Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Identità etnologica sociologo sociologia, Sbobinature di Etnologia

Identità etnologica sociologia riassunto

Tipologia: Sbobinature

2019/2020

Caricato il 03/12/2023

sara-lewin
sara-lewin 🇮🇹

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Identità etnologica sociologo sociologia e più Sbobinature in PDF di Etnologia solo su Docsity! L’IDENTITA’ ETNICA INTRODUZIONE (Identità etnica ed etnicità) Il tema dell’etnicità acquisisce visibilità a partire dagli anni 80/90, in concomitanza con conflitti accesi e violenti in Africa, Asia ed Europa Balcanica, questi avvenuti in difesa di una propria specificità, di fatto combattono gruppi con etnia differente e questa diversa etnia costituisce un’apparente motivazione al conflitto (non esiste il dialogo); in parallelo, con lo sviluppo dei processi di globalizzazione del mondo, è interessante notare come sono presenti nuove forme di espressione di identità etnica e di etnicità. Identità etnica: nel libro si trova la definizione dell’antropologo U Fabietti sull’identità etnica, egli dice che il termine è costituito da un sostantivo (identità) e un aggettivo (etnica), connotiamo l’identità di un gruppo con questo aggettivo di etnico. L’etnia è una costruzione culturale (il significato che gli si attribuisce) e non naturale, essa può anche mutare a seconda del periodo storico in cui ci si trova, quindi, è anche una costruzione di tipo storica; inoltre, sempre per Fabietti, l’identità etnica dipende dal rapporto di forza tra gruppi, questo perché quando un gruppo si autodefinisce automaticamente ciò gli darà forza (se mi riconosco in un gruppo ciò mi rende appartenente a quello specifico gruppo). Si potrebbe definire una contrapposizione tra la razza, che non ha una giustificazione biologica, ma gliela si vuole attribuire e quindi è una costruzione biologica, questo perché l’ha definita il mondo occidentale per sottomettere gli uomini che si trovano in altre aree geografiche di etnia diversa, invece, l’etnia, non è altro che una specificità culturale e non biologica, ma comunque costruzione culturale, quindi, entrambi i concetti sono di base una costruzione. Ciò accade perché noi uomini tendiamo a classificare il mondo, quindi, lo classifichiamo in razze o in tipi di etnie. Altra definizione importante, è quella dell’antropologo C Lévi-Strauss, egli afferma che per lui ciò che è importante e che va conservato è la diversità e non il contenuto storico, anche perché quest’ultimo, appunto, è contingente e quindi varia a seconda del periodo. Si deve provare ad analizzare la nozione di identità etnica, così come viene usata analizzando tutte le sue componenti, sottolineando la sua natura di costruzione culturale, che gli uomini si sono costruiti (es, gli ‘slavi’ che oggi sono un’intera regione culturale, in passato era il termine che i romani utilizzavano per chiamare gli ‘slavi’); adesso, l’etnicità del gruppo può essere il prodotto per auto-produzione, da se stesso o per etero-produzione, ovvero sarà un altro gruppo a darci quel nome e spesso ciò accade in senso dispregiativo. Il mistero etnico: Questo termine lo si trova in diverse salse, ovvero troviamo l’etnia, qualcosa costituito da un numero di individui parlanti la stessa lingua, con certe tradizioni e abitanti uno stesso territorio, l’identità etnica/l’etnicità, è considerata come espressione "naturale" dell'esistenza delle etnie (concetto viene naturalizzato), sono le persone stesse che fanno parte del gruppo etnico a convincersi di appartenere al gruppo quando in realtà l’identità etnica è sempre una costruzione, il confine etnico, linea che separa un’etnia dalle altre in modo che siano distinte ed il conflitto etnico, competizioni tra gruppi diversi (per lingua, tradizioni e religioni) per imporsi gli uni sugli altri. Per comprendere tutti questi termini, è necessaria una piccola "rivoluzione copernicana", cioè sospendere il giudizio comune (il nostro modo di vedere quella specifica cosa) così da comprendere la realtà osservata che corrisponde al punto di vista dell'antropologia; in ogni caso, è difficile assumere questo punto di vista critico perché siamo influenzati da tradizione e abitudini culturali, poiché la cultura si naturalizza, diventa così abituale che non ci riflettiamo più e quindi, l'obiettivo è analizzare la nozione di identità etnica, soprattutto secondo la prospettiva dell'antropologia culturale, che si interessa a quello che è il complesso ordine culturale/simbolico e non naturale. Altra citazione importante è sempre di Fabietti, egli afferma che l’identità etnica o etnicità è proprio il sentimento di appartenenza ad un gruppo etnico o etnia, che possiamo descrivere come definizioni del se e/o dell’altro collettivo, quindi, attribuita dal gruppo stesso o da altri e dietro la costruzione d’identità etnica ci sono sempre gli interessi del gruppo da perseguire. Le nature dell’etnicità: Le discussioni sulla natura dell'etnicità sono molteplici e chiamano in causa il concetto del nazionalismo (=sentimento forte di espressione della propria nazione): per alcuni studiosi che vengono chiamati "modernisti", nazionalismo ed etnicità sono due fenomeni distinti sul piano Pag. a 1 21 storico, per cui il nazionalismo è un fenomeno più moderno ed indipendente da un eventuale sentimento etnico più antico, invece, per altri studiosi chiamati "primordialisti", nazionalismo e sentimento di appartenenza etnica avrebbero un origine comune in quel principio storico di aggregazione umana che è sempre stato presente negli esseri umani, poi per i "perennisti", il nazionalismo sarebbe un frutto più moderno del sentimento di appartenenza etnica, poi ci sono gli "strumentalisti", che credono che l'identità etnica sarebbe un fattore strumentale, un fattore che indipendentemente dal momento storico c’è sempre tra gli esseri umani ed è legato al bisogno strumentale ed, infine, ci sono i "situazionalisti" (avvicinano al pensiero degli antropologi), che propongono un processo di formazione di un'idea del "noi etnico" come risultato dell'attivazione di simboli ed immagini, quindi di un patrimonio simbolico che serve per rinforzare il sentimento identitario. Fenomenologia etnica: Passiamo poi alla fenomenologia etnica, ovvero il modo in cui il gruppo si manifesta ed il punto di partenza nell'analisi dell'etnicità proviene dalla domanda: come si presentano a noi? le etnie si presentano sotto forma di nomi. L'antropologia ha ampiamente mostrato, già nella sua fase di "scienza delle società primitive", che i gruppi umani tendono ad elaborare definizioni positive del sé e negative degli altri, attraverso la dinamica del "noi", come esseri umani, che abbiamo le migliori caratteristiche umane e “loro /altri”, come non uomini. Quindi, la percezione di identità si associa sempre al riferimento del sociologo americano Sumner, che nel 1962 tratta proprio di concetti di in-group ed out-group. Spesso i nomi dei gruppi/popoli/etnie sono il risultato di una rappresentazione "esterna", frutto di un'elaborazione culturale da parte di un gruppo dominante, quindi il risultato di un'impostazione dall'esterno. I CAPITOLO -SGUARDI IN QUESTIONE Vari elementi hanno contribuito all’emergere della nozione di etnia, i principali sono: derive lessicali, si ricollega alle definizioni di nomi (esempio dello schiavo/slavo) e attitudini intellettuali, si ricollega alla tendenza a classificare i gruppi umani, poi lo sguardo dei colonizzatori, i vari avvenimenti nel corso della storia, lo sguardo degli scienziati, che hanno elaborato delle categorie/rappresentazioni dei gruppi umani, contribuendo alla rappresentazione discontinua dei gruppi umani (definendone di diversi), il relativismo culturale, che rimanda all'idea che esistano tante culture non giudicabili, ma vanno studiate relativamente a quella che è la specificità di ciascuna, il senso comune, che dà l'idea che il mondo sia composto da più gruppi umani ed, infine, le dinamiche della globalizzazione (fenomeno più recente), in opposizione ad essa, in alcune parti del mondo, si definisce la specificità di alcuni gruppi. Quello che è certo, è che dobbiamo adottare un'ottica della complessità, in cui in contesti di complessità le identità derivano come prodotti di relazioni contrastive; Fabietti afferma che c'è la necessità di una “ragione antropologica”, ovvero un’attenta riflessione che ci consente di scomporre la nozione di etnia per evidenziare quello che è il processo complesso che ha portato alla sua costruzione. La ragione etnologica: Secondo l’antropologo Amselle, la visione dell’umanità come di etnie isolate è il risultato di operazioni intellettuali spontanee (del senso comune) e sistematiche (dell’antropologia scientifica in alcuni casi allineata con il potere coloniale) ed in particolare, egli nel 1990, parla di “ragione etnologica”, ovvero attitudine classificatoria che ha avuto come effetti la costruzione di oggetti come le società, le etnie e le culture. Quindi, la “ragione etnologica” diventa così strumento di dominio e classificazione. D'altro canto, la tendenza a classificare il genere umano è già particolarmente evidente in età illuminista (si definiscono gli albori della disciplina antropologica), in cui il genere umano era classificato in tre grandi categorie: i selvaggi, barbari e civilizzati; in realtà questa grande classificazione, definirà uno schema che verrà poi modificato. Intelletto etnologico e ragione antropologica: In realtà, il concetto di ragione si ricollega ad una definizione filosofica, ovvero la distinzione kantiana tra intelletto, come funzione operativa creatrice di categorie e concetti (porta a classificare) e la ragione, come funzione regolativa che controlla l’intelletto affinché non costruisca oggetti falsi e illusori (che, invece, ci porta a fare autocritica su ciò che facciamo e arginare delle derive del nostro pensiero); quindi, la distinzione tra intelletto etnologico e ragione antropologica, Amselle la riprende dal pensiero di Kant. Fabietti poi sostituisce al concetto di “ragione etnologica” di Amselle (1990), quello di “ragione antropologica”, che cerca di evitare questo processo successivo di classificazione. Per definire meglio il concetto, il 1termine antropologia, deriva dal greco, discorso sull’uomo, è interessata ad uno studio olistico dell'umanità e di fatto, gli antropologi studiano qualsiasi aspetto della vita Pag. a 2 21 In sintesi, l’identità etnica è un processo di costruzione e frutto di un duplice processo, interno ed esterno, e questa duplicità è un risultato dinamico e dialettico, inoltre l’identità etnica non è pensabile se non in maniera contrastiva e contestuale ed è il prodotto di processi complessi. Complessità dell’identità: Stiamo quindi parlando della complessità dell’identità etnica, laddove il termine “identità” rinvia a un particolare sentimento di appartenenza condiviso o al comune sentire, che un osservatore esterno suppone che un gruppo possieda (identità sentita/ assegnata). L’identità etnica rimanda, quindi, a un sentimento che lega degli individui che si pensano appartenenti a una data comunità, ciò che conta è il livello simbolico di questa condizione, poiché è in grado di mettere in moto a livello pratico, come discorsi e comportamenti; le identità etniche sono, dunque, il prodotto di una costruzione simbolica e storica. In realtà, il concetto di identità è molto dibattuto in antropologia, abbiamo in particolare due visioni opposte: quella di Remotti (1996), secondo cui bisognerebbe eliminare il termine “identità” dalle scienze umane e in particolare dall’antropologia per il suo uso ossessivo, invece, secondo Fabietti (2013), il concetto di identità ha un suo valore operativo, ovvero continua ad essere utile per sintetizzare complessi processi non solo identitari, ma anche culturali, politici, religiosi ed etnici. Effetti di ritorno: Le rappresentazioni studiate dagli antropologi, sono spesso frutto di veri e propri “effetti di ritorno” dello sguardo etnologico, ad esempio, in molti paesi dell’Asia e dell’Africa il nazionalismo si alimenta di temi d’origine dal sapere occidentale. Gli effetti di ritorno dello sguardo etnologico occidentale sulle popolazioni che ne hanno costituito l’oggetto, possono aversi anche a livello estetico, filosofico e non solo politico, come dimostra il concetto di ‘négritude’ (l’essere negro, in senso dispregiativo) di Césaire, poeta e politico antilliano, il quale riutilizza un concetto che in origine era negativo riadattandolo in positivo. Questi sono processi che mostrano come l’identità etnica sia costruita, Fabietti poi riporta il caso degli Shahsevan dell’Iran settentrionale, dove si nota come l’identità non sia un dato statico ma ci sia una variazione nel tempo; tale caso con le sue mutazioni, mostra la necessità di un approccio basato sulla complessità, in base alla quale ogni società, cultura ed etnia va pensata come un elemento di una rete di relazioni in continuo divenire, le etnie infatti emergono sempre in un contesto di tipo oppositivo e contrastivo, prodotto di una storia caratterizzata da squilibri nei rapporti di forza. II CAPITOLO-CULTURA, TRIBU’, ETNIA: “IMBROGLIO”, ILLUSIONE E FINZIONE Tre concetti su cui gli antropologi hanno lavorato sono quello di cultura, tribù ed etnia, proprio nel loro utilizzo, uno dei rischi più grandi è quello della reificazione, ovvero una trasformazione di ciò che sto studiando, rendendole materiali e concrete. 1CULTURA: Partiamo dal concetto di cultura, trattando degli antropologi della contemporaneità come Geertz e Clifford, essi sottolineano in maniera molto forte il concetto di cultura in crisi, utilizzano la metafora dell’“imbroglio” di cui è difficile sbarazzarsi, perché nella sua definizione rischia di non rendere esplicite alcune relazioni di tipo egemonico. A fine 700, la cultura viene vista come qualcosa di collettivo (prima veniva vista in maniera individuale), in connessione con popoli e nazioni. Per Tylor (1871), che è stato il padre fondatore dell’antropologia culturale e dell’espressione del concetto di cultura, la cultura o civiltà è quell’insieme complesso che include la conoscenza, credenze, l’arte, la morale, diritto, il costume e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro della società; inoltre, secondo sempre Tylor, le culture sono degli insiemi complessi scomponibili in elementi e tratti culturali, il cui studio è funzionale ad un progetto di tipo comparativo e poi, la cultura è il patrimonio di uno specifico gruppo sociale. A questo punto, da Taylor in poi, si dice che esistono tante culture quante sono le società umane e sulla base del principio del relativismo culturale, non esiste alcuna scala di valore tra le culture, tutte le culture hanno dignità culturale. Un altro importante antropologo all’inizio del 900, è Boas, egli è il padre fondatore dell’antropologia americana (scuola di Boas), lo ricordiamo per il suo concetto di particolarismo storico, infatti, egli insiste sul fatto che ogni cultura deve essere studiata nella sua singolarità, per lui ogni cultura ha un suo senso poiché si è sviluppata in un determinato contesto geografico, ha la sua storia e per comprenderla bisogna studiarla, appunto, nella sua singolarità ed unicità (non può avvenire una comparazione). Un altro antropologo è Boon, egli parla di un’esagerazione delle culture da parte dell’etnografia con il rischio di una loro reificazione. Pag. a 5 21 Wagner, invece, considera la cultura come un’“invenzione”, nel duplice senso di invenzione, tanto da parte degli antropologi quanto dei soggetti con cui interagisce, questo perché il lavoro dell'antropologo è frutto di una relazione tra se stesso come studioso e le persone che incontra, la cultura che lui descrive è il prodotto di ciò che le persone gli hanno detto e di quello che ha capito (ci sono tanti passaggi, di fatto può essere considerata come un invenzione); l’invenzione, sottolinea l'aspetto di costruzione del sapere e di fatto, afferma che: “comunicando tra loro gli esseri umani “inventano” una cultura, nel senso che questa si configura come il risultato, anzi l’accordo di individui che “negoziano” un certo significato”. Ricapitolando quindi, lo stesso antropologo sul campo “inventa” una cultura, nel senso che costruisce una sua rappresentazione di ciò che ha capito attraverso le relazioni che ha stabilito; questa idea di invenzione ci suggerisce che la cultura non è qualcosa di definito una volta per tutte e nemmeno un’entità reale pratico-simbolica che si sviluppa in base a leggi sue proprie, ma un qualcosa di dinamico, che scaturisce da un’interazione e un accordo tra soggetti comunicanti. Quindi, il concetto di cultura ha senso solo se vi attribuiamo un significato dinamico, comunicativo e negoziale. 2TRIBU’: Il termine tribù (e tribale) è molto diffuso nel lessico dell’etno-antropologia, l’origine è latina da tribus, per i romani una tribus era costituita da più gentes, cioè gruppi di parentela (oggi diremo lignaggi) i cui membri erano reclutati in base al principio della discendenza patrilineare (padre dava il nome alla famiglia); le diverse gentes non erano imparentate tra loro, ma erano formate da più famiglie e la tribus era un’entità amministrativa. In definitiva, la tribù è un gruppo di esseri umani organizzato in un certo numero di famiglie, cioè unità familiari l’una indipendente dall’altra. In antropologia, il termine designa un gruppo costituito da lignaggi (famiglie, gentes), i quali si riconoscono tutti come discendenti da un unico antenato, non importa se reale o fittizio, molto spesso, infatti, è proprio un mito, che serve a creare un senso di comunanza. Negli anni 60, tale concetto entra in crisi, perché se ne evidenziano i limiti e gli aspetti illusori, in particolare, l’autore Southall (1970) sottolinea come l’etnologia abbia prodotto un effetto negativo con la sua eccessiva descrizione del concetto di tribalità. Volendo evidenziare i diversi aspetti di questi tre concetti, potremmo dire che, abbiamo una centralità del concetto di tribù nella tradizione antropologica britannica, di cultura in quella americana e di etnia in quella di lingua latina. Già nel 1947, Nadel, nel suo studio monografico sui Nuba del Sudan in Africa, si mostra scettico rispetto all’utilizzo del termine tribù (già inizia a mettere in discussione), affermando che non sia adeguato a riferirsi ad un gruppo di persone che hanno una loro omogeneità linguistica e socioculturale. Egli sottolinea anche la natura esclusivamente simbolica dell’appartenenza, che si traduce in un senso di identità e di diversità culturale (nessuno può essere ascritto ad una tribù in maniera biologica), di fatto, la tribù per Nadel esiste non per somiglianza, ma per un’unità ideologica e di somiglianza accettata come un dogma. La tribù è dunque un’“illusione”, non solo perché non può tenere conto della complessità dei gruppi umani, ma lo è anche perché l’etnologia ha la tendenza a produrre delle tribù “tribalizzando” gruppi i quali, come dice Nadel, non possiedono alcuna caratteristica che, oggettivamente o soggettivamente, possa essere considerata all’origine di una omogeneità sociale, culturale e linguistica. 3ETNIA: Anche il concetto di etnia è carico di significati che, come per cultura e tribù, ne svelano la natura etnocentrica, è stato sempre utilizzato in maniera dicotomica attraverso i modelli di società tribale e società civilizzata. Ancora una volta, questi concetti rischiano di essere utilizzati in modo distorto, poiché, appunto, c’è il rischio di reificazione. Vale anche per l’etnia come per gli altri concetti, il carattere di finzione, nel senso dell’etimologia latina, in cui la finzione da fingere significa qualcosa che è stato fatto a cui si è data una forma, non nel senso di finzione in sé per se. Lo stesso resoconto etnografico (ciò che scrive l’antropologo/etnologo) si presenta come una “finzione” secondo Leach (1979), perché l’antropologo quando scrive il testo etnografico questo è basato sulla personale esperienza di ricerca sul campo, non riproduce mai ciò che sul campo è realmente accaduto. In particolare, è interessante ancora la riflessione di Remotti che, recuperando un concetto kantiano, ripropone la distinzione tra uso costitutivo e uso regolativo della finzione, infatti, capita spesso che la dimensione regolativa della finzione, una volta che quest’ultima è stata formulata, svanisce dall’orizzonte delle rappresentazioni sociali per assumere veste costitutiva. Così il concetto di etnia rischia di diventare un dogma, ovvero quel qualcosa di immutabile e fisso. È sempre importante l’operazione di “decostruzione dell’etnia”, cioè di mostrare quest’aspetto che è stato costruito e individuarne anche le componenti, poiché ci consente di svelare e prevenire gli effetti distorti di una sua utilizzazione in Pag. a 6 21 senso costitutivo, per utilizzarlo in senso regolativo; tra i possibili effetti distorti di un uso costitutivo del termine etnia, vi è quello dell’adozione di una visione frammentaria dell’umanità e quello di pericolose applicazioni al discorso politico. Uso politico dei concetti: spesso si è fatto un uso politico dei concetti appena analizzati di cultura, etnia e tribù, come espressione di interessi localistici di determinati strati sociali; ad esempio, la cultura italiana noi la definiamo come italiana, ma in realtà essa è l'esito di profonde influenze che provengono da diverse parti del mondo, di fatto, l’Italia si trova al centro del Mediterraneo e quest'ultimo è un continente che abbraccia culture molto diverse tra loro. Infine, rispetto a cultura, tribù e razza, il termine etnia ha avuto maggiore diffusione ed impatto per via del suo significato più ricco, rispetto a tribù, che è più un concetto primitivo, a cultura, che è troppo ampio ed ambiguo e a quello di razza, troppo svalutativo. Quello di etnia sarebbe oggi un termine a-valutativo, cioè che non deve per forza connotare un giudizio di valore, si presta ad una varietà di traduzioni, ma tutte sembrano rinviare ad un’idea di originarietà primordiale, di una non meglio precisata “identità originaria”; un esempio di quanto poco la qualificazione “culturale” o “etnica” di un gruppo sia in grado di riflettere una sua supposta identità originaria, immutabile e definitiva, è costituita dal caso degli ebrei di San Nicandro Garganico, ovvero in Italia abbiamo un caso di ebrei in una regione storicamente cristiano-cattolica che è, appunto, il Gargano (una piccola penisola al Nord della Puglia), più precisamente in questo piccolo paese che si chiama San Nicandro, in cui dal 900 in poi ha ospitato una comunità di ebrei, che altro non erano gli stessi abitanti di questo piccolo paese che si erano convertiti all'ebraismo (cambiano la loro identità etnica da cristiano-cattolici ad ebrei). III CAPITOLO-LINGUA DELLE ORIGINI E CULTURE AUTENTICHE L’omogeneità linguistica (il parlare la stessa lingua all’interno di un gruppo), è stata spesso utilizzata, da etnologi e glottologi, come indicatore di omogeneità culturale, sociale ed etnica; quindi, a lingue diverse corrispondono culture diverse. Questa equazione, ovvero lingua=cultura, è pericolosa, poiché la realtà dei fatti è molto più complessa, ad esempio, esistono gruppi etnici che pur appartenendo alla stessa realtà etnica possono parlare lingue diverse, oppure, esistono gruppi etnici diversi che non parlano lingue diverse ma parlano la stessa lingua. Questa visione di lingua ed etnia come elementi congruenti, associata all’idea di una duplice “originarietà” linguistica ed etnica, ha costituito un supporto all’idea di autenticità delle culture, a fondare identità etniche e rivendicazioni identitarie. Derivazione o prestiti? L’origine delle lingue: Adesso, stabilita l’equazione lingua=cultura, società ed etnia, diventa naturale desumere da uno schema di derivazione storica delle lingue, uno schema di derivazione storica delle etnie. Una delle teorie principali che riguarda lo sviluppo delle lingue europee, è quella dell’albero genealogico, secondo cui la nostra lingua italiana deriva delle lingue indoeuropee, questa teoria trova la sua diffusione all’interno degli studi di linguistica, storico-comparativa tra fine 700 e inizi 800, quando prevaleva un modello di filiazione storica lineare delle lingue, cioè si pensava che esistesse una sequenzialità logica per cui da una lingua originaria (di natura indoeuropea) si sarebbero sviluppate le varie lingue; questo schema dell’albero genealogico, provoca una forte “arianizzazione”, ponendo in rilievo la cultura ariana, quindi quella europea, rimuovendo l’influenza delle culture mediorientali e nordafricane. La teoria dell’albero genealogico è si coerente, ma non tiene conto del fatto che le lingue possono cambiare non solo per derivazione ma anche per contatto e scambio. Degli studiosi, infatti, hanno poi introdotto il “prestito linguistico”, ovvero se noi andiamo al di là delle lingue, ci accorgiamo che ci sono delle parole che sono state importate, come, per esempio, i neologismi sono il frutto di incroci culturali (anche computer, smartphone, follower); quindi, ciò definisce come le lingue non evolvono in maniera lineare ed è chiaro che esiste una sequenzialità lineare ma è molto più complessa e le lingue sono il riflesso delle culture, si evolvono in maniera complessa attraverso processi di osmosi. In sintesi, le lingue si evolvono sia per contaminazione che per prestito. Un altro studioso in particolare, Trubeckoj (1939) polemizzò nei confronti dell’uso ideologico-politico, che al tempo veniva fatto della teoria della derivazione delle lingue indoeuropee da un protoidioma originario e tale idea, si accompagnava a quella di una cultura protoindoeuropea unitaria ed originaria, ovvero se ci può essere una derivazione delle lingue indoeuropee, ne avremo una anche della cultura, secondo cui l’equivalenza lingua=cultura, società, etnia ed era stata accentuata dall’ideologia nazista. Sempre Trubeckoj, afferma che quando troviamo la stessa parola o Pag. a 7 21 linguaggi di vario tipo, come quello religioso o si manifesta attraverso altri modi di ragionare, per questo lo si definisce "proteiforme" (=assume diverse forme). Il disagio della cultura: Nonostante i problemi posti dal concetto di cultura, questo si è imposto per via della progressiva egemonia esercitata dall'antropologia americana, da cui ha ricevuto il massimo impulso nella prima metà del 900; negli anni ci sono state diverse definizioni di cultura, che sono state anche criticate nel tempo, possiamo partire dall’"insieme complesso" in Tylor, all’idea della cultura come un "testo" e "rete di significati" in Geertz, fino a Clifford, che la definisce come un "impiccio" o "imbroglio"; i dubbi, quindi, riguardano proprio nell’utilizzo del termine ‘cultura’, che sembra essere troppo restrittivo rispetto alla realtà di cui fa riferimento. Appadurai poi, un antropologo, preferisce l'utilizzo della forma aggettivale, ovvero afferma che è meglio parlare di "culturale" anziché di “cultura”, perché l’utilizzo oggettivale ci lascia più una visione dinamica rispetto al termine “cultura” che è troppo statico. Il problema è che il concetto di cultura è stato utilizzato per fini contrari a quelli per cui fu elaborato, ovvero per liberarci da biologismo e razzismo, promuovendo il pluralismo, affermando una disposizione epistemologica, etica ed intellettuale all'ascolto della diversità, quindi, in maniera paradossale, il concetto di cultura ha contribuito a rafforzare biologismo e razzismo nel discorso comune e nella politica, a causa del fatto che il concetto di cultura è "fuoriuscito" dall'ambito dell'antropologia. La cultura fuori dall’antropologia: In passato comprendere le culture era un'attività legata al mondo accademico e della ricerca connessa nello specifico con etnologia e antropologia, poi man mano, il comprendere le culture oggi, non significa più studiare secondo una metodologia rigorosa e dopo un soggiorno prolungato sul campo, ma si è trasformata in un'attività svolta da soggetti fuori dell'accademia (oramai può farlo chiunque), collegati ad agenzie quali mass media, industria turistica, ecc. che mirano a produrre rappresentazioni dell’altro e della diversità culturale secondo i propri interessi. La cultura spiega tutto: Il rischio è quello di utilizzare il concetto di cultura come una categoria generica di lettura nel mondo e che si inverta il processo di cultura in antropologia. Il concetto di cultura elaborato dall’antropologia ha consentito di pensare il genere umano come capace di esprimere una creatività mentale e simbolica, è il prodotto di una pratica etnografica, quindi, una lunga permanenza sul campo all'interno di una comunità che portano lo studios/i a comprendere gradualmente il senso che i membri di una comunità utilizzano per dare senso alla loro vita; di fatto, la domanda principale degli antropologi è “che significato ha?” o “che uso se ne fa?”. Il concetto di cultura, come utilizzato dagli antropologi in relazione alla pratica etnografica, è venuto a significare sempre più un insieme di comportamenti e di rappresentazioni che sono strutturati in modelli appresi, invece, nell’uso non scientifico del termine di cultura funziona al contrario, se in antropologia all'inizio non si conosce una cultura e quindi vi s'immergono per conoscerla, in questo caso utilizzano il concetto di cultura come un qualcosa che serve per spiegare. In conclusione, la cultura è qualche cosa di complesso che deve essere spiegato nei suoi significati, cosa che può avvenire grazie all'etnografia, il problema è che i contesti di uso del termine cultura esterni all'antropologia sono più numerosi di quelli in cui il concetto è utilizzato dagli antropologi ; nel contesto non antropologico la cultura non deve quasi mai essere spiegata, piuttosto è qualche cosa che spiega, ovvero spiega comportamenti, gusti, visioni del mondo, guerre, conflitti e così via ed in quest'ottica, la cultura "spiega" perché è concepita come una cosa e perché se ne parla come fosse una cosa. È ammissibile che la cultura sia qualche cosa che "spiega", ma il problema è che prima di spiegare la cultura deve essere spiegata, cioè descritta e analizzata nelle sue implicazioni più o meno profonde. Decentramento e degerarchizzazione nella produzione culturale: La domanda che dovremmo porci è “In che modo un concetto elaborato dall'antropologia come guida per la pratica etnografica (un punto di arrivo non di partenza) è diventato un concetto spiega-tutto fuori dell'antropologia?”, ciò è legato soprattutto ad alcuni aspetti della contemporaneità, basti pensare innanzitutto un progressivo decentramento della produzione culturale come conseguenza della globalizzazione delle informazioni con relativa de gerarchizzazione; oggi chiunque può produrre cultura, ad esempio, il web, se apro un canale su internet e riesco ad avere il consenso di molte persone (follower), io ed altri possiamo prendere parola producendo certi tipi di cultura condividendo le nostre idee. Il duplice movimento di decentramento e degerarchizzazione ha trovato nel concetto di cultura un modo per esprimersi e ciò ha alimentato l'idea che le culture siano qualche cosa di concreto, individuabile e riconducibile a Pag. a 10 21 una qualche essenza (quando fino ad ora abbiamo detto che queste non possono essere fissate poiché mutano continuamente). Talvolta, si fa ricorso alla cultura per difendere una propria identità nei confronti di altri e ciò che è certo, è che nella società contemporanea si fa un uso (al di fuori dell’antropologia) indiscriminato del concetto di cultura, che si traduce nel fatto che nuove forme di soggettività oggi nei vari luoghi del pianeta (religiose, etniche, ecc.) fanno riferimento alla cultura come a un parametro di legittimazione. Esempi di culturalismo proteiforme: Ci sono fenomeni contemporanei connessi con il culturalismo e la sua vita proteiforme, sono la diffusa tendenza a "pensare per blocchi" (Gaonkar e Taylor, 2006), significa ricondurre un insieme di "fatti culturali" a una sola matrice, come se avessimo delle grandi categorie mentali e ciò ci consente di raggrupparle in un unico blocco per poterle spiegare (ad esempio, se dico la parola ‘islam’, associamo molti concetti, come l’idea del velo, l’esclusione della donna dalla sfera pubblica o il terrorismo) e l'"immaginazione geoculturale" (Hannerz, 2009), questa, invece, fa riferimento alla tendenza a parlare del mondo come diviso in grandi aree geografiche "contenitrici" di specifiche culture (stereotipato; ad esempio, se dico ‘oriente’ questa ha un etichetta di tipo geografica). Culturalismo e religione: Uno degli spazi su cui il culturalismo si esprime è la religione, abbiamo una tendenza a sovrapporre il concetto di cultura a quello di religione e viceversa, ma ciò è sbagliato poiché all'interno della cultura troviamo anche la religione, ma non è vero che essa comprende tutta la cultura di un paese e ciò ha spinto Huntington (1997) a parlare di "scontro di civiltà", assimilando cultura e religione. Ciò è particolarmente evidente nel linguaggio dei media, proprio perché semplificano il mondo e favoriscono il pensare per blocchi, l'immaginazione geo-culturale e il culturalismo, cioè mostrando tante culture diverse lo fanno spesso parlando in maniera riduttiva e scarsamente analitica. Infatti, è particolarmente interessante proprio il complesso intreccio tra religione, media e politica, per cui il pianeta viene in modo semplificativo suddiviso in Occidente in cui troviamo la religione giudaico-cristiano, Medio Oriente in cui troviamo la religione mussulmana, la Cina con la religione buddhista e l'India con l’hindu. Etnografia-il nazionalismo culturalista hindu: Nell'India contemporanea il rapporto tra hindu e mussulmani è il risultato di secoli di contrapposizioni, culminati nella nascita nel 1947 di uno stato pakistano prevalentemente mussulmano e di uno stato indiano prevalentemente hindu; questo è proprio un esempio di culturalismo religioso. V-DAL CONFINE ALLA FRONTIERA ETNICA Tra gli autori che più si sono occupati del tema, ricordiamo, alla fine degli anni '60, Barth che riformulò tutti gli studi sull'identità etnica, discutendo delle nozioni di "gruppo etnico" e di "confine etnico", ciò che segna il margine di un’identità; egli aveva una visione critica rispetto alla prospettiva isolazionista delle culture della società, infatti, egli vuole sottolineare che le culture non sono isolate le une dalle altre, ma al contrario, sono in stretto contatto tra di loro e quindi, metteva ancora molto l'accento su un solo aspetto dell'interazione etnica, quello del mantenimento dell'identità. Ogni gruppo etnico mantiene: il mantenimento del confine e la creazione di identità ibride, meticce. È bene poi stabilire che il confine è quel qualcosa che separa, invece, la frontiera è quel qualcosa che unisce, quindi non sono affatto sinonimi. Il paradigma etnico: Con "paradigma etnico", secondo l’impostazione di Barth, ci si riferisce all'impostazione data allo studio dell'etnicità, centrale nell'analisi delle modalità di produzione dell'identità etnica. Barth critica l'uso fatto della nozione di "gruppo etnico" e, al contrario, egli si concentrò sui meccanismi di formazione dei gruppi e sulla natura dei confini che li separano nella prospettiva dell'attore sociale; quindi, ciò che definisce identità è proprio la presenza di un confine, che può essere soggetto a riformulazione; inoltre, partendo da questa sua critica, pone l’attenzione su quelli che sono i processi dinamici di formazione dell’identità e quindi, anche del carattere classico del confine che diventa frontiera. Bart poi, sostiene che, caduta l'dea di un isolamento totale delle culture e delle società umane, permane l'opinione che la differenza culturale sia un effetto dell'isolamento sociale e geografico. Ancora secondo lui, le relazioni sociali importanti e vitali vengono mantenute attraverso i confini e sono fondate su distinzioni di tipo etnico. Sulla base di quanto sostiene si può ritenere che: le distinzioni etniche non dipendono dall'isolamento, ma sono spesso ciò su cui si fondano i sistemi sociali più complessi di quelli identificabili con la singola etnia, c’è proprio una volontà forte di distinguersi, il contatto interetnico non si risolve semplicemente nell'assimilazione di un'etnia da parte di un'altra, questo è uno dei possibili esiti ma non è sempre così (quando due culture entrano a contatto tra di loro, può capitare che una assimili l'altra) e, infine, le differenze possono persistere nonostante l'interazione. Pag. a 11 21 La riformulazione della nozione di gruppo etnico: Per analizzare i gruppi etnici Barth propose di: considerarli delle categorie di ascrizione e di identificazione da parte degli stessi autori, cioè il gruppo etnico definisce un'etichetta con la quale si ci si identifica che serve per mantenere la propria identità, non ricorrere alla costruzione di tipologie etniche, ma bisogna esaminare i processi di costruzione identitaria (ad esempio, abbandonare la pretesa di poter descrivere tratti oggettivi) e far cadere la prospettiva storica quale “ricostruzione" della storia delle etnie, perché molto spesso i gruppi etnici cercano di costruirsi o ricomporre una storia della propria etnicità, che serve per consolidare e dare maggiore peso storico alla propria identità. Queste tre osservazioni che fa Barth, ci aiutano a evitare di reificare il concetto di etnia, poiché pongono l'accento sull’aspetto costruito dell'etnia. Infatti, solitamente la concezione classica di gruppo etnico indica una popolazione che: si autoperpetua sul piano biologico, condivide valori culturali fondamentali che si manifestano in forme culturali esplicite (cioè istituzioni, comportamenti, credenze, ecc), dà luogo a un campo di interazione e comunicazione, cioè prevede una specifica organizzazione sociale e una specifica lingua ed è composta da individui che identificano se stessi, e sono identificati da un osservatore esterno, come un gruppo distinguibile dagli altri. Il mantenimento del confine: La definizione tradizionale da al gruppo etnico qualifiche di organismo caratterizzato da differenziazione razziale (tipo biologico), culturale (diverso modo di vedere il mondo) e linguistica, oltre che da ostilità spontanea ed organizzata verso altri gruppi. Come sostiene Barth, il confine persiste nonostante il passaggio di individui da un gruppo ad un altro, cioè nonostante il cambio di identità di alcuni individui; distinzioni etniche e differenze culturali non sono il prodotto dell'isolamento, ma servono ai gruppi per distinguersi, definire il loro spazio e la loro forza. Sebbene le categorie etniche chiamino in causa differenze culturali, le caratteristiche prese in considerazione da coloro che si autodefiniscono "etnicamente" non sono mai la somma delle differenze "oggettive", ma solo quelle ritenute da essi significative. Il fatto che un certo numero di individui condividano una stessa cultura dovrebbe allora essere considerato come una conseguenza piuttosto che una causa dell'esistenza del gruppo etnico. Inoltre, l'identità non è mai statica, ma viene sempre riformulata e i gruppi etnici cercano di eliminare quegli elementi che sono troppo conflittuali poichè rischierebbero di mandare in tilt l’identità del gruppo. L'esistenza di un confine consente di "incanalare" la vita sociale del gruppo e il mantenimento del confine prevede situazioni di contatto tra individui con "culture" differenti (se non c’è confine non ci sono più gruppi diversi). I gruppi etnici persistono solo se viene dato rilievo a differenze marcate di comportamento da parte degli attori (non è legata solo ad un sentimento, ma anche alle pratiche). Quando c'è interazione tra due gruppi etnici (così definiti perché così si auto-percepiscono) dovrebbe esistere anche una forma di comunanza culturale, ovvero devono condividere dei codici di comunicazione e di azione ed in questa situazione, vengono mantenuti dei "segnali etnici" di identificazione della differenza culturale e della sua persistenza; l'interazione di due gruppi etnici è regolata da comportamenti prescritti (Goffman 1969) ed in questo senso, esistono una serie di divieti relativi a certi settori di attività, che impediscono per alcuni di essi l'interazione interetnica e ciò consente di mantenere attivo il confine. Etnografia- Confini identitari: i pathan (pashtun) dello Swat, Pakistan nord-occidentale: Un esempio, sono il popolo dei pathan, oggi pashtun, del Pakistan nord-occidentale, studiati da Barth alla fine degli anni 50, sono un interessante esempio di gruppo etnico in contatto con altri da cui lo separano confini determinati, confini che pur essendo continuamente rimarcati consentono varie forme di attraversamento e cambiamento di identità. Il fattore critico della differenza tra pathan e baluch come gruppi etnici va cercato nella struttura politica, decisiva per il mantenimento del confine etnico, nonostante la comune area ecologica e il diffuso bilinguismo. -Sulla nozione di frontiera: L'esempio di pathan e baluch dimostra che, quando il confine non viene mantenuto l'interazione tra due gruppi etnici produce l'assorbimento di un'identità in un'altra, altre volte invece si può produrre un'identità che non coincide con nessuna di quelle di partenza; il concetto di frontiera diviene utile per analizzare questo meccanismo di sincretismo (combinazione di più elementi religiosi, culturali, riguarda diversi aspetti della cultura) identitario. Pur inizialmente usata come sinonimo di confine, la parola frontiera in ambito antropologico e storiografico ha assunto una connotazione semantica più "storico-culturale", ovvero essa non è tanto la linea che separa i gruppi umani, ma unisce due società con le loro forme culturali. Pag. a 12 21 Il caso che meglio rappresenta questa dinamica, è quello dei "nativi" nordamericani contemporanei, chiamati anche indiani, che hanno ottenuto molto negli USA negli ultimi anni, come la costruzione di una propria cultura/identità ed una serie di riconoscimenti su piano giuridico. Chi sono gli indiani? /I criteri dell’indianità/Il confine fluido dell’indianità: Quali sono i criteri adottati dai "bianchi" e dagli stessi indiani per determinare l'identità di questi ultimi? La questione è importante, perché potersi definire indiano è essenziale nella gestione dei rapporti tra chi si ritiene tale e lo Stato, ponendo coloro che sono riconosciuti tali nella posizione di poter rivendicare diritti e risorse. Resta molto complesso stabilire i criteri per stabilire chi è indiano e chi non lo è, considerando che tale definizione comporta dei diritti che hanno dei costi; il problema è che non esiste una discendenza "pura", a causa delle unioni miste che ci sono state nel corso delle generazioni, anche se si è usato il criterio della discendenza patrilineare (padre indiano, nonno indiano; è la linea paterna che assicura la discendenza, anche se hanno sposato delle donne non indiane), si devono stabilire ulteriori criteri. Un caso problematico di definizione e costruzione dell'indianità, è quello del Québec (pt francese del Canada), dato dalla comunità degli Uroni. VII CAPITOLO- IL BUSINESS DELL’ETNICITA’ AL TEMPO DI INTERNET In questo caso, ci spostiamo da quello che è uno sguardo esterno sull’etnicità ad uno sguardo interno sull’etnicità, ovvero se l'etnicità è stata in passato il prodotto di uno sguardo esterno, sempre più oggi a credere nell'etnicità sono proprio coloro i quali in passato sono stati "etnicizzati". Nella contemporaneità, l'etnicità sta assumendo nuove configurazioni, con una progressiva inclusione della dimensione etnica nella logica del capitale globale, con la fusione del tema etnico con quello dell'impresa economica, tanto che si può parlare di business della propria etnicità (ad esempio, la cultura culinaria come quella italiana o cinese, l’etno-turismo). La cultura in vendita e l’etnia imprenditrice: Laddove la cultura tradizionale può essere venduta, saranno soprattutto gli etnicizzati a proporsi come mercanti della propria cultura. Tra gli esempi di messa in vendita della propria cultura, si consideri il caso dell'etno-turismo, in cui quella in vendita è, non la cultura come intesa in ambito antropologico, quella "essenzializzata" e "reificata", ma si tratta di forme di "business culturale" con i turisti che pagano per acquistare frammenti di "cultura locale autentica" e quando una comunità comincia a vendere la propria cultura, traendone anche un certo beneficio, accade che l'identità di coloro che entrano in questo meccanismo si rinforza, ovviamente con effetti collaterali, di fatto, spesso la vendita della propria cultura costituisce l'ultima risorsa di chi non ha nulla. In ogni caso, si attivano specifiche dinamiche imprenditoriali legate all'identità etnica e tribale, quindi, l'etnia diventa un brand, mascherando dietro di essa anche le logiche di potere che ci sono tra vari gruppi all'interno della stessa etnia. Genetica: Altro aspetto connesso al business dell’etnicità è quello della genetnica, il termine deriva dalla fusione della parola ‘genetica’ (studio della trasmissione dei geni) ed ‘etnico’, cioè una concezione strumentale dell'etnicità, attraverso cui si cerca di individuare un fondamento biologico più specificamente genetico di quelle identità per darle maggiore stabilità. Un esempio potrebbero essere i test genetici, attraverso cui si può analizzare il proprio DNA così da capire la derivazione geografica dei propri geni ed è, quindi, l'uso dei test genetici che serve a dimostrare un'appartenenza etnica, con i vantaggi che ciò comporta (ad esempio, si fa una richiesta di invalidità, lo stato la riconosce attraverso una serie di indagini sanitarie e ne vengono in automatico tutti i “vantaggi” connessi). La genetnica conferma, grazie ad una strumentazione e ad una interpretazione particolare dei dati della scienza biologica, quell'idea di radicamento naturale che l'identità etnica porta con sé ed essa si è anche rivelata un fattore capace di innescare le potenzialità economiche dell'etnicità e quindi un rafforzamento di quest'ultima. Etno-economia e capitale globale: Se è vero che esistono una serie di elementi positivi nello sviluppo di certe forme di etno- business (vendita di tappeti artigianali, ad esempio), che aiutano a rimediare in parte all'emarginazione che certi gruppi umani hanno subito, non si deve però dimenticare che l'etno-business vive e si riproduce quasi sempre grazie all’investimento di un capitale esterno, legato ad un capitalismo globale, con tutto quello che ciò può comportare (il profitto ritorna ai grandi investitori); esempio, sono le etno-imprese legate al gioco d'azzardo in USA. Inoltre, un grosso rischio è la mercificazione della cultura "etnica", che può portare ad una perdita del valore della cultura stessa, poiché si tende a materializzare la cultura (sottolineandone il valore economico) e a cristallizzarla nella differenza (anche la differenza avrà valore economico). Infine, sicuramente la mercificazione della cultura etnica ha delle ripercussioni sul modo di intendere l'etnicità, quindi, sul futuro dell'etnicità. Pag. a 15 21 Etnografia- Xhoba, la pianta “magica” dei San: Potremmo fare l’esempio, del caso etnografico, della gestione di una pianta “magica” della popolazione dei San del deserto del Kalahari, l’Xhoba, di cui avevano scoperto nel tempo la presenza di proprietà farmacologiche (di fatto, più tardi viene presa in considerazione proprio dalle aziende farmacologiche stesse per curare alcune malattie). La storia di questa pianta è legata a quella del popolo sudafricano dei San, che la utilizzavano mostrando bene come etno-business ed identità etnica, si rinforzano in modo reciproco con esiti diversi e specifici. VIII-PERCEZIONE IDENTITARIA ED ETNICIZZAZIONE Per identità etnica intendiamo quel sentimento di comune appartenenza a una tradizione (il più delle volte immaginata, collegata ad un tratto mitico), che unisce in maniera molto forte un certo gruppo di esseri umani, configurandosi come una vera e propria "finzione" che svolge una funzione di tipo regolativo, ovvero orienta ai comportamenti e questa è conseguenza e giustificazione di una "etnicizzazione della differenza". Ovviamente per quanto prodotto di un processo di costruzione culturale, i gruppi etnici esistono e sono realtà tangibili, il che significa che in tali gruppi possono instaurarsi delle relazioni reali di vario tipo; quando poi i diversi gruppi entrano in conflitto o in concorrenza, etnia ed etnicità emergono nel loro aspetto operativo e significante nella vita delle persone. Interessante è la posizione dell’antropologo Remotti, egli ricorda di non accentuare in modo eccessivo l'identità, per evitare di aumentare questa dimensione di conflitto tra gruppi etnici, ricordandoci che è frutto di mescolanza e incontro, perché non esistono culture pure. Essere e credere: Quando parliamo di gruppi etnici ci rimanda a quel forte sentimento di appartenenza che lega i membri di un gruppo, sentimento che a sua volta rimanda a un dogma (=teoria/principio che viene creduto senza messa in discussione), che rende "oggettivo" un qualche cosa di "soggettivo". Il principio su cui si basa questo sentimento di appartenenza è che ‘credere in una cosa equivale ad esserlo’ e ciò rimanda ad un concetto più complesso, ovvero per l'etnia è fondamentale nella costituzione di gruppi etnici l'autorappresentazione. Per poter capire è, quindi, necessario un passaggio da uno "sguardo dall'esterno" a uno "sguardo dall'interno", come i membri dei gruppi appaiono sia da fuori che dentro il gruppo. Identità sostanziale e identità performativa: A questo punto diventa utile l’analisi di due concetti proposti da Bromberger, quello di identità sostanziale, è quella prodotta dallo sguardo esterno o interno, mediante la selezione di un insieme di tratti che sono scelti per connotare un gruppo (ad esempio, i romani, sguardo esterno, attribuirono la connotazione di schiavi ad un gruppo che per loro era inferiore, connotazione che poi nel tempo avrà stesso significato anche per altri) e identità performativa, prodotta dal comportamento di quei soggetti che fanno parte di quell’identità, essa è immediatamente colta dai soggetti che non hanno bisogno di selezionare dei tratti specifici, essa poi nasce dall'agire stesso dei soggetti interessati (ad esempio, mi comporto così perché sono napoletano/slavo), è un'identità "incorporata" cioè un insieme di modelli e comportamenti che sono "strutture strutturanti" secondo quanto dice Bourdieu ed è l'identità valorizzata dagli antropologi e rimanda al piano "emico", cioè al "punto di vista del nativo". Categorizzazione e identificazione: Secondo un altro studioso di nome Jenkins, è molto importante distinguere i processi di categorizzazione, che riguardano un'impostazione identitaria "dall'esterno" (gli altri lo decidono) e comporta specifiche relazioni di potere (un esempio di categorizzazione potrebbe essere il razzismo: i neri sono la categoria negativa e i bianchi, avendo il potere, sono la categoria potente), e i processi di identificazione, ma la definizione del "noi" di un gruppo avviene attraverso un processo di identificazione (si sentono parte) di un gruppo e tale identificazione, al contrario della categorizzazione, è un movimento interno che si traduce in una costituzione identitaria. Etnia in sé, etnia per sé: Secondo lo studioso Magnant l'"etnia in sé", è una realtà culturale mutevole e per poterla definire dobbiamo ricorrere allo studio dell’organizzazione sociale, delle istituzioni e dei codici condivisi (stiamo studiando l’etnia in se come dato teorico, nella sua dimensione di mutevolezza), invece, l'"etnia per sé", è quell'insieme di individui che hanno la coscienza di appartenere ad uno stesso gruppo ed è qualificata come il prodotto di un'autopercezione, indipendentemente dall'esistenza di uno sguardo esterno (in questo caso, l’etnia rimanda a quel complesso sentimento di autopercezione e di autoappartenenza, indipendente dalla presenza di uno sguardo esterno). Identità esperita, identità esternata: Ancora, abbiamo i concetti di identità esperita (vissuta, che io sento), con cui intendiamo quella che scaturisce da un contesto pratico (ovvero in ciò che le persone fanno), si tratta di un sentire implicito, Pag. a 16 21 che si traduce in una sensazione di appartenenza comune (ad esempio, la festa del patrono una volta l’anno, unisce tutti) e, invece, l'identità esternata (io mostro all’esterno), cioè quella che viene esibita in modo esplicito dai soggetti in particolari contesti ed essa seleziona solo alcuni tratti dell'identità esperita (io mostro solo alcuni tratti, ad esempio, sento delle cose ma non rendo il tutto pubblico, solo ciò che voglio). Etnografia-Sentire e dire l'identità (i baluch Del Pakistan meridionale): Per poter chiarire meglio cosa si intende per identità esperita e identità esternata, c’è un ulteriore scheda etnografica relativa al caso dei Baluch del Pakistan meridionale: sul fronte dell'identità esperita, l'identità baluchi mette in atto dei comportamenti per l'adesione ad altrettanti valori corrispondenti, invece, sul fronte dell'identità esternata, bisogna notare un cambiamento geopolitico che di recente ha caratterizzato questo gruppo, ovvero l’esito dell'"incapsulamento" del Baluchistan da parte dello stato pakistano (mussulmano), si è sviluppato un forte sentimento nazionalista, che porta questo popolo ad esplicitare alcune caratteristiche della propria identità, con importanti conseguenze sul modo in cui i Baluch si autopercepiscono in rapporto ad altri gruppi. L’etnia è un’organizzazione “strumentale”?: Il caso del nazionalismo baluchi dimostra come i processi identitari possano essere considerati delle risposte a dinamiche storiche caratterizzate da un contrasto di interessi, in questa circostanza tra uno Stato centrale e una comunità linguistico-culturale relativamente omogenea esclusa dai vantaggi apportati dalla presenza dello stato stesso. Quindi, questo caso conferma una concezione strumentale dell'etnicità, secondo cui le etnie prendono forma in situazioni caratterizzate da una convergenza di interessi politici ed economici; è l'idea di Cohen, dove emerge la natura dell'etnia come gruppo di interesse. Ora se è vero che l'etnia è un gruppo di interesse, è vero anche che affinché un gruppo di interesse diventi un'etnia, dovrà elaborare una rappresentazione specifica di sé che rinvia a un sostrato mitico e simbolico, tenuto in vita da una specifica memoria detta memoria etnica. IX CAPITOLO- LA MEMORIA ETNICA La memoria etnica è quel processo attraverso cui l’identità etnica si perpetua nel tempo, anche attraverso processi di riproduzione e riformulazione (sostantivo memoria= costruzione nel tempo dell'idea di un gruppo e aggettivo etnica= che rimanda alla specificità del gruppo). La memoria ha la capacità di tramandare, all'interno delle generazioni di una popolazione, quelle che sono le rappresentazioni culturali e simboliche che entrano in rapporto dialettico con il mondo storico (sono soggette a trasformazioni a seconda del momento storico) e tali rappresentazioni contribuiscono a mantenere o a mutare l'identità. In quanto tramandate, le rappresentazioni possono essere definite come memoria etnica di un gruppo, la quale consiste di simboli che servono ad evocare la comune appartenenza a quella comunità e per essere costitutivi della memoria etnica tali simboli hanno bisogno di essere alimentati attraverso una specifica "cultura del ricordo", cioè una cultura che porta a ricordare il ricordo e rappresentazione di quel gruppo così da sentirsi appartenenti a questo. Figure del ricordo: La presenza dei gruppi etnici è determinata da una serie di elementi che vanno dall'esistenza di tratti culturali condivisi fino alla credenza di un’appartenenza comune, non sempre quest’ultima può essere dimostrata, in molti casi è costruita. Il sentimento di appartenenza etnica viene sentito in modo molto forte, proprio perché nel corso delle generazioni ci sono state una serie di stratificazioni culturali che hanno contribuito a creare una memoria etnica. Massimo studioso di memoria etnica all’interno dei gruppi etnici è stato Assmann (1997), in un importante suo studio alla fine degli anni 90, ha fatto notare come tutte le comunità (in particolare quelle etniche) per essere tali devono elaborare una struttura connettiva, un senso del noi, che si struttura intorno a regole e valori comuni (siamo membri di una comunità e condividiamo ciò) da un lato e dall’altro dal ricordo di un passato comune; Assmann, in particolare, distingue la memoria comunicativa, fenomeno individuale, ovvero il rapporto che un individuo ha con il gruppo attraverso la funzione della memoria (io come individuo ho un ricordo implicito ed individuale che è collegato alla relazione e ai rapporti che ho con gli altri), dalla memoria culturale, fenomeno collettivo, che fa riferimento a quello che è il bagaglio simbolico, di miti e di riti a cui viene affidata una funzione di ripetizione e attualizzazione di un gruppo. Altro studioso importante di questo argomento è Halbwachs (1976), che aveva messo in evidenza come la memoria collettiva (cioè il ricordo "culturale" di un gruppo) potesse esistere solo in virtù di un riferimento a coordinate spaziali e temporali, ovvero ogni gruppo etnico ha la necessità di collocarsi in uno spazio ben preciso e le culture poi vanno collocate in specifici momenti storici, in relazione al gruppo medesimo, non c'è memoria collettiva se non c'è ricordo culturale di un gruppo e se non c’è relazione all'interno del gruppo stesso, e (aspetto su cui insiste molto) mediante la ricostruzione continua della Pag. a 17 21 Cohen afferma che, quando gli uomini entrano in conflitto non è perché hanno costumi o culture diverse, ma per conquistare il potere e quando lo fanno seguendo schieramenti etnici, è perché quello dell'etnicità diventa il mezzo più efficace per farlo. Stratificazione etnica e lotta per le risorse: Questo aspetto di lotta per le risorse e di stratificazione dell’etnicità, è stato particolarmente analizzato da Cohen, di fatto, egli presenta il caso ipotetico di 2 gruppi etnici che si incontrano e danno luogo ad una nuova società; si pone due domande, 1Quando due gruppi etnici diversi, definiti diversamente in base alla propria specificità etnica, s'incontrano in un contesto in cui esiste uno stato multietnico, cosa succede? 2In che modo l’etnicità dei due gruppi emerge quando si assiste ad una lotta per le risorse e per il potere? Egli pone due possibili soluzioni (che nei dati molto spesso si incrociano): afferma che, la variabile importante è il dislivello economico, per cui se i due gruppi etnici presentano un dislivello economico trasversale (cioè entrambi hanno una suddivisione interna in classi economiche, ad esempio, nel gruppo A ci sono ricchi, persone con un reddito medio e persone povere, invece, nel gruppo B, ci sono ricchi, persone con un reddito medio e persone povere, sono entrambi i gruppi più o meno allo stesso modo), afferma che il fattore etnico è inibito o attenuato, poiché le classi sociali di pari livello dei due gruppi etnici interagiranno tra loro secondo uno schema orizzontale; se, invece, la distinzione etnica corrisponde a quella economica, allora l'etnicità ha ottime possibilità di rinforzarsi, cosi "superiori" ed "inferiori" svilupperanno un'identità molto forte per mantenere la superiorità i primi e rivendicare i propri diritti i secondi. Invece, Hannerz (1994) ritiene che la visione di Cohen sia troppo dicotomica, di fatto, egli farà notare come l'etnicità possa giocare un ruolo decisivo anche in quelle situazioni in cui secondo Cohen le etnie avrebbero differenze di classe interne, dando luogo ad interazioni economiche, sociali e culturali a differenti livelli (l’ipotesi); Hannerz mostra come in alcuni contesti, tra cui quelli di alcuni paesi africani, i leader politici, talvolta appartenenti a "etnie" diverse, incoraggino divisioni etniche per impedire che si sviluppi la lotta di classe. Sembrerebbe che l'etnicità, anche in contesti di forte stratificazione interna a ciascun gruppo etnico, possa mantenersi e svolgere un ruolo importante nella riproduzione dei rapporti sociali. Etnografia - Dall'etnicizzazione al conflitto etnico (tutsi e hutu in Rwanda): Un interessante esempio di ciò, è il conflitto tra tutsi e hutu in Rwanda, la cui "etnicizzazione" sarebbe l'effetto di un accesso differenziale a risorse materiali e culturali. Il conflitto tra questi due gruppi etnici maggioritari, sarebbe l'effetto dell’"etnicizzazione" dei nativi, innescata dai colonizzatori e non del "tribalismo tipico" dei popoli africani. Questo ed altri esempi, ci mostrano che l'etnicità può essere compresa solo all'interno e analizzando determinate situazioni sociali e storiche, quindi non a partire da un'immagine statica di una non meglio definita cultura tradizionale autentica. Si tratta, di recuperare un'ottica della complessità e di coniugare differenza e identità e, in questo caso, la "ragione antropologica" (mantenere quest’occhio critico) può aiutarci a relativizzare il posto di ciascuno nella storia del mondo e connetterci agli altri, relativizzando le identità senza assolutizzare le differenze, promuovendo una regola della intersoggettività. Pag. a 20 21 Pag. a 21 21
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved