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Il '500 letteratura spagnola, Appunti di Letteratura Spagnola

Cinquecento nella letteratura spagnola

Tipologia: Appunti

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Caricato il 02/07/2019

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Scarica Il '500 letteratura spagnola e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! 05/12/2018 IL CINQUECENTO - SIGLO DE ORO (= SECOLO D’ORO PER LA STORIA DELLA SPAGNA): periodo che si sviluppa a partire dai primi anni del 500 a tutto il 600, e viene anche definito come "periodo aureo", con il quale si identifica appunto un periodo nel quale avvengono mutamenti positivi per la Spagna in diversi settori, tra i quali la letteratura e la politica. - PRIMI CHE PARLANO DI QUESTO PERIODO: furono gli illuministi [ILLUMINISMO = movimento politico, sociale, culturale e filosofico sviluppatosi intorno al XVIII secolo in Europa. Nacque in Inghilterra ma ebbe il suo massimo sviluppo in Francia, poi in tutta Europa e raggiunse anche l’America. Il termine illuminismo è passato a significare genericamente qualunque forma di pensiero che voglia “illuminare” la mente degli uomini, ottenebrata dall'ignoranza e dalla superstizione, servendosi della critica, della ragione e dell'apporto della scienza], i quali, guardando indietro ritengono il 500 come il secolo migliore, e sono loro stessi che cercano di fare le prime storie della letteratura, adorano il Rinascimento e il ritorno ai classici. - COSA RITENGONO ALTRI STUDIOSI: mediante studi politici ed economici ritengono che entrambi i secoli, 500 e 600, siano i periodi in cui la letteratura spagnola ha raggiunto livelli importanti. Questi due secoli coincidono con il periodo in cui regna la dinastia asburgica (Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia), e successivamente, Carlo V, mediante ereditarietà; il figlio, Filippo II, fu colui che riuscì a raggiungere livelli considerevoli come territori. - Durante questo periodo alcuni settori fiorirono e si svilupparono, tra i quali, la scrittura, il teatro, la pittura e la letteratura. - ARRIVATI AL 500: si copia una parola, “novella”, che non significa però romanzo, ma bensì una narrazione breve; uno dei massimi esponenti della novella italiana è Matteo Vandello, il quale sarà fonte di ispirazione per Miguel De Cervantes, una delle principali figure (se non la principale) di questo periodo. Ma Vandello non fu l'unica fonte italiana di ispirazione per la letteratura spagnola, ma bensì anche le opere del Petrarca rappresentarono fonte di creatività per gli scrittori spagnoli come Garcilaso de La Vegas Juan Buscàn. Quest’ultimo porta in Spagna la metrica relativa alla poesia rinascimentale italiana. - ALL’INTERNO DI QUESTO PERIODO: si svilupparono anche diversi altri genere come quello naturalistico ma soprattutto furono le teorie umanistiche a prendere il sopravvento grazie anche a scrittori del calibro di Antonio de Torquemada, Lopez de Mendoza e Luis Zapata. - VANDELLO: rappresentò una grande fonte d'ispirazione per gli scrittori spagnoli e, quando cominciarono ad arrivare le sue opere in Spagna, nacquero anche vari tipi di romanzi quali sentimentale, pastorale, cavalleresco e cortesiano. 1. ROMANZO SENTIMENTALE (TRASPOSIZIONE IN PROSA DEL MONDO DELLA POESIA CORTESE):si sviluppa tra il 400 e il 500 e l'opera più importante è Carcèr de Amor (1492) scritta da Diego de San Pedro. E' un genere che ha molto successo nel pubblico cortigiano ed è rivolto a un pubblico femminile; viene spesso letto anche come manuale d’amore. 1 2. ROMANZO CAVALLERESCO (TRASPOSIZIONE IN PROSA DEL MONDO DELLA POESIA CORTESE) [L’amore cortese (AMORE CORTESE = La lirica d’amor cortese apparve per la prima volta, nel corso del XII sec, nelle liriche dei trovatori provenzali, per poi affermarsi con successo nella letteratura in lingua d'oil del nord della Francia. Quanto più la vita cavalleresco-cortese si viene ingentilendo, tanto più viene maturando il nuovo ideale dell'amore. L'amore è sentito come un superiore principio che educa e affina l'anima, come stimolo alla perfezione dell'uomo, come fonte di ogni bontà e bellezza) è un amore segue un modello anticonformista per l’epoca, poiché è sempre vissuto al di fuori del matrimonio: c’è sempre una donna sposata di cui “immoralmente” si innamora il cavaliere, che spesso muore prima di conquistarla. Il cavaliere che ama la donna è colui che fa spesso parte dell’esercito di un signore o del re, era un signore che combatteva a cavallo inizialmente, mentre nel medioevo diventano cavalieri quasi tutti i figli dei nobili tranne il primogenito, che ereditava tutto dai genitori e diventava vassallo, mentre gli altri non avevano un terreno in eredità, perciò per vivere dovevano combattere. Quindi il cavaliere è nobile. Il cavaliere di ventura è quello che non è legato a nessuno signore, parte all’avventura e compie le sue gesta sotto diversi signori. Il termine “donna” deriva dalla poesia lirica cortese, dal latino domina=padrona, nelle famiglie romane era quella che aveva le ancelle a suo servizio perché nobile. Nell’amore cortese si vede proprio il suo ruolo di dominio, perché gestisce la relazione chiedendo al cavaliere di compiere delle imprese. La donna può anche rifiutare a lungo il cavaliere, ma egli continuerà a fare tutto ciò che ella le chiede. Il marito, se scopriva i due amanti, li uccideva. Nonostante la fedeltà tra i valori da seguire, nel romanzo cavalleresco manca tra la donna e il marito: essendo matrimoni combinati, soprattutto quelli tra nobili, non c’era quasi mai amori, perciò le infedeltà reciproche non erano considerate tradimenti; gli uomini tradivano molto, era una cosa molto comune tanto che non era posto come problema dalla letteratura, mentre la donna non poteva. Con il romanzo cavalleresco nasce questa possibilità per la donna di trovare il vero amore al di fuori del matrimonio. L’idea era che l’amore dovesse essere dimostrato dal cavaliere. Questa tipologia di amore dimostra un miglioramento della condizione femminile nobiliare, classe stretta, perché prima si parlava della donna come porta del diavolo, la tentatrice che portava l’uomo al peccato, era la rappresentazione del male sulla terra nella cultura popolare. (Adamo ed Eva, Eva tenta al peccato Adamo dal punto di vista erotico, che cede al peccato) Grazie all’amore cortese, la donna diventa colei che merita di essere amata, è sempre però l’oggetto dell’amore, mai la protagonista, il soggetto, le liriche sono sempre dall’amato]: nasce intorno alla metà del 500 e con questo genere si identificano quelle opere autobiografiche in prima persona in cui l'autore racconta le proprie avventure, nelle quali è spesso portato a compiere atti ingiusti, come rubare o uccidere per sopravvivere. E l'opera più importante di questo genere è il “Don Chisciotte Della Mancia” di Miguel De Cervantes. Il romanzo cavalleresco era disprezzato dalla critica soprattutto per la sua bassa qualità morale. 3. ROMANZO PASTORALE: romanzi in cui troviamo prosa e verso assieme, e i protagonisti sono pastori letterati impegnati nei loro cantici amorosi. Nella metà del 500 arriva il romanzo greco-bizantino con storie avventurose, ispirate al 2 c. SUE PAROLE: delineano un essere umano libero e con una capacità di conoscenza illimitata d. UOMO: può trasformare se stesso, elevarsi o distruggersi. È il 1° momento della sua solitudine. Dio è il creatore, ma l’uomo ha la libertà di raggiungere con le proprie forze un posto nel mondo [FERNÁN PÉREZ DE OLIVA: “ha la libertà di essere ciò che vuole”]. 4 secoli più tardi, resterà radicalmente solo - in una forma del suo pensiero - senza Dio, davanti all’assurdità della propria esistenza. Egli si modella e si trasforma in un oggetto di ammirazione. “Chi non ammira quest’uomo il quale, non senza ragione, nei libri sacri cristiani e in quelli di Mosè è segnalato ora con la denominazione di tutta carne, ora con quella di tutta creatura, quando lui stesso si modella, crea e trasforma se stesso secondo l’aspetto di tutta la carne e l’ingegno di tutta creatura?” (dall’Oratio di Pico della Mirandola) - RAPPORTO CON DIO: inizia con la conoscenza di se stessi (introspezione che porterà l’uomo alla divinità o all’espressione dei suoi sentimenti in una nuova dorma lirica che si imporrà come modello nel futuro) - ESSERE UMANO: si perfeziona grazie alla conoscenza e nel sapere occupano un posto privilegiato le arti liberali - UOMO (CREATO DA DIO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA): ha l’anima simile a Dio e il corpo simile al mondo [FERNÁN PÉREZ DE OLIVA: “è l’uomo un piccolo mondo compiuto dalla perfezione di tutte le cose”, ossia un microcosmo (MICROCOSMO = in filosofia, l'uomo concepito come un mondo organizzato in sé, specchio dell'universo fisico e cioè del macrocosmo (MACROCOSMO = l’universo fisico inteso nella sua totalità), a cui è contrapposto; il complesso delle strutture infinitamente piccole costituenti la materia (atomi, molecole ecc.); insieme, ambito limitato e ristretto, che è specchio di un organismo più vasto; piccolo ambiente di interessi limitati e ristretti)] - FERNÁN PÉREZ DE OLIVA (umanista cordobese): nel suo Diálogo de la dignidad del hombre (pubblicato postumo nel 1546, l’autore infatti è morto nel 1531) raccoglie in un’intelligente sintesi il pensiero medievale, ma anche quello umanistico, in una forma letteraria (= il dialogo), che si impone in questo periodo come forma di espressione artistica (in lingua romanza). La difesa che fa Antonio, uno dei due personaggi, della dignità dell’uomo, poggia sulla struttura del discorso precedente dell’interlocutore Aurelio, che cerca inutilmente di dimostrare la miseria e la fatica della propria vita. Li unisce solo l’elogio delle lettere. Per Aurelio non si mantengono neanche i grandi uomini, solo “altri uomini finti, che hanno fatto al loro posto con favole i poeti”. Antonio, nell’elogio della ragione dell’uomo, dice come “trovò il gran miracolo delle lettere, che ci danno facoltà di parlare con gli assenti e di ascoltare ora dai saggi passati le cose che dissero” - SAPERE COME REQUISITO INDISPENSABILE DELL’UOMO RINASCIMENTALE, DEL CORTIGIANO, PROTOTIPO DEL PROFILO LETTERARIO DATOGLI DA BALDESAR CASTIGLIONE [BALDESAR CASTIGLIONE = è stato un umanista, letterato, diplomatico e militare italiano, al servizio dello Stato della Chiesa, del Marchesato di Mantova e del Ducato di Urbino.La sua prosa è considerata una delle più alte espressioni del Rinascimento italiano. Soggiornò in molte corti, tra cui quella di Francesco II Gonzaga a Mantova, quella di Guidobaldo da 5 Montefeltro a Urbino e quella di Ludovico il Moro a Milano. Al tempo del sacco di Roma fu nunzio apostolico per papa Clemente VII. La sua opera più famosa è Il Cortegiano, pubblicato a Venezia nel 1528, e ambientato presso la corte d'Urbino, ma scritto solo in seguito al soggiorno in quest'ultima. Si tratta della trattazione, in forma dialogata, di quali siano gli atteggiamenti più consoni a un uomo di corte e a una “dama di palazzo”, dei quali l'autore riporta raffinate ed equilibrate conversazioni che immagina si tengano durante serate di festa alla corte dei Montefeltro, attorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga, Carlo V lo dichiara miglior cavaliere del mondo] - PRIMA DEL SAPERE: si dovrà trasmettere l’insegnamento, base di ogni cultura - LORENZO VALLA: in Italia inizia una lotta in difesa del latino e contro i barbari, gli scolastici medievali, che volevano fare dell’eloquentia (grammatica, retorica, filologia) il nucleo di ogni cultura. - MEDIOEVO [MEDIOEVO = è una delle quattro grandi età storiche (antica, medievale, moderna e contemporanea) in cui viene tradizionalmente suddivisa la storia dell’Europa nella storiografia moderna. Comprende il periodo dal V secolo al XV secolo. Segue la Caduta dell’impero romano d’Occidente nel 476 d.C. e precede l’Età moderna. Il termine "Medioevo" compare per la prima volta nel XV secolo in latino e riflette l'opinione dei contemporanei, per cui tale periodo avrebbe rappresentato una deviazione dalla cultura classica, in opposizione al Rinascimento. Medioevo, da una nuova fase di accentramento dei poteri a livello nazionale. Cruciale in questa organizzazione fu la struttura feudale che, se da un lato permetteva una certa stabilità grazie all'organizzazione continentale del sistema, non fu mai sufficientemente forte da togliere completamente autonomia alle realtà locali, che così poterono gestire la transizione tra l'uniformità dell’Impero romano e la nascita degli stati nazionali. Contemporaneamente allo sforzo per la creazione di stati nazionali, nell'Italia centrosettentrionale e in alcuni centri commerciali d'Europa si assiste invece all'emancipazione dall'Impero romano tramite i Comuni, città o paesi indipendenti, a regime repubblicano, che si contrappongono al concetto in formazione di monarchia nazionale, sino alla loro trasformazione, in Italia, in signorie cittadine e poi in stati regionali, ambienti in cui sorgerà il Rinascimento. Una realtà in grado di dare uniformità al panorama europeo fu la comune radice religiosa basata sul Cristianesimo, ereditata dall'ultimo periodo romano e proseguita fino all’XI secolo con la separazione della Chiesa ortodossa dalla Chiesa cattolica nel 1054. Questa radice comune portò da un lato a una commistione tra potere temporale e religioso che permise dei momenti di identità come nel caso delle crociate e persistette, non senza conflitti, anche oltre la Riforma protestante. In ambito filosofico, il Medioevo si caratterizza per una grande fiducia nella ragione umana, che si esprime nella corrente della scolastica, il cui maggior esponente è Tommaso d’Aquino. La crisi di questa corrente filosofica, nel XIV secolo, con autori come Duns Scoto e soprattutto Guglielmo di Ockham, fu segnata da un crollo di fiducia nella ragione e da un conseguente crescente fideismo, portando quindi alla fine del pensiero medievale e alla nascita del pensiero moderno. L'Umanesimo e il Rinascimento furono dei poderosi tentativi di rispondere a tale crisi, proponendo quale modello gli “antichi”, come risposta al crollo di fiducia nella ragione umana. Come è stato ben spiegato da diversi storici, come Régine Pernoud, gli 6 Umanisti finirono per attribuire all'intero Medioevo quei caratteri di debolezza della ragione e di fideismo che ne caratterizzano, al contrario, proprio la crisi]: non si era cimentato nella lettura dei poeti classici - UMANESIMO [UMANESIMO RINASCIMENTALE= si intende quel movimento culturale, ispirato da Francesco Petrarca e in parte da Giovanni Boccaccio, volto alla riscoperta dei classici latini e greci nella loro storicità e non più nella loro interpretazione allegorica, inserendo quindi anche usanze e credenze dell’antichità nella loro quotidianità tramite i quali poter avviare una "rinascita" della cultura europea dopo i “secoli bui” (SECOLI BUI = Nella storia europea, con il termine Secoli bui ci si riferisce al periodo iniziale del Medioevo, ovvero l’Alto medioevo (ALTO MEDIOEVO = parte del Medioevo che va dalla caduta dell’impero romano d’Occidente, avvenuta nel 476, all'anno 1000 circa (o 1066). A seconda dell'impostazione storiografica, il primo secolo, o secolo e mezzo, di tale periodo, si può talvolta sovrapporre al periodo precedente della tarda antichità, mentre l'ultimo secolo a quello successivo del Basso Medioevo (o, per altri storici, a quello del Pieno Meidioevo)), che abbraccia all'incirca gli anni dal 476 al 100 dopo Cristo. L'esatto intervallo temporale considerato varia da studioso a studioso a seconda della scuola di pensiero cui appartiene. Il concetto di Secoli bui risale a Francesco Petrarca nel XIV secolo e fu originariamente inteso come una controversia radicale riguardante il carattere della letteratura latina moderna) del Medioevo. L'umanesimo petrarchesco, fortemente intriso di neoplatonismo e tendente alla conoscenza dell'anima umana, si diffuse in ogni area della penisola (con l'eccezione del Piemonte sabaudo), determinando di conseguenza l'accentuazione di un aspetto della classicità a seconda delle necessità dei “protettori” degli umanisti stessi, vale a dire dei vari governanti. Nel giro del XV secolo, gli umanisti dei vari Stati italiani incominciarono a mantenere forti legami epistolari fra di loro, aggiornandosi riguardo alle scoperte compiute nelle varie biblioteche capitolari o claustrali d’Europa, permettendo alla cultura occidentale la riscoperta di autori e opere fino ad allora sconosciuti. Per avvalorare l'autenticità e la natura dei manoscritti ritrovati, gli umanisti, sempre sulla scia di Petrarca, favorirono la nascita della moderna filologia, scienza intesa a verificare la natura dei codici contenenti le opere degli antichi e determinarne la natura (cioè l'epoca in cui quel codice di pino fu trascritto, la provenienza, gli errori contenuti con cui poter effettuare delle comparazioni con delle varianti). Dal punto di vista delle aree d'interesse in cui alcuni umanisti si concentrarono maggiormente rispetto ad altre, poi, si possono ricordare le varie “ramificazioni” dell'umanesimo, passando dall'umanesimo filologico all'umanesimo filosofico. L'umanesimo, che trovò le sue basi nelle riflessioni dei filosofi greci sull'esistenza umana e in alcune opere tratte anche dal teatro ellenico, si avvalse anche dell'apporto della letteratura filosofica romana, in primis Cicerone e poi Seneca. Benché l'umanesimo propriamente detto sia stato quello italiano e poi europeo che si diffuse nel XV e in buona parte del XVI secolo (fino alla Controriforma), alcuni storici della filosofia utilizzarono questo termine anche per esprimere certe manifestazioni del pensiero all'interno del XIX e del XX secolo. Il termine “umanesimo” fu coniato nel 1808 dal pedagogista tedesco Friedrich Immanuel Neithammer 7 l. GÓNGORA: 1. LA DULCE BOCA QUE A GUSTAR CONVIDA (sonetto): amore armato di veleno nella della dama, “tra un labbro e l’altro purpureo”, “come tra fior e fior serpe nascosta”, sta imitando Virgilio, il latet anguis in herba, “la serpe è nascosta nell’erba” (egloga II). 2. AL TRONCO FILIS DE UN RAUEL SAGRADO: Le labbra sono fiori, sono garofani: “ Petali di garofano, che aveva unito I il silenzio in un labbro e l’altro bello” (metafora fossilizzata da un linguaggio letterario che esige anche il dominio della retorica) 3. IMITAZIONE COMPOSITA: si deve “nutrire” di molti fiori, non solo uno, in quanto ciò porterebbe a una rozza imitazione m. AI GRANDI SCRITTORI ANTICHI BISOGNA AGGIUNGERE QUELLI ITALIANI n. GARCILASO: dopo le annotazioni del Brocense (1574) e di Herrera (1580) sarà l’autorità in Spagna, il poeta classico da imitare o. HERRERA: cosciente di appartenere ad una generazione che possedeva una lingua letteraria più ricca e che era avanzata nella conoscenza dell’arte dell’eloquenza, oserà segnalare gli errori in Garcilaso, affinché i suoi imitatori non li ripetano p. ROMANTICISMO (ROMANTICISMO = Movimento culturale, sorto in Germania alla fine del sec. XVIII e diffusosi in tutta Europa, che, di contro al razionalismo classicista e illuminista, esaltava il sentimento, la fantasia, la spiritualità, l'originalità creativa mentre, sul terreno politico, formulava i concetti di nazione e di indipendenza nazionale; connotazione romantica di autori e opere): si impone l’originalità come meta cui aspirare q. ETÀ D’ORO [SIGLO DE ORO = va dalla nascita dell’Impero spagnolo nel 1556 con Filippo II alla metà del Seicento, e corrisponde al periodo della maggior gloria politica e militare della Spagna. Il Rinascimento si contraddistinse come un periodo di grande slancio culturale ed innovazione, in linea con tutta l’Europa occidentale. Importante anche in Spagna fu la corrente dell'Umanesimo (Humanismo) che rappresentò l'ideale di un homo copula mundi, ovvero uomo al centro del mondo (in spagnolo punto de arranque), visto sempre però come ad immagine e somiglianza di Dio: il periodo non fu infatti laico. Le maggiori espressioni culturali in Spagna si ebbero nel campo letterario, in prosa, poesia, teatro. Sopravvissero nel periodo generi come i racconti cavallereschi e pastorali, ma se ne affermarono di nuovi, fortemente ispirati e legati alla cultura ì iberica, come la novela morisca, racconti relativi allo scontro con i mori, o la novela picaresca, dove protagonista è il “picaro”, nuova figura della società spagnola dei tempi, che grazie ai propri espedienti e malizie riusciva nell'ascesa sociale. Il secolo successivo, più importante dal punto di vista artistico rispetto al 1500, è invece il Barocco. Fu un periodo di grande progresso scientifico-tecnico per l'Europa in genere, non lo fu però per la Spagna, che si ritrovò perciò in difetto in questo campo rispetto agli altri paesi, e visse un secolo di flessione economica dopo il forte avanzamento di un secolo prima. Gli effetti della Controriforma si fecero sentire particolarmente in Spagna, da sempre cattolicissima e baluardo della Cristianità. Pur essendo appunto un periodo di crisi sociale e difficoltà, l'arte non venne comunque meno nel periodo. Anche nel Barocco è la letteratura a prevalere, ma cresce 10 l'importanza della pittura, ispirata ai motivi della difficile vita quotidiana e pervasa da visioni di sogno e caos, all'insegna ad ogni modo di un maturo disincanto. A livello letterario il periodo vide il deciso affermarsi del sonetto (soneto) come schema poetico più frequente ed apprezzato. I temi seguiti rimasero in parte i classici petrarchiani, ma risentirono anche della condizione della Spagna a quei tempi: vi si riflettono perciò ancora diffuso pessimismo e spregiudicatezza. Tra i sonettisti più famosi ricordiamo Félix Lope de Vega, Francisco de Quevedo e Miguel de Cervantes. Importantissimo anche il teatro: mentre permangono e si distinguono sempre più i generi teatrali nati nel secolo precedente, il teatro estudiantil, cortesano, popular, assistiamo ad una vera e propria rivoluzione dei canoni tradizionali ad opera di Lope De Vega, che per questo potrebbe essere messo in relazione a Carlo Goldoni. Tra i cambiamenti principali nel modo di scrivere piezas abbiamo una crescente importanza della connotazione psicologica dei personaggi, il passaggio da cinque a tre atti, opere in cui è presente una mescolanza tra comicità e tragicità (anche se a livello diverso dalle bitter comedies di Shakespeare), l'importanza data agli stacchi, con funzione distensiva-esplicativa, e la relativa nascita di quello che potremmo chiamare un sottogenere, il paso, ovvero la scrittura di un intermezzo recitativo con le caratteristiche di sopra da inserire nelle opere, il definirsi di nuovi tipi fissi, o meglio stereotipi sociali nel caso, molto cari alla cultura spagnola, come la figura del gracioso, del galán, del savio e altre. Nel teatro ha molta importanza la figura del Don Juan: un'opera con protagonista questo personaggio fu El Burlador De Sevilla attribuito a Tirso de Molina, ma le cui ricerche oggi tendono ad attribuirlo ad Andrés de Claramonte. Il tema conobbe molta fortuna nel periodo e riscontrò grande successo fino al romanticismo, seppur con sempre nuove caratteristiche. Altro genere affermatosi in questo periodo, a testimoniare nuovamente la grandezza della letteratura spagnola, fu il cosiddetto auto sacramental, un'opera di stampo allegorico-religioso adatta anche al popolo e non solo alle élite acculturate. Grandi autori del periodo, oltre ai già citati, furono Miguel de Cervantes e Pedro Calderón de La Barca. LETTERATURA: La Spagna ha prodotto nella sua età classica alcuni generi letterari caratteristici che furono molto influenti nello sviluppo successivo della Letteratura Universale e in tutti i campi della scienza. Nell'estetica, fu fondamentale la nascita di un realismo come contropartita critica all'eccessivo idealismo del Rinascimento: si creano generi naturalisti come la (Tragicomedia de Calisto y Melibea di Fernando de Rojas, Segunda Celestina di Feliciano de Silva, etc.), la novella picaresca (Lazarillo de Tormes di Anonimo, Guzmán de Alfarache, di Mateo Alemán, Estebanillo González), la novella polifonica moderna (Donna Fernanda), che Cervantes definì escritura desatada. Questo corrisponde ad una successiva divulgazione letteraria della conoscenza umanista, attraverso i generi popolari tradotti in tutta Europa, e di cui sono autori più importanti Pero Mexía, Luis Zapata, Antonio de Torquemada, e così via. Questa tendenza classicista corrisponde anche alla formula della nuova commedia creata da Lope de Vega e divulgata tramite la sua opera Arte nuevo de hacer comedias en este tiempo (1609). Un'esplosione di creatività senza precedenti accompagnò Lope de Vega e i suoi discepoli che, come lui, ripristinarono l'utilizzo delle unità aristoteliche di azione, tempo e luogo. Tutti gli autori d'Europa si riferirono al teatro classico spagnolo del Siglo 11 de Oro in cerca di argomenti e di una ricca collezione di temi e strutture moderne. POESIA: La Spagna sperimentò una grande ondata di inglesismo che invase la letteratura e le arti plastiche durante il secolo XVI e che è uno dei tratti tipici del Rinascimento. Garcilaso de la Vega, Juan Boscán e Diego Hurtado de Mendoza introdussero in Spagna il verso endecasillabo italiano e temi propri del Petrarchismo. Boscán scrisse il manifesto della nuova scuola nella Epístola a la duquesa de Soma e tradusse El cortesano di Baldassarre Castiglione in perfetta prosa castigliana. Contro di loro si levarono nazionalisti come Cristóbal de Castillejo o Fray Ambrosio Montesino, che parteggiavano per l'ottosillabo ottonario, e delle coplas in castigliano, ma comunque rinascimentali. Nella seconda metà del secolo XVI entrambe le tendenze coesistevano, si sviluppò l'ascetica e la mistica, raggiungendo le alte rappresentazioni di San Juan de la Cruz, Santa Teresa e Fray Luis de León. Il petrarchismo continuò a essere coltivato da autori come Fernando de Herrera, e da un gruppo di giovani nuovi autori si cominciò a creare un Romancero nuovo, a volte con temi moreschi: Lope de Vega, Luis de Góngora e Miguel de Cervantes. Il miglior poema di epica colta in lingua spagnola fu composto da Alonso de Ercilla, La Araucana, che narra la conquista del Cile da parte degli spagnoli, e, tra le figure eccezionali della lirica figurano poeti come Francisco de Aldana, Andrés Fernández de Andrada, i fratelli Bartolomé e Lupercio Leonardo de Argensola, Francisco De Rioja, Rodrigo Caro, Baltasar del Alcázar e Bernardo de Balbuena. Posteriormente, durante il secolo XVII, l'espressione letteraria fu dominata dai movimenti estetici del concettismo e del culteranesimo, il primo nella poesia di Francisco de Quevedo, il secondo nella lirica di Luis de Góngora. Il concettismo si distinse per l'economia della forma, al fine di esprimere il massimo significato con il minimo delle parole. Questa complessità si manifestava in paradossi ed ellissi. Il culteranesimo, al contrario, estendeva la forma da un significato minimo e si distinse per la complessità sintattica, per l'uso dell'iperbole, che rende molto difficile la lettura, e per la profusione di elementi ornamentali e colti nel poema, che dovevano decifrarsi come un enigma. Entrambi sembrano comunque le facce di una stessa moneta che cercava di raffinare l'espressione per renderla più difficile e cortigiana. Luis de Góngora attrasse al suo stile poeti di notevole personalità, come il Conde de Villamediana, Gabriel Bocángel, suor Juana Inés de la Cruz o Juan de Jáuregui, mentre il concettismo ebbe seguaci più moderati, come il Conde de Salinas o imbevuti di colta castità, come Lope de Vega o Bernardino de Rebolledo]: lo scrittore non pretende di essere originale, come il baco da seta che elabora i suoi fili creandoli da sé, ma come ape imitatrice, che presuppone aver letto i classici e, pertanto, conoscere il latino; deve essere dotto 1. RIMEDIO A QUESTA ESIGENZA: nascono le compilazioni di rimandi, di citazioni, come quella popolare di Ravisio Textor. La differenza tra un bravo scrittore e uno mediocre consiste nel saper rivestire il proprio sentimento di materiale altrui, nel saperlo trasformare in miele, in bellezza, in novità 12 rinascimentale, che coinvolse non solo le tattiche di cavalleria, bensì anche le nuove strategie adoperate dalla fanteria di picchieri svizzeri, che ora si trovavano a fronteggiare la nuova minaccia dei pezzi d'artiglieria. Infatti l'uso delle bombarde, ora montate su affusti e ruote, era ora possibile anche nelle battaglie campali e non solo negli assedi, e le armi da fuoco individuali, gli archibugi, venivano usati da archibugieri professionisti, che, organizzati in reparti autonomi, avevano un ruolo indipendente sul campo di battaglia da quello degli altri reparti. A Pavia gli archibugieri furono in effetti circa 1500. A seguito della sconfitta delle truppe imperiali di Carlo V in Provenza nel 1523, il re di Francia, Francesco I, voleva sfruttare il vantaggio per tentare di riprendersi Milano, perduta nel 1521 dove gli spagnoli avevano insediato Francesco II Sforza. Alla fine di ottobre del 1524, Milano cadde in mano dei Francesi; gli imperiali, troppo inferiori di numero, si ritirarono a Lodi, lasciando però una guarnigione di circa 6.000 uomini a Pavia agli ordini di Antonio di Leyva. L'antica capitale dei Longobardi era la seconda città del Ducato e occupava una importante posizione strategica. Le difese della città resistettero ai primi assalti dei francesi che furono costretti a organizzare un vero e proprio assedio alla città a partire dal 27 ottobre 1524. Il grosso delle truppe di Francesco I si dispose nella zona a ovest della città, nei pressi di San Lanfranco, mentre le fanterie mercenarie svizzere e nuclei di cavalieri si acquartierarono a est di Pavia. La situazione rimase in stallo fino all'arrivo, all'inizio di febbraio del 1525, di circa 22.000 uomini agli ordini di Carlo di Lannoy, viceré di Napoli, di Carlo di Borbone e di Fernando Francesco d'Avalos, marchese di Pescara che vennero in aiuto degli assediati. L'esercito si accampò nella zona est di Pavia di fronte alle truppe francesi e per tre settimane i due eserciti si fronteggiarono trincerati nelle zone dell'attuale Parco della Vernavola a Mirabello. La notte fra il 23 e il 24 febbraio, parte dell'esercito spagnolo passa all'azione, guidato dal Conestabile francese Carlo di Bourbon che si era distinto al fianco di Francesco I in occasione della battaglia di Marignano nel 1515, ma che in seguito era passato in campo avverso. I guastatori imperiali, al comando di Galzerano Scala, aprirono una breccia nella cinta del Parco presso la località Due Porte di San Genesio, e sorpresero inizialmente le linee francesi.Francesco I e i capi francesi furono sorpresi dall'inattesa azione nemica, ma reagirono rapidamente e schierarono il loro esercito per la battaglia; dopo aver lasciato negli accampamenti e contro la città 6.000 soldati, tra cui le cosiddette "bande nere" italiane, il re prese il comando della sua famosa cavalleria pesante e si diresse sull'ala sinistra per affrontare direttamente la cavalleria imperiale. Una parte dei picchieri svizzeri e i mercenari tedeschi presero posizione al centro; il grosso della fanteria svizzera venne in un primo momento lasciato in seconda linea raggruppato in formazione serrata; sull'ala destra i francesi misero rapidamente in azione la loro potente artiglieria. Al comando del famoso Galiot de Genouillac, i cannoni francesi aprirono il fuoco con grande efficacia contro i quadrati dei picchieri lanzichenecchi che subirono pesanti perdite; le fonti riferiscono particolari macabri sul micidiale effetto del tiro dell'artiglieria sulle dense file dei mercenari lanzichenecchi. Mentre sui fanti tedeschi si abbatteva il bombardamento, la cavalleria leggera francese con un'abile mossa riuscì a mettere fuori uso l'artiglieria spagnola che si stava ancora schierando sul campo. A questo punto Francesco I compì l'errore di disperdere le sue forze. Sul far dell'alba, lanciò la 15 propria cavalleria pesante contro la cavalleria spagnola disposta alla sinistra dello schieramento. Il re francese, secondo schemi puramente medievali, si pose davanti ai suoi cavalieri e cercò di vincere la battaglia con onore e gloria. In realtà lo stesso Francesco I con tutta la cavalleria pesante passò davanti alla propria artiglieria impedendole così di aprire il fuoco sulle formazioni imperiali e, nonostante un iniziale successo, si espose al contrattacco del nemico. Ferdinando d'Avalos fece muovere 1.500 archibugieri spagnoli che si schierarono al riparo di un bosco e aprirono il fuoco sul fianco destro della cavalleria pesante francese con effetti devastanti. Sotto il fuoco degli archibugieri spagnoli organizzati secondo il famoso sistema del Tercio, i cavalieri francesi subirono perdite elevatissime; i superstiti vennero attaccati dalla cavalleria leggera imperiale mentre la fanteria spagnola si avvicinava per completare la vittoria. La cavalleria pesante francese venne distrutta; i cavalieri rimasti appiedati vennero annientati all'arma bianca dalla fanteria con colpi di pugnale al collo, nella giunzione tra elmo e corazza, o attraverso le piccole fessure della celata dell'elmo. Gli archibugieri spagnoli, invece, impiegarono le loro armi da fuoco colpendo a distanza ravvicinata, in molti casi facendo partire il colpo direttamente dentro l'armatura dei cavalieri dopo aver sistemato l'archibugio attraverso la cotta. I principali comandanti del re Francesco I caddero in questa fase della battaglia; Louis de la Trémoille venne ucciso da un colpo ravvicinato di archibugio, mentre La Palice morì per ferite da pugnale. I cavalieri francesi assieme al re si ritrovarono disorientati e circondati dalla cavalleria e dagli archibugieri nemici. In poco tempo la possente e coraggiosa cavalleria francese fu annientata. Francesco I continuò a combattere strenuamente nonostante fosse stato appiedato da una archibugiata dell'italiano Cesare Hercolani, fu salvato dalla morte e catturato dal viceré di Napoli Carlo di Lannoy che combatteva con i suoi cavalieri "ispano-napoletani" a fianco di Carlo V. Mentre la cavalleria francese veniva annientata sull'ala sinistra, al centro dello schieramento i lanzichenecchi tedeschi dell'Impero combatterono una violenta e sanguinosa battaglia fratricida contro i 5.000 mercenari tedeschi di Francesco I, le cosiddette "bande nere tedesche"; dopo un aspro combattimento i lanzichenecchi dell'esperto e aggressivo Georg von Frundsberg ebbero la meglio e distrussero gran parte dei mercenari del re di Francia a colpi di picca e di alabarda. Dopo la vittoria i lanzichenecchi avanzarono e misero in pericolo l'artiglieria francese che venne in parte travolta e catturata. La battaglia si concluse sul fare della mattina del 24 febbraio. Il re francese, umiliato e sconfitto, venne deportato in Spagna, mentre sul campo si contavano circa 5.000 soldati francesi caduti.]: fa in modo di dare a Carlos II l’egemonia sull’Italia rispetto alla Francia 16 - GARCILASCO DE LA VEGA. a. (Toledo, 1501 o 1503 – Nizza, 1536) b. Nato in una nobile famiglia di Toledo entrò al servizio del re e imperatore Carlo V, che seguì nelle sue spedizioni militari. c. Già sposato si innamorò di Isabel Freire, damigella della moglie del re Isabella di Portogallo, ma il suo amore non fu corrisposto e lei si sposò con un altro. Isabel morì alcuni anni dopo. d. 1529: seguì il re in Italia, dove conobbe la cultura del Rinascimento, in particolare Francesco Petrarca e Ludovico Ariosto. Fu confinato per alcuni mesi su un'isola del Danubio per essere stato presente ad un matrimonio contro il volere dell’imperatore. Risiederà poi a Napoli. e. Partecipò alla spedizione contro la Tunisia e nel 1536 diresse l'assalto alla fortezza di Muy, in Provenza. f. Uno dei maggiori poeti della letteratura spagnola. g. Grande merito è quello di aver contribuito a diffondere in Spagna la nuova metrica italiana, come il sonetto, le ottave, il verso libero. I suoi versi armoniosi e musicali, di stile petrarchesco e in cui domina il tema amoroso, furono raccolti, dopo la sua morte, nel Canzoniere (1543), dall'amico poeta Juan Boscán. Scrisse anche delle odi in latino. h. Avvincente figura di poeta soldato (valoroso soldato), morì in seguito alle ferite riportate in Francia, durante la campagna militare contro Francesco I. i. Nella personalità di Garcilaso occorre notare due tratti importanti: da un lato l'assenza di risonanze belliche nelle sue opere, nonostante le sue esperienze nel campo; dall'altra un carattere essenzialmente laico. In Garcilaso troviamo riunite tutte le caratteristiche del buon cortigiano: valente nelle armi, cortese nelle relazioni sociali, profondo conoscitore della cultura classica, poeta colto e ispirato. j. POESIA DI GARCILASO DE LA VEGA: composta da 38 sonetti, 2 egloghe, 2 elegie, 5 canzoni, 1 epistola, 7 canzoni, 3 odi in Latino k. POESIA DI GARCILASO: è divisa dal suo soggiorno a Napoli (prima nel 1522-1523 e poi nel 1533). Prima di andare a Napoli la sua poesia non è caratterizzata da tratti petrarchisti, è a Napoli che scopre gli autori italiani. Dopo la sua permanenza sarà notevolmente influenzato sia da autori precedenti, come Francesco Petrarca, sia da autori contemporanei, come Jacopo Sannazaro, autore nel 1504 del l'Arcadia. Garcilaso farà suo il mondo di Arcadia, in cui suoni, colori ecc. invitano a riflettere anche attraverso i sentimenti. Anche Ludovico Ariosto influenza Garcilaso, da cui lo spagnolo prende il tema della follia in amore. l. È sempre in Italia che Garcilaso rafforza la sua classicità, concetto già appreso con gli umanisti spagnoli alla Corte, e riscopre Virgilio e le sue Bucoliche, Ovidio e la sua Metamorfosi e Orazio e le sue Odi, senza dimenticare altri autori greci che già studia. m. Influenza italiana (Petrarca, Sannazaro, Bembo, Aristo) n. Influenza classica (Virgilio, Orazio) o. La produzione lirica di Garcilaso de la Vega, la più alta espressione del rinascimento castigliano, divenne molto presto un riferimento essenziale per i poeti spagnoli, che da allora non poterono più ignorare la rivoluzione metrica 17 (“Storia della letteratura spagnola. Il Medioevo e l’Età d’oro”. Vedi da pag.198 a pag.200 fino a “LA NATURA”) L’AMORE - Tema del Cortegiano - Pietro Bembo, come personaggio, per ordine della duchessa, dimostra come il vecchio cortigiano può essere innamorato e tratta “questa materia di amar gentilmente” - PLATONE: l’amore è desiderio di “godere di ciò che è bello” - DIÁLOGOS DE AMOR DE LEÓN HEBREO E GLI ASOLANI DI BEMBO: sviluppano questa nuova forma di relazione amorosa che diventerà la base dell’”argumento de amor” (parole di Herrera), tema centrale della nuova poesia e di alcune forme narrative appena nate, come quella bucolica. - GODIMENTO PLATONICO DELLA BELLEZZA FEMMINILE: sarà un 1° passo nel cammino della comunicazione con la divinità - BELLEZZA: a. È “un bene che emana dalla bontà divina” b. “Si diffonde su tutte le cose creare come la luce del sole” c. Si mostra in particolar modo su un viso armonioso, proporzionato, ben fatto, che attrae gli occhi che lo vedono, si imprime nell’anima di chi lo guarda e fa scaturire il desiderio di godere di tale bellezza: è l’amore - PRESENZA DELL’AMATA: provoca il processo che Garcilaso trasforma in verso nel sonetto VIII: “Di quella vista pura ed eccellente escono vivi spiriti ed accesi che essendo dai miei occhi recepiti, mi trapassano fin dove il mal si sente; trovano il cammino facilmente da dove i miei, da un tal calore mossi fuori da me escono smarriti, chiamati da quel bene ch’è presente” - CASTIGLIONE: definisce tali spiriti come “sottilissimi vapori fatti con la stessa pura e chiara parte del sangue che si trova nel nostro corpo, e ricevono in sé l’immagine della bellezza e la formano con mille ornamenti e meraviglie in modi diversi” - DAMA NON PRESENTE: sorge il dolore insopportabile, il vivere morendo, causa del lamento costante dell’”io” poetico - GARCILASO: nelle terzine trasforma in endecasillabi (ENDECASILLABO = Nella metrica italiana, verso di undici sillabe metriche con accento fisso sulla decima || e. tronco, di dieci sillabe, con parola finale tronca o monosillabica | e. sdrucciolo, di dodici sillabe, con parola finale sdrucciola | e. sciolti, quelli che non rimano tra loro) e in sentimenti la prosa teorica di Castiglione: “Assente, nella memoria la rivedo; i miei spiriti, pensano di vederla, si muovono e si accendono scomposti; 20 ma non trovando facile il cammino, che entrando i suoi avena ammorbidito, si frangono per uscir e non c’è uscita” - EVITARE IL TORMENTO DELL’ASSENZA: il cortigiano deve seguire il processo che conduce al godimento puro della bellezza, che si trova nella divinità. Contemplerà prima la sola bellezza per formarla nell’immaginazione; lì arriverà al concetto universale della bellezza, all’idea. Inizierà, allora, a rivolgersi a se stesso (processo di interiorizzazione) per contemplare la bellezza che si vede con gli occhi dell’anima, raggio della vera immagine della bellezza angelica, verso cui è diretto lo sguardo dell’anima “cieca con l’oscura notte delle cose terrene”. La vedrà elevarsi nella sua parte più nobile (PARTE PIÙ NOBILE = coscienza) e ne godrà quando sarà in grado di passare dalla conoscenza particolare a quella universale, dove l’anima si unirà con la natura angelica: è la unio del processo mistico - TEORIA AMOROSA: romanzata nella letteratura bucolica. a. PERSONAGGI: incarnano o parlano della casistica dell’amore b. 4° LIBRO DELLA DIANA DI JORGE DI MONTEMAYOR: i pastori, nelle loro conversazioni, riproducono frammenti dei Diálogos de amor di León Hebreo e Gil Polo, nella Diana enamorada, attingerà dagli Asolani 21 (“Storia della letteratura spagnola. Il Medioevo e l’Età d’oro”. Vedi da pag.200 a pag.201 fino a “IL RAPPORTO CON DIO”) LA NATURA - CONVERSAZIONI TRA PASTORI: avvengono in un luogo piacevole: “Seduti in un praticello, circondato di verdi salici”, come nella Diana di Montemayor - UOMO: scopre, nelle sue creazioni, un posto per la natura, ma essa apparirà sempre con le stesse caratteristiche: a. Prati verdi con fiori e uccellini b. Ruscelli e alberi che fanno ombra I nomi geografici cambieranno, ma gli elementi saranno sempre gli stessi, nell’universo bucolico e nella lirica - 3° LIBRO DELLA DIANA: si apre con le belle ninfe che camminano in un bosco fitto fino a che escono “su una bellissima valle, in mezzo alla quale scorreva un impetuoso ruscello, da una parte e dall’altra ornato da frondosi salici e ontani” - EGLOGA I DI GACILASO: Salicio si lamenta “Quando a pié d’un alto faggio Salicio sulla verde erba sdraiato lí dove un’acqua chiara risuonando attraversava il fresco e verde prato” - GARCILASO NELLA CANZONE III: descrive con gli stessi tratti il villaggio sul Danubio, vicino a Ratisbona, dove fu confinato dall’imperatore “Ove sempre primavera appare nel verde seminato di fiori; gli usignoli rinnovano il piacere o la tristezza con i loro dolci lamenti” - NATURA: stilizzata come cornice di dolori e lamenti amorosi diventati versi o incarnati in personaggi romanzeschi - UOMO: in un paesaggio gradevole, si trasforma in un “io” poetico che lamenta il proprio dolore. - DESIDERIO DELL’IRRAGGIUNGIBILE BELLEZZA DELLA DAMA: configura la sua introspezione (INTROSPEZIONE = Accurata analisi di se stessi, delle emozioni e delle motivazioni profonde dell’agire) - PAESAGGIO: testimone del dolore dell’”io” poetico e diventerà il muto interlocutore dei suoi lamenti 22 nazionali in cui le Scritture avrebbero potuto essere tradotte dividevamo e non univano la Cristianità. Secondo Erasmo da Rotterdam, il ritorno al cristianesimo originario si deve poi coniugare con una nuova educazione dell’uomo attraverso le bonae littarae (BONAE LITTARAE = La cultura classica). In altre parole, Erasmo si propone di costruire una società di uomini nuovi, di intellettuali, politici e prelati che, attraverso un ritorno alla natura razionale dell’uomo, potessero superare dispute e discordie. È nell’Elogio della Follia (1509), tuttavia, che sono contenute tutte le principali critiche di Erasmo da Rotterdam alla Chiesa cattolica poi riprese dai luterani. Già il titolo di questo volume è di difficile traduzione: chiamata in latino Encomium Moriae, la traduzione in italiano è certamente Elogio della follia, ma anche Elogio di More, cioè di quel Tommaso Moro, suo grande amico, filosofo e ministro del re inglese Enrico VIII (ENRICO VIII = Enrico VIII (1491-1547) fu re d’Inghilterra dal 1509 fino alla morte. Nel 1534 uscì dalla Chiesa di Roma e fondò la Chiesa anglicana, di cui si fece proclamare capo. Gli anglicani, tuttavia, non differiscono dal punto di vista dottrinale dalla Chiesa cattolica). Protagonista immaginaria di quest’opera è Follia – figlia di Pluto, dio della ricchezza, e della Giovinezza, ma allevata da Ebbrezza, figlia di Bacco (BACCO = Dio romano del vino), e dall’Ignoranza, figlia di Pan (PAN = Dio agreste, metà uomo e metà capro, capace di incutere paura agli uomini attraverso il suo terribile grido. Esso terrorizza chiunque lo sente: dal nome del dio, questa emozione è chiamata, ancora oggi, “panico”)– che espone tutte le bugie e le falsità per mezzo delle quali gli uomini nascondono il male del mondo. Attraverso le sue parole, Erasmo può così criticare la corruzione e l’immoralità del clero, i vizi del papato, la presunzione teologica e scolastica e la convinzione che alcuni segni esteriori di religiosità – puramente formali – siano sufficienti per guadagnarsi il Paradiso. Erasmo utilizza quindi la satira e il sarcasmo per mettere in mostra la decadenza morale della società del suo tempo, a partire dalla Chiesa. La morale del libro è che il mondo è dominato dalla follia: l’interpretazione di questa affermazione, però, non è semplice. Secondo Erasmo da Rotterdam, infatti, il rapporto tra follia e ragione è una relazione tra simili, come se una si specchiasse nell’altra. In questo senso, la Follia, nell’Elogio, non solo dice la verità sulla follia, ma anche sulla ragione. Le controversie tra Lutero ed Erasmo, che pure da parte del secondo registrarono sempre toni pacati ed equilibrati, si acuirono intorno al tema del libero arbitrio: secondo il primo, infatti, l’uomo non aveva la possibilità di scegliere tra il bene e il male ed era completamente dipendente dalla volontà di Dio; secondo Erasmo da Rotterdam, invece, rifiutare il libero arbitrio (LIBERO ARBITRIO = Il libero arbitrio è una concezione secondo la quale l’uomo determina il suo agire, senza che esso sia determinato da forze superiori) significava negare la dignità e il valore dell’uomo, cioè i principi stessi dell’Umanesimo a cui si ispirava. Come affermò nell’opera De libero arbitrio (1524), secondo Erasmo da Rotterdam l’uomo poteva, infatti, scegliere se salvarsi o dannarsi: la grazia divina è certamente la causa principale della salvezza, ma la libertà dell’uomo ne è la causa secondaria. La salvezza, dunque, non può che essere il risultato della collaborazione tra uomo e Dio. Fin dalle sue opere giovanili, è presente in tutti i 25 libri di Erasmo da Rotterdam un’appassionata difesa della pace: già nel 1486, infatti, scrisse «La guerra cambia gli uomini in bestie feroci. Io non esorto e non prego, imploro: cercate la pace». Le sue convinzioni pacifiste trovarono poi la forma più compiuta nell’opera Lamento della pace (1517), nella quale è la stessa personificazione della Pace a denunciare l’assurdità della guerra, cioè la più tragica tra le follie umane. Secondo l’umanista Erasmo, infatti, la guerra è un oltraggio alla ragione umana. Alla violenza e alla sopraffazione va sempre contrapposta l’arma della “ragione discorsiva”: la pace, quindi, non è solo assenza di guerra, ma anche esercizio di virtù morale. Dopo i primi anni, Erasmo da Rotterdam abbandonò la sua disputa con Lutero, pensando che essa fosse contraria ai suoi ideali di pace e di unità. Erasmo, infatti, desiderava una cristianità unita nel recupero dei più autentici valori cristiani, libera dagli odi teologici, aperta alla tolleranza. Nel 1534, pubblicò l’opera De sarcienda Ecclesiae concordia, nella quale manifestò non solo la sua lontananza dalla violenza protestante ma anche la sua fiducia nella possibilità di una riforma graduale e pacifica: l’idea di tolleranza rappresentava, così, il coronamento all’ideale umanistico di Erasmo da Rotterdam.]: artefice principale di una religiosità in grado di impregnare la cultura spagnola a. ENCHIRIDION MILITIS CHRISTIANI (1503): tradotto in spagnolo nel 1526 da Alonso Fenrnández de Madrid, arcidiacono di Alcor, e comporterà l’intensificarsi di un entusiasmo erasmiano durante gli anni Venti - 1527: una delegazione di teologi a Valladolid doveva analizzare l’ortodossia delle sue dottrine, ma un’epidemia di peste lasciò in sospeso qualsiasi possibile condanna della gerarchia ecclesiastica - ERASMO DA ROTTERDAM: ebbe un eccellente sostenitore in Spagna, Alfonso de Valdés, segretario dell’imperatore. - VIENNA 1532: fino alla sua morte, Erasmo godette della protezione delle autorità civili ed ecclesiastiche: l’inquisitore generale Manrique, per esempio, permise che si stampasse l’Enchiridion e che gli venisse dedicata la seconda ristampa. - DICEMBRE 1527: Valdés scrisse come segretario una lettera a Erasmo, in cui si diceva che “in sua presenza non si poteva determinare cosa alcuna con Erasmo, della cui intenzione cristiana era molto certo”. Lettera che venne riprodotta in tutte le edizioni spagnole dell’Enchiridion come garanzia della sua liceità. - REAZIONE ANTIERASMIANA: acquisirà forza a partire dalla morte di Alfonso de Valdés: quasi tutta l’opera di Erasmo figura nell’Indice dei libri proibiti dell’inquisitore Valdés nel 1559 - SUCCESSO ERASMISMO IN SPAGNA: considerato alla luce di un antecedente (= movimento di ritorno alle fonti del primitivo cristianesimo, promosso dal cardinale Cisneros). a. UNIVERSITÀ DI ALCALÁ: produce l’ingente Bibbia Poliglotta b. ENCHIRIDION: viene stampato nell’università di Alcalá, nelle tipografie di Miguel de Eguía. c. PARALLELAMENTE NEI MONASTERI FRANCESCANI: nascerà il movimento religioso degli “alumbrados”, con due correnti: 1. recogidos: ortodossi come Francisco de Ozuna 26 2. dejados: condannati per eresia come Isabel de la Cruz e Pedro Ruiz de Alcaraz - ERASMO NELL’ENCHIRIDION (significa “arma manuale”): parla delle armi necessarie per la guerra spirituale che il cristiano deve combattere: la preghiera e la parola di Dio - ERASMISMO: è un ritorno sia allo studio delle Sacre Scritture e degli scritti dei Padri della Chiesa (san Paolo, sant’Ambriogio, san Geronimio, sant’Agostino), sia ad un cristianesimo interiore: l’uomo deve conoscere se stesso e dialogare intimamente con Dio. La comunicazione con Lui non si stabilisce attraverso cerimonie esterne, vuote se non sono frutto di una riflessione, ma attraverso l’interiorizzazione. L’uomo si raccoglie per parlare autenticamente con Dio. Una massima di san Paolo esprime la dottrina erasmiana: siamo tutti membra del corpo mistico la cui testa è Cristo. Egli è il nucleo del mondo erasmiano di vivere la religione, ma non la figura torturata del Cristo della Passione: il rapporto con Dio deve essere vissuto nella gioia - ALFONSO DE VALDÉS: nella 1° parte del Diálogo de Mercurio y Carón narra di come, dopo aver eseguito ciò che richiedeva la sua condizione (era cortigiano), leggeva e scriveva “e non per questo smettevo di conversare con i miei amici, perché non mi considerassero ipocrita né pensassero che per essere buoni cristiani gli uomini dovessero essere malinconici” - ERASMO: diede inizio ad una discreta critica delle pratiche esteriori dei cristiani: né le messe, né i digiuni, né il culto delle immagini o delle reliquie valgono se non sono accompagnati da una disposizione, da un proposito adeguato. Non rifiuta tali pratiche, non vuole scontrarsi con la gerarchia ecclesiastica, ma ne avverte la povertà: solo la piena esperienza dell’individuo da loro un senso. Antepone i comandamento di Dio a quelli della Chiesa. Il suo monachatus non est pietas, che il traduttore spagnolo addolcisce in “poiché sai che l’abito, come dicono, non fa il monaco”, provocherà le ire degli ordini religiosi - RIFIUTO DI LUTERO NEI CONFRONTI DELLA GERARCHIA ECCLESIASTICA: porterà allo scisma della Chiesa. La religione si trasformerà così in un argomento di guerra nella cerchia degli stessi cristiani. - ALFONDO DE VALDÉS (Cuenca 1490? - Vienna 1532): farà propria la dottrina di Erasmo e la esporrà nei suoi due dialoghi: Diálogo de las cosas acaecidas en Roma (scritto nel 1527) e Diálogo de Mercurio y Carón (scritto nel 1528-29), che contengono inoltre l’apologia della politica dell’imperatore Carlos V. Valdés, che scrive il 1° Diálogo per difendere l’imperatore dalle accuse provocate dal Sacco di Roma, lo trasforma in un attacco alla corruzione ecclesiastica e in un allegato a favore dell’erasmismo attraverso le figure dei suoi 2 emblematici personaggi, Lactancio, giovane cortigiano al servizio dell’imperatore, il suo alter ego, e l’arcidiacono del Viso, testimone oculare del Sacco di Roma ed esempio irredento della corruzione religiosa. [SACCO DI ROMA = Il sacco di Roma avvenne il 6 maggio 1527 da parte delle truppe dei lanzichenecchi, i soldati mercenari tedeschi arruolati nell'esercito dell'Imperatore Carlo V d'Asburgo. Il sacco è ultimo in ordine cronologico dopo quello del 1084. Il sacco di Roma ebbe tragico bilancio: 20.000 cittadini furono uccisi, 10.000 fuggirono, 30.000 morirono per la peste portata dai lanzichenecchi. Papa Clemente VII dovette arrendersi e pagare 400.000 ducati. L'evento segnò un momento importante delle lunghe guerre per il predominio in Europa tra il Sacro Romano Impero e il Regno di Francia, alleato con lo Stato della Chiesa. La devastazione e l'occupazione della città di Roma sembrarono confermare simbolicamente il declino dell'Italia in balia degli eserciti stranieri e l'umiliazione della Chiesa cattolica impegnata a contrastare anche il movimento della Riforma luterana 27 l'impeto degli assalitori, che, a prezzo di gravi perdite, riuscirono a entrare nel quartiere del Borgo. Il successore del Borbone fu il principe d'Orange.Mentre le truppe spagnole assaltavano le mura comprese Porta Torrione e Porta Fornaci, i lanzichenecchi, guidati dal luogotenente di Frundsberg, il condottiero Konrad von Boyneburg-Bemelberg, incominciarono la scalata ai bastioni compresi tra Porta Torrione e Porta Santo Spirito. I tedeschi riuscirono dopo strenui sforzi a superare il muro di cinta nel settore di Porta Santo Spirito; i capitani Nicola Seidenstuecker e Michele Hartmann raggiunsero con i loro lanzichenecchi gli spalti, conquistarono i cannoni e costrinsero alla fuga i difensori. Mentre i lanzichenecchi tedeschi moltiplicavano gli sforzi per ampliare la breccia e valicare in massa le mura a Porta San Pietro, un reparto di soldati spagnoli riuscì fortunosamente a individuare una finestra malamente mimetizzata di una cantina del palazzo Armellini a ridosso delle mura che era apparentemente indifesa; attraverso questa finestra gli spagnoli imboccarono uno stretto cunicolo che li condusse all'interno del palazzo Armellini dove non incontrarono alcuna resistenza. I soldati ritornarono quindi indietro e ampliarono l'apertura; le truppe poterono così riversarsi, invadere il quartiere e avanzare verso San Pietro. Contemporaneamente i lanzichenecchi tedeschi, coperti dal fuoco degli archibugi, conquistarono gran parte delle mura e, mentre le truppe pontificie ripiegavano in rotta, si diressero a loro volta verso la basilica avanzando sulla destra degli spagnoli. Il papa, che era in preghiera nella chiesa, fu condotto attraverso il passetto al Castel Sant'Angelo mentre 189 Guardie svizzere (anch'esse mercenarie ma fedeli al papa) si fecero trucidare per difendere la sua fuga. Privi di comando, i lanzichenecchi, fino ad allora frustrati da una campagna militare deludente, si diedero al saccheggio e alla violenza sugli abitanti della città partendo dal Borgo Vecchio e dall'ospedale di Santo Spirito, con una brutalità inaudita e anche gratuita. Furono profanate tutte le chiese, furono rubati i tesori e furono distrutti gli arredi sacri. Le monache furono violentate, così come le donne che venivano strappate dalle loro case. Furono devastati tutti i palazzi dei prelati e dei nobili (come gli esponenti della famiglia Massimo), con l'eccezione di quelli fedeli all'imperatore. La popolazione fu sottoposta a ogni tipo di violenza e di angheria. Le strade erano disseminate di cadaveri e percorse da bande di soldati ubriachi che si trascinavano dietro donne di ogni condizione, e da saccheggiatori che trasportavano oggetti rapinati. Papa Clemente VII si trovò rifugiato nell'imprendibile Castel Sant'Angelo. Il 5 giugno, dopo aver accettato il pagamento di una forte somma per il ritiro degli occupanti, si arrese e fu imprigionato in un palazzo del quartiere Prati in attesa che versasse il pattuito. La resa del papa era però uno stratagemma per uscire da Castel Sant'Angelo e, grazie agli accordi segretamente presi, fuggire dalla Città eterna alla prima occasione. Il 7 dicembre una trentina di cavalieri e un forte reparto di archibugieri agli ordini di Luigi Gonzaga "Rodomonte", assaltarono il palazzo liberando Clemente VII che venne travestito da ortolano per superare le mura della città e, poi, scortato a Orvieto. Nell'iconografia pittorica, Clemente VII a partire dal 1527 verrà dipinto con una barba bianca, pare divenuta tale in tre giorni, a seguito del dolore causatogli dal sacco. Avendo saccheggiato il saccheggiabile e perduta la possibilità di ottenere il riscatto, nonché decimati dalla peste e dalle diserzioni (assimilati nella popolazione), gli Imperiali si ritirarono da Roma tra il 16 e il 18 febbraio 1528. Il sacco causò danni incalcolabili sul patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con il pontificato di Paolo III: «Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furono le cose più vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore.» (Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, 18,8). Oltre alla forte somma per il ritiro degli occupanti, il papa a garanzia dovette consegnare come statichi (ostaggi) Giovanni Maria del Monte (futuro papa Giulio III), arcivescovo Sipontino; Onofrio Bartolini, arcivescovo di Pisa; Antonio Pucci, vescovo di Pistoia: Gian Matteo Giberti, vescovo di Verona. Il giorno stesso in cui cedettero le difese di Roma, il capitano pontificio Guido II Rangoni, si spinse fino al ponte Salario con una schiera di cavalli e di archibugieri, ma, vista la situazione, si ritirò a Otricoli. Francesco Maria della Rovere, che si era riunito alle truppe del marchese di Saluzzo, si accampò a Monterosi in attesa di novità. Dopo tre giorni il principe d'Orange ordinò che si cessasse il saccheggio; ma i lanzichenecchi non ubbidirono e Roma continuò a essere violata, finché vi rimase qualcosa di cui impossessarsi. Alcune famiglie romane, dalla parte dei lanzichenecchi, riuscirono a salvare i loro beni. Tra queste, oltre ai Colonna, i Gonzaga e la famiglia Farnese. Infatti mentre uno dei figli di Alessandro (il successivo papa Paolo III), 30 Ranuccio Farnese, era schierato con il papa Clemente VII, l'altro figlio Pier Luigi era comandante tra i lanzichenecchi. Entrando in Roma, Pier Luigi si acquartierò a palazzo Farnese salvando così i beni della famiglia. Il saccheggio vero e proprio durò otto giorni, al termine dei quali la città rimase occupata dalla truppe, che cercarono anche in seguito di sfruttare la situazione esigendo riscatti per i prigionieri. Il ritiro vero e proprio si ebbe solo nel febbraio dell'anno successivo.Al tempo del "Sacco", la città di Roma contava, secondo il censimento pontificio realizzato tra la fine del 1526 e l'inizio del 1527, 55.035 abitanti, prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina. Una tale esigua popolazione era difesa da circa 4.000 uomini in armi e dai 189 mercenari svizzeri che formavano la guardia del pontefice. Le secolari carenze manutentive all'antica rete fognaria avevano trasformato Roma in una città insalubre, infestata dalla malaria e dalla peste bubbonica. L'improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione, quanto gli occupanti. Alla fine di quell'anno tremendo, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20.000 morti causate dalle violenze o dalle malattie. Tra le vittime si annoverano anche alti prelati, come il cardinale Cristoforo Numai da Forlì, che morì pochi mesi dopo per le sofferenze patite durante il saccheggio. Come in molti altri luoghi dell'Europa a causa delle guerre di religione, si determinò un periodo di povertà nella Roma del XVI secolo. Le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi a un saccheggio così efferato e per così lungo tempo, cioè per circa dieci mesi, risiedono nella frustrazione per una campagna militare fino ad aallora deludente e, soprattutto, nell'acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutrivano per la Chiesa cattolica. Inoltre, a quei tempi i soldati venivano pagati ogni cinque giorni, cioè per "cinquine". Quando però il comandante delle truppe non disponeva di denaro sufficiente per la retribuzione delle soldatesche, autorizzava il cosiddetto "sacco" della città, che non durava, in genere, più di una giornata. Il tempo sufficiente, cioè, affinché la truppa si rifacesse della mancata retribuzione. Nel caso specifico, i lanzichenecchi non solo erano rimasti senza paga, ma erano rimasti anche senza il comandante. Infatti il Frundsberg era rientrato precipitosamente in Germania per motivi di salute e il Borbone era rimasto vittima sul campo. Senza paga, senza comandante e senza ordini, in preda a un'avversione rabbiosa per il cattolicesimo, fu facile per la soldataglia abbandonarsi al saccheggio per un così lungo tempo] - DIÁLOGO DE MERCURIO Y CARÓN (più ricco): scelta di 2 personaggi letterari che parlano con 12 anime dirette alla barca di Caronte, condannate (salvo una) nella 1° parte, e con 6 desinate alla salvezza nella 2° parte. Parallelamente al racconto che Mercurio fa della politica dell’imperatore di fronte alle minacce del re di Francia, il dialogo con le anime decina un aspetto dell’erasmismo cristiano, prima con la negazione (il caso delle anime condannate, che non compiono il proprio dovere, politico o religioso, e che credono vanamente di potersi salvare con il compimento di vuote pratiche esteriori) e poi, con gli esempi vivi delle anime beate (contrappunto delle anime dannate), che incarnano il proprio comportamento la teoria erasmiana - ALFONSO DE VALDÉS: DIVULGAZIONE DELLA DOTTRINA ERASMIANA + APOLOGIA DELLA FIGURA DELL’IMPERATORE (DA RICORDARE: la monarchia poggia sulla religione per rafforzare l’unione politica) a. 1° DIALOGO: necessità di ricorrere alla provvidenza divina per giustificare il Sacco di Roma e l’arresto del Papa. b. COMPORTAMENTO DEL RE DI FRANCIA DOPO LA SCONFITTA DI PAVIA (vedi battaglia di Pavia): facilita le lodi a Carlos V nel Mercurio y Carón - OPERE: pubblicate postume perché i buoni rapporti con di Clemente VII con l’imperatore ne impedirono la diffusione fino probabilmente al 1535 31 - 1530: corona imperiale di Bologna significa la fine dell’utopia della repubblica cristiana degli umanisti, mentre risorge l’idea medievale del Sacro Romano Impero - JUAN DE VALDÉS (FRATELLO DI ALFONSO DE VALDÉS): nel suo Diálogo de dottrina cristiana (1529) scrive una delle prime opere di catechesi (anticipando Lutero di qualche mese). Benché si appoggi ad Erasmo, palpita in essa l’eterodossia (ETERODOSSIA = Affermazione di una dottrina diversa da quella formulata dall'autorità religiosa; estens., divaricazione tra le proprie idee e quelle imposte da una qualsiasi autorità laica) che lo porta a una immediata condanna e all’esilio in Italia. [LUTERO E IL LUTERANESIMO:Martin Lutero era un monaco tedesco che nella prima metà del 16° secolo, a cavallo tra il Medioevo e l’età moderna, mise in moto un grande processo religioso e culturale, poi chiamato Riforma protestante. Nel giro di circa cinquant’anni, dal 1517, anno in cui affisse alla porta della chiesa di Wittenberg le celebri 95 tesi, al 1563, anno di chiusura del Concilio di Trento, Lutero cambiò il volto religioso dell’Europa e, in prospettiva, di tutto l’Occidente cristiano. DIO E GLI UOMINI PECCATORI: Lutero era nato a Eisleben, in Turingia, nel 1483 e apparteneva all’ordine degli agostiniani eremiti. Egli non aveva all’origine nessun proposito o programma riformatore, era semplicemente un monaco dedito ai suoi doveri religiosi e professionali: laureatosi in scienze bibliche nel 1512, insegnò per tutta la vita Sacra Scrittura nella neonata università di Wittenberg. Studiando a fondo la Bibbia e scavando nel suo messaggio Lutero scoprì quello che chiamò «l’Evangelo», cioè l’annunzio della grazia di Dio immeritata e incondizionata per l’uomo peccatore (ogni uomo lo è). Dio è giusto – dice la Bibbia – non nel senso che fa giustizia (premia cioè i buoni e punisce i cattivi), ma nel senso che dà la giustizia a chi non l’ha (rende cioè giusti i peccatori), per poter fare misericordia a tutti. Questo messaggio, in sé molto semplice, liberò tante coscienze tormentate dall’idea del loro peccato e inquiete circa il loro destino eterno. LA LIBERTÀ DEL CRISTIANO: Alla Chiesa del tempo il discorso di Lutero non piacque soprattutto per queste due ragioni: la prima è che, liberando le coscienze dal peso del peccato grazie al perdono divino gratuito per sola fede, Lutero sottraeva i credenti al controllo esercitato dall’istituzione ecclesiastica attraverso il confessionale; la seconda è che, con la dottrina del sacerdozio universale dei credenti (secondo la quale tutti i cristiani sono sacerdoti in virtù del battesimo), Lutero emancipava i laici dalla subordinazione al clero e li rendeva protagonisti della vita cristiana nella dimensione pubblica. Una delle opere più importanti di Lutero, che divenne il manifesto programmatico dell’intera Riforma, è intitolata appunto La libertà del cristiano (1520). La Riforma è stata, sotto molti profili, un vasto movimento di emancipazione religiosa e culturale, e quindi molto di più di una semplice riforma. LA SCOMUNICA:Lutero fu scomunicato come eretico (ERETICO = Che non è ideologicamente in linea col gruppo di cui fa parte; Ateo, miscredente) dalla Chiesa di Roma (gennaio 1521) e poco dopo, avendo rifiutato di ritrattare davanti al parlamento imperiale (Dieta) di Worms, fu messo al bando dall’impero di Carlo V. La scomunica e il bando furono il primo passo, decisivo, verso la rottura dell’unità della Chiesa d’Occidente, ma non poterono impedire alla Riforma di farsi strada tanto fra il popolo quanto fra teologi e uomini di governo, e di affermarsi in quasi tutti i paesi d’Europa: in alcuni sostituì il cattolicesimo come religione di Stato (in Scandinavia, nella regione del Baltico, in 32 A Napoli, sicuramente un anno prima di questa opera, compone il Diálogo de la lengua, abbozzo di critica letteraria sull’origine, l’uso, lo stile del castigliano e sui libri scritti in questa lingua. - FRANCISCO DE OSUNA [francescano, scrittore mistico e predicatore spagnolo, nato a Osuna (Siviglia) nella seconda metà del sec. XV, morto intorno al 1540. Appartenne all'ordine francescano e nel Capitolo generale di Nizza fu nominato commissario delle Indie (1535) - carica che non poté disimpegnare per altre importanti occupazioni. Francisco de Ozuna pubblicò un Abecedario espiritual (1527; completo 1554), i cui ventidue trattati s'iniziano ciascuno con una lettera dell'alfabeto; egli indirizza all'orazione e alla meditazione mistica, con una dottrina ricca e ortodossa che rappresenta degnamente la mistica spagnola, e ebbe il merito di contribuire all'educazione religiosa di Santa Teresa. L'O. scrisse inoltre: Gracioso convito de las gracias del Santo Sacramento (Siviglia 1530); Norte de los estados (1531); e parecchie opere in latino]: dedicherò al marchese di Villena il Tercer abecedario espiritual (1527; libro che influenzerà santa Teresa). Secondo Osuna, le opere buone ci preparano a ricevere la grazia che Dio offre per la nostra salvezza. La conoscenza di Dio si ottiene per mezzo dell’introspezione (INTROSPEZIONE = Accurata analisi di se stessi, delle emozioni e delle motivazioni profonde dell’agire) personale; la concentrazione dei sentimenti, il raccoglimento, ci portano all’illuminazione e all’unione con Lui. Quest’atmosfera di spiritualità sfocerà nelle grandi creazioni della mistica (MISTICA = Settore della teologia che sostiene l'importanza dell'ascesi come mezzo dell'uomo per ritornare a Dio). Inoltre, la riforma luterana, che si deve interpretare alla luce di un clima di protesta correo la corruzione ecclesiastica, provocherà il grande scisma della chiesa. Il Concilio di Trento sanzionerà una una forma di comportamento e la Controriforma proseguirà nelle posizioni attaccate dai riformisti. In questo modo l’Inquisizione in Spagna riafferma il proprio potere. [RIFORMA LUTERANA = Riforma protestante Movimento religioso, politico, culturale che produsse nel 16° sec. la frattura della cristianità in diverse comunità, gruppi o sette. DA LUTERO ALLA PACE DI AUGUSTA: La Riforma scaturì principalmente da motivazioni religiose dettate dalla riscoperta del Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore indipendentemente dai suoi meriti, e dalla critica della degenerazione morale e spirituale della Chiesa. Data convenzionale di inizio della R.p. è il 31 ott. 1517, giorno in cui M. Lutero avrebbe affisso alla porta della chiesa del castello di Wittenberg le sue 95 tesi contro lo scandalo delle indulgenze, affrontando i problemi della penitenza, del peccato e della grazia. La dottrina luterana divenne arma di lotta politica dei principi tedeschi, che videro in essa la possibilità di sottrarsi all'autorità imperiale e di incamerare i beni ecclesiastici. Dopo le diete di Spira (1529) e di Augusta (1530), essi si unirono nella Lega di Smalcalda (1530) e lottarono contro l'imperatore Carlo V fino alla Pace di Augusta (1555), con la quale si sancì la divisione tra cattolici e protestanti in base al principio cuius regio, eius religio che imponeva ai sudditi di seguire la religione del loro principe, cattolico o luterano che fosse. La dottrina luterana si affermò soprattutto in Germania, nei paesi scandinavi e baltici. CALVINISTI E ANGLICANI:Contemporaneamente, a Zurigo, H. Zwingli, con l'appoggio delle autorità locali, aveva attuato un piano di riforme antipapali e anticuriali (diffuse in Svizzera e in Germania merid.), ma alla sua morte (1531) il centro della Riforma 35 divenne Ginevra, dove G. Calvino attuò una rigida organizzazione teocratica e codificò le tesi riformate, accentuando il tema della predestinazione. La dottrina calvinista (o riformata) si diffuse in Europa e nelle colonie inglesi in America. In Inghilterra, a seguito della politica antipapale di Enrico VIII (Atto di supremazia, 1534), si affermò la Chiesa anglicana, che conservò l'episcopato e forme di culto tradizionali, pur facendo propria la teologia riformata. Nell'ambito della crisi religiosa del Cinquecento si diffusero anche sette e movimenti di riforma radicale, duramente contrastati sia dai cattolici sia dai riformatori. Tra questi gli anabattisti, gli antitrinitari e i sociniani. la teologia della riforma: Sulla base del principio basilare della R.p., ossia la giustificazione per sola fede, la parola biblica (suggellata dai sacramenti di battesimo ed eucaristia) divenne l'elemento centrale della fede e il fondamento della Chiesa. Il principio d'autorità venne sostituito dal libero esame e dal principio della responsabilità personale del credente davanti a Dio e al prossimo. Venne inoltre eliminata la differenza tra clero e laicato nella Chiesa e affermato il sacerdozio universale dei credenti. Fu infine introdotta la distinzione tra potere civile ed ecclesiastico che avviò il processo di secolarizzazione della società] - 1468: creato il tribunale dell’Inquisizione per perseguitare gli Ebrei convertiti al Cristianesimo che conservavano segretamente le proprie tradizioni. - 1492: espulsione degli Ebrei - 1609: espulsione dei moriscos furono un duro colpo all’economia per lo spopolamento delle terre e segnalerà la rottura definitiva della convivenza delle 3 religioni. Gli inquisitori perseguitano gli uomini e molte delle loro creazioni letterarie, che figureranno nell’Indice dei libri proibiti dell’inquisitore Valdés. La stessa santa Teresa critica la proibizione: “Quando vennero proibiti molti libri in volgare affinché non fossero letti, me ne dolsi, perché la loro lettura mid dava diletto, e non potevo leggerli in latino” (Libro de la vida). 36
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