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Idee Concrete - Percorsi nella filosofia di John Dewey, Prove d'esame di Filosofia Teoretica

Testo Idee Concrete - Percorsi nella filosofia di John Dewey di Rosa Maria Calcaterra

Tipologia: Prove d'esame

2016/2017

Caricato il 18/11/2017

erick87
erick87 🇮🇹

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Scarica Idee Concrete - Percorsi nella filosofia di John Dewey e più Prove d'esame in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! IDEE CONCRETE PERCORSI NELLA FILOSOFIA DI JOHN DEWEY John Dewey nacque il 20 ottobre 1859 a Burlington, negli Stati Uniti d’America. Nel 1875 si iscrisse all’università del Vermont, dove entrò in contatto con il pensiero idealista di Coleridge. Da un punto di vista personale è in questo periodo che Dewey sperimentò una profonda crisi intellettuale e spirituale. Laureatosi nel 1879, lavorò per due anni come insegnante in alcune scuole secondarie della Pennsylvania e nel Vermont, continuando nel frattempo gli studi filosofici sotto la guida di Henry Augustus Torrey. Nel 1882 Dewey decise di iscriversi come “graduate student” alla neonata John Hopkins University di Baltimora: molto importanti per la sua formazione furono i corsi di storia della filosofia tenuti da Morris e le lezioni di psicologia di Stanley Hall. Da Morris egli apprese principalmente un metodo e un punto di vista mentre l’influenza di Stanley Hall si esercitò in una forma più mediata e indiretta. Lo studio della nascente psicologia fisiologica gli servì principalmente a capire che un’analisi rigorosa della mente non poteva prescindere in alcun modo dai risultati raggiunti in ambito scientifico. Conseguito il dottorato nel 1884, Dewey fu chiamato proprio da Morris a insegnare all’Università del Michigan. Nel 1894 gli fu affidato l’incarico di organizzare il Dipartimento di filosofia e psicologia dell’Università di Chicago; in questi anni nacque un forte interesse da parte di Dewey verso le tematiche sociali e i problemi legati all’educazione. In seguito, nel medesimo ateneo, lo scienziato fondò e diresse il Dipartimento di pedagogia e diede vita ad una scuola sperimentale che sarebbe diventata famosa in tutto il mondo come esempio di struttura educativa all’avanguardia. Frutto di tale lavoro è il volume The school and the society, pubblicato nel 1899, in cui sono esposti i principi teorici che lo avevano ispirato nel processo di organizzazione dei curricola scolastici. Negli anni seguenti fu intensa la sua attività filosofica e pedagogica, con la pubblicazione nel 1916 di Democracy and Education, ma iniziò anche a far sentire la sua voce su questioni politiche e civile di rilevanza nazionale e internazionale. Dewey si spense nel 1952, all’età di 92 anni a New York. La filosofia di John Dewey ha mantenuto un’attenzione costante all’inestricabile nesso tra il piano delle idee e quello del concreto svolgimento della vita umana. È ampiamente noto che Dewey ha dedicato buona parte delle sue riflessioni a smontare la mentalità dicotomica che ha governato a lungo la filosofia occidentale: tra queste dicotomie prese in esame assume una speciale rilevanza quella tra il piano delle idee e il piano della vita concreta. Idee e vita umana sono invece tutt’uno nella visuale filosofica di Dewey. È un impegno che nello scienziato americano si salda a quello per la difesa dei valori morali della democrazia, o meglio, alla sua vera e propria passione per gli ideali democratici: una passione che era allo stesso tempo teoretica, morale ed estetica. Lo scienziato americano ribadì più volte che Hegel e, più in generale, tutto l’idealismo tedesco avessero lasciato un “deposito permanente” sul suo pensiero. La proposta idealista ha influito molto sull’evoluzione personale e filosofica di Dewey proprio nella misura in cui è riuscita a risolvere una difficoltà che, almeno agli inizi, era molto più simile a un profondo stato di disagio emotivo piuttosto che ad una situazione generalizzata di dubbio. Dewey rimase profondamente colpito dalla lettura delle Lessons in Elementary Physiology di Huxley tanto da non esitare a indicare questo studio come il momento propulsore di un suo spiccato interesse per la filosofia. In particolare ciò che lo aveva molto colpito era la visione darwiniana della realtà che consentiva di pensare a un mondo che possedesse lo stesso grado di armonia degli esseri viventi. Durante gli anni trascorsi in Michigan, Dewey si accostò alla chiesa congregazionalista: nell’opera Ethics and Physical Research emerge una polemica sul rapporto tra religione e scienza ma Dewey prese largamente le difese del darwinismo dalle correnti filosofico-religiose più conservatrici. In questo frangente comincia il cammino dello scienziato verso la laicità di pensiero, tematica chiave dell’opera A common Faith. In Ethics and Physical Research Dewey mette in luce la necessità di una forte valorizzazione scientifica e, più in generale, delle potenzialità conoscitive dell’intelligenza umana. È proprio qui che affonda le sue radici la concezione deweyana della democrazia come una forma di vita la cui qualità consiste nel consentire a tutti i partecipanti di realizzare se stessi nella propria comunità di appartenenza. “In quanto libertà, la democrazia è liberazione della verità.” Nella città di Baltimora Dewey cercò di coniugare i due approcci con i quali era entrato in contatto, di matrice idealista l’uno e psicologico sperimentale l’altro, ritenendoli non soltanto compatibili ma addirittura solidali nella definizione di una filosofia fenomenologica. Sia l’idealismo sia la psicologia assumono infatti come punto di partenza l’esperienza in tutta la sua concretezza, ovvero l’esperienza com’è incontrata prima che un apparato categoriale venga impiegato per comprenderla. Dewey affermava che l’esperienza è un fenomeno pubblico e distintamente intersoggettivo, quindi l’esperienza è sempre “di qualcosa che sta là fuori”. A determinare l’allontanamento di Dewey dalla prospettiva hegeliana contribuì in modo deciso la lettura dei Principles of Psychology di William James. Dewey trasse spunto da quest’opera per affinare l’approccio al fondamentale concetto di che gli oggetti e i risultati di un’indagine appropriata determinano un ampliamento quantitativo e qualitativo dell’esperienza e che questo fatto si ripercuote nella sfera del comportamento. Secondo la visione deweyana vi è una forte interferenza tra la sfera biologica dell’essere umano e la sfera culturale a cui egli necessariamente partecipa in virtù dei processi educativi e delle dinamiche sociali in cui si trova inserito. Dewey stabilisce un solido legame tra scienza, ricerca socio-politica e ricerca etica, un legame il cui scopo consiste nel far sì che il progresso scientifico possa venir finalmente compreso nel più ampio progetto dello sviluppo morale dell’umanità. Più precisamente la sua tesi di fondo è che l’intelligenza umana consista sostanzialmente in un’attività di problem solving il cui obiettivo ultimo è una ricostruzione razionale della vita umana. Alla base dello strumentalismo deweyano agisce dunque la chiara consapevolezza del carattere pubblico e marcatamente sociale di tutte le attività umane. Dewey ribadiva quindi la necessità di riportare alle proprie situazioni di origine e di impiego l’intera cultura occidentale. Da questo punto di vista l’uso tradizionale della coppia concettuale individuo/società viene considerata come il prodotto ovvero il riflesso sul piano filosofico e culturale delle disuguaglianze sociali che permeano l’esistenza degli individui. In altre parole si tratta, secondo Dewey, di una riproduzione di rapporti di potere che vigono nel sistema sociale. Ne consegue dunque che occorre smontare e ricostruire quei concetti: questo sforzo di ricostruzione concettuale non può avvenire se non mediante un’operazione filosofica estremamente complessa. Lo scienziato pone in essere quindi un forte dibattito intorno alla dicotomia individuo/società: nell’opera Individualism Old and New la riflessione deweyana sul concetto di individualità raggiunge il più alto grado di consapevolezza e di originalità, saldandosi al punto cruciale della teoria della democrazia proposta da Dewey stesso. Si salda, cioè, all’affermazione che l’organizzazione democratica costituisce l’unico scenario sociale in cui è resa possibile una vita veramente umana. L’analisi deweyana risultava essere quindi particolarmente incisiva: da un lato riconduceva l’individualismo classico alle sue condizioni culturali di produzione, dall’altro ne metteva in luce i limiti costitutivi che lo rendevano uno strumento concettuale obsoleto. La fine dell’epoca dell’individualismo classico imponeva quindi l’elaborazione di un progetto di ingegneria sociale che gettasse le basi per un tentativo realmente innovativo di definire le condizioni di applicabilità dei metodi scientifici alla realtà. I tratti specifici del “nuovo individualismo” dovevano restare tuttavia imprecisati poiché era necessario evitare di domandarsi in che cosa consista o debba consistere l’essere umano. La condizione preliminare di questo nuovo individualismo risiedeva pertanto nella volontà di cambiamento legata anche alla comprensione dei vantaggi che sarebbero conseguiti dal distogliere le grandi risorse dell’umanità dal mero fine del successo economico privato per rivolgerle alla costruzione di una comunità che fosse più pienamente umana. Il banco di prova della filosofia deweyana diventa infatti la capacità di delineare le condizioni effettive di realizzabilità della democrazia, in quanto modello ideale che fosse in grado di assicurare a tutte le persone uguali possibilità di sviluppo personale. La difesa dell’autonomia individuale nei confronti di leggi o interessi imposti dall’esterno ha come proprio naturale e necessario contraltare il progetto di una ricostruzione della pratica scolastica. È questo il quadro teorico che sta alla base del cosiddetto “attivismo pedagogico”, il nuovo indirizzo educativo che punta sul nesso sistematico di libertà, attività e socialità. Nell’opera The school and society Dewey mette a punto i criteri e i principi operativi del nuovo metodo pedagogico, a partire dalla convinzione che l’educazione è uno strumento fondamentale del progresso sociale e che il compito degli insegnanti è di collegare la scuola alla vita, in modo da far sì che il contesto scolastico si configuri come una “società in embrione” tale da rappresentare un modello di assetto sociale che riesca a stemperare le disuguaglianze di classe e i difetti della rivoluzione industriale. L’opera The public and its problems è in buona parte dedita a un confronto con le posizioni di Walter Lippmann circa il sistema democratico. Lippmann aveva pubblicato due opere in cui avanzava un’immagine altamente pessimista dela democrazia. Più precisamente egli criticava in modo aperto e radicale il principio fondamentale del credo democratico secondo cui il popolo sarebbe in grado di determinare il bene e gli interessi comuni. Lippmann riteneva che la popolazione fosse di per sé irrazionale ovvero incapace di discernere e di pianificare mediante criteri sufficientemente fondati ciò che è bene o male, ciò che è utile o dannoso per la comunità. In Dewey era molto più chiara che in quasi tutti i suoi oppositori la consapevolezza dei possibili risvolti negativi del progresso scientifico, delle pratiche di violenza e sopraffazione che esso può generare se esso non viene inserito entro un progetto di sviluppo etico dell’umanità. Dewey mantiene sempre in vista la dialettica di individualità e socialità: individualità significa “iniziativa, inventiva, ingegnosità, assunzione di responsabilità nella scelta delle credenze e della condotta” ma tutto questo non costituisce un corredo di talenti ricevuti, bensì il frutto di un processo di formazione/edificazione che dipende dall’ambiente socio-culturale. La base della sostanziale identità di funzione tra i giudizi di fatto e quelli di valore consiste dunque nella loro comune matrice biologica, nel senso più vasto del termine, ovvero sta nel fatto che essi svolgono la funzione di strumenti squisitamente umani per maneggiare l’incertezza di ogni sfera della realtà. Per Dewey l’incertezza della realtà apre lo spazio della responsabilità morale e la rende un ingrediente essenziale dell’evoluzione del mondo umano e dell’ambiente fisico circostante. La posizione matura di Dewey ruota interamente attorno alla convinzione che la fiducia del metodo scientifico sia complementare all’impegno etico per una società democratica che possa salvaguardare tanto gli interessi e le aspirazioni individuali quanto la coesione e il progresso della realtà sociale. Ad ogni modo la riflessione sulla democrazia rappresenta certamente uno degli aspetti più rilevanti dell’intera opera deweyana. È chiaro che l’intero impegno deweyano a favore di una politica democratica si svolse alla luce di alcuni criteri basilari, che in realtà rappresentano tratti permanenti del dibattito filosofico e politico occidentale. Principalmente va registrata al riguardo l’idea di Thomas Jefferson per cui la democrazia è “un esperimento ininterrotto”; ma non meno importante è l’assonanza della posizione deweyana con la linea di pensiero che va da Charlotte Perkins Gilman a William E.B. du Bois, fino a Martin Luther King Jr., una linea secondo cui una società democratica consiste innanzitutto nella capacità dei suoi membri di saper ri-descrivere costantemente i propri criteri comportamentali e valoriali. Allo stesso modo vi è una profonda corrispondenza tra il pluralismo deweyano e la suggestione di Richard Rorty. Nell’ottica deweyana la democrazia è ben altro che un insieme di norme procedurali che regolano una determinata forma di governo: in The public and its problems Dewey si interroga se essa debba essere considerata un ideale morale oppure se debba essere trattata alla stregua di uno specifico sistema politico. La risposta di Dewey è chiara: la democrazia non è riducibile a una forma di governo fra le altre, ma è innanzitutto uno stile di vita, la cui attenzione richiede un impegno incondizionato e costante. Il cuore teorico della proposta filosofica deweyana vede da un lato la democrazia pensata come l’unica forma di vita in grado di consentire la piena espressione delle capacità umane, dall’altro la sua realizzazione è interamente ricondotta alla sfera del possibile. L’elemento che media e ricompone il contrasto fra questi due aspetti in apparente contraddizione è dato dal concetto di fede. La vera qualità religiosa dell’esperienza, afferma lo scienziato, riguarda non l’oggetto a cui essa fa riferimento, bensì “l’effetto” che produce sulle azioni da compiere, effetto che deve comportare un miglior adattamento alla vita e alle sue condizioni. Questo attacco fa trasparire come il vero obiettivo della critica deweyana sia mostrare la necessità di liberare l’esercizio delle capacità creative dell’intelligenza dai vincoli dell’adesione incondizionata a criteri pratici preconfezionati. L’aspetto più caratteristico della filosofia della religione deweyana consiste nella convinzione che sia possibile liberare la qualità religiosa dell’esperienza dai suoi antichi vincoli con il soprannaturale attraverso la progressiva affermazione dei metodi di ricerca e di prova
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