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I regimi totalitari: fascismo, Appunti di Storia

Il contesto politico e sociale dell'Italia nel primo dopoguerra e l'ascesa del movimento fascista di Mussolini. Vengono analizzati i programmi politici dei partiti dell'epoca, le lotte sociali e le tensioni internazionali. Viene descritto il programma di San Sepolcro e la fondazione del Partito Nazionale Fascista. Infine, viene descritto il marcia su Roma e l'ascesa al potere di Mussolini.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 28/09/2022

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giorgiaacianfa 🇮🇹

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Scarica I regimi totalitari: fascismo e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! IL REGIME FASCISTA IN ITALIA Nel difficile contesto del primo dopoguerra, lo schieramento liberale che fino a quel momento aveva d’impianto la scena politica, perse influenza. Gennaio 1919: Luigi Sturzo fonda il partito popolare con un programma basato: sulla riforma agraria, per riscuotere l’interesse dei ceti rurali, e sulle autonomie locali • = segno del definitivo abbandono del non expedit (cattolici no partecipazione alla vita politica) sull’adozione del sistema elettorale proporzionale e sull’ampliamento del suffragio elettorale con il voto delle • donne sulla Confederazione italiana dei lavoratori (CIL) per aiutare le popolazioni delle campagne • sulla laicità, indipendente dalle gerarchie ecclesiastiche • I popolari entrano subito in competizione con i socialisti, perciò ogni partito si ritaglia una zona d’azione: partito popolare nelle campagne • ideologia socialista tra il proletariato industriale • Gravi dissidi si manifestarono nel partito socialista (fondato nel 1892, ma vede nel dopoguerra un aumento degli iscritti) al cui interno si scontrano la linea riformista di Turati, che deteneva il controllo della confederazione generale del lavoro, e quella massimalista di Serrati, contrario ad ogni compromesso con lo Stato borghese. Si forma una terza linea proposta da Bordiga, Gramsci e Togliatti che puntavano alla creazione di un partito rivoluzionario sul modello di quello realizzato da Lenin in Russia. In questo clima, l’ex socialista Benito Mussolini fonda il movimento dei fasci da combattimento (23 marzo 1919), grazie soprattutto alla sua capacità oratoria. Nel suo programma, si affiancano richieste di stampo progressista e rivendicazioni reazionarie e anarchiche, espresse con un attivismo confinante in atti di violenza (es. saccheggio e incendio della sede dell’Avanti a Milano il 15 aprile). Mussolini fonda inoltre un quotidiano “il popolo d’Italia” attraverso cui conduce la sua campagna a favore della partecipazione dell’Italia alla guerra adesioni eterogenee (ex repubblicani, ex sindacalisti, ex combattenti). PROGRAMMA DI SAN SEPOLCRO. La riunione fondativa dei fasci si tenne a Milano, dove emersero i seguenti punti: forte nazionalismo e avversione contro i socialisti e anti parlamentarismo, prevedendo però una 1. Repubblica, il suffragio universale esteso alle donne, la polizia politica e la costrizione obbligatoria pagamento dei debiti dello Stato da parte delle classi più abbienti 2. concessione di industrie e servizi ad organizzazioni operaie 3. Un forte fattore di instabilità era legato alla delusione per il mancato rispetto del patto di Londra. Alla conferenza di Parigi l’Italia aveva subito una sconfitta diplomatica, rivendicando però la città di Fiume. Inoltre la questione della vittoria mutilata riguardò la Dalmazia che l’Italia voleva ammettere contro il volere di Francia, Inghilterra e USA. Giugno 1919: nasce il nuovo ministero liberale con Nitti, il quale raggiunse con le altre potenze un accordo secondo il quale Fiume sarebbe stata evacuata dalle truppe italiane. Gabriele D’Annunzio, con un gruppo di nazionalisti, marciò su Fiume dove instaurò un governo provvisorio (settembre 1919), occupandola e proclamandola annessa all’Italia. Agosto 1920: D’Annunzio proclama uno Stato autonomo come Reggenza italiana del Carnaro. 1919: le elezioni politiche (le prime con sistema proporzionale e suffragio universale maschile) premiano socialisti e cattolici, organizzati in partiti politici di massa, mentre evidenziano la crisi dello schieramento liberale. Neanche il movimento fascista ottenne voti. Tra il 1919 e il 1920 si ebbero nelle città e nelle campagne scioperi e sommosse in richiesta della riduzione della giornata lavorativa e dell’aumento dei salari biennio rosso. Nelle aree più industrializzate gli operai occuparono le fabbriche, sull’esempio dei soviet russi. Furono riconosciute come interlocutrici le commissioni interne, e venne applicata la contrattazione collettiva su scala nazionale. L’apice si ebbe tra l’agosto e il settembre 1920, quando dei lavoratori del Sindacato Fiom occuparono circa 600 fabbriche con forme di autogestione. Al nord e al centro invece i braccianti erano organizzati in leghe rosse (stampo socialista) e leghe bianche (stampo cattolico). Il governo Giolitti, per evitare una guerra civile, si oppose alla richiesta degli industriali di intervenire con la forza e firmò un accordo con i sindacati, senza però mettere fine alle agitazioni. Si accentuarono le divisioni interne al partito socialista, tanto che in occasione del Congresso di Livorno, la corrente minoritaria di estrema sinistra diede vita al partito comunista con Gramsci e Bordiga (21 gennaio 21). Giolitti ottenne successo però nella risoluzione della questione di Fiume: il 12 novembre 1920 Italia, Regno dei Serbi, Croati e Sloveni firmano il Trattato di Rapallo, con il quale Fiume viene dichiarata città libera mentre D’Annunzio ed il suo esercito dovettero ritirarsi dopo il Natale di Sangue. Inoltre, per non accendere tensioni internazionali, Giolitti rinunciò al mandato sull’Albania, di cui riconobbe l’indipendenza. Intanto i Fasci di Mussolini raccoglievano l’appoggio delle forze conservatrici, rassicurate dall’aperta ostilità del movimento verso i socialisti, ostilità che si manifestava in spedizioni punitive di bande armate ai danni di sedi e persone (squadrismo). In vista delle elezioni di maggio 1921, Giolitti strinse un’alleanza con nazionalisti e fascisti = blocco nazionale. Gli esiti della consultazione non premiarono i giolittiani bensì segnarono l’avanzata dei fascisti, che entrarono in parlamento con 35 deputati tra cui Mussolini. Novembre 1921: Mussolini trasforma il movimento in Partito Nazional Fascista (PNF), che raccolse i consensi non solo della grande borghesia agraria e industriale e dei liberali, ma anche del ceto medio e della piccola borghesia, che si sentivano trascurati dalle forze politiche e minacciati dal terrorismo rosso. Ora Mussolini può usare a suo favore sia la violenza squadrista, sia i mezzi legali offerti dai parlamentari. Mussolini a questo punto decide di prendere il potere: 27-28 ottobre 1922 ordina di marciare su Roma. Il presidente del consiglio Facta presentò al re il decreto che proclamava lo stato d’assedio per impedire l’ingresso dei fascisti in città, ma Vittorio Emanuele III rifiutò di firmarlo e invitò Mussolini a recarsi nella capitale per formare il governo (29-30 ottobre). Il giorno seguente Mussolini presentò la lista dei ministri = finisce l’Italia liberale. Mussolini diede vita ad un governo di coalizione (fascisti, liberali, popolari, socialdemocratici, alti gradi forze armate) e solo formalmente garantì una certa libertà di stampa e partiti, appoggiando invece le azioni violente degli squadristi. Per limitare il potere parlamentare istituì il Gran Consiglio del Fascismo (gennaio 1923) e un esercito di partito posto sotto la sua diretta autorità, trasformando le squadre d’azione in milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Il fascismo assunse i caratteri di un regime forte, accentrato, conservatore e a favore della grande borghesia. A livello economico-sociale, il ministro delle finanze De Stefani adottò una politica economica liberista, basata su: riduzione disavanzo pubblico • sviluppo industriale e agricolo • diminuzione salari • Questo portò a crescere l’avversione dei popolari, che per arginare, e guadagnare insieme il consenso delle masse cattoliche, Mussolini perseguì una politica di riavvicinamento alla chiesa. Per assicurarsi la maggioranza parlamentare fece votare una nuova legge elettorale (legge Acerbo, novembre 1923) che introdusse il sistema maggioritario.
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