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I TRE USI DEL COLTELLO - MAMET, Appunti di Teoria Del Cinema

riassunto libro I TRE USI DEL COLTELLO - MAMET

Tipologia: Appunti

2018/2019
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Scarica I TRE USI DEL COLTELLO - MAMET e più Appunti in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! I TRE USI DEL COLTELLO – DAVID MAMET Mamet è considerato una delle stelle che costituiscono il firmamento del teatro americano contemporaneo. Le sue scelte drammaturgiche vanno decisamente in direzione contraria all’orientamento del teatro istituzionale di Broadway. Studia da attore ma passa molto presto alla regia e successivamente alla scrittura dei testi da rappresentare. Una caratteristica dei testi teatrali di Mamet è l’apparente assenza di azione, intesa come atto del personaggio. In molte delle sue opere succede poco e niente. Le azioni sono evocate nelle battute dei personaggi, che parlano e non agiscono. Il dialogo presente nelle opere di Mamet è un dialogo difficile. Frequenti sono le sapienti pause che danno ritmo ed efficacia. dialogo spezzato. Tutta l’opera di Mamet sembra dirci che i rapporti fra le persone sono complicati. Tutti i personaggi creati da lui sono odiosi, imperfetti, dominati da impulsi che creano conflitti. Tuttavia, a seconda lettura le commedie di Mamet sono estremamente positive. Perseguono il vero anziché il bello o il facile. Mamet non indica le soluzioni ma rappresenta con brutalità i problemi. Spesso i personaggi sono morti dall’amore per i soldi. I primi princìpi che Mamet assimilò quando studiava da attore erano i princìpi di Stanislavskij e nei suoi testi da scrittore cercò di materializzarli al fine di insegnarli e applicarli. Per Mamet l’attore è tanto più bravo quanto più riesce a dimenticarsi di sé e a immergersi nella realtà della scena che rappresenta, interagendo con gli altri personaggi sulla basa del testo che deve manipolare il meno possibile. Si allontana dal concetto di Memoria Emotiva, secondo il quale l’attore deve evocare dal proprio passato percezioni sensibili che ha realmente provato. Lo stesso Stanislavskij sostituisce tale principio con la teoria del magico “se”: cosa farei se mi trovassi nella stessa situazione in cui il personaggio si trova in questa scena? Concetto che Mamet fa suo: ogni scena di un dramma può essere scomposta in compiti che il personaggio deve svolgere. Dopo aver finito una scena ce n’è un’altra con un suo compito specifico. Messe tutte insieme, le scene costituiscono il dramma. Se recitate scena per scena, renderete un buon servizio al dramma. Se cercate di trascinarvi dietro la conoscenza complessiva del dramma in ogni scena, rovinerete tutto il progetto del drammaturgo, e non avrete nessuna possibilità di far bene scena per scena. Per Mamet la recitazione è soprattutto abilità fisica. L’attore non deve inventare nulla e non deve negare nulla. A rendere interessante il dramma ci deve aver già pensato il drammaturgo. (contro il metodo). Secondo Mamet il mercato del cinema spessa degenera, in quanto è guidato da persone che spesso non riescono a orientarsi nel verso giusto (show business). L’unico modo per contrastare questa forza è dire la verità. TEMA DEL DOPPIO: per Mamet la realtà percepita non sempre è veritiera: spesso nasconde una seconda diversa verità, che a uno sguardo ancora più approfondito rivela un ulteriore ancora diversa verità, la verità sfugge, è sempre altrove. Continuo inseguimento di ciò che è irraggiungibile. Nel caso di Mamet il tema del doppio si espande dall’interno dell’individuo, dalla sua identità, fino a comprendere la realtà tutta, il mondo esterno incardinato sull’eterno gioco dell’apparire e dell’essere. SCOPO DELL’ARTE: lo scopo dell’arte non è cambiare, ma allietare. Il suo scopo non è illuminarci. Non è cambiarci. Non è istruirsi. Gli artisti devono alleggerire il peso della disuguaglianza tra la mente conscia e inconscia, e raggiungere l’armonia. DIFFERENZA FALSO DRAMMA E VERO DRAMMA: Mamet critica il falso dramma, in particolare i drammi a tesi. I falsi drammi producono euforia consolatoria. Il vero dramma invece richiede che il protagonista eserciti la volontà, che crei di fronte a noi il suo stesso carattere, la forza di continuare. Ultimamente l’arte sta diventando intrattenimento, che esiste per distrarre, e sta diventando totalitarismo, che esiste per controllare. Mamet sa che il regista non può affidarsi all’immagine in sé, la quale non ha significato in sé per sé. Egli individua le sequenze come segmenti necessari alla produzione del senso che determina la scena stessa. Concepisce la scena in funzione dell’intera realizzazione cinematografica. PRIMA PARTE IL FATTORE DI RAFFREDDAMENTO DEL VENTO Drammatizzare fa parte della nostra natura. Drammatizziamo il tempo, il traffico, e altri fenomeni impersonali utilizzando l’esagerazione, l’accostamento ironico, l’inversione, la proiezione. Così interpretiamo. Drammatizziamo una vicenda prendendo gli eventi e riorganizzandoli, prolungandoli, condensandoli, in modo da comprendere il significato personale che essi hanno per noi: per noi in quanto protagonisti del dramma individuale che riteniamo sia la nostra vita. Per noi in quanto protagonisti del dramma individuale che riteniamo sia la nostra vita. Ne ricaviamo un 1 bambino vuole riuscire in qualche compito da grandi, viene giudicato insufficiente. Il maestro/madrina/padrino adopera una bacchetta magica e l’eroe scopre di aver superato la difficoltà. Il modello romantico ci induce spesso a dichiarare di aver fallito. Narrazioni romantiche liquidano la ricerca che deve svolgersi nel periodo intermedio, i problemi del secondo atto, in un modo simile a quello in cui gli allucinogeni promettono le chiavi dell’universo. Riducono a zero la difficoltà del problema e premiano l’individuo per averlo risolto. Falso compito, compito facile. La narrazione romantica richiede che il protagonista, nel punto in cui si rende conto di aver preso una strada sbagliata, eserciti semplicemente la fede, si comporti come se il problema non esistesse. Il vero dramma richiede invece che il protagonista eserciti la volontà, che crei di fronte a noi il suo stesso carattere, la forza di continuare. È il suo sforzo di capire, di valutare correttamente, di affrontare il proprio carattere a ispirarci, e a dare al dramma il potere di purificare e arricchire il nostro stesso carattere. LA VIOLENZA Il nostro Dipartimento della Difesa esiste perché noi siamo disposti a sprecare tutto pur di difenderci dalla sensazione della nostra stessa nullità, della nostra stessa impotenza. La nostra posizione nel mondo non è fragile, ma lo è il nostro equilibrio mentale. INSODDISFAZIONE tutti gli argomenti prodotti dalla mente conscia possono essere argomenti molto importanti, ma non possono essere materia di arte. La vera arte è profonda e intricata e varia tanto quanto le menti e le anime degli esseri umani che la creano. Il leader perfetto, film perfetto, non esiste. Quello che noi chiamiamo il cammino verso la perfezione esiste solo per mantenerci ignari del nostro squilibrio. Quando scopriamo di aver fallito, sopprimiamo il disgusto verso noi stessi e reprimiamo la nostra rabbia. Ma la rabbia si esprime con immagini di violenza. La violenza appare nel momento in cui l’arte diventa strumento della mente conscia. La violenza è un’espressione compulsiva del bisogno di reprimere: di individuare un cattivo e di distruggerlo. La compulsione deve essere ripetuta perché fallisce. Fallisce perché il cattivo non esiste nl mondo materiale esterno. Il cattivo, il nemico, sono i nostri stessi pensieri. Secondo la mente conscia l’arte serve a far piacere alla gente. Ma la mente conscia non può creare l’arte. Non può ricavare nessun godimento dal far piacere alla gente attraverso l’arte. Cosi la mente conscia si allea con l’arte e ricava godimento dal fare soldi. Gli artisti non si chiedono a cosa serva l’arte. Essi sono semplicemente spinti ad alleggerire il peso dell’insopportabile disuguaglianza tra la loro mente conscia inconscia, e a raggiungere così l’armonia. L’arte non serve a fare piacere, non viene creata per gli altri. L’artista crea l’arte per sé stesso, per raggiungere l’armonia. Ma spesso il desiderio di esprimersi diventa il bisogno di reprimere. AUTOCENSURA L’elezione di un dittatore è una forma di autocensura. Il processo della guerra della politica nasconde un profondo tropismo genetico, una forza così potente che l’individuo, per mantenere l’autonomia, deve spiegarla come ragione o come patriottismo. Profonda necessità della mamma. Così il branco seleziona la popolazione e il dittatore difende le prerogative del tropismo disincentivando il pensiero indipendente e l’arte. Nell’ action painting, nelle performance, nella videoarte, vi è un’autocensura simile a quella di uno stato totalitario. Artisticamente queste attività non hanno un gran significato. Hanno tuttavia il potere di strutturare il bisogno da parte dell’individuo di liberazione, appagamento, senza minacciare la sua identità psicologica o fisica. I TRE USI DEL COLTELLO Leadbelly ha detto: “prendi un coltello, lo usi per tagliare il pane, così avrai la forza di lavorare; lo usi per raderti, così ti fai bello per la tua innamorata; quando la scopri con un altro, lo usi per strapparle via quel cuore bugiardo”. L’assassino dice a sé stesso per giustificarsi che la ragione per cui lavorava tanto era per essere in grado di comprarle qualcosa di bello, ecco perché si alzava la mattina, ed ecco perché mangiava. Per avere la forza di andare a lavoro. Ecco perché si radeva, per farsi bello per lei. E quando lei lo ha tradito, ha usato lo sesso coltello per assicurarsi che lei non desse il suo amore a nessun’altro. In questo caso il ruolo del coltello cambia. È personificazione e al tempo stesso testimone dell’interscambio. Cambia il suo scopo nel corso del dramma. Il coltello diventa il corrispondente della linea di basso di un brano musicale, quella che dà la forza alla musica e ci commuove. La tragedia dell’omicidio ci commuove perché ci commuove l’ironia del coltello ricorrente. L’apparizione del coltello è il tentativo della mente disciplinata di affrontare qualcosa di terrificante. Ma in questo sforzo la nostra mente razionale non ci sarà di aiuto. Il terrificante e l’inevitabile sono di competenza del teatro e della religione. I migliori esempi di teatro drammatico parlano di tradimento. Un dramma parla di cose piuttosto terribili che capitano a persone che sono tanto simpatiche o antipatiche quanto lo siamo noi. 1 Lo scopo della preghiera non è provocare un’intercessione divina nel mondo materiale, ma di deporre, per la durata della preghiera, dalla propria confusione alla rabbia e la pena per la propria impotenza. Il mago non ha fatto sparire davvero la colomba, ma ha donato un momento di gioia e di stupore. Lo scopo del teatro, come della magia, come della religione, è di ispirare un’associazione purificante. La lezione purificante del teatro è l’inutilità della ragione. LA CANZONE DELLE UNDICI È frequente, nei film romantici, imbattersi nel montage. Un film romantico montage significa un messaggio senza dialogo, di solito accompagnato da una musica sentimentale. In origine il termine significava la giusta posizione di due immagini diverse e neutre allo scopo di generare nello spettatore una terza idea che faccia progredire l’intreccio. Nel film romantico, il montaggio non sempre fa progredire l’intreccio, ma piuttosto narra il presunto stato mentale emotivo del protagonista, senza dialogo, con la musica, ripetendo delle rappresentazioni visive della stessa idea leggermente diverse tra loro. Esse sono semplicemente ordinate in modo grazioso e possono essere riorganizzate a piacere. Raccontano una soluzione per la quale non c’è alcun problema. La risposta a una domanda che non abbiamo posto. Tuttavia, noi non percepiamo la casualità. Il dramma verrà riordinato per uniformarsi alla norma dei tre atti con tesi, antitesi e sintesi. È nella nostra natura elaborare le percezioni in modo da formare ipotesi e poi ridurre queste ipotesi a informazioni in base alle quali possiamo agire. È il nostro meccanismo di adattamento. Questa narrazione superflua si verifica di solito allo stesso punto: a 7710 della durata, subito prima o subito dopo dall’inizio del terzo atto. Il protagonista e il pubblico si sono imbarcati per la parte più difficile del viaggio. L’atto è abbozzato, il compito è chiaro. E proprio la chiarezza del compito è scoraggiante. Una volta progettato il terzo atto, comunque vadano le cose, il dramma è fatto. Questa collocazione a 7/10 dell’opera è una sorta di ricordo ancestrale che segna il posto del monologo. Questo monologo equivale al momento in cui il protagonista parla con Dio. Questo ricordo risale al dramma antico e alle osservanze religiose dalle quali traeva origine. Canzone delle undici: nostalgica offerta emotiva calcolata per preparare il pubblico al viaggio verso casa. LA FINE DELLA RECITA Alla fine della recita, tutto si è ricomposto. Si è ricomposto quando è venuta fuori la verità. Ricordiamo gli sforzi sempre più energici del protagonista per Ogni sequenza deve avere un obiettivo diverso che deve servire a raggiungere l’obiettivo della scena. Non serve ricreare una sequenza nuova in cui si riprende l’atto della sequenza precedente. Il protagonista si è già preparato una volta in un certo modo, non serve farlo preparare di nuovo, seppur in un altro modo. Fate sì che le singole sequenze siano funzionali alla scena, e la scena è fatta. Allo stesso modo, fate sì che le scene siano i pilastri portanti del film, e il film è fatto. Il compito del regista è creare ordine. Iniziate con l’evento che porta scompiglio, e fate in modo che la scena rappresenta il modo in cui il protagonista tenta di riportare ordine. Il nostro film sarà migliore se ci preoccuperemo di riportare l’ordine. Quando si fa una scelta, ad esempio scegliere il modo di rappresentare un’azione, se vogliamo qualcosa che abbia significato per gli spettatori, prima di tutto deve avere senso per noi. Loro sono fatti esattamente come noi. In che modo ora il protagonista può rendere omaggio? Il protagonista può alzarsi in piedi all’arrivo del professore. Tanto più enfatizziamo o carichiamo l’inquadratura, tanto meno efficace sarà il montaggio. Tuttavia, abbiamo bisogno di uno stop, un punto di arrivo. Altrimenti l’ottenere rispetto potrebbe condurci in una spirale infinita, limitata solo dal nostro buon gusto. Ci serve un obiettivo più specifico. Se l’obiettivo è ottenere un lavoro, allora sappiamo che la scena finisce nel momento in cui il ragazzo ottiene quel lavoro, oppure quando gli viene negato. L’obiettivo potrebbe essere ottenere una ritrattazione. Equivale al MacGuffin. Serve a mandare avanti l’azione. Il pubblico non viene mai a sapere di cosa si tratta esattamente. Meno l’eroe è descritto, caratterizzato, definito, più sarà il pubblico ad assegnargli un significato personale, più si identificherà. Il MacGuffin è quella cosa che per il pubblico è così importante, quella cosa così fondamentale. Ci penserà il pubblico a immaginarla, ogni spettatore a modo suo. Ed è così che funziona l’obiettivo di ottenere una ritrattazione. A questo punto forse non è neanche necessario specificare una ritrattazione di cos. Arrivare in anticipo, prepararsi, rendere omaggio e fare richiesta come quarta sequenza della storia, il cui fine è ottenere una ritrattazione. Il numero di mosse assolutamente indispensabili attraverso le quali l’eroe arriva al suo obiettivo deve essere più basso possibile. La cosa che sta chiedendo è un MacGuffin. La chiede perché gli serve, punto. Il protagonista deve fare esclusivamente quello che lo porterà a ottenere una ritrattazione. L’unica cosa che deve fare è ottenere una ritrattazione. Non deve 1 spiegare a nessuno perché la vuole. Spiegare al pubblico qualcosa non gli servirà ad ottenerla. A questo punto il protagonista deve presentare il suo caso. Potrebbe tornarci utile il quaderno visto nella seconda sequenza. Il protagonista potrebbe lasciarlo sulla cattedra vuota. Deve essere riconoscibile. Il quaderno in sé non è molto importante. Ciò che conta è la sua funzione nella scena. Il quaderno presenta il caso al posto suo. Il quaderno deve essere neutro. Non deve essere un quaderno che faccia pensare alla ritrattazione. Deve essere solo lo stesso quaderno. Ora siamo pronti per il responso. Vediamo il professore in campo lungo che apre il quaderno, guarda in basso alla sua destra, lo vediamo aprire il cassetto e tirare fuori un timbro. Timbra una pagina del quaderno. Inquadratura del ragazzo che sorride e riprende il quaderno. Obiettivo raggiunto. ARCHITETTURA ALTERNATIVA E STRUTTURA FILMICA Negli anni ’60 vi era un college piuttosto alternativo, una scuola di architetti contro culturale. Tali architetti progettavano edifici alternativi, inabitabili. L’idea era quella di ricalcare lo stato d’animo dell’architetto. Tuttavia, quell’edilizia contro culturale ha ben espresso le intenzioni dei suoi ideatori, ma di certo non ha soddisfatto le esigenze dei suoi inquilini. Gli edifici, o sono crollati, o stanno cadendo a pezzi. Rovinano il paesaggio. È molto difficile ristrutturare qualcosa che sin dal principio è stato costruito male. È più facile edificare tutto per bene da subito, quando ce n’è il tempo. Lo stesso vale per i film. Quando fate un film, dopo aver finito di stendere l’elenco delle inquadrature, ma prima di iniziare a girare, c’è un periodo che viene detto produzione, durante il quale vi troverete a dover risolvere alcuni problemi. Riempire le inquadrature di spazzatura e inseguire gli attori passo per passo è esattamente come l’architettura alternativa. Non rispettano le esigenze degli spettatori che vogliono solo sapere come va avanti la storia. Il mestiere del regista consiste nel raccontare una storia tramite la giustapposizione di immagini neutre, non enfatizzate. La natura della percezione umana è questa, ossia, dati due eventi, determinare una progressione. Fa parte della percezione umana ordinare immagini casuali secondo un concetto che è già formato nella nostra mente, un preconcetto. La nevrosi funziona allo stesso modo. La nevrosi non è altro che l’associazione di idee, immagini, eventi non connessi tra loro secondo un insormontabile preconcetto. “due qualsiasi eventi non connessi tra loro, io posso ordinarli in modo tale da far sì che significhino quello”. Nevrosi: tentativo di una mente disordinata di applicare il principio di causa ed effetto. È lo stesso meccanismo che scatta, a livello inconscio, nella mente dello spettatore. È nella natura della percezione umana mettere in relazione immagini non connesse tra loro per formare una storia, perché abbiamo bisogno che il mondo abbai senso. La mente umana trarrebbe senso dalle immagini anche se fossero giustapposte in maniera assolutamente casuale. Quando un film è ben progettato, il livello conscio e il subconscio sono allineati, e noi sentiamo il bisogno di sapere come va avanti la storia. Ci siamo coinvolti nella storia. Se non ci importa di sapere come va avanti la storia, se il film non è stato progettato correttamente, potremmo crearci, inconsciamente, la nostra storia parallela, e allora non ci importerà più molto del racconto originario, esattamente come il nevrotico ricrea da sé la sua versione degli eventi in chiave di causa-effetto. Lo spettacolo smette do essere interessante. Lo spettatore non vuole farsi coinvolgere. È in questo momento che il cattivo regista, come l’architetto della controcultura, per rimediare deve far sì che ogni evento d’ora in poi sia sempre più divertente del precedente, ovvero sarà costretto a ripiegare su qualche trucco per ottenere l’attenzione del pubblico. Di questo passo si cade nell’oscenità. Nel corso del film il regista è costretto a essere sempre più bizzarro. Nel corso della sua carriera il regista dovrà osare sempre di più. Nel corso della storia, la cultura finirà per degenerare in depravazione. L’interesse per un film nasce unicamente dal desiderio di sapere come va avanti la storia. Secondo Mamet il mercato del cinema spesso degenera, in quanto è guidato da persone che spesso non riescono a orientarsi nel verso giusto (show business). L’unico modo per contrastare questa forza è dire la verità. Il proprio obiettivo non si può nascondere. Se l’obiettivo è avere successo nell’industria cinematografica, il lavoro, e con adesso l’anima del regista, saranno esposti a quelle influenze distruttive. L’obiettivo del regista, così come quello dello sceneggiatore e dell’attore, non si può nascondere, il pubblico lo percepirà. Se siete sufficientemente onesti quando fate un film, vi accorgerete che anche il film spesso vi opporrà resistenza. In quel momento è lui che vi dice come va scritto. I COMPITI DEL REGISTA Per dare indicazioni all’attore bisogna fare riferimento all’obiettivo della scena. Bisogna pensare al senso della sequenza. Basandosi su queste due semplici idee bisogna dire all’attore di compiere i gesti, e quelli soltanto, che sono indispensabili per girare la sequenza, alla lettera. Così come deve essere neutra l’inquadratura, priva di enfasi, allo stesso modo non 1 fuori. Siamo seduti sui gradini del mattatoio con il maiale, è notte. Il mattatoio p chiuso. Arriva il giorno. Si vede il tizio dell’edificio che apre il mattatoio e fa entrare il maiale e lo porta nel recinto. Il contadino si sveglia, rivuole il suo maiale. Inquadratura sul maiale che riconosciamo dal fazzoletto al collo. Il contadino si incammina lungo la strada con il suo maiale. Il maiale si volta a guardare la strada. Il contadino torna indietro nella direzione in cui sta guardando l’animale. Stacco sul famoso sguardo del maiale che sta puntando a qualcosa. Il contadino da dei soldi al direttore del mattatoio. Il direttore entra in un recinto in cui c’è solo il maiale. Porta fuori questo maiale. Il contadino che cammina per la strada con due maiali. Il contadino porta a casa i due maiali. Due maiali nel recinto del cortile che si baciano. In dissolvenza scrofa che allatta tanti maialini. Il contadino non si è liberato del maiale ma si è liberato del pericolo. TERZA PARTE ERESIE E CONSIGLI PER L’ATTORE Gli attori hanno troppe informazioni, nessuna delle quali serve a recitare. Gli attori diventano invidiosi di quelli che fanno fortuna, di quelli che, apparentemente, possiedono la tecnica. Tecnica basata sulla fortuna. Non è una tecnica praticando la quale si sviluppa un’abilità. L’attore è sul palcoscenico per comunicare il dramma al pubblico. Il suo lavoro comincia e finisce qui. L’attore non ha bisogno di diventare personaggio. Non esiste nessun personaggio. Esistono solo battute su una pagina. Quando l’attore le pronuncia, il pubblico si illude di vedere un personaggio sulla scena. Per creare questa illusione l’attore non deve sottoporsi assolutamente a nulla. Il mago crea un’illusione nella mente del pubblico. La stessa cosa fa l’attore. Attraverso il montaggio, è nello spettatore che nasce l’idea. È lui in realtà che si racconta la storia. Agli attori viene richiesto di imparare ad essere felici, essere tristi, essere turbati, nei punti del testo o della stessa messa in scena in cui sembra che il personaggio debba provare quelle emozioni. Un tale comportamento è inutile e dannoso. L’atto stesso di sforzarci per produrre uno stato emotivo dentro di noi ci allontana dal dramma. La mente non può essere costretta. La nostra mente si ribella all’ordine di pensare qualcosa per provare un certo stato d’animo. Se fossimo veramente capaci di controllare i nostri pensieri e provare emozioni a comando non esisterebbero neurosi né psicosi né tristezza. Non esiste un metodo. Grandi azioni compiute senza nessuna emozione. Attore rivolto verso l’esterno, che agisce senza alcuna considerazione per il proprio stato d’animo personale. Per affrontare una vita nel mondo del teatro, stare lontano dalle scuole. La scuola vi insegnerà ad obbedire e in teatro d’obbedienza non vi poterà da nessuna parte. È una menzogna. La capacità di recitare è fondamentalmente un’abilità fisica, non è un esercizio mentale, e non ha assolutamente a che fare con la capacità di superare un esame. La capacità di recitare non è l’abilità meccanica di amalgamare tra loro oasi emotive, non è la padronanza della sintassi. La capacità di recitare è come l’abilità dello sport, che è un’abilità fisica. La scuola del metodo vorrebbe insegnare all’attore a preparare un momento, un ricordo, un’emozione per ogni scambio di battute del dramma e ad attenersi a quella preparazione. È un errore pari a quello di un allenatore di basket che insegni agli uomini della sua squadra ad attenersi agli schemi di gioco provati in allenamento senza minimamente badare a ciò che fanno i loro avversari. Agli attori, come tutti gli esseri umani, non piace l’imprevisto. Un modo di chiamare ciò che sta effettivamente accadendo tra due persone sulla scena è “verità del momento”. Quello scambio non è mai pianificato, è sempre qualcosa che succede, e la maggior parte delle scuole di recitazione è finalizzata a nascondere quello scambio. Spesso l’attore insicuro quando sente un attacco e si sente insicuro prende tempo. Uno sbuffo d’aria, una specie di sospiro, l’attore è stato colpito da una sensazione imprevista e nel tentativo di riconquistare il controllo perde tempo. Se l’attore avesse aperto la bocca al momento giusto, anche se si sentiva insicuro, avrebbe offerto al pubblico la verità del momento, un delicato e inatteso bellissimo scambio tra due persone che erano sul palcoscenico. Quando l’attore parla anche se insicuro, il pubblico vede quella persona interessante. Vede il vero coraggio. L’attore deve aprire bocca, stare ben dritto e pronunciare le parole con coraggio senza aggiungere nulla, senza negare nulla, senza manipolare nessuno. Deve imparare ad essere sincero e semplice. L’attore crea il suo personaggio. L’errore del metodo è l’erudizione. L’idea che qualcuno possa stabilire l’effetto che vuole esercitare sul pubblico e studiare per produrre quell’effetto. L’arte è un’espressione di gioia e sgomento. Non è il tentativo di condividere le proprie virtù e abilità con il pubblico, ma un atto disinteressato dello spirito. L’attore non è un essere superiore. A teatro, ciò che ci commuove di più sono gli uomini e le donne comuni costretti dalle circostanze a comportarsi in modo straordinario. Siamo commossi dall’eroismo. Non ci commuovono le emozioni proclamate a gran voce da chi vuole manipolarci o da 1 chi è famoso. Quando vediamo il vero eroismo, l’eroismo della persona comune costretta dalle circostanze a comportarsi in modo coraggioso, ci identifichiamo con quell’uomo o con quella donna e diciamo “se posso farlo loro, forse potrei farlo anche io”. L’attore che esagera e che finge può estorcere un senso di infelice ammirazione, poiché chiede al pubblico, ammirando lui, di ammirare sé stesso. L’attore spesso dice a sé stesso: “non posso recitare questa scena perché sono impreparato, non posso recitarla perché non mi sento sicuro, perché…”. Tutti questi sentimenti sono generati dal testo. Tutti quei presunti impedimenti non sono altro che il tentativo del dramma di imporsi. Il dramma ha messo l’attore in contatto con aspetti della vita che non aveva previsto. Questo è il meccanismo di difesa che possediamo. Siamo infinitamente suggestionabili. Ma l’attore deve ignorare tali impedimenti. Il testo prende vita nel suo modo imprevedibile e l’attore reciterà nel suo modo imprevedibile. L’attore vuole avere l’illusione di controllare il dramma. Ma non può. L’attore deve agire su tale spinta. Deve parlare a voce alta e con coraggio, anche se spaventato. L’arte richiede immediatezza e coraggio. Il talent scout, l’addetto al casting, il produttore, se ne stanno seduti in una stanza non per divertirsi, ma per giudicare. Vedono l’aspirante attore non come un amico che potrebbe deliziarvi, ma come un ladro la cui mancanza di abilità, di prestanza o di meriti
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