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II giornata decameron, Appunti di Letteratura Italiana

Sintesi della 2 giornata del decameron di Boccaccio con relative novelle.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 14/07/2022

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

4.4

(5)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica II giornata decameron e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! DECAMERON 10 II GIORNATA INTRODUZIONE Dopo essersi svegliata, la compagnia si diletta sul prato. Dopo il pranzo e qualche ballo, si siedono e Filomena, regina della giornata, ordina a Neifile di incominciare. PRIMA NOVELLA (NEIFILE) Era da poco morto a Trivigi (Treviso) Arrigo, uomo ben voluto da tutti (aiutava i suoi compaesani in cambio di pochi soldi), dichiarato santo perché oltre che essere stato un pio uomo, alla sua morte tutte le campane suonarono contemporaneamente. Allora la gente, meravigliata, portava nel luogo santo ove era tenuta la salma, sia storpi sia ciechi e altri poveri, affinché fossero miracolati dalla vicinanza del santo. In quel giorno arrivarono nella città tre mercanti fiorentini: Stecchi, Martellino e Marchese che, incuriositi dalla folla, vollero andare a vedere le spoglie del santo. Martellino trovò il modo per passare indisturbati e senza noie: lui si sarebbe finto uno storpio e i due compari l’avrebbero aiutato a reggersi. Arrivato vicino al corpo di Sant’Arrigo, Martellino, per burlarsi delle persone che lo guardavano, cominciò a fingersi miracolato, ritornando a poco a poco normale. Ma, riconosciuto da un suo compaesano fiorentino, stava per essere linciato dalla folla, quando Marchese riuscì a portarlo via. Venne portato dal podestà, presso il quale fu torturato e condannato ad essere impiccato, ma riuscì a salvarsi grazie all’intervento di un uomo influente, Sandro Agolanti. Il giudice, dopo aver sentito l’accaduto, rise molto e li lasciò liberi; così tutti e tre fecero ritorno a casa. SECONDA NOVELLA (FILOSTRATO) Il mercante Rinaldo d’Asti sta cavalcando verso Verona, quando viene derubato nei pressi di Castel Guiglielmo da alcuni furfanti travestiti da onesti cavalieri. Rinaldo, vagando dopo il calar del sole e rimasto con pochi indumenti addosso, disperava di trovare un rifugio per la notte quando, per fortuna, riesce a ripararsi sotto il portico di una casa che crede abbandonata, ma invece in questa vi era una bellissima vedova, amata dal marchese Azzo, che aiuta il mercante a ristorarsi, gli fa fare un bagno e improvvisamente se ne innamora; da parte sua Rinaldo ricambia l’amore della donna e così passano la notte insieme. Il giorno dopo, vestito con buoni abiti, riparte ringraziando di tutto la donna e lungo la via incontra i tre briganti che lo avevano rapinato il giorno prima, catturati; perciò può riprendersi i suoi vestiti e i denari, e ritornarsene felicemente a casa. TERZA NOVELLA (PAMPINEA) Lamberto, Tedaldo e Agolante, figli di un ricchissimo cavaliere, messer Tebaldo, alla sua morte sperperano tutta l’eredità e, divenuti poveri, si decidono a lasciare Firenze e a partire per l’Inghilterra dove, prestando il denaro ad usura, riescono a guadagnare più di quanto avevano perso e quindi a ricomprare gran parte dei loro possedimenti e anche altro e presero moglie. Affidati i possedimenti inglesi ad un loro nipote di nome Alessandro, se ne tornarono a Firenze. Intanto, a causa di una guerra le proprietà inglesi non rendono più, perciò i tre fratelli riperdono tutto vengono incarcerati per i debiti; anche Alessandro, ormai povero, sta per tornare in Italia quando incontra un abate inglese che gli si affeziona particolarmente. Una sera l’abate, fatto venire Alessandro nel suo letto, comincia ad accarezzarlo, ma Alessandro non capisce come può un uomo toccare un altro uomo; ma l’abate in verità altri non è che la figlia del re d’Inghilterra. Dopo una notte di passione, il giorno seguente giunti a Roma furono sposati dal Papa e così Alessandro divenne duca di Cornovaglia e poté liberare i tre zii, essendo oramai ricchissimo. QUARTA NOVELLA (LAURETTA) A Ravello, una cittadina in provincia di Salerno, sulla costiera Amalfitana, vi era un ricchissimo mercante chiamato Landolfo Rufolo. Nonostante il capitale di cui era già in possesso, desidera arricchirsi ancor di più. Questi partì un giorno con una nave piena di mercanzie per Cipro; ma, DECAMERON 11 costretto ad abbassare il prezzo perché non era l'unico mercante presente, commerciando perse tutto e così decise di vendere la sua grande nave, prendendone una più piccola ed armandola: decise così di fare il corsaro. Guadagnò molto di più così che con la precedente attività. Ma un giorno, durante una tempesta, sulla strada del ritorno verso Ravello, trovato dai genovesi in un’insenatura, fu derubato e fatto prigioniero; durante il viaggio, l’equipaggio, colto alla sprovvista da una tempesta, fu scaraventato in mare assieme alle merci rubate. Landolfo riuscì a raggiungere terra, approdando sull’isola di Corfù, aggrappato ad una cassa. Una giovane donna, vedutolo sul bagnasciuga, lo portò in casa e lo ristorò per alcuni giorni. Il mercante, dopo aver scoperto che la cassa conteneva moltissime pietre preziose, lasciata la donna partì per Ravello dove vendette le pietre e fu di nuovo ricco. Mandò una parte di denaro a Corfù per ricompensare la donna per il servigio ottenuto, e a Trani, dove alcuni suoi conoscenti fabbricanti di stoffa lo rivestirono. Lui non esercitò più come mercante ma visse di rendita fino all’ultimo. QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA) C’era a Perugia un noto mercante di cavalli, Andreuccio, che un giorno partì per Napoli con una borsa di fiorini d’oro. La stessa sera, arrivato nei pressi di Napoli, mentre cenava in un’osteria, trasse fuori la borsa con i soldi che furono subito notati da due scaltre donne. La sera dopo, la più giovane delle due, invitò Andreuccio a casa sua e, piangendo, gli disse che lei era sua sorella. Dopo aver convinto Andreuccio, lo costrinse a rimanere la sera e la notte a casa sua. Il povero commerciante cadde in una botola, che si trovava nel bagno, e la donna poté così rubargli la borsa; uscito fuori della casa ed avendo cominciato a capire l’inganno, bussò inferocito più volte alla sua porta, ma ovviamente nessuno rispondeva. Perse le speranze, s’incamminò verso l’osteria e sulla strada incontrò due contadini che, ascoltata la storia, sembrava volessero aiutarlo; così lo condussero ad un pozzo per farlo lavare dal fetore che aveva addosso. Ma una volta calato Andreuccio nel pozzo, scapparono impauriti da alcune persone che stavano arrivando al pozzo; lo sfortunato ragazzo, dopo aver risalito il pozzo, saltò fuori terrorizzando tutti e corse via. Ma incontrò nuovamente i due astuti contadini che lo obbligarono a rubare un rubino che si trovava al dito di un arcivescovo di Napoli sepolto recentemente nella chiesa del paese. Andreuccio trovato l’anello se l’infilò in tasca e diede il resto delle pietre sotterrate con il cadavere ai due loschi individui, che lo chiusero nella cripta assieme al morto. Il giorno dopo, un prete, incuriosito dal tombino aperto, si calò nell’ipogeo e così Andreuccio poté scappare dopo aver spaventato a morte il prete e ritornare a Perugia con il rubino. Inizialmente ingenuo, attraverso gli inganni Andreuccio sviluppa la capacità di non fidarsi, con una progressiva acquisizione degli strumenti dell'ingegno, che gli permetteranno di raggirare gli imprevisti a suo vantaggio. Le tre rovinose cadute in luoghi sempre più bui e pericolosi si configurano come i riti di iniziazione morte e rinascita di una nuova vita. SESTA NOVELLA (EMILIA) Alla morte di Federico II fu fatto re del Mezzogiorno Manfredi. Poiché il re Manfredi fu costretto a partire per combattere Carlo, affidò il regno ad Arrighetto Capece, un nobile di Napoli, il quale, venuto a conoscenza della morte del re, non fidandosi della fedeltà dei Siciliani, decise di fuggire dall’isola con la moglie incinta Beritola Caracciola e il figlio Giuffredi, ma i Siciliani lo scoprirono e lo imprigionarono insieme ad altri servitori del vecchio re. Tuttavia, la moglie riuscì a salvarsi a Lipari, dove partorì un altro maschio e lo chiamò Scacciato; da lì, decisa a ritornare a Napoli dalla sua famiglia, la donna si imbarcò su una nave con i figli e una balia, ma sfortunatamente un forte vento li spinse a Ponza, dove decisero di rimanere finché non si fossero placate le acque. Sull’isola Madama Beritola passò il tempo a piangere il marito, ma non appena si allontanò dai suoi cari una galea di corsari (genovesi) rapì i suoi figli e la balia e rubò la loro barca. Mentre Madama Beritola continuava le ricerche dei suoi cari, trovò per caso una grotta in cui si erano riparati due caprioli con la loro madre e subito offrì loro il suo latte. Alcuni mesi più tardi approdò sull’isola una nave pisana, sulla quale viaggiava Currado dei Malaspina. Durante una battuta di caccia, questo inseguì i due DECAMERON 14 conte subito rivelò a Giachetto e Perotto la sua identità e disse a Giacchetto di portarlo dal re perché ricevesse la ricompensa come dote per la figlia. E così fu: Giacchetto ricevette il denaro e al conte furono restituite le proprie terre insieme ad altri doni. NONA NOVELLA (FILOMENA) A Parigi in una locanda vi erano molti mercanti italiani che discorrevano sui loro affari e sul fatto che, se avessero avuto l’occasione, non avrebbero esitato a tradire le proprie mogli con una “scappatella”, poiché ritenevano che anche loro lo avrebbero fatto. Soltanto uno, di nome Bernabò Lomellin da Genova, non concordava su ciò: infatti, si fidava ciecamente ed era così innamorato di sua moglie Ginevra (Zinevra nel testo) che non l’avrebbe mai tradita e che lei avrebbe fatto altrettanto. Udendo questo, un altro mercante, Ambruogiuolo da Piacenza, volle dimostrare che, come tutte le donne, anche Ginevra era volubile, scommettendo con Bernabò che l’avrebbe sedotta in tre mesi e che gli avrebbe portato le prove di ciò che aveva fatto; la posta era 5000 fiorini d’oro se avrebbe vinto, altrimenti ne avrebbe dati 1000 a Bernabò. Fatto ciò, subito partì per Genova e trovò la casa della donna. Accordatosi con una domestica, si nascose in un baule e si fece portare nella stanza da letto di Ginevra. La notte, usciva dal baule, memorizzava la stanza, rubava alcuni anelli e vestiti della donna. Una sera, uscito come suo solito dal baule, scoprì Ginevra e notò che sotto la mammella sinistra aveva un neo un po’ grande con dei peli biondi intorno; essendo questo sufficiente per vincere la scommessa, la mattina seguente uscì dal baule e ritornò di corsa a Parigi, dove, raccontato ciò che aveva visto e mostrato a Bernabò ciò che aveva rubato, non gli rimase che intascare la posta. A quel punto al povero Bernabò non rimase che ritornare a Genova e, gonfio d’ira, stando da alcuni suoi parenti incaricare un suo amico di uccidere Ginevra per punirla così dell’adulterio che non aveva commesso. Secondo gli ordini di Bernabò, quello condusse Ginevra in un luogo isolato e stava per ucciderla ma sotto le preghiere della donna, gli raccontò l’accaduto e non la uccise; si fece però dare i suoi vestiti per portarli a Bernabò in modo da fargli credere che l’aveva uccisa. Ginevra subito fuggì da Genova, si travestì da maschio tagliandosi i capelli e schiacciando il seno e si imbarcò sulla nave del catalano En Cararh come marinaio, facendosi chiamare Sicuran de Finale. Ben presto riuscì ad accattivarsi il capitano e ad avere incarichi più importanti. Un giorno la sua nave approdò ad Alessandria per consegnare un suo carico al sultano, al quale, piacendogli molto le capacità di Sicurano, convinse En Cararh a lasciarglielo ai suoi ordini. Dopo poco tempo, a Sicurano fu affidato il compito di vigilare durante i mercati tra cristiani e arabi in Acri; mentre perlustrava i mercati, notò che un mercante (Ambruogiuolo da Piacenza) aveva dei vestiti che le appartenevano, subito gli chiese come faceva ad averli; Ambruogiuolo rise e gli raccontò ciò che aveva già raccontato a Bernabò. Allora Sicurano, fingendo di apprezzare quella storia, portò Ambruogiuolo affinché la raccontasse al sultano e fece anche convocare Bernabò, anch’egli lì per affari. Allora smascherò l’inganno del mercante facendolo minacciare dal sultano e rivelando la sua vera identità al marito e agli altri. Il sultano allora obbligò Ambruogiuolo a risarcire Bernabò e inoltre regalò alla coppia ritrovata ori, gioielli e molti 10000 denari: la coppia poté così ritornare a Genova. Ambruogiuolo fu invece cosparso di miele, legato ad un palo e lasciato nel deserto alla mercé degli insetti. DECIMA NOVELLA (DIONEO) Un giudice pisano, di nome Ricciardo di Chinzica, era uomo fisicamente gracile. Piuttosto ricco di famiglia, volle sposarsi una donna molto giovane e bella, di nome Bartolomea Gualandi. La festa nuziale fu fastosa, ma già dall'inizio questo marito mostrò scarsa propensione a frequentare la moglie. Il giudice allora, sentendosi a disagio, cominciò a spiegare alla moglie come certi giorni del calendario vietassero le intimità coniugali; ad essi aggiungeva i giorni di digiuno, le vigilie di apostoli e altri santi; i venerdì, i sabati e la domenica, tutta quanta la quaresima e persino i giorni in cui la luna occupava determinate posizioni. Tutto questo rattristava la sposa, che era anche attentamente sorvegliata dal marito, il quale temeva che qualche altro uomo le insegnasse un calendario senza tutte quelle feste. Un giorno estivo di grande calura, il giudice Ricciardo organizzò una bella gita di pesca; DECAMERON 15 su una barca salirono Ricciardo e i pescatori, mentre sopra un'altra si sistemarono alcune donne assieme alla giovane Bartolomea. Nell'entusiasmo per la pesca si allontanarono un po' troppo dalla riva e furono sorpresi dalla nave corsara di Paganino da Mare che, bloccata la barca dove erano le donne, e, notata la bella Bartolomea, la sequestrò sotto gli occhi di messer Ricciardo che non poté far nulla per evitare la cattura della moglie. Tornato a Pisa il giudice si diede molto da fare per avere notizie della moglie scomparsa, ma nulla. Costei, nel frattempo, era stata portata afflitta e piangente fino a Monaco, sulla Costa Azzurra, che era appunto la sede dei pirati. Paganino, intanto, cercava di consolarla e tanto bene vi riuscì che la sera stessa Bartolomea dimenticò il giudice e le sue leggi e cominciò a vivere lietamente con Paganino il pirata. Dopo qualche tempo messer Ricciardo venne finalmente a sapere dove si trovava la moglie e, imbarcatosi, raggiunse Monaco nella ferma speranza di poter riavere la moglie, pagando anche un costosissimo riscatto. Incontratosi con Paganino, messer Ricciardo venne presto al dunque e Paganino disse che, se veramente la donna che lui aveva sequestrato nel mare di Pisa era sua moglie, pagando il riscatto da lui deciso, messer Ricciardo, poteva riprendersela liberamente. Ricciardo accettò, sicuro che la moglie, rivedendolo, gli avrebbe certo gettato le braccia al collo; invece, giunti in casa di Paganino, Bartolomea guardò il marito facendo finta di non riconoscerlo. Lo stupefatto Ricciardo, colpito da quell'indifferenza, insistette con la donna affinché riconoscesse in lui il suo legittimo marito, ma lei rispose che sarebbe stato poco conveniente guardare troppo un uomo sconosciuto, ma che, per quanto guardasse, non riconosceva nessun marito. Ricciardo allora pensò che la donna facesse così perché temeva Paganino che era lì presente e perciò pregò il padrone di casa di farlo parlare con la moglie a quattrocchi. Paganino acconsentì e i due andarono nella camera della donna dove Ricciardo, con tono appassionato e affettuoso, insistette perché la moglie lo riconoscesse. Bartolomea inizialmente rise in seguito gli rivelò di averlo riconosciuto da subito, ma gli rimproverò anche sfrontatamente il fatto che lui, con la storia delle vigilie, della quaresima e delle altre festività, l'aveva costantemente ignorata, gli ricordò, inoltre, che, se avesse imposto tante festività a coloro che lavoravano le sue terre, non avrebbe raccolto neanche un chicco di grano. E gli disse anche che si era imbattuta in un uomo gagliardo che non conosceva festività di sorta, che era sempre presente con la sua donna e che lei era ben lieta di vivere così; i digiuni e le festività religiose le avrebbe rispettate quando fosse stata vecchia. Messer Ricciardo, scandalizzato da tanta franchezza, provò a insistere ancora, ricordandole i doveri di moglie e le promise che, se fosse tornata a Pisa con lui, avrebbe trovato un marito del tutto diverso, capace di farla contenta. Bartolomea rispose che il suo onore era affar suo e si chiese anche come avrebbe potuto mai cambiare suo marito, visto che era un uomo freddo, indifferente alla sua sposa e che, per quanto si fosse ingegnato, sarebbe stato sempre un disastro. Lei se ne sarebbe stata col suo Paganino e, se poi fosse stata abbandonata, a Pisa non sarebbe tornata di sicuro, perché, tanto, qualunque soluzione sarebbe stata sempre più vantaggiosa di quella di un ritorno al talamo maritale; di conseguenza lo invitava a ripartirsene per Pisa da dove era venuto. Ricciardo se ne tornò così a Pisa dove gli venne una specie di fissazione e, quando incontrava qualche conoscente, si lamentava con lui, che una giovane donna non vuole mai rispettare le solennità religiose; questo stato d'animo lo fece ammalare di un male che lo portò presto a morte. Paganino, saputa la cosa, fu così lieto di sposare regolarmente la vedova e i due, finché poterono, non rispettarono mai le festività religiose. III GIORNATA PRIMA NOVELLA (FILOSTRATO) In una città vi era un monastero con otto donne e la badessa, tutte giovanissime, nel quale prestava servizio come ortolano un signore che si licenziò perché scontento del salario; sentito l'accaduto, un giovane di bell'aspetto, di nome Masetto da Lamporecchio, studiò come farsi assumere, ma temeva di non essere accolto perché troppo giovane e appariscente, allora si finse muto. Così fu assunto e dopo pochi giorni alcune monache dicevano di aver sentito che il piacere che potesse procurare
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