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I VICERE' E IL GATTOPARDO, Appunti di Letteratura Italiana

appunti su i vicere e il gattopardo

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 28/12/2019

martina-fumo
martina-fumo 🇮🇹

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica I VICERE' E IL GATTOPARDO e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! I VICERE’ è il più importante romanzo storico di aria verista, naturalista di Federico De Roberto, ambientato sullo sfondo delle vicende del risorgimento meridionale. I vicerè sono, secondo un detto siciliano, coloro che detengono il vero potere (detto: tra il re e il vicerè quello che ha il potere è il secondo). I vicerè di cui parla De Roberto si trovano in un paesino siciliano dove domina la famiglia dei una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V. Tale famiglia che sconvolta e coinvolta dagli eventi storici del tempo (movimenti mazziniani ecc…), vengono coinvolti:  LA COMPONENTE INDIRETTA: il marito di una delle sorelle che diventa un patriota (come Lo Cascio) ma che allo svolgimento delle lezioni prende solo 4 voti: e Consalvo, un giovane ambizioso della famiglia che decide di farsi eleggere prima nel nuovo comune e poi nel parlamento -> capisce che sono cambiate le forme del potere ma NON è cambiato il potere. Di fatto Consalvo viene eletto ma dovrà fare i conti con la sua famiglia che è DALLA PARTE DEL RE e che vede dunque in Consalvo un traditore -> interessante è il passo in cui va dalla matriarca, Donna Ferdinanda, che lo guarderà con disprezzo. Ci troviamo nelle elezioni del 76. Nell’affermazione fatalistica del fatto che cambia il padrone ma non cambiano i rapporti sociali c’è la storia d’Italia ma anche un riferimento alla storia di Augusto -> riferimento storico IL GATTOPARDO è un romanzo di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa che narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia, seguita alla spedizione dei Mille di Garibaldi. I protagonisti sono il principe di Salina e il nipote, il principe Tancredi. C’è una logica di casta e quest’ultimo sarebbe dovuto andare in sposo alla erede della casta in modo da mantenere tutta la ricchezza all’interno della famiglia ma invece Tancredi si innamora della figlia del borghese che dopo l’unità d’Italia diventa il vero uomo di potere -> la nuova classe dirigente. In questo piccolo dialogo Tancredi e lo zio si confrontano e il secondo, che è erede di tutto il fatalismo culturale che ritroviamo nelle parole di Consalvo (che ha da sempre caratterizzato il sud dal punto di vista antropologico). Il principe è un uomo colto e deve specchiarsi nell’avanzata di questa nuova borghesia ignorante con uno sguardo complicato e freddo, che è il punto di vista che adotta il narratore. Passo tratto dal Gattopardo: Primo (ed ultimo) di un casato che per secoli non aveva mai saputo fare neppure l’addizione delle proprie spese e la sottrazione dei propri debiti, possedeva forti e reali inclinazioni alle matematiche; aveva applicato queste all’astronomia e ne aveva tratto sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private. Basti dire che in lui orgoglio e analisi matematica si erano a tal punto associati da dargli l’illusione che gli astri obbedissero ai suoi calcoli (come di fatto sembravano fare) e che i due pianetini che aveva scoperto (Salina e Svelto li aveva chiamati, come il suo feudo e un suo bracco indimenticato) propagassero la fama della sua casa nelle sterili plaghe fra Marte e Giove e che quindi gli affreschi della villa fossero stati più una profezia che un’adulazione. [Questo è il principe di Salina, uomo colto, diverso dalla nobiltà che di solito non lo è.] La mattina dopo il sole illuminò un Principe rinfrancato. [...] Mentre si radeva la guancia destra vide nello specchio, dietro la sua, la faccia di un giovanotto, un volto magro, distinto con un’espressione di timorosa beffa. Non si voltò e continuò a radersi. “Tancredi, cosa hai combinato la notte scorsa?” “Buon giorno, zio. Cosa ho combinato? Niente di niente: sono stato con gli amici. Una notte santa. Non come certe conoscenze mie che sono state a divertirsi a Palermo.” Don Fabrizio si applicò a radere bene quel tratto di pelle difficoltoso fra labbro e mento. La voce leggermente nasale del ragazzo portava una tale carica di brio giovanile che era impossibile arrabbiarsi; sorprendersi, però, poteva forse esser lecito. Si voltò e con l’asciugamano sotto il mento guardò il nipote. Questi era in tenuta da caccia, giubba attillata e gambaletti alti. “E chi erano queste conoscenze, si può sapere?” “Tu, zione, tu. Ti ho visto con questi occhi, al posto di blocco di Villa Airoldi mentre parlavi col sergente. Belle cose, alla tua età! e in compagnia di un Reverendissimo! I ruderi libertini!” [Erano andati al casino, era una realtà dei comuni sia del sud e del nord dove vi erano le prostitute. Il giovane Tancredi prende quindi in giro lo zio dicendo di averlo visto.] Era davvero troppo insolente, credeva di poter permettersi tutto. Attraverso le strette fessure delle palpebre gli occhi azzurro torbido, gli occhi di sua madre, i suoi stessi occhi lo fissavano ridenti. Il Principe si sentì offeso: questo qui veramente non sapeva a che punto fermarsi, ma non aveva l’animo di rimproverarlo; del resto aveva ragione lui. “Ma perché sei vestito così? Cosa c’è? Un ballo in maschera di mattina?” Il ragazzo divenne serio: il suo volto triangolare assunse una inaspettata espressione virile. “Parto, zione, parto fra mezz’ora. Sono venuto a salutarti.” Il povero Salina si sentì stringere il cuore. “Un duello?” “Un grande duello, zio. Contro Franceschiello Dio Guardi. Vado nelle montagne, a Corleone; non lo dire a nessuno, soprattutto non a Paolo. Si preparano grandi cose, zione, ed io non voglio restarmene a casa, dove, del resto, mi acchiapperebbero subito, se vi restassi.” [Un grande duello contro Franceschiello Dio Guardi che era il modo in cui veniva chiamato Francesco II di Corbone, l’ultimo dei re. Vedendolo vestito in quel modo lo zio, nell’ottica aristocratica pensa a un duello (in genere gli aristocratici si sfidavano a duello per una fanciulla, per un’offesa), e lui dice no, è un grande duello, contro i Borboni e lui deve essere presente.]
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