnabile, vi sono dubbi di illegittimità costituzionale. L’OPPOSIZIONE TARDIVA E GLI ALTRI RIMEDI NEI CONFRONTI DELL’ORDINANZA DI CONVALIDA Come per il decreto ingiuntivo non opposto o divenuto esecutivo per improcedibilità/estinzione del giudizio di opposizione, l’opinione dominante riconosce all’ordinanza di convalida di licenza o sfratto la piena attitudine al giudicato, equiparandola ad una sentenza di risoluzione del contratto per inadempimento e/o di condanna al rilascio. L’unico rimedio idoneo a caducare l’ordinanza è la cd opposizione tardiva, ammessa solo quando l’intimato provi di non aver avuto tempestiva conoscenza dell’intimazione per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. Tale opposizione, esperibile non oltre 10 gg dall’inizio dell’esecuzione forzata per rilascio, instaura un giudizio a cognizione piena ed esauriente e si propone con le medesime forme prescritte per l’opposizione al decreto di ingiunzione (ove applicabili, dato che a tale giudizio si applica il rito ex art 447 bis). La proposizione dell’opposizione non fa venir meno l’esecutività dell’ordinanza di convalida ma consente al giudice, in presenza di gravi motivi, di disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione del processo esecutivo (con eventuale prestazione di una cauzione dell’opponente). La non impugnabilità dell’ordinanza è tuttavia ridimensionata sul piano interpretativo: secondo dottrina e giurisprudenza si applica il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, quindi ove l’ordinanza sia stata resa al di fuori dei presupposti di legge, si considera sentenza ed è dunque appellabile. La Corte Cost invece assoggetta l’ordinanza tanto all’opposizione di terzo, quanto alla revocazione ordinaria per errore di fatto e straordinaria per dolo di una parte in danno dell’altra. giudice che può scegliere non solo un 3’ ma anche quello tra i 2 contendenti che offre maggiori garanzie e dà cauzione. In tal caso il ricorrente consegue dal sequestro un’utilità non troppo diversa da quella che gli verrebbe dall’esecuzione di una sentenza di accoglimento della domanda di consegna o rilascio. Prerogative del custode: ha diritto al compenso almeno quando sia soggetto diverso da una delle parti e può stare in giudizio per le azioni che riguardano la custodia o l’amministrazione dei beni, risponde civilmente e penalmente dell’inosservanza degli obblighi di custodia. SEQUESTRO GIUDIZIARIO DI COSE CON FUNZIONE PROBATORIA Il 2’ tipo di s. giudiziario (contemplato sempre dall’art 670) può riguardare qualunque cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, pertanto viene in rilievo come fonte materiale di prova ed è strumentale rispetto al diritto alla prova, mirando a prevenire ogni alterazione materiale o dispersione giuridica (alienazione) degli oggetti sequestrati. Ambito operativo: tale misura cautelare opera quando è controverso il diritto all’esibizione o alla comunicazione, ossia quando è configurabile sul piano sostanziale un vero e proprio diritto all’esibizione (o alla comunicazione) del documento o della cosa da cui si desumono elementi di prova, o comunque un diritto reale o personale su di essi. Esecuzione: avviene entro 30 gg dalla pronuncia del provvedimento autorizzativo e vi è un rinvio alle forme dell’esecuzione per consegna o rilascio, in base alla natura del bene. Si esclude in ogni caso la previa notificazione dell’atto di precetto e il preavviso di rilascio è richiesto solo ove il custode non sia lo stesso detentore dell’immobile. L’attuazione avviene con l’immissione del custode nel possesso dei beni: se si tratta di mobili basta la loro materiale apprensione, se si tratta di immobili la trasmissione del possesso al custode non esclude che la mera detenzione del bene sia lasciata al destinatario del sequestro o al 3’. In tal senso depongono sia l’art 608 secondo cui l’esecuzione per rilascio si compie ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore, sia l’art 677 per cui se il bene è detenuto da un 3’ il giudice, con lo stesso provvedimento autorizzativo o con uno successivo, può ordinare al 3’ di esibire il bene sequestrato o consentire l’immediata immissione in possesso del custode. -Nulla dispone il codice se è nominata custode la parte che già si trova nella detenzione del bene: in tal caso sembra sensato escludere una vera e propria attività esecutiva del sequestro, perché per far mutare il titolo giuridico della detenzione (rendendo cioè attuale l’obbligo di custodia) basta che al custode sia data conoscenza legale del provvedimento di nomina. -Nulla si dispone neppure per gli atti di disposizione dei beni sequestrati, probabilmente perché nel disegno del legislatore l’istituto mirava ad assicurare la conservazione dei beni e non prevenire tali atti. Parte della dottrina ritiene che il divieto di alienazione sia implicito nell’ordinamento e che la sua violazione determina nullità dell’atto dispositivo (se il 3’ era a conoscenza del provvedimento di sequestro). Nella maggior parte dei casi, peraltro, il sequestrante è tutelato da tali atti tramite i principi che regolano la successione a titolo particolare nel diritto controverso: se si tratta di mobili il 3’ acquirente non può invocare il principio dell’acquisto della proprietà per il tramite del possesso in buona fede a meno che il possesso non gli sia stato trasferito dal custode in violazione dei suoi obblighi; se si tratta di immobili o mobili registrati la tutela si assicura tramite trascrizione della domanda del sequestro, che opera come una sorta di prenotazione, rendendo inopponibili all’attore i successivi atti di disposizione del diritto controverso. DENUNCE DI NUOVA OPERA E DI DANNO TEMUTO: PRESUPPOSTI SOSTANZIALI DELLE AZIONI DI NUNCIAZIONE Le azioni di nuova opera e danno temuto (cd di nunciazione) sono concesse a difesa della proprietà e dei d. reali di godimento, nonché del possesso (con esclusione dei diritti personali). Il giudizio di cognizione piena cui si ricollegano può dunque avere natura petitoria o possessoria. -La denuncia di nuova opera è proponibile contro chiunque abbia intrapreso, sul proprio o altrui fondo, una nuova opera dalla quale possa in futuro derivare danno alla cosa oggetto del diritto reale o del possesso, purchè l’opera non sia iniziata da oltre 1 anno e non sia comunque ultimata. L’azione mira ad un provvedimento di natura conservativa che inibisca la continuazione dell’opera. Il giudice può disporre la prosecuzione con le opportune cautele, ossia imponendo all’attore di pagare una cauzione che assicuri la demolizione o la riduzione del manufatto e il risarcimento danni ove la domanda del denunziante risulti fondata nel merito. Analoghe cautele operano se la continuazione dell’opera è vietata: in tal caso la cauzione garantisce il ristoro dei danni provocati dalla sospensione che risulti poi ingiustificata. -La denuncia di danno temuto presuppone il pericolo di danno grave e prossimo che potrebbe derivare alla cosa da qualsiasi edificio, albero o altra cosa altrui, quindi presuppone un comportamento omissivo del proprietario o possessore giuridicamente obbligato a evitare il danno. Il provvedimento del giudice può avere contenuto vario: o impone un’idonea garanzia per gli eventuali danni o anche le misure positive atte ad ovviare il pericolo. Il procedimento (rinvio):se si prescinde dall’art 21 c2 cpc secondo cui la competenza ante causam spetta al giudice del luogo in cui si è verificato il fatto denunciato, le azioni in esame sono integralmente assoggettate al rito cautelare uniforme, che vedremo più avanti. Unica disposizione autonoma residua prevede che il giudice, in caso di inosservanza del divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto, può disporre la riduzione in pristino a spese del contravventore (su ricordo dell’interessato e con ordinanza). Le 2 denunce sono collocate tra le misure cautelari anticipatorie, la cui efficacia è svincolata dall’istaurazione e prosecuzione del giudizio a cognizione piena. L’ISTRUZIONE PREVENTIVA L’istruzione preventiva consente l’assunzione anticipa di alcuni mezzi di prova in situazioni in cui se si aspettasse la fase istruttoria del processo a cognizione piena, essa potrebbe risultare preclusa o non più utile. Tuttavia ciò si ammette solo per la prova testimoniale, l’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale. I provvedimenti di istruzione preventiva, pur avendo natura cautelare, presentano alcune peculiarità che spiegano l’autonomia della disciplina rispetto al rito cautelare uniforme. Essi infatti tutelano indirettamente il diritto controverso, avendo come oggetto immediato il diritto alla prova: ciò si riflette anche sulla provvisorietà, perché sebbene non siano provvedimenti anticipatori, la parte che l’ottiene ante causam non ha alcun onere di iniziare il giudizio di merito entro un termine perentorio per evitare ch’esso divenga inefficace. La conseguenza più importante riguarda però il fatto che non rileva il fumus del diritto alla cui prova il mezzo è preordinato, tant’è vero che quest’ultimo potrebbe anche riguardare l’esistenza di un fatto estintivo, impeditivo o modificativo del diritto stesso, ossia la fondatezza dell’eccezione proposta da chi contesta l’esistenza di tale diritto. Al contrario si ammette che il giudice dell’istruzione preventiva controlli ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova di cui è chiesta l’assunzione anticipata, fermo restando che il suo accertamento avrà un carattere provvisorio e non può pregiudicare la successiva risoluzione delle questioni da parte del giudice di merito. I provvedimenti di istruzione preventiva sono pronunciabili anche dal giudice di pace. Mezzi di prova assumibili: prova testimoniale, accertamento tecnico e ispezione giudiziale (la riforma del 2005 ammette anche la consulenza tecnica preventiva). A) prova testimoniale-> è consentita l’audizione di testi a futura memoria quando le loro deposizioni possono essere necessarie in una causa da proporre o vi sia fondato motivo di temere che essi stiano per mancare (malato, in età avanzata ecc). B) accertamento tecnico e ispezione giudiziale-> possono esserne oggetto solo lo stato di luoghi o la qualità/condizione delle cose. Dunque si esclude l’ispezione corporale e si ricava che l’accertamento tecnico preventivo si limita alla mera descrizione dello stato dei luoghi o delle cose senza spingersi (nei giudizi risarcitori) alla valutazione delle cause e dell’entità dei danni controversi. La riforma 2005 ha fatto però venir meno ambo le limitazioni: è ammessa l’ispezione corporale e l’a.t. ammette anche i profili prima esclusi. In ogni caso il ricorso a questi 2 mezzi di prova è subordinato al presupposto dell’urgenza, coincidente col periculum in mora e dunque con l’eventualità che, nel periodo occorrente per l’assunzione della prova, venga meno o sia alterato l’oggetto della prova. Il procedimento: l’istanza si propone con ricorso, contenente l’indicazione dei motivi dell’urgenza, dei fatti sui quali verte la prova, l’esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata. La competenza spetta allo stesso giudice competente per il merito secondo i criteri ordinari (tribunale, con decisione presa dal presidente, o g. di pace). In caso di eccezionale urgenza la competenza spetta al tribunale del luogo in cui la prova dev’essere assunta. Se poi la causa di merito è già stata proposta, l’istanza si propone al relativo giudice istruttore. Tornando al procedimento, se il ricorso è proposto ante causam, il giudice è tenuto a disporre con decreto la comparizione delle parti, fissando la data della relativa udienza ed il termine perentorio per la notifica del provvedimento. Dopo l’audizione delle parti e aver acquisito sommarie informazioni, decide con ordinanza non impugnabile, la quale se ammette la prova contiene la designazione del giudice che la assume (in caso di testimonianza) o la data d’inizio dell’operazione (in caso di accertamento tecnico o ispezione). In forza dell’art 669 septies, unica norma del rito cautelare uniforme applicabile, l’ordinanza di incompetenza o rigetto della domanda cautelare non preclude la riproposizione della domanda, purchè siano dedotti mutamenti delle circostanze o nuove ragioni di fatto o di diritto. In caso di eccezionale urgenza, il giudice può anche accogliere l’istanza con un decreto inaudita altera parte, dispensando il ricorrente dalla notificazione alle altre parti e nominando un procuratore che intervenga per le parti non presenti all’assunzione della prova (a quest’ultime il decreto è notificato dal cancelliere non oltre il gg successivo all’assunzione). Rimedi: la Corte Cost ha assoggettato al reclamo cautelare il solo provvedimento di rigetto dell’istanza d’istruzione preventiva. Secondo parte della dottrina sarebbe possibile anche per il provv di accoglimento. LA CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA CON FUNZIONE CONCILIATIVA La riforma 2005, oltre ad aver ampliato i limiti dell’accertamento tecnico e dell’ispezione preventivi, ha previsto che possa esser richiesta una vera e propria consulenza tecnica preventiva, anche al di fuori delle condizioni richieste per le altre prove da assumere con istruzione preventiva, ai fini dell’accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dalla mancata/inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Si prescinde dunque dal periculum in mora (urgenza del mezzo istruttorio) e dalla finalità cautelare, mirando a favorire una composizione preventiva della lite con l’ausilio di un consulente tecnico. A tale consulenza tecnica preventiva può farsi ricorso, ante causam, in presenza di qualsiasi controversia riguardante una somma di denaro, a titolo di risarcimento o restituzione, che comunque scaturisca da un illecito contrattuale o extracontrattuale, ed in tal caso le indagini del c.t. vertono sia sul quantum che sull’an. La disciplina procedimentale è mutuata in parte dall’accertamento tecnico preventivo, per quel che concerne la fase dell’ammissione (nb con esclusione del rimedio del reclamo, data l’assenza di finalità cautelare), ed in parte dalla consulenza tecnica ordinaria, per quel che riguarda la fase di espletamento del mezzo istruttorio e l’attività del consulente-> unica particolarità è data dall’obbligo del consulente di dar corso ad un tentativo di conciliazione prima di depositare la relazione. Se il tentativo riesce, il consulente redige processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e depositato in cancelleria affinchè il giudice gli attribuisca efficacia di titolo esecutivo (utilizzabile per ogni tipo di esecuzione forzata e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale). Se il tentativo non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo ed eventuale giudizio di merito, purchè il giudice investito della causa voglia poi ammetterla. Il fatto che il ricorso ante causam debba individuare la domanda cui si collega ha spesso fatto sì che la giurisprudenza retrodatasse gli effetti della domanda di merito al momento della proposizione del ricorso. Seppur tenendo ferma l’autonomia delle 2 fasi processuali, siffatta soluzione merita d’esser condivisa per quel che concerne gli effetti processuali (in particolare per la cd perpetuatio iurisdictionis). Quanto agli effetti sostanziali, si addiviene ad una simile soluzione perché il ricorso cautelare è idoneo di per sè a interrompere la prescrizione. Infine si ammette, sebbene sia controverso, che la domanda cautelare, anziché col ricorso autonomo, possa inserirsi nell’atto introduttivo del giudizio a cognizione piena, fermo restando che in tal caso la medesima domanda si considererà proposta a giudizio di merito già iniziato, ossia dal momento in cui l’atto di citazione verrà portato a conoscenza dell’ufficio giudiziario. IL PROCEDIMENTO La disciplina del procedimento cautelare in senso stretto è molto scarna, essendo evidente l’intento del legislatore di lasciare al giudice una discrezionalità ampia in merito. Quando si tratta di un ricorso ante causam o quando viene adito un giudice diverso da quello investito del giudizio di merito, il cancelliere forma un fascicolo d’ufficio e poi lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, affinchè questi provveda a designare il magistrato a cui sarà affidato il procedimento cautelare. Negli altri casi il ricorso è proposto allo stesso giudice istruttore dinanzi cui pende la causa di merito. Iter con contraddittorio: il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione e il termine entro cui ricorso e decreto devono esser notificati dal ricorrente all’altra parte. Sente le parti e svolge l’attività istruttoria eventualmente necessaria (nel rispetto della sommarietà della cognizione cautelare compie le sole indagini e usa le sole prove di più celere acquisizione, senza neppure esser vincolato alle formalità prescritte per la loro assunzione) e decide con ordinanza, accogliendo o rigettando la domanda cautelare. Iter senza contraddittorio: quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, è anche possibile che il provvedimento cautelare sia assunto con decreto motivato senza previa istaurazione del contraddittorio e dopo l’assunzione, ove occorra, di sommarie informazioni. Ciò accade solitamente quando la preventiva conoscenza della domanda potrebbe consentire al destinatario di eludere la successiva attuazione della misura cautelare, ma anche quando l’urgenza sia tale da non consentire indugi. In tali casi, l’efficacia del provvedimento reso inaudita altera parte ha ristretti confini temporali perché il giudice col medesimo decreto fissa l’udienza di comparizione delle parti entro un termine max di 15 gg, assegnando un termine non superiore ad 8 gg per la notifica del ricorso alle altre parti. All’udienza deciderà poi con ordinanza, modificando o revocando i provvedimenti dati col decreto. Parte della dottrina ritiene che il giudice possa usare tale modus procedendi anche per il totale rigetto della domanda cautelare, purchè il decreto di rigetto fissi comunque l’udienza di comparizione. EFFETTI DELL’ORDINANZA DI RIGETTO L’ordinanza di rigetto non impedisce la riproposizione della domanda cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o siano dedotte nuove ragioni di fatto o diritto. Ha dunque un’efficacia preclusiva molto ridotta, coprendo solo il dedotto e non anche il deducibile e consentendo l’allegazione di nuovi fatti ad esso preesistenti nonché di esser messo in discussione in base a nuove argomentazioni giuridiche. L’ordinanza dichiarativa dell’incompetenza non possiede nemmeno questa limitata efficacia preclusiva, perché non è in alcun modo d’ostacolo alla riproposizione della domanda. Rapporto col reclamo: tale regime compensava l’esclusione del reclamo, che oggi è venuta meno, dato che il reclamo è esteso a tutte le ordinanze di rigetto, per ragioni di rito o merito. Allo stato attuale si ritiene che il regime della riproposizione della domanda cautelare operi solo ove l’ordinanza non sia reclamata. Se invece vi è stato reclamo e questo abbia condotto alla conferma del provvedimento negativo, l’istanza cautelare potrà reiterarsi solo per circostanze sopravvenute. L’ordinanza di rigetto o incompetenza pronunciata ante causam deve provvedere sulle spese del p.cautelare. IL REGIME DI STABILITA’ DELL’ORDINAZA DI ACCOGLIMENTO A)Regime tradizionale: una delle tipiche caratteristiche della tutela cautelare è la provvisorietà, non nel senso che i provvedimenti anticipatori possono essere rimpiazzati dal provvedimento a cognizione piena eventualmente pronunciato nel prosieguo del giudizio ma nel senso che l’efficacia del provvedimento cautelare non può protrarsi sine die, essendo subordinata alla tempestiva instaurazione del giudizio di merito (se il p. cautelare è ante causam) o alla sua prosecuzione fino alla decisione di merito. Più in particolare, ove il provvedimento cautelare sia concesso ante causam, il giudice fissa nello stesso un termine perentorio (non superiore a 60 gg) per l’inizio del giudizio a cognizione piena. In astratto il giudizio può esser proposto da una qualunque delle parti, in concreto l’interesse è della parte che ha ottenuto il p. cautelare, giacchè trascorso il termine perentorio senza istaurazione del processo la misura si caduca. N.b. tale regime si riferisce ai provvedimenti cautelari di tipo conservativo. B)Regime novellato (2005) per i provvedimenti anticipatori: il novellato art 669 octies prevede un regime differenziato per i provvedimenti di urgenza ex art 700, per gli altri provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, per i provvedimenti emessi a seguito di denuncia di nuova opera o danno temuto, per i provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari condominiali, prevedendo che per essi non valga l’obbligo di iniziare il g. di merito entro un termine perentorio (se si tratta di provv. ante causam), né il principio per cui l’efficacia della misura cautelare è travolta dall’eventuale estinzione del processo a cognizione piena. Tale innovazione si ispira a finalità deflattive, contando sull’eventualità che le parti dopo aver ottenuto la misura cautelare siano disposte ad accettare il nuovo assetto d’interessi determinato da quest’ultimo prestandovi acquiescenza, senza intraprendere il processo a cognizione piena (per tal motivo si parla di “strumentalità attenuata”). Per evitare poi che la parte vittoriosa debba istaurare il g. di merito per recuperare le spese processuali, il provvedimento anticipatorio provvede su esse. In tal caso dunque parleremo di attenuazione a fronte della provvisorietà dei p. cautelari conservativi. Per capire quando opera tale regime, si deve guardare all’anticipatorietà, desunta dal raffronto tra contenuto della misura e quello della eventuale e futura sentenza di merito (deve esservi corrispondenza). N.b. l’efficacia dei p. cautelari anticipatori così descritta opera solo sul piano dell’esecutività (ossia della possibilità di attuazione coattiva). La loro autorità non è infatti invocabile in un processo diverso. IL GIUDIZIO DI MERITO CONSEGUENTE ALLA CONCESSIONE DI UN PROVV. ANTICIPATORIO ANTE CAUSAM Iniziativa: quando è concesso un p. cautelare anticipatorio prima del processo a cognizione piena, ciascuna delle parti ha il diritto di iniziare quest’ultimo. In tali casi sebbene non si escluda un’iniziativa della parte che ha ottenuto la misura cautelare, è di solito quella che la subisce a promuovere il giudizio confidando in una sentenza a sé favorevole. Natura e oggetto sono controversi, soprattutto quando l’iniziativa è del soccombente alla misura: parte della dottrina ritiene si abbia un’inversione degli oneri probatori perché la parte formula una domanda di accertamento negativo del diritto posto a fondamento del provvedimento, con l’onere di dimostrarne l’inesistenza. Una siffatta soluzione è incongrua perché discrimina la posizione processuali delle parti in base alla circostanza (accidentale) che il provvedimento cautelare sia reso ante causam o nel processo a cognizione piena. Deve pertanto ritenersi che nel g. di merito la posizione delle parti, sotto il profilo degli oneri probatori, rimane uguale a quella del ricorso cautelare. INEFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE A)Le fattispecie di caducazione del provvedimento cautelare sono parzialmente diverse a seconda della natura del provvedimento medesimo: ad es l’inefficacia derivante dall’omessa/tardiva istaurazione del giudizio di merito o dall’estinzione dello stesso, riguarda le sole misure conservative. In tal caso la parte che subisce la misura potrebbe avere interesse a farla dichiarare per ottenere una pronuncia idonea ad eliminare gli effetti pregiudizievoli del provvedimento stesso: a tal fine può presentare ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento, il quale dopo aver fissato con decreto la convocazione delle parti, provvede con ordinanza, avente efficacia esecutiva e contenente anche le disposizioni occorrente per ripristinare la situazione anteriore, ammesso che la rimessione in pristino sia possibile. Se una delle parti vuole contestare tale ordinanza, è ammesso reclamo nonché la riproponibilità della domanda in nuovo e autonomo giudizio, escludendosi la ricorribilità in cassazione. B)Altre ipotesi di inefficacia riguardano tutte le misure cautelari, indipendentemente dal contenuto. Secondo l’art 669-novies, il provvedimento cautelare resta caducato: 1) qualora, essendo stata imposta all’istante una cauzione per l’eventuale risarcimento dei danni, egli abbia omesso di provvedere alla sua prestazione; 2) quando il giudizio di merito conduce ad una sentenza (anche non passata in giudicato) che dichiara l’inesistenza del diritto posto a base della domanda cautelare. Può trattarsi anche di una sentenza straniera o di un lodo arbitrale ove la causa sia attribuita al giudice di altro Stato o arbitri; 3) quando, spettando la giurisdizione per il merito ad un giudice straniero o ad arbitri, la parte interessata non presenti domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del loro arbitrale entro i termini decadenziali. Tenuto conto delle disposizioni sul riconoscimento automatico delle sentenze straniere, siffatta norma pare aver senso solo con riferimento al sequestro conservativo (in tal caso termine di 60 gg). *Nel caso 2 l’inefficacia può derivare anche da una sentenza di rigetto in rito (ossia per ragioni processuali)? Se si tratta di m. cautelari conservative, esse non sopravvivono alla conclusione del giudizio di merito, se si tratta di misure anticipatorie, dunque non vincolate alle necessaria istaurazione o prosecuzione del giudizio a cognizione piena, non è detto che l’impossibilità di decidere la causa implichi anche un vizio del provvedimento cautelare e ne comporti la caducazione. In tal caso inoltre, l’inefficacia e le misure ripristinatorie sono pronunciate nella stessa sentenza dichiarativa dell’inesistenza del diritto o, in mancanza, con ordinanza resa a seguito di ricorso al giudice che aveva emesso il provvedimento. REVOCA E MODIFICA Tutti le misure cautelari sono modificabili e revocabili su istanza di parte, per “mutamenti nelle circostanze”, ossia per fatti sopravvenuti che incidono sui presupposti della misura cautelare (fumus e periculum), nonchè per fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento (purchè in tal caso l’istante fornisca la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza). Revoca e modifica possono inoltre riguardare un provvedimento anticipatorio, affrancata dalla necessaria istaurazione e prosecuzione del giudizio a cognizione piena, sicchè sono consentite anche quando il giudizio non sia stato ancora iniziato o sia stato dichiarato eseguito. Per quel che concerne la competenza, occorre distinguere: a) se il g. di merito è iniziato ed è tuttora pendente, il potere di revoca o modifica spetta sempre al giudice istruttore, salvo che sia stato proposto reclamo: in tal caso i nuovi fatti sopravvenuti devono esser dedotti nel procedimento di reclamo; b) se il g. di merito non è ancora iniziato o si è estinto, revoca e modifica possono chiedersi allo stesso giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare, purchè sia esaurita l’eventuale fase del reclamo; c) se la causa appartiene alla giurisdizione di un g. straniero o è devoluta ad arbitri o se il provvedimento da revocare/modificare è strumentale ad un’azione civile esercitata o trasferita nel processo penale, la competenza per la revoca o modifica è attribuita al giudice e agli arbitri che hanno emanato la misura. L’ ATTUAZIONE La fase di attuazione del provvedimento cautelare è disciplinata dall’art 669-duodecies, con una preliminare distinzione che si fonda sul contenuto dell’obbligo imposto al destinatario del provvedimento: -se si tratta di misure cautelari aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro si applicano le disposizioni sull’espropriazione forzata ordinaria, ove compatibili. Dunque, il rapporto che corre tra fase di formale atto d’impulso di una delle parti che chiede al giudice di fissare un’udienza ad hoc. Il tutto sul presupposto che, sia quando il giudice abbia concesso il provvedimento interdittale sia nell’ipotesi inversa, in molti casi il soccombente possa acquietarsi e l’altra pare non abbia interesse a far decidere con efficacia di giudicato sull’esistenza o inesistenza di una lesione del possesso. I RAPPORTI TRA FASE SOMMARIA E FASE A COGNIZIONE PIENA Premesso che l’eventuale prosecuzione del giudizio di merito è subordinata alla domanda formulata nel ricorso introduttivo ex art 703 ed è poi soggetta alla disciplina del processo ordinario di cognizione, l’istanza di fissazione dell’udienza si propone con ricorso allo stesso giudice investito della fase interdittale (e il rispetto del termine perentorio di 60 gg si calcola guardando al deposito del ricorso stesso). Nel silenzio del legislatore è dubbio se debba esser la parte istante a far notificare alle altre parti il ricorso e il conseguente decreto di fissazione dell’udienza o se debba esser la cancelleria a far ciò. Se nessuna delle parti chiede la prosecuzione del giudizio entro quel termine, il giudizio si estingue ma ciò non incide sull’efficacia dell’ordinanza possessoria (di accoglimento), che può esser caducata solo da una sentenza che accerta l’infondatezza della domanda possessoria. Stando all’opinione prevalente, l’estinzione non può attribuire al provvedimento sommario un’autorità analoga a quella del giudicato perché non può impedire che in nuovo e autonomo processo a cognizione piena si torni a discutere della stessa situazione possessoria dedotta nel giudizio estinto e si pervenga ad una sentenza idonea a prevalere sull’ordinanza possessoria. I RAPPORTI TRA PROCEDIMENTO POSSESSORIO ED EVENTUALE GIUDIZIO PETITORIO Gli artt 704 e 705 cpc disciplinano i rapporti tra il procedimento possessorio e l’eventuale giudizio petitorio (quello in cui si discute dell’effettiva esistenza e titolarità del d. di proprietà o altro d. reale cui l’attività del possessore dovrebbe corrispondere). L’art 704 prevede che, se il fatto lesivo del possesso avviene durante la pendenza del giudizio petitorio, la domanda possessoria è attribuita alla competenza del giudice di quest’ultimo. La sola azione di spoglio (o reintegrazione nel possesso) può esser proposta anche al giudice del luogo in cui è avvenuto il fatto denunciato, che però si limita a pronunciare i provvedimenti temporanei indispensabili (ossia l’ordinanza interdittale), spettando poi alle parti la decisione di proseguire il giudizio petitorio o meno. L’art 705 sancisce il divieto del cumulo tra petitorio e possessorio, impedendo cioè (per rafforzare la tutela del possessore) alla parte convenute del g. possessorio di istaurare quello petitorio, finchè il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita, salvo che dimostri che l’esecuzione del provvedimento possessorio non può compiersi per fatto dell’attore. Tale divieto è stato attenuato dalla Corte Costituzionale che lo esclude quando potrebbe derivarne al convenuto un pregiudizio irreparabile (es il provv. possessorio condanna alla demolizione di un manufatto che il convenuto sostiene di aver legittimamente costruito). L’unico rimedio esperibile in tal caso è la possibilità di istaurare immediatamente il giudizio petitorio e di ottenere in quella sede un provvedimento cautelare destinato ad anticipare la decisione di merito e a paralizzare nel mentre l’esecuzione di quello possessorio. Tuttavia dati gli inconvenienti che potrebbero derivarne, si ammette che il convenuto, deducendo il pericolo di un pregiudizio irreparabile, possa far valere le proprie ragioni petitorie già nel procedimento possessorio, seppur in via di mera eccezione e dunque per ottenere il rigetto della relativa domanda. PROFILI GENERALI DEI PROCEDIMENTI IN CAMERA DI CONSIGLIO: RILIEVI INTRODUTTIVI Gli artt 737 ss disciplinano uno speciale modello di procedimento che si applica a tutte le ipotesi in cui la lege prevede che un dato provvedimento vada pronunciato in camera di consiglio (espressione che si contrapponeva alla decisione a seguito di discussione in pubblica udienza). In passato tale procedimento (cd camerale) era confinato nell’ambito della giurisdizione volontaria, che non ha ad oggetto diritti e status e che talvolta non consente d’individuare le parti contrapposte e potenzialmente destinatarie del provvedimento richiesto. Ciò spiega il carattere semplificato di tale rito, che parte della dottrina inserisce tra i procedimenti sommari e che si contraddistingue per la massima discrezionalità spettante al giudice nella conduzione del processo, nonché per il peculiare regime di stabilità e d’impugnazione del provvedimento finale (caratteristiche). Nella prassi, a prescindere dai casi in cui il confine tra giurisdizione volontaria e contenziosa sono sfumate, il legislatore ha spesso richiamato tale modello, modificandolo o integrandolo, in casi in cui il processo aveva ad oggetto diritti soggettivi o status (es rettificazione degli atti dello stato civile). Tale fenomeno è definito cameralizzazione dei diritti e si è accentuato nel tempo per via della complessità del processo a cognizione piena. Ciò ha indotto la giurisprudenza ad interrogarsi circa i limiti in cui tale procedimento, usato al di fuori dei casi della giurisdizione volontaria, sia compatibile coi principi costituzionali. LE CARATTERISTICHE DEL PROCEDIMENTO CAMERALE SECONDO IL SUO SCHEMA BASE A)Il procedimento camerale inizia con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice competente. La legge non si esprime sulle modalità di instaurazione del contraddittorio, lasciando quasi intendere che il giudice può provvedere anche inaudita altera parte. Tuttavia anche nel procedimento camerale vale l’art 111 c2 Cost che impone il rispetto del contraddittorio in ogni processo: è dunque chiaro che, a meno che si tratti di procedimento unilaterale, il giudice disporrà la comparizione delle parti, assegnando un termine per la notificazione dell’atto introduttivo e del decreto; B)Quanto alla trattazione e all’istruzione in senso stretto, l’art 738 prevede la nomina di un relatore, disciplina le modalità d’intervento del p.m. e attribuisce al giudice il potere di assumere informazioni. La trattazione è dunque di regola collegiale, che le attività probatorie sono esenti da termini e preclusioni e che il giudice è investito di poteri inquisitori e di autonoma iniziativa istruttoria; C) Salvo che la legge disponga altrimenti, il procedimento si conclude con decreto motivato, modificabile e revocabile in ogni tempo, fatti salvi i diritti anteriormente acquistati in buona fede dai 3’. D) Unica impugnazione ammessa contro il decreto camerale è il reclamo, per cui è competente la corte d’appello ove si tratti di provvedimento reso dal tribunale. E’ proponibile entro 10 gg, che decorrono dalla comunicazione del decreto (se trattasi di proc unilaterale) o dalla notificazione (se pronunciato nei confronti di 2 o + parti). La decisione con reclamo è pronunciata anch’essa con reclamo e non è soggetta ad impugnazione alcuna. Desumiamo il provvedimento camerale è inidoneo ad acquistare la stabilità del giudicato e a spiegare autorità in un diverso giudizio. LE DEVIAZIONI DAL MODELLO-BASE NEI PROCEDIMENTI CAMERALI AVENTI AD OGGETTO DIRITTI O STATUS -La disciplina appena esposta subisce integrazioni e modifiche nelle ipotesi in cui il procedimento camerale ha ad oggetto diritti o status. In alcuni casi è il legislatore a dettare una normativa congrua, disciplinando le modalità di attuazione del contraddittorio e i poteri istruttori delle parti, e stabilendo eventualmente che la forma del provvedimento non sia un decreto ma un’ordinanza o una sentenza, con conseguente assoggettamento ad un regime formale diverso. -La giurisprudenza estende poi al rito camerale alcuni principi del processo contenzioso: oltre al contraddittorio, il diritto alla prova e alla difesa tecnica. -Altra importante deviazione dallo schema base riguarda il regime di stabilità e impugnazione del provvedimento: la giurisprudenza attribuisce natura decisoria al p. cautelare avente ad oggetto diritti e status, conseguentemente, a meno che non sia previsto un diverso rimedio, ne ammette la ricorribilità per cassazione, negandone però la revoca/modifica ex art 742. Il risultato di tali discostamenti dalla disciplina legale è la perdita della sommarietà, nonché dubbi di legittimità costituzionali, dato che l’art 111 c1 Cost vuole che il processo sia regolato dalla legge. I PROVVEDIMENTI CAMERALI DI GIURISDIZIONE VOLONTARIA CHE INCIDONO INDIRETTAMENTE SU DIRITTI O STATUS Problemi permangono per le ipotesi in cui il provvedimento camerale che, pur costituendo di per sé mera gestione di interessi e rimanendo dunque nell’ambito della giurisdizione volontaria, sia suscettibile di incidere negativamente su diritti e status (sebbene in via indiretta). Esempi: provvedimenti di autorizzazione al compimento di atti negoziali da parte di un rappresentante legale di un minore o di un incapace, nomina di un amministratore giudiziario in seguito alla revoca di amministratori e sindaci in società di capitali per gravi irregolarità nella gestione, nomina di liquidatori in una società di persone ove i soci non concordino sulla sussistenza di una causa di scioglimento della società, revoca dell’amministratore di un condominio che si ripercuote sul diritto dell’amministratore rimosso di continuare a percepire il compenso. In tali casi l’adozione del rito camerale, pur integrato dalle garanzie processuali di cui al paragrafo precedente, è comunque inidonea ad assicurare un efficace controllo in sede di impugnazione, perché non avendo natura decisoria, il provvedimento reso in sede di reclamo resterebbe comunque sottratto al ricorso straordinario per cassazione. Data l’insufficienza della tutela del rito camerale nei confronti dei diritti negativamente incisi da un provvedimento camerale, si dice che come contrappeso opera la possibilità di dedurre i vizi del provvedimento in un ordinario processo a cognizione piena, avente appunto per oggetto il diritto illegittimamente leso dal provvedimento stesso. Tuttavia è un rimedio solo teorico, che se esperito con molto ritardo rispetto all’esecuzione del provvedimento, potrebbe fornire solo una tutela risarcitoria. -Se invece prevede un numero pari, il presidente del tribunale ne nomina un altro. -Se la convenzione ha omesso di indicare le modalità di nomina dell’arbitro, il presidente ne designa uno o +. Infine, si parla di arbitrato amministrato quando la convenzione ha attribuito la funzione di arbitro ad un organismo precostituito (es Camere arbitrali istituite presso le singole camere di commercio). N.b. la clausola binaria è quella con cui le parti nominano 2 arbitri su 3. IL PROCEDIMENTO PER LA NOMINA E LA SOSTITUZIONE DEGLI ARBITRI Nomina: ogni volta che sono le parti a nominare gli arbitri, ciascuna di esse può avviare il procedimento attraverso la notifica di un atto (cd domanda di accesso agli arbitri) con cui nomina l’arbitro o gli arbitri propri e invita la controparte a designare i suoi entro 20 gg e notificando a propria volta all’avversario generalità dell’arbitro/arbitri nominati. Se non lo fa, la parte che aveva invitato alla nomina la controparte può chiedere la nomina con ricorso al presidente del tribunale nel cui circondario si trova la sede dell’arbitrato o, se tale sede non è ancora stata determinata, a quello del luogo in cui è stata stipulata la convenzione o. se questo luogo è all’estero, al presidente del tribunale di Roma. Il presidente provvede alla nomina nel rispetto dei criteri di trasparenza, rotazione ed efficienza. Non sono previste impugnazioni contro il provvedimento di nomina ed un eventuale diniego di nomina rimarrebbe privo di rimedio. Allargamento: si ritiene che tale procedimento sia osservabile anche per l’arbitrato irrituale e che sia esperibile anche quando la nomina di uno o + arbitri sia demandata dalla convenzione all’autorità giudiziaria o ad un 3’ che ha omesso di provvedervi o quando, essendo mancati tutti gli arbitri e dovendosi sostituire gli stessi, la convenzione nulla disponga in merito o chi dovrebbe occuparsene non vi provveda. GLI OBBLIGHI, LA RESPONSABILITA’ E I DIRITTI DEGLI ARBITRI L’accettazione della nomina avviene per iscritto (è sufficiente la sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione) ed è accompagnata, a pena di nullità da una dichiarazione da cui risulti ogni circostanza che potrebbe condurre alla loro ricusazione. Con l’accettazione, gli arbitri assumono: -il dovere di condurre diligentemente a termine l’incarico ricevuto e dunque di decidere la controversia. L’inosservanza di tale dovere, dunque l’inadempimento, determina responsabilità risarcitoria nei confronti delle parti ed eventualmente la decadenza dell’incarico: il ritardo o l’omissione di un atto comporta la sostituzione dell’arbitro ad opera delle parti che siano d’accordo o del 3’ designato a tal fine dalla convenzione. Qualora non avvenga nessuna di tali ipotesi, ciascuna parte può mettere in mora l’arbitro inadempiente e diffidarlo a mezzo di lettera raccomandata per poi adire entro 15 gg con ricorso il presidente del tribunale affinchè dichiari con ordinanza non impugnabile la decadenza dell’arbitro e provveda alla sua sostituzione. -L’arbitro è poi tenuto al risarcimento dei danni nei confronti delle parti nelle seguenti ipotesi: 1) quando con dolo o colpa grave ha omesso o tardato il compimento di atti dovuti ed è dunque decaduto; 2) quando ha rinunciato all’incarico senza giustificato motivo; 3) quando con dolo o colpa grave ha omesso o impedito la tempestiva pronuncia del lodo; 4) nelle medesime fattispecie in cui sarebbe esperibile l’azione risarcitoria per danni cagionati da magistrati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali per dolo o colpa grave. In tali casi, a meno che la responsabilità derivi da dolo, il risarcimento non può superare il triplo del compenso convenuto o previsto dalla tariffa, fermo restando che all’arbitro non spetteranno il corrispettivo e il rimborso ridotto, o perlomeno potrebbero esser corrisposti in misura inferiore. Bisogna poi specificare che l’azione risarcitoria, tranne nei punti 1 e 2, può esser proposta solo dopo la conclusione del giudizio arbitrale e presuppone l’impugnazione del lodo (ove vi sia pervenuti a quest’ultimo) e che questa sia accolta con sentenza passata in giudicato. Agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Tra i diritti: rimborso delle spese, pagamento dell’onorario maturato per l’opera prestata, a meno che non vi abbiano rinunciato al momento dell’accettazione o con un atto scritto successivo. DOVERE DI DISCLOSURE DEGLI ARBITRI E LORO POSSIBILE RICUSAZIONE Tenuto conto che gli arbitri sono liberi di accettare o rifiutare l’incarico e di rinunciarvi in cado di giustificato motivo, comprendiamo perché non sia previsto un potere-dovere di astensione e sia disciplinata la sola ricusazione ad opera delle parti per uno dei motivi ex art 815 c1, analoghi a quelli che legittimano la ricusazione del giudice ex art 51 c1. La riforma del 2022 ha sia inserito come altro motivo di ricusazione “l’esistenza di altre gravi ragioni di convenienza tali da incidere sull’imparzialità o indipendenza dell’arbitro”, ma ha anche previsto che l’accettazione dell’arbitro debba esser accompagnata a pena di nullità da una dichiarazione in cui sia indicata ogni circostanza rilevante ai sensi dell’art 815 c1 (ossia che legittimerebbe la ricusazione) o la relativa insussistenza (cd dovere di disclosure). Tale dichiarazione dev’esser rinnovata in caso di circostanze sopravvenute e la sua omissione consente alla parte di chiedere entro 10 gg (dall’accettazione o dalla scoperta delle circostanze omesse) la decadenza dell’arbitro (come sappiamo tramite ricorso al presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato). Quanto all’istanza di ricusazione, essa è esclusa per gli arbitri che la parte ha nominato direttamente o contribuito a nominare, salvo che si fondi su motivi conosciuti dopo la nomina. Dev’esser proposta con ricorso al presidente del tribunale entro il termine perentorio di 10 gg dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente decide con ordinanza non impugnabile dopo aver sentito l’arbitro ricusato e le parti e aver assunto, all’occorrenza, sommarie informazioni. Provvede poi anche alle spese: in particolare, in caso di manifesta infondatezza o inammissibilità dell’istanza, condanna l’istante al pagamento di una somma in favore dell’altra parte, somma equitativamente determinata e non superiore al triplo del massimo del compenso spettante all’arbitro in base alla tariffa forense. La proposizione dell’istanza non sospende il procedimento a meno che siano gli arbitri a volerla disporre. Se l’istanza è accolta, l’attività istruttoria svolta dall’arbitro ricusato è inefficace e dunque deve esser reiterata. SEDE DELL’ARBITRATO La sede dell’arbitrato va indicata nella convenzione d’arbitrato e consiste in un’indicazione meramente geografica (ossia in una località) che deve trovarsi nel territorio della Repubblica. Se la sede non sia stata indicata dalle parti, sono gli arbitri a sceglierla, se neppure loro vi provvedono, la sede coincide col luogo in cui è stata stipulata la convenzione d’arbitrato. Se poi tale luogo è all’estero, la sede è a Roma. La sede ha rilevanza formale, perché ad essa si guarda per determinare il presidente del tribunale cui spettano una serie di provvedimenti connessi al procedimento arbitrale (nomina, sostituzione, ricusazione degli arbitri, liquidazione onorari e rimborsi spese, ordine comparizione testimoni che non compaiono spontaneamente), nonché per individuare gli uffici giudiziari competenti a dichiarare l’eventuale esecutività del lodo e per le relative impugnazioni. In assenza di diversa previsione delle parti nulla esclude che le attività degli arbitri si svolgano in luoghi diversi dalla sede d’arbitrato e finanche all’estero. REGOLE GENERALI SULLO SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO Principio fondamentale è quello che attribuisce prevalenza assoluta alla volontà delle parti, che dunque possono predeterminare (nella convenzione o in atto separato) le norme cui gli arbitri devono attenersi ed ogni aspetto del procedimento, inclusa la lingua dell’arbitrato e il luogo in cui svolgono le attività. La convenzione d’arbitrato può rinviare in tutto o in parte ad un regolamento arbitrale precostituito, cioè predisposto da enti o associazioni pubblici o privati, per la disciplina del procedimento. Se non vi è una predeterminazione operata dalle parti, né un rinvio regolamentare, sono gli stessi arbitri a regolare concretamente il procedimento e scegliere la lingua dell’arbitrato nel modo che ritengono opportuno, fermo restando il rispetto del contraddittorio considerato una garanzia minimale che dev’esser attuata concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa. E’ chiaro dunque che il procedimento arbitrale gode di un’elasticità sconosciuta nel processo ordinario di cognizione. Tuttavia data tale consapevolezza, il legislatore nel 2006 ha regolato taluni aspetti similmente al processo ordinario, per evitare alcune incertezze applicative del passato. Vediamole: -anche davanti agli arbitri è ammessa (ma non è obbligatoria) la rappresentanza tecnica. In tal caso la procura è più ampia rispetto al processo ordinario perché può coprire qualsiasi atto processuale, compresa la rinuncia agli atti e la determinazione/proroga del termine per la pronuncia del lodo. Si escludono solo gli atti di diretta disposizione del diritto controverso (es transazione). Infine il difensore con procura può esser destinatario della comunicazione/notificazione del lodo e della notificazione della sua impugnazione. -variazioni soggettive del processo: è consentito il solo intervento adesivo dipendente in cui il 3 non propone una domanda autonoma (perché è estraneo alla convenzione e altrimenti estenderebbe l’oggetto del giudizio) e quello del litisconsorte necessario. In tutti gli altri casi, l’intervento volontario o la chiamata del 3’ presuppongono l’accordo tra le parti e il 3’, nonché il consenso degli arbitri. Il legislatore precisa che al processo arbitrale si applica la successione a titolo particolare ma non vi è dubbio operi anche quella a titolo universale, dato che se una delle parti manchi per morte o altra causa il successore potrà subentrare ed esser normalmente vincolato alla convenzione d’arbitrato. -nelle controversie con pluralità di parti gli arbitri devono esser espressione di tutte e non solo di una di esse. L’art 816 quater prevede dunque che laddove vi siano più di 2 parti e non sussista un caso di litisconsorzio necessario, ciascuna di esse può convenire le altre parti purchè ricorra una di tali situazioni: a) la convenzione d’arbitrato devolve ad un 3’ la nomina degli arbitri; b) gli arbitri vengono nominati con l’accordo di tutte le parti; c) le altre parti, dopo che l’attore ha nominato il proprio arbitro (o i propri arbitri), si mettono d’accordo tra loro per nominare un egual numero di arbitri o ne affidano concordemente la nomina ad un 3’. Qualora non si verifichi nessuna di tali condizioni, il procedimento si scinde in tanti procedimenti quante sono le parti convenute, al fine di assicurare a ciascuna di esse una posizione paritaria in merito alla designazione degli arbitri. Tuttavia se si versa in una situazione di litisconsorzio necessario ciò non avviene e l’arbitrato diviene improcedibile (si apre così la strada alla giurisdizione dello Stato). -quanto agli eventi che possono incidere sul contraddittorio, non trovano applicazione le disposizioni in tema di interruzione. Infatti se la parte viene meno per morte, perdita della capacità legale o altra causa, gli arbitri assumono le misure idonee a garantire il contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio, possono sospendere il processo e rinunciare all’incarico se nessuna parte ottempera alle disposizioni necessarie alla prosecuzione del giudizio. -spese del procedimento e compenso degli arbitri: gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese sostenute e all’onorario per l’opera prestata. Fermo restando il principio della responsabilità solidale tra le parti in merito, nonché il diritto alla rivalsa nei rapporti interni, sono gli arbitri stessi a provvedere alla liquidazione delle spese e del proprio onorario formulando una proposta che diviene vincolante solo le parti l’accettano. In caso contrario, alla liquidazione provvede su ricorso degli arbitri e previa audizione delle parti, il presidente del tribunale competente con ordinanza che costituisce titolo esecutivo contro le parti, reclamabile dinanzi alla corte d’appello, la quale su istanza del reclamante può disporne l’inibitoria quando ricorrono gravi motivi. Il più delle volte gli arbitri si cautelano tramite la facoltà di subordinare la prosecuzione del processo al versamento anticipato delle spese prevedibili, determinando la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna parte. Se una delle parti non paga l’importo che gli spetta, un’altra può anticipare la totalità dell’importo. Se nessuna provvede, gli arbitri possono ritenersi esonerati dal mandato ricevuto e le parti non sono più vincolate dalla convenzione di arbitrato in merito alla controversia che ha dato luogo al procedimento arbitrale, per la quale potranno dunque adire il giudice. Quanto alla liquidazione e al rimborso spese sostenute dalle parti si rinvia al principio della soccombenza. -limiti oggettivi della cognizione degli arbitri: anche per il processo arbitrale vale il principio per cui l’oggetto del giudizio è determinato dalla domanda e non si estende ai diversi rapporti giuridici oggetto di questioni pregiudiziali. La conferma si trae dall’art 819, secondo cui gli arbitri risolvono senza autorità di depositare la copia autentica dell’atto introduttivo presso gli arbitri entro 90 gg dalla comunicazione dell’ordinanza di sospensione. LA FASE INTRODUTTIVA E LA TRATTAZIONE DELLA CAUSA A meno che le parti non hanno disposto diversamente, nulla vieta che l’oggetto del giudizio si determini e amplifichi nel corso del processo, con l’introduzione di domande nuove o la modificazione di quelle già proposte, fatto salvo il rispetto del contraddittorio e dei termini assegnati dagli arbitri. Fase introduttiva: in passato si diceva che l’atto introduttivo del processo arbitrale (cd atto di accesso) non fosse equiparabile a quello del processo dinanzi il giudice e non fosse idoneo a determinare la pendenza del processo, che veniva piuttosto fatto coincidere con la costituzione del collegio arbitrale o la sua 1’ riunione. Ne derivava che l’atto introduttivo conteneva un mero richiamo del compromesso o della clausola compromissoria e un’indicazione generica della controversia sorta tra le parti, mentre l’effettiva determinazione della domanda avveniva dopo, con la formulazione di quesiti sottoposti agli arbitri. La situazione è mutata dalla riforma del 1994: oggi l’art 816 bis dichiara che la domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e a quest’ultima è equiparata la notificazione dell’atto con cui una parte dichiara all’altra di voler promuovere un giudizio arbitrale. Dunque è oggi normale che l’atto di accesso contenga già la formulazione compiuta della domanda da sottoporre agli arbitri e su tale presupposto gli si collegano gli effetti sostanziali e processuali che nel processo ordinario derivano dalla notificazione dell’atto introduttivo. Questa equiparazione non comporta però che la mancata specificazione del petitum o della causa petendi rendono invalido l’atto di accesso, poiché l’oggetto può esser individuato come detto in un momento postumo (fermo restando che l’atto di accesso privo di domande determinate è inidoneo a produrre effetti). Quanto alla trattazione della causa, in assenza di regole predeterminate, gli arbitri possono procedere nel modo che ritengono più opportuno, assegnando eventualmente alle parti specifici termini per formulare domande o eccezioni nuove, precisare quelle già proposte e offrire nuovi mezzi di prova o nuovi documenti, con l’unico limite di dover sempre assicurare l’effettività del contraddittorio. Le eventuali questioni che si presentano nel corso del processo sono risolte con ordinanza revocabile non soggetta a deposito, a meno che gli arbitri provvedano con un lodo non definitivo. Le ordinanze concernenti il mero svolgimento del processo sono adottate dal solo presidente del collegio. L’ISTRUZIONE PROBATORIA La disciplina dell’integrazione probatoria è lacunosa nonostante alcune integrazioni della riforma del 2006. I principi comuni in materia di prove devono fare i conti con le peculiarità del processo arbitrale, quindi sussistono vari dubbi: mentre non è dubbio che gli arbitri siano vincolati alla regola legale di ripartizione dell’onere della prova, è dubbio il principio di disponibilità delle prove, e dunque il divieto di disporre d’ufficio i mezzi di prova reputati opportuni. E’ poi prevista una disciplina specifica per la testimonianza, data l’assenza di poteri coercitivi degli arbitri: gli arbitri anziché assumere la deposizione presso di sé possono assumerla presso l’abitazione o l’ufficio del testimone col suo consenso, inoltre possono chiedere risposte scritte in luogo della deposizione orale. Se il testimone rifiuti di comparire, gli arbitri quando lo ritengono opportuno in base alle circostanze, possono rivolgersi al presidente del tribunale della sede dell’arbitrato affinchè ordini al teste di comparire e la mancata comparizione sarà sanzionabile dal presidente stesso. Gli arbitri possono anche farsi assistere da consulenti tecnici, che siano persone fisiche o enti. Per il resto si ritengono utilizzabili tutte le prove tipiche del processo dinanzi al giudice, con una maggiore libertà nell’uso delle prove atipiche. Tuttavia si nega l’ammissibilità del giuramento o che sia prova legale, perché la relativa efficacia non è bilanciata dalla disposizione che punisce il delitto di spergiuro, difficilmente applicabile al giuramento dinanzi agli arbitri. Infine, mentre l’ammissione delle prove spetta al collegio nella sua interezza, l’istruttoria (la materiale assunzione delle prove) può esser delegata dal collegio a taluno dei suoi componenti. L’EVENTUALE COMPETENZA CAUTELARE DEGLI ARBITRI Con la riforma del 2022 è caduto per gli arbitri il divieto di emettere provvedimenti cautelari, prima giustificato adducendo all’assenza di poteri coercitivi. Il novellato art 818 consente alle parti di attribuire loro tale potere, con la convenzione d’arbitrato o con atto scritto anteriore all’istaurazione del g. arbitrale. L’attribuzione del potere può avvenire tramite rinvio a regolamenti arbitrali precostituiti e la competenza cautelare spetterà in via esclusiva ai soli arbitri. Il provvedimento arbitrale con cui si concede o nega una misura cautelare è soggetto a reclamo dinanzi la Corte d’appello nel cui distretto vi è la sede dell’arbitro ma solo ove ricorrano gli stessi motivi per l’impugnazione per nullità del lodo e per contrarietà all’ordine pubblico (condizioni per il reclamo). E’ però esclusa la possibilità di far valere la violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, con la sola eccezione della contrarietà all’ordine pubblico. Ne deriva che alla Corte è precluso il riesame del fumus e del periculum, quindi è solo teorica l’eventualità che essa conceda una misura cautelare negata dagli arbitri. Quanto all’attuazione della misura cautelare concessa dall’arbitro, quando essa ha ad oggetto un obbligo di consegna, rilascio, fare o non fare, si svolge sotto il controllo del tribunale del circondario in cui si trova la sede dell’arbitrato (o del luogo in cui deve essere attuata, ove quella sede sia all’estero). Quando ha ad oggetto una somma di denaro si applicano le forme dell’espropriazione forzata ordinaria. Per l’esecuzione dei sequestri vi è un richiamo agli artt 677 ss. IL TERMINE PER LA PRONUNCIA DEL LODO Il potere degli arbitri di decidere la causa è circoscritto nel tempo, quindi il superamento del relativo termine può incidere sulla validità del lodo: il termine è fissato nella convenzione d’arbitrato o in separato accordo anteriore dalle parti, in mancanza opera il termine legale di 245 gg dall’accettazione della nomina. -La proroga di tale termine può aver luogo in una serie di ipotesi ex art 820: a) per volontà concorde delle parti manifestata mediante dichiarazioni scritte indirizzate agli arbitri o, prima che il termine sia scaduto, mediante un provvedimento del presidente del tribunale reso su istanza motivata di una delle parti o degli arbitri (dopo aver sentito le parti); b) il termine è prorogato di 180 gg (per una sola volta) quando devono essere assunti mezzi di prova (1), quando sia disposta una consulenza tecnica d’ufficio (2), se viene pronunciato un lodo non definitivo o un lodo parziale (3), quando sia mutata la composizione del collegio arbitrale o sia sostituito l’arbitro unico (4). -Si ha sospensione del decorso del termine: a) in tutte le ipotesi di sospensione del giudizio arbitrale, riprenderà poi a decorrere dopo la ripresa del procedimento e, qualora il periodo residuo sia inferiore, viene esteso a 90 gg; b) quando sia stata ordinata la comparizione di un testimone dal presidente del tribunale. -La scadenza del termine, originario o prorogato, implica la decadenza degli arbitri dall’incarico ma non opera ipso iure: la parte che intende farla valere deve notificare la sua volontà alle parti e agli arbitri prima della deliberazione del lodo, altrimenti non può successivamente dedurre il superamento del termine come causa di nullità (impugnazione) del lodo. Se la parte deduce tempestivamente la decadenza, gli arbitri dopo aver verificato il superamento del termine devono senz’altro dichiarare l’estinzione del procedimento. LA DELIBERAZIONE E IL LODO (DEFINITIVO, NON DEFINITIVO E PARZIALE) -Sebbene nella prassi sia molto diffuso l’uso di istituti del processo ordinario, quali la precisazione delle conclusioni e lo scambio degli scritti difensivi finali, nessuna disposizione di legge regola nel processo arbitrale la chiusura dell’eventuale fase probatoria e il passaggio alla fase decisoria, sicchè l’unica esigenza da rispettare sembra essere il contraddittorio (a ciascuna delle parti deve esser data l’opportunità di interloquire circa l’esito dell’istruttoria e delle prove in essa assunte). -Inoltre anche nel procedimento arbitrale è consentito frazionare la decisione in più provvedimenti, infatti il legislatore distingue tra lodo definitivo, non definitivo (il cui corrisponde con quello di una sentenza non definitiva su questione) e parziale (limitato all’accoglimento o al rigetto di una delle più domande). -Quanto alla fase decisoria in senso stretto, gli arbitri sono di regola obbligati a decidere secondo le norme di diritto a meno che le parti non abbiano stabilito che decidano secondo equità. E’ inoltre le parti possono, nella convenzione o in atto separato, indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merio della controversia. In mancanza di tale indicazione, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili. -Deliberazione: il lodo è deliberato a maggioranza di voti con la partecipazione di tutti gli arbitri ed è redatto per iscritto. Ciascun arbitro può chiedere che il lodo o una parte di esso sia deliberato dagli arbitri riuniti in conferenza personale, quindi in mancanza di tale richiesta il lodo può esser deliberato a distanza senza una materiale riunione del collegio arbitrale, sfruttando i moderni sistemi di comunicazione. -Gli elementi di forma-contenuto del lodo sono: il nome degli arbitri, l’indicazione della sede dell’arbitrato, l’indicazione delle parti, l’indicazione della convenzione di arbitrato e delle conclusioni delle parti, l’esposizione sommaria dei motivi, il dispositivo, le sottoscrizioni degli arbitri e la relativa data. Il lodo può esser redatto in uno o più originali e di esso gli arbitri danno comunicazione alle parti entro 10 gg dalla sottoscrizione, consegnando ad ognuna di esse un originale o una copia del lodo. L’EFFICACIA DEL LODO E IL SUO EVENTUALE DEPOSITO L’art 824 bis, frutto della riforma del 2006, prevede che il lodo acquista dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria. Al di là di tale disposizione che sembra attribuire natura giurisdizionale al lodo, permangono dubbi. Tra essi tale interrogativo: il lodo nasce già con l’autorità della cosa giudicata ed è pertanto idoneo, fin dal momento della sua sottoscrizione, a produrre gli effetti di accertamento e costitutivi? O al contrario tali effetti devono intendersi subordinati alla definizione dell’impugnazione per nullità o allo spirare del relativo termine? Quel che invece è certo è che il lodo in quanto tale non è titolo esecutivo, quindi se una delle parti vuole promuoverne l’esecuzione deve farne istanza al tribunale nel cui circondario vi è la sede dell’arbitrato, depositando in cancelleria il lodo insieme all’atto contenente la convenzione di arbitrato. Il deposito è necessario anche quando se ne voglia chiedere la trascrizione o annotazione. Infine, il procedimento di exequatur si concreta nella mera verifica della regolarità formale del lodo, non esige la previa audizione delle parti e si conclude con un decreto che, se accoglie l’istanza, dichiara esecutivo il lodo. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti ed è reclamabile con ricorso alla corte d’appello entro 30 gg dalla comunicazione. La Corte provvede in camera di consiglio dopo che sente le parti. LA CORREZIONE DEL LODO Come per la sentenza, anche per il lodo si può chiedere la correzione, ove sia affetto da omissioni o errori materiali e di calcolo. La correzione può consistere anche nell’integrazione del lodo con uno degli elementi di forma-contenuto di cui all’art 823 n da 1 a 4 (nome arbitri, sede arbitrato, indicazioni parti e relative conclusioni, indicazione della convenzione d’arbitrato). La correzione del lodo non depositato può esser chiesta entro 1 anno dalla sua comunicazione agli arbitri, i quali provvedono entro 60 gg dando poi comunicazione della correzione alle parti nelle stesse forme previste per la comunicazione del lodo. Se gli arbitri non provvedono, la correzione può esser chiesta al tribunale del luogo in cui ha sede l’arbitrato. La correzione del lodo depositato può esser chiesta (senza termine) al tribunale del luogo in cui è stato depositato, il quale provvede in base alle stesse disposizioni previste per la correzione delle sentenze. Alla correzione può infine provvedere anche il giudice dell’eventuale impugnazione del lodo. vizi che legittimano la revocazione è scoperto durante la pendenza dell’impugnazione per nullità, il relativo termine resta sospeso fino alla comunicazione della sentenza. La Corte d’appello può anche disporre la riunione delle impugnazioni in unico processo, purchè lo stato del giudizio preventivamente istaurato consenta l’esauriente trattazione degli altri giudizi. Infine, la sentenza resa dalla Corte su una qualunque impugnazione del lodo è considerabile come pronunciata in 2’ grado, dunque è soggetta a tutte le impugnazioni esperibili contro una sentenza d’appello. ALCUNE FORME SPECIALI DI ARBITRATO CENNI SULL’ARBITRATO IN MATERIA SOCIETARIA: LE CLAUSOLE COMPROMISSORIE STATUTARIE Sono previste specifiche disposizioni per l’arbitrato in materia societaria. Gli atti costitutivi delle società (eccetto spa quotate in mercati regolamentati) possono contenere clausole compromissorie che devolvono ad arbitri alcune o tutte le controversie insorte tra soci o tra soci e società, aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Tali clausole sono vincolanti per tutti i soci. Le clausole possono avere ad oggetto anche controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci o nei loro confronti, e in tal caso sono vincolanti anche contro tali soggetti perché hanno accettato l’incarico. Un limite è quello del divieto di devolvere ad arbitri le controversie in cui è obbligatorio l’intervento del p.m. ma tale limite incide con quello riguardante le controversie su diritti disponibili. Contenuto: la clausola compromissoria deve anche indicare numero e modalità di nomina degli arbitri e il potere di nomina deve esser affidato ad un 3’ estraneo alla società, a pena di nullità. Se questi non provvede, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha sede legale. Le modifiche dell’atto costitutivo che introducono o sopprimono una clausola compromissoria devono esser approvate con una maggioranza qualificata dei soci che rappresentano almeno 2/3 del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti potranno recedere dalla società entro 90 gg. Per l’arbitrato che trae origini da tali clausole, la legge detta una disciplina inderogabile del procedimento: la domanda di arbitrato proposta dalla società o nei suoi confronti è depositata presso il registro delle imprese, se poi l’arbitrato ha ad oggetto l’impugnazione di una delibera assembleare, sono iscritti nel registro sia il dispositivo dell’ordinanza che eventualmente sospende l’efficacia della delibera, sia il dispositivo del lodo che decide sull’impugnazione. Nel 1’ caso, l’inosservanza dell’obbligo di deposito non è corredato da sanzione perché il deposito non può condizionare la validità o l’efficacia della domanda. Nel 2’ caso, la mancata iscrizione può determinare la responsabilità degli amministratori inadempienti. Le peculiarità del procedimento si possono poi così riassumere: a) si ammette l’intervento volontario o coatto di soci la cui causa sia comune ma solo fino alla 1’ udienza di trattazione. Si prevede in seguito all’intervento una proroga di 180 gg del termina per la pronuncia del lodo; b) se gli arbitri hanno deciso in via incidentale questioni pregiudiziali che non possono esser oggetto di convenzione arbitrale o il giudizio ha ad oggetto la validità di delibere assembleari, il lodo dev’esser sempre pronunciato secondo diritto ed è impugnabile anche per violazione delle regole di diritto; c) se la clausola compromissoria devolve agli arbitri anche le controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, gli arbitri possono sospendere l’efficacia di tali delibere (in deroga al principio per cui i poteri cautelari degli arbitri sono subordinati alla previsione delle parti). Ciò non esclude che le parti possano ricorrere al giudice nel periodo anteriore alla costituzione dell’arbitro. Infine, le statuizioni del lodo sono vincolanti per le società. L’ARBITRATO NELLE CONTROVERSIE DI LAVORO: FORME DI ARBITRATO IRRITUALE IBRIDO AUTORIZZATO DALLA LEGGE Al pari dell’arbitrato rituale, quello irrituale è ammesso nelle controversie di lavoro solo se previsto dalla legge o da contratti/accordi collettivi, fermo restando che ciò non può pregiudicare la facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria. In particolare, l’art 31 L 183/2010 prevede peculiari forme di arbitrato: 1) la prima di esse è una sorta di arbitrato in itinere a cui le parti possono dar vita dopo aver avviato il tentativo facoltativo di conciliazione, durante esso, al suo termine o in caso di mancata riuscita, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitraria la lite. Sebbene non espressamente detto, è necessaria la stipula di un vero e proprio compromesso (che potrebbe risultare dal verbale della commissione) in cui le parti indicano il termine per l’emanazione del lodo, non superiore a 60 gg dal conferimento del mandato. La natura di tale arbitrato è ibrida, per un verso è qualificato come irrituale, per l’altro il lodo dopo il deposito in cancelleria è dichiarato esecutivo con decreto, come se fosse un lodo rituale. 2) un secondo tipo di arbitrato può esser instaurato unilateralmente da una pare dinanzi un collegio ad hoc composto da 3 membri, presuppone l’adesione della controparte ma non un compromesso o una clausola compromissoria. La parte che vuole attivarlo deve notificare all’altra un ricorso sottoscritto e contenente la nomina del proprio arbitro, l’oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda, i mezzi di prova e il valore della controversia. La parte convenuta se intende accettare, nomina il proprio arbitrato che concorda, entro 30 gg dalla notifica del ricorso, con l’altro arbitro la scelta del presidente (3’ arbitro) e della sede del collegio. Entro 30 gg il convenuto deposita una memoria difensiva contenente difese ed eccezioni in fatto e in diritto, domande riconvenzionali e indicazione mezzi di prova. E’ prevista una memoria di replica per il ricorrente entro 10 gg dal deposito ed una di controreplica del convenuto entro i 10 gg successivi. In ambo i casi le parti non possono modificare il contenuto dei rispettivi atti iniziali. Entro 30 gg si terrà l’udienza, nell’ambito della quale si tenta la conciliazione, se il tentativo fallisce invita le parti alla discussione orale qualora non ritenga necessaria l’assunzione di mezzi di prova. Se invece ammette mezzi di prova, si avrà una 2’ udienza entro 10 gg. Il lodo dovrà poi esser pronunciato entro 20 gg dall’udienza e dopo esser sottoscritto e autenticato produce effetti come se si trattasse di un contratto o di una transazione stipulata dalle parti. Su istanza della parte interessata il giudice può dichiararlo esecutivo con decreto. Notiamo che si tratta di un procedimento rigido molto lontano dalla flessibilità tipica dell’arbitrato. 3) Una 3’ forma di arbitrato(irrituale) presuppone l’esistenza di una vera e propria clausola compromissoria inserita nel contratto individuale di lavoro, che rinvia alle modalità di espletamento dell’arbitrato. Il problema è accertare che l’inserzione della clausola sia frutto di una libera scelta del lavoratore e non di un’imposizione del datore. Per tale motivo la clausola non può riguardare le controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. 4) Una 4’ forma di arbitrato può aver luogo sia per la cause di lavoro privato, sia per le cause di lavoro pubblico, dinanzi alle camere arbitrali istituite presso gli organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro sulla base di un accordo intervenuto tra le parti dopo l’insorgere della controversia. Per tale ipotesi il legislatore non detta una disciplina specifica e si limita a richiamare per gli effetti e il regime dell’impugnazione l’art 412 c 3 e 4. In tutte e 4 le ipotesi il lodo è impugnabile dinanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione si trova la sede dell’arbitrato. Il relativo giudizio segue la disciplina delle cause di lavoro. Analogamente all’impugnazione del lodo rituale tale giudizio si risolve in unico grado, quindi la relativa decisione sarà soggetta non ad appello ma a ricorso per cassazione. Il motivo per cui il legislatore qualifica tali forme di arbitrato come irrituali è quello di sottrarre il lodo ai rimedi tipici del lodo rituale, e in particolare alla possibilità di far valere come motivo di nullità la violazione delle regole di diritto relative al merito, nonchè dei contratti/accordi collettivi.
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