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Canti Orfici di Dino Campana: una poesia visionaria e irrazionale, Appunti di Italiano

Una dettagliata analisi dei canti orfici, una opera poetica di dino campana scritta nel 1913. L'opera è caratterizzata da una dimensione trascendentale e da una concezione della scrittura verso l'origine misteriosa. La vita di campana, le sue influenze letterarie, la pubblicazione travagliata dei canti orfici e l'influenza che questa opera ha esercitato sulla nostra poesia ermetica. Utile per chi studia la poesia italiana del novecento, la poesia visionaria e l'espressionismo.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 24/04/2024

aamelyx
aamelyx 🇮🇹

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Scarica Canti Orfici di Dino Campana: una poesia visionaria e irrazionale e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! I vociani I Vociani non si accostano soltanto teoricamente alle poetiche di oltralpe: la loro poesia rappresenta un momento di preparazione all'ermetismo e alle nuove esperienze liriche del Novecento in virtù, sia dei nuovi temi, sia di nuove proposte stilistiche. A questo proposito, possiamo distinguere, nell'ambito della Voce, due gruppi di poeti: ● quelli che, come Pietro Jahier e Camillo Sbarbaro, traducevano il loro bisogno di confessione in modi piani, prosastici, discorsivi; protesi unicamente alla ricerca di una verità che sembrava voler escludere ogni residuo letterario, ogni schiavitù della parola. In questo senso Jahier e Sbarbaro si collocano, ciascuno a suo modo, sulla linea che porta a un Saba, e un Pavese o a certo Sinisgalli. ● i poeti che, come Clemente Rebora, Giovanni Boine, Arturo Onofri e soprattutto Dino Campana, tendevano ad esprimere quanto d'irrazionale e di primordiale è nella realtà interiore dell'uomo, attraverso tecniche espressive mutuate dai simbolisti d'oltralpe. Esempi di queste tecniche, che ritorneranno, variamente elaborate, nell'ermetismo di Ungaretti e di Quasimodo e, più recentemente, di Luzi o di Fallacara, sono: ○ l'uso del simbolo e dell'analogia, quest'ultima più spesso nella forma di sinestesia; ○ l'uso dei deverbali, cioè dei sostantivi derivati da verbi; ○ la fusione di epiteti; ○ l'uso dell'onomatopea, della parola fono-simbolica; ○ l'iterazione allitterante: vale a dire la ripetizione, vagamente rimata, di un verso, con eetti di cantilena e di remota suggestione. Da notare però che l’ascolto dell'io profondo si congurava non già come l'anarchico individualismo dei lacerbiani, come aspirazione ad un'arte aristocratica, ma come soerta ricerca dell'umanità che è in ciascuno di noi; e che la concezione della realtà e dell'arte come «attimo», come «frammento», non escludeva la partecipazione alla vita di tutti, e un profondo senso della solidarietà e della fraternità umana. Proprio per questa altissima moralità, l'autobiograsmo lirico dei vociani si dierenzia nettamente sia dall'estetismo dannunziano e sia dalla passiva stanchezza dei crepuscolari. I vociani, dunque, mettono in atto l’innovazione, la temperie storica li porta a conoscere novità. Inizialmente è una corrente neo romantica: la prima stagione è molto più politica e alla ricerca dell’arte pura. La rivista ore lo spazio per farsi conoscere a diversi autori. La seconda stagione, invece, è improntata alla letteratura di svago. Le esperienze poetiche dei vociani e di Dino campana presentano una serie di tratti comuni: ● vivono un’esperienza storica e culturale di violento sradicamento che li porta a riutare qualsiasi forma di espressione compiuta per concentrarsi sul singolo frammento della propria esistenza individuale. Si tratta di un frammentismo di carattere autobiograco in cui ad essere importante non è il singolo evento narrato ma il suo porsi come occasione di profonda opera di scavo interiore; ● stile espressionistico basato su contrasti violenti giusticati da un’urgenza comunicativa che mette in secondo piano le ragioni della ranatezza letteraria; ● propensione a mescolare la prosa alla poesia: prosimetro; ● atteggiamento vitalistico in cui spicca la sensualità o un forte volontarismo che pone in risalto il senso del dovere; ● anti-intellettualismo che riuta la concezione aristocratica del letterato per calarsi nella vita dell’uomo qualunque; ● nomadismo: vissuto come espressione di inquietudine interiore. Lo scenario è la città vissuta come deserto, come luogo dello smarrimento. Tra i vociani e Dino Campana, però, vi sono anche dierenze: ● una ducia ancora ottocentesca del poeta come guida dell’umanità e come veggente: la mancata realizzazione di questo utopia porta Campana ad abbracciare il mito del poeta maledetto; ● il carattere onirico e visionario della sua poesia spesso la ricerca di un ritmo e una musicalità incantatori; ● individualismo esasperato che lo tiene lontano dagli entourages intellettuali. Dino Campana (1885-1932) Uomo di Marradi che condusse una vita errabonda in Europa e nelle Americhe, ove praticò i più vari mestieri: di gaucho, di carbonaio, di minatore, di poliziotto, di zingaro. L'ansia oscura che lo sospingeva da un vagabondaggio all'altro, dall'una all'altra attività, sarebbe sfociata in quell’infrenabile notte che lo avrebbe condotto a consumare gli ultimi tre lunghissimi lustri di vita nell'ospedale psichiatrico di Castel Pulci (Firenze). Con Campana, e in minor misura con Onofri, l'aspirazione alla poesia pura si traduce in un'eettiva resa poetica. Il tessuto culturale sul quale 'innestano i Canti Orci di Campana (composti nel '13, pubblicati nel '14), è quello delle esperienze decadentistiche, da P. Verlaine, ai Crepuscolari, da J. Laforgue a G. Trakl (poeta austriaco, morto nel '18, col quale Campana ha in comune certi impasti tonali e la tecnica dell'iterazione allitterante); né mancano ricordi dannunziani e persino carducciani, rifusi però in una visionarietà incandescente e barocca, in un gorgo sonoro che tutto scompone e travolge del linguaggio poetico costituito. Le continue interferenze suono - colore - odore, già espresse da Baudelaire, la continua frantumazione del verso, ora balbettante e confuso, ora fortemente scandito, ora misterioso nella ripetizione di parole ed espressioni tematiche che dissolvono ogni struttura logica del discorso; i rapporti e gli scambi con le altre espressioni d'arte (parola-musica: parola-colore: «Ad ogni poesia fare il quadro (...) Sono delle note musicali che io componevo ...»), non rimangono mai allo stato di puro riecheggiamento culturale, ma sembrano lievitare dall'animo in una specie di furia ricomposta e ribelle. Il senso vasto di mari aperti, d'interminati spazi, l'ansia di lidi remoti e di nuovi continenti, il motivo zingaresco del continuo peregrinare attraverso città e porti sconosciuti palpitanti di una loro vitale, segreta operosità; il viaggio, sentito come avventura, come bisogno oscuro di annientarsi in una vertigine di favolose esperienze, sono i temi di eccezionale novità della poesia di Campana: insieme con quello costante della vocazione orca, notturna per quel che di misterioso è nella notte. Il titolo, Canti Orci, voleva indicare appunto questa aspirazione metasica, questa tensione verso una sorta di linguaggio cosmico, emblematico, capace di reinventare la realtà attraverso il canto (nulla di più lontano, dunque, dall'impressionismo descrittivo di altri vociani) che sarebbe stato un contributo essenziale al linguaggio musicale e irrazionale della nostra poesia ermetica e avrebbe esercitato la sua suggestione su poeti quali Ungaretti e Quasimodo e, più recentemente, Parronchi e Gatto. Il percorso di campana è segnato dalla ribellione e da un inquieto vagabondare. Nasce in Toscana, nel 1885, da Giovanni Campana , maestro elementare, e Fanny Luti, donna conformista che diviene il bersaglio delle rabbiose crisi del glio. Frequenta il liceo a Faenza poi si trasferisce a Torino e si diploma a Carmagnola. A
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