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I totalitarismi: sintesi del manuale "Storia e Storiografia" di A. Desideri, Sintesi del corso di Storia

Sintesi per liceo realizzata studiando dal manuale "Storia e Storiografia" di Antonio Desideri

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 30/04/2020

MarcoBianchi27
MarcoBianchi27 🇮🇹

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Scarica I totalitarismi: sintesi del manuale "Storia e Storiografia" di A. Desideri e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Il totalitarismo: comunismo, fascismo e nazismo (capitolo 9): Con “totalitarismo” si intende un regime che ha come obiettivo il controllo totale dello Stato e dei cittadini, ossia un sistema politico assolutamente originale che ha rappresentato la crisi della democrazia occidentale. Il termine nacque in Italia nei primi anni Venti, coniato dal liberale Giovanni Amendola in chiave antifascista, ma nella seconda metà della decade fu adottato dallo stesso Mussolini per descrivere il regime (“tutto nello Stato, nulla contro lo Stato, niente al di fuori dello Stato”); l’intento era chiaro: subordinare totalmente la vita sociale e culturale del Paese allo Stato “fascistizzato”. Fu dopo la Seconda guerra mondiale, tuttavia, che furono formulate le teorie più complete ed elaborate di Stato totalitario; i principali studiosi che vi si dedicarono furono Hannah Arendt, Carl Friedrich, Zbigniew Brzezinski e Dietrich Bracher. Sebbene tali teorie si differenzino sotto diversi aspetti, sono rintracciabili dei punti comuni:  Imposizione, mediante metodi coercitivi sia psicologici che fisici, di un’ideologia organica e coerente, tale da permettere una rilettura della storia e del mondo.  Riduzione della vita politica a un partito unico, attraverso l’eliminazione di ogni opposizione e la modifica delle strutture stesse dello Stato.  Il regime ha a capo un dittatore carismatico, che condensa in sé l’intero Stato e che viene, in un certo senso, venerato dalla popolazione.  Controllo totale della popolazione attuato mediante il monopolio e la manipolazione dei mezzi propagandistici di massa, quali la radio, il cinema e i giornali.  La vita dei cittadini, sia lavorativa che privata, è scandita da una serie di imposizioni provenienti dall’alto, come le celebrazioni collettive e altre ritualità quotidiane.  Assoluto controllo statale dell’economia, da cui derivano la burocratizzazione della produzione e lo svilimento dell’iniziativa economica individuale.  Eliminazione di qualsiasi opposizione attraverso un sistema organizzato di repressione, che si serve della reclusione in luoghi remoti, della tortura e dell’eliminazione fisica.  Tentativo di plasmare un “uomo nuovo”, incarnante l’ideologia del regime e definito unicamente dalla sua appartenenza a esso. Hannah Arendt (Le origini del totalitarismo, 1951), in particolare, identificò il fine di ogni regime totalitario con la trasformazione della natura umana, da ottenere mediante la combinazione di ideologia e terrore, in modo tale da estraniare l’individuo dal mondo e far coincidere la sua stessa identità con il regime. Definì come regimi totalitari soltanto il nazismo e lo stalinismo. La differenza del totalitarismo rispetto ai regimi autoritari sorti in molte nazioni d’Europa negli anni Venti e Trenta sta nel fatto che questi ultimi erano sì duri e repressivi, ma non presentavano ambizioni totalizzanti di alcun tipo. Detto ciò, va ricordato che non tutti gli storici sono favorevoli a catalogare il nazismo, lo stalinismo e il fascismo come regimi totalitari; le principali riserve si hanno nei confronti di quest’ultimo, nel quale la figura di Mussolini era, almeno formalmente, sottoposta all’autorità del re Vittorio Emanuele III e l’ideologia del regime era costretta a fare i conti con l’influente presenza della Chiesa cattolica. L’Unione Sovietica e il regime staliniano: Alla morte di Lenin (21 gennaio 1924), tra i suoi più stretti collaboratori si accese la lotta per la successione, incentrata sul futuro della Rivoluzione e del Paese:  Lev Trockij: il comandante dell’Armata Rossa mirava a espandere la “rivoluzione permanente” in tutto il mondo, per far estinguere il capitalismo e affermare il comunismo a livello globale. In virtù del suo grande carisma, era acclamato dal popolo e dai giovani.  Iosif Stalin: il Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica preferiva la linea del “socialismo in un solo Paese”, concentrandosi prima sul consolidare il comunismo in Unione Sovietica e, soltanto successivamente, pensare a un’eventuale esportazione. Sebbene Lenin stesso avesse espresso delle perplessità riguardo le doti da leader di Stalin, che considerava troppo brutale e rigido, la posizione conquistata da quest’ultimo nel Partito gli permise di sconfiggere i trockisti; in ciò, fu determinante il fallimento dei moti rivoluzionari scoppiati in Europa. Stalin si concentrò fin da subito sul consolidamento del proprio potere, cercando di guadagnare consensi, e sull’eliminazione di ogni minaccia (Trockij stesso fu dapprima deposto dal comando dell’esercito, poi espulso dal partito, esiliato e, infine, fatto assassinare). Le opposizioni non mancavano di certo, infatti la sua leadership fu definita come una “dittatura” impostasi sulla “democrazia operaia” nata dalla Rivoluzione. Dal 1927, il regime staliniano apparve a tutti gli effetti come consolidato e Stalin venne riconosciuto come leader del movimento comunista mondiale. In ambito economico, la crisi cerealicola mise in discussione l’efficacia della Nep (la “Nuova politica economica” voluta da Lenin, nella quale il controllo statale sulle grandi industrie e sui servizi coesisteva con un modello simil- capitalistico per le imprese più piccole e le attività agricole) e Stalin si mise da subito all’opera per centralizzare l’apparato produttivo, accelerando il programma di industrializzazione e costituendo delle imprese collettive nelle campagne. Per fare ciò, si servì del Gosplan (Commissione statale per la pianificazione), il quale decideva quali beni produrre, in quali quantità e da quali industrie. Stalin richiese alla commissione di redigere tre piani d’intervento quinquennali per trasformare l’economia sovietica da agricola a industriale, con lo specifico obiettivo di raggiungere e superare le potenze industriali capitalistiche. Il primo piano quinquennale fu messo in atto tra il 1928 e il 1932 e fu un grandissimo successo: la produzione di energia elettrica e acciaio triplicò e la disoccupazione diminuì notevolmente, infatti si verificò un massiccio afflusso di manodopera dalle campagne alle città. In questo contesto, si diffuse il cosiddetto “stachanovismo”, ossia un movimento operaio che vedeva il lavoro individuale come massima manifestazione della propria dedizione al regime. Nacque con la propaganda del caso di Aleksej Stachanov, minatore del Donbass che superò più volte i record di estrazione individuale, divenendo il simbolo dell’operaio sovietico ideale. Con il secondo piano quinquennale, attuato tra il 1933 e il 1937, sorsero moltissimi nuovi stabilimenti industriali, tantoché l’Unione Sovietica divenne la seconda potenza industriale al mondo, superata soltanto dagli Stati Uniti. Il terzo e ultimo piano quinquennale fu interrotto nel 1940, in seguito al sopraggiungere della rovinosa guerra mondiale. Il programma di industrializzazione e centralizzazione presentava, però, anche diversi svantaggi:  La manodopera proveniente dalle campagne aveva una preparazione inadeguata e quindi non fu facile inserirla nella catena produttiva.  Gli stabilimenti si concentravano quasi tutti sull’industria pesante, perciò la produzione di beni di consumo era scarsa; questo, unito ai bassissimi salari, mantenne il tenore di vita degli operai molto basso.  Sia l’agricoltura che l’industria rimasero tecnicamente arretrate , in quanto la mancanza di competizione non favoriva la ricerca di nuove tecnologie che aumentassero la produzione. Per lo stesso motivo, gli operai non era stimolati a faticare, in quanto non ci avrebbero guadagnato nulla.  La centralizzazione imponeva a tutte le aziende di raggiungere gli stessi obiettivi, senza tener conto delle caratteristiche e delle esigenze di ciascuna.  L’apparato burocratico centrale era soggetto a sprechi e corruzione. In parallelo al programma di industrializzazione e centralizzazione dell’apparato economico, Stalin mise in atto anche la collettivizzazione forzata delle terre coltivabili, per la quale dovette scontrarsi con la strenua resistenza dei contadini agiati, i kulaki, i quali non avevano la minima intenzione di rinunciare ai propri possedimenti e guadagni (in loro stava la minaccia di un ritorno al capitalismo); Stalin scelse la via della forza, dispiegando l’esercito e facendo deportare nei campi di lavoro, o eliminare sul posto, tutti coloro che osavano opporre resistenza (si parla di almeno due milioni di kulaki). Stalin fece istituire grandi aziende agricole collettive (kolchoz) e altre gestite direttamente dallo Stato (sovchoz), che furono dotate di mezzi meccanizzati. Dal momento che lo Stato pretendeva il versamento della maggior parte del raccolto per destinarlo alle zone urbane e al mercato estero, tra il 1932 e il 1933 nelle regioni agricole dell’Unione Sovietica si Quando l’obbligo di aderire al partito fu imposto anche ai docenti universitari, grandi esponenti dell’antifascismo, come Croce e Togliatti, incoraggiarono i docenti a fare quando comandato, in modo da poter continuare a far circolare negli atenei idee contrarie a quelle del regime. Alcuni eminenti intellettuali dell’epoca, tuttavia, accettarono di buon’occhio il nuovo potere costituitosi; tra di essi spiccato Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti, Gioacchino Volpe (storico) e Guglielmo Marconi. Per indottrinare la gioventù, il regime si servì anche di organizzazioni giovanili, come l’Opera nazionale Balilla, successivamente assorbita nella Gioventù italiana del Littorio, le quali promuovevano la pratica ginnico-sportiva e la vita di gruppo secondo l’ottica cameratista. A seconda dell’età, i ragazzi erano suddivisi in Figli della Lupa (fino a 8 anni), Balilla (fino a 12 anni) e Avanguardisti (fino a 18 anni), mentre le ragazze erano divise in Figlie della Lupa, Piccole Italiane e Giovani Italiane; raggiunta la maggiore età, i figli dell’élite passavano sotto la tutela dei Gruppi universitari fascisti. Il regime fascista sfruttò il giornalismo, la radio e il cinema come potentissimi mezzi di propaganda di massa per aumentare il consenso e come una sorta di “scuola degli adulti”, trasmettendo alle masse, spesso analfabete, le idee e i progetti del regime. L’Ufficio per la stampa e la propaganda (poi Ministero della cultura popolare) determinava sia i contenuti che gli stili della stampa. Per quanto riguarda il cinema, fu fondato l’Istituto Luce, con il compito di realizzare dei cinegiornali da proiettare nelle sale prima di ogni spettacolo, e fu edificata Cinecittà, dove furono girate diverse pellicole di carattere pseudostorico e propagandistico. Attraverso tali mezzi di propaganda e una comunicazione semplice ed efficacie, il fascismo riuscì a infondere la propria ideologia nel popolo italiano, introducendo consuetudini sociali destinate a perdurare, come l’uso del “voi” al posto del “lei” e la tradizione di affiggere un fiocco alla nascita di un bambino. La comunicazione fascista fu così efficacie perché si basava sui simboli, come il fascio littorio (rappresenta la volontà di Mussolini di riunire tutto il popolo italiano in un fascio unico, disciplinato e omogeneo, ossia formato da verghe indistinguibili tra loro), e miti, come quello del “duce” (Mussolini si presentava con un “novello Cesare”, venuto dal basso per istaurare un nuovo ordine tale da assicurare il benessere delle masse, e incoraggiava il culto della propria personalità), la maggior parte ripresi dalla tradizione dell’antica Roma, la cui storia fu soggetta a una discreta revisione storica che ne eliminò le fasi più basse e buie. Oltre a questo, l’influenza sulla popolazione veniva garantita anche attraverso delle manifestazioni di massa obbligatorie, dove tutti erano tenuti a indossare la divisa delle propria organizzazione e a recarsi in piazza per ascoltare i discorsi di Mussolini, tenuti dall’iconico balcone su Piazza Venezia (Roma) e diffusi dagli altoparlanti di tutta la penisola. La “macchina del consenso” fascista, operando per tutti gli anni Trenta, permise al regime di ottenere l’appoggio generalizzato e convinto della maggior parte della popolazione. Alcuni storici, però, hanno fatto notare che, sebbene il consenso nei confronti di Mussolini fosse ampiamente diffuso, non lo era altrettanto quello per lo Stato fascista. Il mito della romanità e l’aspirazione a ritornare ai fasti dell’Impero romano, uniti alla necessità di trovare una valvola di sfogo per il sovraffollamento del meridione, guidarono Mussolini a una politica estera molto ambiziosa. Negli anni Venti, l’Italia fascista non veniva percepita come una minaccia dalle potenze europee, ma anzi, la conclusione pacifica della vicenda di Fiume (ancora Giolitti) e il supporto al Patto di Locarno tra Francia e Germania furono ben accolti dai governi europei, tantoché i ministri inglesi degli Esteri (Austen Chamberlain) e delle Finanze (Winston Churchill) spesero buone parole nei confronti del regime mussoliniano. Nella prima metà degli anni Trenta fu riconfermato il supporto dell’Italia a Francia e Regno Unito. Nel 1934, in seguito a un colpo di Stato nazista a Vienna, che causò la morte del Cancelliere Dollfuss (che per la creazione del suo regime autoritario si era ispirato proprio al duce), Mussolini mobilitò quattro divisioni per fermare l’eventuale tentativo, da parte della Germania di Hitler, di annettere l’Austria (il cosiddetto Auschluss, ossia “annessione”), cosa che era espressamente vietata dal Trattato di Versailles. Mussolini, inoltre, firmò l’Accordo di Stresa (1935) con Francia e Regno Unito, in funzione anti-tedesca; questo, infatti, riaffermava il Patto di Locarno, garantiva nuovamente l’indipendenza dell’Austria e minacciava una reazione militare a ulteriori violazioni del Trattato di Versailles (la Germania aveva appena annunciato il riarmo). Nella seconda metà degli anni Trenta, però, Mussolini confidò nella passività di Francia e Regno Unito (ed ebbe ragione), concentrate sull’espansionismo tedesco, per dare una svolta aggressiva alla politica italiana e conquistare l’Etiopia, vendicando così la sconfitta di Adua avvenuta sotto il governo Crispi. Tra ottobre del 1935 e maggio 1936, l’esercito italiano si fece strada verso la capitale Addis Abeba e la conquistò; per evitare una pericolosa guerra di logoramento, tuttavia, gli italiani decisero di bombardare militari e civili etiopi con armi chimiche. Il 9 maggio 1936, Mussolini annunciò la nascita dell’Impero dell’Africa orientale italiana. Sebbene l’Italia andò controcorrente rispetto alla tendenza condivisa di ridurre gli imperi coloniali, fu sanzionata soltanto dalla Società delle Nazioni, con un embargo su alcuni prodotti che non ebbe grandi effetti sull’economia del Paese (Germania e Stati Uniti non aderirono) e dimostrò l’incapacità di gestire l’ascesa dei regimi di Destra da parte delle potenze democratiche; Mussolini reagì inaugurando una politica economica all’insegna dell’autarchia, ossia di totale autosufficienza, che, sebbene di difficile realizzazione, predispose il Paese all’economia di guerra che tutti gli Stati avrebbero successivamente dovuto adottare. Essendosi ormai inimicato le potenze democratiche, Mussolini cercò un’alleanza con la Germania di Hitler, sottoscrivendo il cosiddetto Asse Roma-Berlino (25 ottobre 1936), con il quale i due regimi totalitari riconoscevano le rispettive somiglianze ideologiche e gli obiettivi comuni, primo tra i quali la revisione dei trattati di pace. Il passo successivo sarà l’intervento nella guerra civile spagnola. La conquista dell’Etiopia (con il conseguente problema della “purezza di sangue”) e l’avvicinamento alla Germania nazista furono seguiti dall’introduzione nell’ideologia fascista di sentimenti discriminatori e razzisti, prima assenti. Si passò così dal “razzismo di dominio”, sviluppato nell’800 per giustificare il colonialismo, al “razzismo di eliminazione”, ossia la concezione secondo la quale l’inferiorità dell’altro ne giustifica l’esclusione dalla vita collettiva e persino l’eliminazione. Nel 1937 fu vietato qualsiasi rapporto intimo tra italiani ed etiopi, mentre nell’agosto 1938 gli intellettuali fedeli al regime redassero il Manifesto degli scienziati razzisti, nel quale si rivendicava l’esistenza di una “razza ariana italiana”. Il 5 settembre 1938, furono emanati dal governo i Provvedimenti per la difesa della razza, i quali introdussero l’antisemitismo nel Paese: gli appartenenti alla “razza ebraica”, da identificare biologicamente e non religiosamente, venivano indicati come persone da discriminare. Agli ebrei furono precluse diverse professioni, nonché il possesso di aziende private, gli insegnanti ebrei furono rimossi dall’incarico e gli studenti ebrei costretti a iscriversi in scuole separate. Poco dopo furono vietati i matrimoni tra gli ariani e gli appartenenti a tutte le altre “razze”. Dal momento che il consenso nei confronti di Mussolini continuava a crescere, fare propaganda contraria sembrava correre un pericolo inutile (l’Ovra e il Tribunale speciale per la difesa dello Stato perseguitavano gli oppositori al regime, condannandoli alla prigione, al confino o persino alla pena capitale). Per questo motivo, la maggior parte degli antifascisti rimase passivamente in attesa di condizioni più favorevoli. Gli antifascisti più restii furono i liberali (Benedetto Croce, se ne dichiarò contrario a partire dal delitto Matteotti e si fece promotore del Manifesto degli intellettuali antifascisti) e i cattolici (don Luigi Sturzo, che fuggì all’estero, e il nuovo segretario del PP, Alcide de Gasperi, che fu costretto a rifugiarsi in Vaticano). Democratici e socialisti furono molto più attivi, infatti già nel 1927 fondarono a Parigi la Concentrazione antifascista, la quale riuniva tutti i “fuoriusciti”, ossia coloro costretti ad andare in esilio per sfuggire alla persecuzione del regime (Filippo Turati era tra questi). Due anni più tardi, Emilio Lussu e Carlo Roselli fondarono il movimento Giustizia e Libertà, con l’obiettivo di fomentare una rivolta popolare. La più strenua opposizione, tuttavia, fu quella dei comunisti, i quali crearono una fitta rete di cellule clandestine diffuse in tutto il Centro-Nord, anche se la loro attività propagandistica non ebbe gli effetti sperati. Furono inizialmente guidati da Antonio Gramsci, fermamente convinto che fosse necessaria una rivolta generalizzata della popolazione; in seguito alla cattura di Gramsci (che morì in carcere), fu designato suo successore Palmiro Togliatti, che però era andato in esilio in Unione Sovietica. Le profonde divisioni del fronte antifascista lo resero incapace di agire in modo efficacie, perlomeno fino alle ultime fasi del secondo conflitto mondiale. La Germania nazista: L’ideologia nazista era stata definita da Hitler in seguito al fallimento del Putsch di Monaco del 1923, nel corso dell’anno di prigionia che portò alla composizione del Mein Kampf, il manifesto del Partito. Il concetto di base era quello di Volk, ossia di “popolo”, ma inteso in senso strettamente biologico e genetico. Il primo passo da compiere per rinnovare la potenza della Germania consisteva, quindi, nel ripristinare l’omogeneità razziale del popolo tedesco, che a parere di Hitler era il più diretto discendente del popolo “ariano”. Sebbene non vi fossero prove storiche e scientifiche valide di tale discendenza, il mito della superiorità dell’uomo bianco sulle “razze” inferiori, nato con il colonialismo ottocentesco, e la diffusione di sentimenti razzisti e nazionalisti in tutta Europa resero molto più facile la diffusione delle teorie naziste. La minoranza etnica a essere presa maggiormente di mira dai nazisti fu, com’è tristemente noto, quella ebraica, che in Germania era numerosa e ben inserita negli ambiti economico, politico e culturale. Hitler la accusava di essere una “razza negativa, responsabile della morale da servi che regna nel mondo”, per cui andava legittimamente eliminata. Oltre alle motivazioni ideologiche, l’antisemitismo era incoraggiato anche dalla necessità politica di individuare un “nemico interno” contro il quale far fronte comune. Gli altri obiettivi primari del nazismo erano il ricongiungimento di tutte le popolazioni di lingua tedesca all’interno dei confini della Germania e la conquista di uno “spazio vitale” (Lebensraum) a oriente per difendersi dalla minaccia comunista, da conquistare attraverso la schiavizzazione o l’eliminazione di decine di milioni di slavi, considerati non molto diversi dagli ebrei. L’ideologia estrema e il dichiarato antiparlamentarismo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori non furono prese sul serio in Germania, infatti nessuno pensava che i nazisti, una volta saliti al potere, avrebbero veramente attuato quanto annunciato da Hitler. Quando Hitler ottenne la carica di Cancelliere (30 gennaio 1933), però, chiese immediatamente al presidente Hindenburg di sciogliere le camere e di indire nuove elezioni, che furono fissate per il 5 marzo. Pochi giorni prima, il 27 febbraio, il Reichstag fu distrutto da un incendio , molto probabilmente appiccato proprio dai nazisti, i quali però non persero tempo e accusarono i comunisti di questo gravissimo atto; Hindenburg fu costretto a sospendere i diritti dei cittadini e ad applicare la legge marziale. I nazisti approfittarono dei nuovi provvedimenti per scatenare la violenza nelle strade e intimidire gli oppositori; così facendo, riuscirono a ottenere il 44% dei voti, tuttavia non ancora abbastanza per avere la maggioranza. Attraverso ulteriori intimidazioni, i nazisti riuscirono a ottenere l’appoggio dei cattolici per il varo di una legge che conferiva pieni poter a Hitler per un periodo di quattro anni (23 marzo 1933). A questo punto venne messa in atto una fase di “allineamento” delle istituzioni alle idee e agli obiettivi del nazismo. In particolare:  La Costituzione fu sospesa.  I sindacati e tutti gli altri partiti politici furono sciolti e aboliti.  Le istituzioni dei Lander e tutte le altre forme di autonomia locale furono abolite in favore del totale accentramento politico.  La magistratura fu asservita al regime.  Gli elementi sgraditi dell’amministrazione pubblica furono espulsi. Alle elezioni del novembre 1933 il Nsdap ottenne così il 92% dei voti. Alla morte di Hindenburg (2 agosto 1934), Hitler assunse anche la carica di presidente e quindi acquisì il controllo delle forze armate. Dichiarò che sarebbe stato oltraggioso fregiarsi del titolo di presidente della Repubblica, che era “indissolubilmente legato al nome dell’amato defunto”, per cui decise di presentarsi al popolo tedesco come il Führer, ossia “guida” e capo assoluto del Terzo Reich (“L’autorità del Führer è totale e onnicomprensiva, in essa confluiscono tutte le risorse disponibili della nazione; essa include ogni aspetto della vita del popolo”). L’acquisizione da parte di Hitler di tali poteri fu sancita attraverso un
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