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Idòla Sermonis - Il potere cognitivo degli stereotipi nel linguaggio implicito, Sintesi del corso di Filosofia

Stereotipi, slurs, metafore, ironia e proverbi

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 25/02/2022

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Scarica Idòla Sermonis - Il potere cognitivo degli stereotipi nel linguaggio implicito e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! Capitolo primo Il ruolo degli stereotipi nella comprensione del linguaggio implicito Il linguaggio implicito, specie se figurato, essendo dipendente dal contesto, è importante per testare le strutture di credenze sul mondo sociale. Il nostro modo di comunicare può cambiare a seconda della classe sociale cui appartengono i nostri interlocutori, ma può anche cambiare a seconda degli stereotipi sociali ai quali ricorriamo per organizzare, elaborare e interpretare i contenuti comunicati dai nostri interlocutori. La riflessione su ciò che influenza tacitamente il nostro modo di vedere e pensare gli altri, e di comunicare con gli altri, non è nuova: gli idòla baconiani sono forse uno degli esempi più chiari di quanto la filosofia abbia prestato attenzione ai modi di selezione delle informazioni e di conoscenze messi in atto per orientarsi nella complessità del mondo umano. La letteratura sui bias mostra quanto sia potente e resistente la tentazione di confermare strutture di credenze già consolidate e condivise in una comunità, che hanno spesso carattere stereotipico. 1.2. Gli idòla baconiani e i bias cognitivi Con la parola “stereotipo” si intende un insieme di credenze, coerente e condiviso in una società, che un certo gruppo sociale condivide rispetto a un altro gruppo sociale. Lo stereotipo può basarsi su un giudizio antecedente l’esperienza, ma può diventare un pregiudizio quando si considera in modo sfavorevole i membri che appartengono ad un determinato gruppo sociale, anche a fronte di evidenza contraria. In questo caso il pregiudizio non è più un insieme di credenze come lo stereotipo, perché può orientare il ragionamento e l’azione delle persone rispetto a quel determinato gruppo sociale. La categorizzazione, inclusa quella che riguarda le classi sociali e gli stimoli di tipo linguistico, è soggetta a errori o illusioni cognitive che possono influenzare o distorcere la formazione e l’uso delle conoscenze che gli individui hanno del mondo sociale e possono essere le ragioni dello sviluppo dei pregiudizi. Tra gli errori più tipici dei processi di categorizzazione ci sono quelli che riguardano il giudizio su quanto si ritengono “esemplari” le proprietà di un membro di un gruppo, tanto da estenderle all’intero gruppo per spiegare il comportamento dei membri, oppure il comfirmation bias, cioè favorire informazioni che confermano le credenze che si hanno già su una determinata classe o su un determinato fenomeno (incluso il fenomeno sociale). Quest’ultimo si presenta in molte forme, anche all’interno di gruppi sociali che condividono gli stessi interessi o le stesse proprietà che definiscono la loro identità sociale, e può portare alla formazione di “bolle epistemiche” in cui i membri di un gruppo cercano solo informazioni o includono solo nuovi membri che rispondono ai loro interessi. Questi sono i meccanismi dell’ignoranza “attiva” che può riguardare la formazione e la giustificazione delle credenze, e quindi le conoscenze, non solo dell’individuo ma anche di gruppi sociali. Francesco Bacone afferma che la mente umana, “una volta adottata un’opinione, attira tutte le altre per sostenerla e concordare con essa”. Bacone ritiene che prima di costruire la conoscenza si debba far piazza pulita dei pregiudizi che possono minare alla radice il processo di costruzione della conoscenza. Tenta di mettere in guardia gli esseri umani dagli errori dell’intelletto umano per far luce sui limiti che costituiscono la conoscenza, in modo da indirizzare verso un dubbio costruttivo, capace di dare corso a un’azione libera e nuova, sradicando ciò che alimenta lo sviluppo dei pregiudizi. Bacone chiama i pregiudizi idòla per indicare rappresentazioni mentali illusorie, che non restituiscono la realtà o la verità delle cose nel mondo. Il confirmation bias fa parte degli idòla tribus, ovvero gli errori che ogni essere umano commette in quanto umano, in quanto appartenente alla tribù degli umani. Gli idòla tribus sono tutti gli errori che commettiamo naturalmente (e inconsapevolmente) quando cerchiamo di anticipare l’esperienza e/o di interpretarla in modo che sostenga credenze che già abbiamo e che non tendiamo a mettere in discussione. Parliamo di idòla specus quando facciamo riferimento agli errori che riguardano gli uomini come individui e derivano dal loro particolare vissuto, dal loro percorso educativo e sociale, dalle abitudini che hanno instaurato nel corso della loro vita. Tuttavia, stereotipi e prototipi hanno qualcosa in comune: evidenziano caratteristiche o proprietà che rappresentano i membri più tipici di una data categoria sociale, entrambi implicano informazioni semantiche salienti all’interno di una categoria sociale, ma non necessarie per distinguere quella categoria da un’altra. Nel definire il concetto di prototipo, Rosh e i suoi collaboratori fanno riferimento al concetto di “somiglianza di famiglia”. Nel linguaggio figurato, e soprattutto nelle metafore, le somiglianze di famiglia tra i membri della categoria sociale sono molto particolari. Non classifichiamo un membro di una categoria solo in base a caratteristiche condivise, ma anche in base alle caratteristiche salienti condivise da due oggetti messi in relazione. Le metafore hanno il potere di creare categorie in base a somiglianze inedite, tali somiglianze potrebbero essere “emergenti” (nuove) o elementi messi in relazione dalla metafora. Secondo l’ipotesi della compattezza, la metafora permette di condensare un numero elevato di informazioni in un’unica espressione. Secondo l’ipotesi dell’inesprimibilità, la metafora ci consente di comunicare esperienze che non sono descrivibili attraverso termini letterali. Secondo l’ipotesi della vividezza, la metafora dà una rappresentazione dell’esperienza più vivida, facile da ricordare e legata alle immagini e alle emozioni suscitate dalla stessa esperienza personale. 1.5. Stereotipi e linguaggio non letterale Tracie Blumentritt e Roberto Heredia hanno suggerito di considerare gli stereotipi come strutture cognitive, ovvero schemi contenenti grandi reti di informazioni astratte su tratti e caratteristiche dei membri di un determinato gruppo sociale. Il linguaggio non letterale, come metafora, metonimia, ironia, ecc., richiede la comprensione che ciò che il parlante dice letteralmente è diverso da ciò che intende comunicare, che riguarda la dimensione pragmatica del linguaggio. Capitolo secondo Presupposizioni stereotipiche nella comprensione degli slurs Gli studi e i diversi approcci disciplinari sul fenomeno dell’impolitenness, ovvero la scortesia, sono aumentati negli ultimi anni. Inizialmente hanno prevalso gli studi incentrati sul fenomeno della politeness, ovvero la cortesia. Tra le principali declinazioni espressive di violenza verbale, quindi tra i modi di dire attraverso cui il linguaggio può essere discriminatorio, si menzionano: gli slurs o epiteti denigratori, lo swearing o bad language, nel quale rientrano imprecazioni, bestemmie, parolacce e gli stessi insulti e l’hate speech o discorso pubblico dell’incitamento all’odio, sempre più frequente, soprattutto nei social media. A differenza di altre espressioni offensive, gli slurs possono essere portatori di discriminazione, prendendo di mira individui/gruppi in base alla loro categoria di appartenenza (target class). Tipicamente colpiscono un gruppo identificato in base all’orientamento sessuale, a ragioni etniche, alla provenienza geografica, a credenze religiose. 2.2. Peculiarità degli epiteti denigratori Tra le proprietà degli slurs c’è il cosiddetto “scoping out”, caratteristica che indica che il contenuto spregiativo degli slurs tende a sopravvivere quando questi sono già semanticamente incorporati in una lingua. Un’altra peculiarità degli slurs consiste nella loro capacità di codificare contenuti dispregiativi a livello ipotetico, come nel caso delle presupposizioni, presentando i contenuti come accettati e non controversi. 2.3 Slurs: tra usi standard offensivi e usi non standard (offensivi e non) Gli usi standard degli slurs trasmettono un’offesa nei confronti del gruppo target di riferimento, anche se il grado di offensività è variabile a seconda degli slurs e, in particolare, della tipologia di contesto linguistico nel quale lo slur è inserito. Gli epiteti denigratori, oltre ad essere utilizzati per riferirsi in maniera offensiva a individui che non appartengono al gruppo target di riferimento, mostrano anche alcune proprietà stereotipicamente associate a quel gruppo target. Esistono usi non standard non offensivi degli slurs, ciò si verifica in due casi: quando lo slur viene semplicemente menzionato all’interno di un “contesto pedagogico”, quando lo slur viene semplicemente menzionato in un “contesto amicale” o, comunque, viene usato dagli stessi componenti di un gruppo target. 2.4. Possibili strategie per analizzare la componente offensiva degli slurs La teoria del significato vero-condizionale adotta un approccio semantico e sostiene che la componente offensiva degli epiteti denigratori è parte del loro significato vero-condizionale; la teoria sociale, secondo un approccio di tipo socio-culturale, che ritiene che l’offensività non dipenda da componenti del significato del termine, ma da fattori sociali, come i divieti sul linguaggio oppure, a nostro avviso, anche dagli stereotipi sociali; la teoria pragmatica sostiene che l’offensività veicolata dagli slurs dipende dalla dimensione pragmatica di significato dei termini, ma non dal significato vero-condizionale. La teoria del significato vero-condizionale pone l’accento su alcuni punti salienti:  gli enunciati che contengono slurs non possono affermare qualcosa di vero sul mondo  il contenuto offensivo degli epiteti denigratori appartiene al significato standard dei termini  in epiteti come “negro” c’è una sorta di istigazione alla discriminazione, con carattere prescrittivo: “negro” non si limiterebbe a esprimere l’odio razziale di chi parla, ma potrebbe funzionare anche come una sorta di “cassa di risonanza” che facilita le pratiche discriminatorie. Una strategia per realizzare gli slurs è rappresentata dalla teoria sociale, secondo la quale l’offensività degli epiteti denigratori non ha a che fare tanto con il significato del termine, quanto con una sorta di divieto, imposto dalla società, sull’uso di questi epiteti. della metafora, ovvero l’uomo. Esso, associato ad una metafora, orienta la nostra interpretazione. Il processo di categorizzazione è responsabile dell’effetto framing, che provoca cambiamenti nel significato delle parole. I frame offrono un significato attraverso un processo selettivo che filtra le percezioni e le rappresentazioni concettuali sul target, fornendo una prospettiva specifica sul target stesso. Ernest Lepore e Matthew Stone hanno osservato che le metafore non possono essere valutate in termini di verità, perché sono semplici inviti a esplorare confronti tra domini concettuali diversi, con l’obiettivo di sviluppare immagini e arrivare ad una comprensione condivisa. L’interpretazione delle metafore verbali evoca immagini mentali che producono esperienze simili a quelle percettive. La metafora viene interpretata come un meccanismo che ci porta a vedere una cosa come un’altra, ma che non può essere sostituita da nessuna descrizione verbale. La metafora creativa sfrutta il proprio significato letterale per evocare un’immagine nella mente del destinatario. 3.4. Sfidare le conoscenze stereotipiche tramite le metafore La teoria della metafora deliberata (G. Steen) si basa su un modello tridimensionale dell’uso della metafora nel discorso. Le metafore hanno caratteristiche specifiche nelle tre dimensioni del linguaggio, del pensiero e della comunicazione, che conferiscono loro tre funzioni distinte: 1) la funzione linguistica di dare un nome a esperienze che non trovano un termine letterale che possa definirle (naming) 2) la funzione concettuale di fornire un frame per l’interpretazione (framing) 3) la funzione comunicativa di offrire all’ascoltatore una prospettiva nuova o alternativa sul target della metafora (perspective changing). La funzione di framing di una metafora non deve essere confusa con la sua funzione di cambiamento di prospettiva perché appartengono a due dimensioni diverse della metafora. Il framing è dato in qualsiasi rete concettuale creata da una metafora, la funzione comunicativa è data solo quando un parlante vuole ottenere uno specifico effetto retorico. Le metafore dirette vengono elaborate per comparazione, poiché introducono un dominio concettuale esplicitamente distinto dal dominio concettuale d’arrivo, che suona strano e incoerente rispetto al target della metafora e richiede al destinatario di riflettere sull’incoerenza tra i due domini e di risolverla. La maggior parte delle metafore indirette richiede un’elaborazione via categorizzazione, che è inconsapevole e automatica perché non richiede al destinatario di prestare attenzione al dominio di partenza, cioè al significato letterale. Le metafore creative o “vive” muoiono quando iniziano a richiedere un processo di categorizzazione più automatico e inconsapevole. La metafora deliberata richiede un’elaborazione consapevole, per confronto: presenta una metafora come tale, mettendo in luce il dominio di partenza come base per una mappatura delle proprietà dei due domini. Quando le metafore vengono utilizzate intenzionalmente (in modo deliberato), costringono l’interprete a mantenere attivo nella sua mente il dominio di partenza e ad elaborare l’analogia con il dominio di arrivo da quella prospettiva peculiare presentata dal dominio di partenza. Le metafore deliberate possono anche decidere di mantenere l’analogia tra source e target attiva nella mente delle persone, creando un nuovo processo di confronto delle loro proprietà o rivitalizzando un confronto precedente ormai diventato convenzionale nell’uso di una comunità linguistica. Nel processo di rivitalizzazione, la strategia di framing viene rivelata agli spettatori e attivata nella loro mente, in modo che non rimanga nascosto negli stereotipi condivisi dalla comunità e associati con la metafora. Una traduzione letterale o una parafrasi non hanno (e non possono avere) lo stesso potere cognitivo o lo stesso effetto comunicativo della metafora. Capitolo quarto Varie storie di ordinaria ironia L’ironia è una figura retorica che nella storia del pensiero umano si è rivelata un’alternativa al letterale. Tutt’oggi l’ironia rimane un fenomeno interessante non solo per la sua complessità, che si rispecchia anche nelle difficoltà di dare una definizione, ma soprattutto per i suoi intrecci con altre tematiche fondamentali della comunicazione umana. La comprensione dell’ironia dipende anche dagli stereotipi sociali, spesso coinvolti nel processo di comprensione dell’ironia nei processi conversazionali quotidiani. 4.2. La lingua come “veicolo” di credenze stereotipiche L’ironia verbale, spesso utilizzata nella comunicazione interpersonale, rappresenta un mezzo linguistico connesso al linguaggio stereotipico. Le persone possono fare dell’ironia per commentare dei comportamenti stereotipici incoerenti. Le ricerche dovrebbero analizzare più approfonditamente il ruolo degli stereotipi nella comprensione dell’ironia, osservando se e in che modo i destinatari traggono inferenze sulle impressioni stereotipiche dei parlanti, non solo dal loro modo generico di utilizzare osservazioni ironiche, ma anche dal loro modo specifico di riferirsi a comportamenti positivi o negativi di una “categoria sociale conosciuta” vs una “categoria sociale sconosciuta”. 4.3. Aspetti contestuali e socio-culturali nella percezione dell’ironia L’ironia è un fenomeno pragmatico e la conoscenza del contesto è necessaria per determinare se un proferimento è ironico oppure letterale. Il sarcasmo è una sottocategoria dell’ironia, usata specialmente in commenti pungenti e derisori verso un target specifico, una persona che diventa vittima del commento ironico. Secondo alcuni studi, l’ironia è usata più spesso in contesti negativi, piuttosto che in contesti positivi, come “strategia di cortesia” per mitigare le valutazioni negative verso una determinata classe sociale o un membro che la rappresenta. 5.3. Proverbi: “più che metafore” N. Norrick definisce i proverbi come metaforici, oltre che stabili e concisi. Identifica un’altra caratteristica tipica ed essenziale dei proverbi, che li distingue dalle metafore: i proverbi sono unità grammaticali complete, che non richiedono altri argomenti, sintassi o morfologia aggiuntiva per creare una frase completa. Come le metafore, i proverbi possono estendere la conoscenza, a partire da scene quotidiane concrete, a principi morali e verità “astratte”, evocando anche immagini che arricchiscono di dettagli percettivi le scene descritte nei proverbi. I proverbi evocano un’intera scena narrativa completamente distinta e indipendente da quella in cui è inserito il discorso. Il significato implicito del proverbio dipende largamente dal contesto in cui il proverbio è pronunciato, dalla situazione comunicativa e dall’identità degli attori coinvolti e dal loro rapporto. Il processo di elaborazione di un proverbio è molto simile a quello della metafora, tuttavia avviene per analogia e non tramite un processo di categorizzazione. La teoria del blending è stata utilizzata anche per l’interpretazione dei vari significati dei proverbi perché permette di far corrispondere diversi spazi mentali agli scenari messi in relazione dal proverbio, intesi come spazi concettuali distinti ma correlati tra loro per creare un nuovo spazio mentale (blend). 5.4. La struttura argomentativa dei proverbi La metafora – così come i proverbi – non dovrebbe essere interpretata come un meccanismo linguistico che porta a commettere fallacie argomentative, ma come un mezzo creativo per il pensiero critico. Si potrebbe pensare che i proverbi siano fallacie ad populum, ovvero argomenti che presentano una tesi come corretta solo perché ritenuta vera da un gran numero di persone o dalla maggior parte di persone che appartengono ad una comunità o ad un gruppo sociale. 5.5. Meccanismi di ragionamento proverbiali Un meccanismo proverbiale è una sorta di storia causale, che non può prevedere il comportamento di una classe sociale come se fosse una legge, ma può dare un senso alle generalizzazioni della psicologia del senso comune usata dagli esseri umani nelle loro interazioni sociali quotidiane, per spiegare il loro stesso comportamento o quello dei loro simili. Tali meccanismi hanno la forma di proverbi perché trovano una forma linguistica alle osservazioni della psicologia popolare. Le espressioni proverbiali riescono a dare un resoconto dei comportamenti che ci permettono di rispondere alla domanda “perché si è comportato/a così?” Come nota Elster, ogni proverbio ha un contro-proverbio, ovvero un altro proverbio che va nella direzione opposta, ma non necessariamente contradditoria. La teoria della pertinenza è ben attrezzata per spiegare i contro-proverbi, perché la comprensione dei proverbi si ottiene da inferenze presuntive, basate sulla presunzione di pertinenza ottimale. Nel caso in cui siano presenti più proverbi, devono esserci alcune regole per scegliere il proverbio più pertinente rispetto al contesto di enunciazione.
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