Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

I vicerè, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

riassunto e appunto

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 02/03/2015

kowalska93
kowalska93 🇮🇹

4.5

(25)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica I vicerè e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Federico de Roberto: I Viceré Questo romanzo viene scritto nel 1894 (in Europa il Naturalismo è morto per effetto di una secessione: gli allievi di Zola abbandonano questa corrente considerandola insufficiente a spiegare l’uomo contemporaneo e si avvicinano al romanzo psicologico. De Roberto si sente erede del naturalismo (era legato a verga e Capuana); questo romanzo, infatti, mantiene l’andamento zoliano naturalistico perché segue le vicende di una famiglia (come aveva fatto Zola con il Rougon Macquart) attraverso il tema dell’ereditarietà. I Viceré sono la famiglia catanese degli Uzeda, che durante la dominazione spagnola ha svolto funzioni vicereali. De Roberto racconta le vicende di questa famiglia che, dopo essersi opposta, si arrende e adatta ai cambiamenti del Risorgimento, fino a negare i propri privilegi dinastici. Il giovane principe della famiglia partecipa alla vita politica con discorsi innovativi e progressisti, si inserisce nel Parlamento per continuare a difendere gli interessi della propria famiglia. Siamo nella Sicilia del 1830-1840 che, di fronte all’arrivo dei garibaldini, inizialmente si oppone, ma poi decide di assecondare i cambiamenti e non isolarsi. Con la propria forza economica, questo principe riesce ad affermarsi tra i Partiti e andare in Parlamento. Il Risorgimento è visto nei Viceré come un’illusoria rivoluzione, un’illusoria ventata di libertà che suscita enormi attese ed entusiasmo (soprattutto tra i poveri) che poi vengono delusi. Quando la Sicilia entra a far parte della monarchia sabauda (lo stato italiano) viene sottoposta alle sue leggi, e quindi al passaggio dal diritto feudale a quello borghese. Tutti i beni dei grandi feudatari e della Chiesa vengono messi all’asta e, alla fine, sono gli stessi padroni a ricomprarli perché i contadini non avevano i mezzi necessari per farlo. Questo ha causato un ulteriore impoverimento delle classi povere, anche perché, se con il diritto feudale c’erano le terre demaniali in cui i contadini potevano cacciare o raccogliere qualche frutto, adesso le terre sono tutte di esclusiva proprietà di coloro che le comprano all’asta. L’epoca di riferimento di questo romanzo antistorico non è più il Medioevo, ma il Risorgimento. Si parla del periodo che va dal 1855 al 1882 (è una vicenda retrodatata di pochi decenni, a differenza di altre opere come I Visconti, I promessi sposi, che retrocedono di secoli). Questo è un romanzo storico, parla del periodo che precede e segue di poco l’unificazione. Nel 1855 siamo a qualche anno prima dell’impresa garibaldina (ci sono state guerre di indipendenza, moti rivoluzionari), il sistema feudale in Sicilia è rimasto lo stesso di secoli prima: la famiglia Uzeda regna con potere assoluto secondo relazioni gerarchiche feudali (principio dinastico, principio di sangue, immobilità). Segue l’arrivo dei garibaldini che coinvolgono una parte della popolazione, per lo più volontari (l’ala di movimento) tra cui minatori, pescatori, braccianti. Questo processo si compie con l’annessione della Sicilia allo stato unitario. Qual è il comportamento degli Uzeda di fronte a questi cambiamenti? - dovrebbero negare l’autorità dello Stato e combattere una guerra per non essere annessi e assoggettati a leggi anti-feudali (l’eversione della feudalità consiste nella confisca di patrimoni fondiari agli ordini religiosi e alle famiglie aristocratiche che non utilizzano grandi latifondi. Queste terre vengono messe all’asta e si assiste così ad un rimescolamento di ceti e patrimoni. - dopo una prima ostinazione, alcuni della famiglia degli Uzeda, capiscono che per mantenere il potere bisogna adeguarsi a questo cambiamento. Questo porta un membro della famiglia ad inserirsi in parlamento affidandosi, data la sua ignoranza in questioni politiche, ad un avvocato: si tratta del principe Diomagna di Santaranza, che va in giro scimmiottando le idee del suo avvocato come un pappagallo, tiene discorsi dal balcone del suo palazzo, mantendendo il potere attraverso la propaganda. Si arriva fino al 1882 perché è una data importante: il completamento dell’Unità d’Italia avviene nel 1870 con l’annessione di Roma e la fine del potere temporale dei Papi. Negli anni successivi, lo stato sabaudo (arcaico, arretrato, in cui solo le élite avevano diritti e solo ricchi e istruiti potevano votare) cercò di modernizzarsi: il corpo elettorale fu allargato (nel 1882 fu promulgata una legge elettorale che consentiva il voto a tutti i cittadini maschi che avessero la seconda elementare; per il suffragio femminile bisognerà aspettare il 1948). Man mano che il corpo elettorale si allarga, è più difficile ottenere consensi: gli Uzeda sono costretti a mettersi maggiormente in gioco. Consalvo Uzeda è un giovane brillante, ha viaggiato, è stato in Francia, ha assorbito le OPINIONI: sa che per mantenere il potere deve travestirsi da liberale, fino ad arrivare ad avvicinarsi addirittura ai gruppi rivoluzionari di sinistra. È un personaggio spaventosamente cinico: entra nelle case dei poveri e li spinge alla rivalità pur di ottenere consensi. Egli considera la folla che cerca in tutti i modi di conquistare una canaglia, ma la adula pur di ottenerne il consenso. Conclusione del romanzo: monologo (foglio) Consalvo si è affermato e va a far visita alla vecchia zia Ferdinanda; lei è ancora borbonica, è ostinata, non riconosce il Re d’Italia, vive acida e ammalata in solitudine, considera i re d’Italia dei parvenues non all’altezza, e i piemontesi degli invasori; il Parlamento è ai suoi occhi un teatro di pagliacci. Quando il nipote la va a trovare, tra i due non c’è un colloquio perché la vecchia zia non risponde, è chiusa e contrariata: Consalvo le spiega il motivo per cui ha agito così e le illustra quali saranno i vantaggi per l’intera famiglia. La vecchia tossisce, lo guarda di sbiego, a un certo punto, non potendone più, dopo aver tossito dice: “Tempi obbrobriosi, razza degenere” (PAG.302 CUORE) Consalvo, quasi per effetto collaterale di questo cinismo, nel cercare consenso del popolo ha dei disturbi psicosomatici, delle fobie: ha schifo verso la gente del popolo, per stringere le mani di è procurato un paio di guanti sottilissimi e quando torna a casa si disinfetta tutto quanto. Questo senso dell’elemento patologico che si associa al fenomeno sociale dell’immobilità del potere porta alla corruzione dal punto di vista umano. Rivolgendosi alla zia, Consalvo esprime il suo pensiero. Tutto il racconto del libro si svolge nel meccanismo di autoriproduzione del potere. Si parla dell’arrivo dei garibaldini, ma c’è solo un’apparenza di cambiamento, un’illusione ridicola, in realtà nulla potrà mai intaccare un potere plurisecolare. Le idee liberali e il parlamentarismo nel personaggio di Consalvo diventano strumenti di una nuova legittimazione, si traveste da liberale e rivoluzionario (è tutta una farsa). “Niente di nuovo sotto il sole”  riferimento biblico, sentenza del Re Salomone (mondo arcaico, idea circolare del tempo come fatto biologico, assenza dell’idea di cambiamento) =/ da oggi, sappiamo che il tempo è una nostra costruzione. La legge naturale nei Vicerè è la legge della continuità del potere, una struttura immobile che si riproduce celata sotto finti cambiamenti. I progetti di cambiamento sono solo un’illusione. Anche l’amore è un’illusione: i personaggi femminili del romanzo hanno una sensibilità romantica, in senso lato; esprimono un elemento di autenticità e umanità in un contesto disumano. Ma le loro attese e i loro sogni vengono schiacciati, come gli ideali garibaldini. De Roberto ci dice che la storia, vista come una prospettiva di progresso e avanzamento civile, e quindi come mito, è una pura finzione. È un’aspirazione, una velleità. La storia, che dovrebbe basarsi su valori Info prese da internet I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto che ne iniziò la stesura a Milano nel 1894 raccogliendo materiale sulle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza (dietro la quale si nasconde la Principesca Casa Paternò ed in particolare la figura del Marchese Antonino Paternò Castello di Sangiuliano che nel romanzo è identificato con il giovane Consalvo Uzeda e che in realtà fu Sindaco di Catania, Ambasciatore e Ministro degli Esteri), discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V. Questa "storia di famiglia" si ispira al principio positivistico e naturalistico della race (l'ereditarietà), con tutte le sue conseguenze. I componenti della famiglia degli Uzeda sono accomunati dalla razza e dal sangue vecchio e corrotto, dovuto anche ai numerosi matrimoni tra consanguinei. Quanto emerge da questa famiglia è la spiccata avidità, la sete di potere, le meschinità e gli odii che i componenti nutrono l'uno per l'altro alimentando in ciascuno una diversa patologica monomania. Ogni membro della famiglia ha una storia segnata dalla corruzione morale e biologica che si evidenzia anche nella loro fisionomia e nelle deformità fisiche che verranno riassunte dall'autore nell'episodio di Chiara che, dopo aver partorito un feto mostruoso lo conserva sotto formalina in un boccione di vetro. Ma I Viceré sono, oltre "una storia di famiglia", anche una rappresentazione dagli accenti forti e disillusi della storia italiana tra il Risorgimento e l'unificazione (il romanzo è infatti ambientato negli anni tra il 1850 e il 1882, nella quale si svolgono le vicende e le fortune degli Uzeda). Il romanzo è diviso in tre parti: la prima parte inizia con la morte della vecchia principessa Teresa, crudele e dispotica, e termina con la caduta del regno borbonico e con l'elezione a deputato di Gaspare Uzeda; la seconda parte si chiude con la presa di Roma e con la conversione al liberalismo di don Blasco; la terza con le prime elezioni a suffragio allargato del 1882 in cui l'ultimo discendente di fede reazionaria e borbonica, Consalvo, finge idee di sinistra per mantenere intatto il suo potere, convinto che - al di là di ogni rivolgimento storico - nulla possa veramente cambiare e che i privilegiati debbano adattarsi alle nuove situazioni politiche, come quella successiva all’unità, potendo solo così mantenere intatti dominio e potere. Emerge da questo quadro il fallimento degli ideali risorgimentali con una interpretazione già presente nelle novelle Il reverendo, Libertà e Mastro-don Gesualdo del Verga e che accomuna molti tra gli scrittori meridionali, da Pirandello, nel romanzo I vecchi e i giovani, a Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo. IL RISORGIMENTO Il Risorgimento ha cercato di fare entrare l’Italia (molto arretrata) nella modernità. Questa arretratezza dipendeva dalla mancata indipendenza politica, dalla divisione territoriale e da forti squilibri tra i territori. Il Risorgimento cerca di far superare questo handicap, facendo dell’Italia un paese territorialmente unito, capace di ridurre squilibri tra regioni e riunificare il Paese da un punto di vista culturale e linguistico. La lingua italiana era parlata solo da élite di gente colta, il resto parlava un’enorme varietà di dialetti, che sono stati lingue regionali fino al ‘900, quando, con la lingua della tv, le cose cambiarono. Gli obiettivi del Risorgimento sono tutti falliti: - da un p.d.v. socioeconomico, il divario nord-sud si accentuò ancora di più, portando all’esplosione della “questione meridionale”; - da un p.d.v. politico, si ha l’avvento del parlamentarismo e la costruzione di nuove classi borghesi, le quali si rivelano deludenti perché in parlamento le istanze di trasformazione e modernizzazione vengono piegate a logiche di compromesso e interesse personale, svuotandosi. Le critiche al Risorgimento del romanzo antistorico Gli autori del romanzo antistorico guardano al Risorgimento da un p.d.v. distanziato, estraniato. Si tratta infatti di scrittori siciliani che guardano alla realtà nazionale da una prospettiva periferica. Nel loro bilancio critico si sovrappongono due aspetti: - elemento filosofico: lo troviamo nelle amare considerazioni dei personaggi dei romanzi in frasi come “Non è servito a niente”, è stato tutto una delusione”. In queste considerazioni emerge la negazione dell’idea stessa di storia, è tutto sempre uguale, anzi si sta addirittura peggio. Da essere considerata come “progresso”, la storia diventa uno strumento per abbindolare la popolazione. Storia e progresso sono i grandi miti dell’ ‘800: il concetto di storia moderna nasce con la cultura filosofica idealista tedesca dell’ ‘800, che vede la storia come un processo di evoluzione dell’umanità che tende inevitabilmente verso una progressiva maturazione. Alla base di ciò c’è il concetto di dialettica (noi vogliamo il meglio, il quale si scontra con le difficoltà della vita; da questo scontro emerge una mediazione che ci fa andare avanti). Lo stesso fascismo è stato considerato un passaggio che conduce ad un avanzamento; vi è una dialettica continua. È come se il tempo fosse una freccia, un vettore con una propria direzione (questa idea ci consolerebbe molto), tutto accade per un motivo, e nonostante morti, vittime, catastrofi, la direzione è comunque quella verso il meglio, verso maggiore libertà e benessere: la storia è progresso. - elemento ideologico: c’è un attacco alla nostra storia, alla politica, mentalità e ai costumi italiani. Per molti il Risorgimento è stato una colonizzazione delle regioni meridionali da parte della monarchia sabauda che ha portato al potere una classe moralmente discutibile, che ha agito secondo trasformismo (non importano pensieri e idee, i voti vendono venduti e si passa da un partito all’altro. Questa polemica ideologica dà luogo al ROMANZO PARLAMENTARE: si tratta di romanzi di fine ‘800 ambientati in Parlamento, a Montecristo. Uno di questi è di De Roberto, L’imperio, terminato nel 1808: in questo romanzo, l’ultimo erede dei Viceré è diventato un politico spregiudicato, durante i comizi si fa coprire le spalle da un avvocato che gli suggerisce cosa dire per acchiappare il consenso popolare; questo personaggio fa carriera e diventa ministro. Altri esempi di romanzo parlamentare sono il Daniele Cortis di Fogazzaro e Le ostriche di Carlo del Balzo. CONFRONTO CON ATTUALITA’ Quali caratteristiche uniscono questi 3 romanzi e che immagine dell’Italia ci danno? Questi romanzi vengono oggi letti da un lettore sensibile e reattivo, che li attualizza. Di fronte alla lettura, sporge spontanea la domanda: ma poi questa identità nazionale si è costruita? Chi siamo noi? Che vuol dire che siamo italiani? Come ci vedono dall’esterno? - il problema filosofico della storia rimane, la nostra fiducia nella storia è piuttosto limitata, sia a causa degli eventi storici del Novecento, come la guerra atomica e l’olocausto, sia a causa dei problemi ambientali. - per quanto riguarda il problema ideologico, invece, possiamo citare il Discorso di Leopardi. Nel Romanticismo di voleva costruire lo “spirito del popolo”, stabilire con quest’ultimo un’empatia, secondo influssi religiosi. Oggi parliamo di carattere di una nazione in modo più pratico; ci sono degli stereotipi (es. Puglia= cibo e pizzica) che influenzano le nostre idee.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved