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IL 900: PIRANDELLO E SVEVO, FUTURISMO, UNGARETTI, MONTALE, QUASIMODO, SABA, LEVI E OLIVETT, Appunti di Italiano

IL 900: PIRANDELLO E SVEVO, FUTURISMO, GOZZANO ERMETISMO UNGARETTI, MONTALE, QUASIMODO, SABA, LEVI E OLIVETTI

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 02/07/2024

lisamagliano.
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Scarica IL 900: PIRANDELLO E SVEVO, FUTURISMO, UNGARETTI, MONTALE, QUASIMODO, SABA, LEVI E OLIVETT e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! L’EVOLUZIONE NARRATIVA DEL 900 Nel 900 assistiamo in ambito narrativo e nella prosa al trionfo del genere del romanzo poiché la prosa subisce cambiamenti significativi in quanto le forme narrative tradizionali mutano. Troviamo dei significativi cambiamenti, cambiamenti da registrare per quanto riguarda i contenuti: Vi è la presenza di un certo tipo di personaggio definito come inetto, questo è il momento in cui l’inetto diventa protagonista della letteratura è letteralmente significa incapace. Questo si traduce come mancanza di slancio vitale: molti caratteri sono caratterizzata dall’ incapacità di vivere e affrontare la vita senza capacità particolari, è un personaggio problematico: la narrativa dell'900 presenta nuove forme: c’è l’intento di fare uno scalo psicologico suoi personaggi e la necessità di cambiamento delle forme poiché è indispensabile adottare tecniche narrative che scavino nel profondo dell'inconscio delle persone. Ci sono tecniche del monologo interiore per esempio, come in James Joyce che scrive in inglese o tecniche che recuperano la melodia dell'individuo, come in Marcel Proust che scrive in francese. Il primo adotta il flusso di coscienza e il monologo interiore; il secondo per far affiorare i ricordi e la memoria dei protagonisti così per deliberare la loro personalità, e distingue delle forme di memoria: una involontaria è una volontaria. Proust scrive un ciclo di romanzi dal titolo "Alla ricerca del tempo perduto" ove distingue la memoria da volontaria a involontaria. La memoria volontaria è quella che segue ad uno sforzo di ricordare qualcosa, ognuno di noi la può sperimentare quando gli viene chiesto qualcosa e volontariamente ricorda, una volta sollecitato il cervello a ricordare e questo richiede uno sforzo. Quella involontaria nasce da quelle che Proust definisce intermittenze del cuore; ci sono momenti nella nostra vita quotidiana che sollecitano in noi, senza alcuno sforzo dall’altra parte, i ricordi e rievocano momenti della nostra vita passata. Queste intermittenze sono sollecitate da sensazioni tattili, uditive, olfattive... che ci portano indietro nel tempo (il protagonista dei suoi romanzi gustano all'ora del tè la bevanda con la madre e mangia dei biscottini, i "petite madeleine", e da questo gusto involontariamente inizia a ricordare momenti della sua infanzia) si tratta di un ricordo involontario, non c’è uno sforzo mnemonico, il ricordo è riaffilato in modo naturale, è sollecitato dalla sensazione provata gustando il biscotto. Un altro autore di origine ceca, di praga, scrive in lingua tedesca, parliamo di Franz Kafka, che rappresenta un tassello molto importante in questa panoramica sulla narrativa del 900, si tratta di un momento di evoluzione. Anche Kafka ricorre a tecniche particolari per comunicare dei messaggi; il protagonista principe è l'inetto che lui descrive come Gregor Samsa, protagonista della "Metamorfosi" , il suo romanzo breve. Samsa è un inetto perché non riesce a svincolarsi da una situazione di alienazione che gli sta stretta, svolge l’attività di commesso viaggiatore e si sveglia tutte le mattine alla stessa ora, svolgendo una routine quotidiana oppressiva. Questa realtà inizia a stargli stretta ma non sa ribellarsi, rimane sopraffatto da questa esistenza. Un giorno si risveglia nel corpo di uno scarafaggio tanto è che la sua prima preoccupazione è che non riesce ad alzarsi e dunque che non arriverà in tempo a lavoro. Vengono trattati dei temi della contemporaneità; l'uomo che vive per lavorare e non lavora per vivere. I familiari bussano alla porta della sua camera e lui preoccupato per come dovrà mostrarsi ai genitori e alla sorella prova a rispondere, ma la voce è inversa, emette un verso che non è umana, quando lo vedono i parenti provano ripugnanza e ribrezzo, per questo essere così disgustoso e ripugnante. Il padre è inorridito e spaventato tanto che gli lancia una mela che andrà a conficcarsi nel suo guscio provocandogli un’ infezione che lo condurrà alla morte, troviamo un epilogo tragico. Il lettore non può che trovarsi spiazzato perché si rende conto che non c’è realismo, ma c'è un simbolismo, un allegoria. Il lettore allora si chiede quale sia il significato di questa opera e avanza delle ipotesi, ma siccome neanche l'autore dà degli indizi per risolvere questo interrogativo, l'allegorismo rimane vuoto e senza interpretazione, che non può essere data univoca e universale. L’ incapacità di comunicare di un individuo, ossia un elemento che non riesce a relazionarsi con altri esseri umani perché sopraffatto dagli obblighi, porta all’ incomunicabilità e incapacità di relazionarsi è una possibile interpretazione,ma non è certa, quindi si tratta di un allegorismo vuoto. In Italia: L'allegoria risente sempre di più dell'impatto della scienza come la psicoanalisi e la psicologia; così in italia due autori che si inseriscono in questo panorama, questi sono Luigi Pirandello, che sposò una donna afflitta da crisi psicotiche e così si interessò di psicologia leggendo anche i testi di Binet, psicologo francese che elaborò il test per il quoziente intellettivo, nei quali sostiene che in ogni individuo esistono diverse persone, non una sola, e questa è la normalità, poi vi è la prevalenza di uno o dell'altro. A Pirandello starà molto a cuore il tema della psiche umana, del doppio e della follia, oltre che la comunicazione. Pirandello non sarà ricordato solo per la riproduzione narrativa ma anche teatrale, è collegato ai drammaturghi. Importante fu Italo Svevo che studierà la letteratura di questo periodo, Svevo strinse un’amicizia con James Joyce e poi si avvicinò agli studi della psicoanalisi di Freud. La psicoanalisi entra nella letteratura con il terzo romanzo di Svevo, "Senilità" e “Una vita” dove è parte integrante della sua opera "La coscienza di Zeno". Qui assisteremo ad una rivoluzione dei contenuti: la psicoanalisi permette di cercare e indagare sulle dinamiche del suo comportamento e sulle ragioni che lo spingono a fare determinate scelte; e della forma: se un romanzo si basa sul meccanismo della psiche non troviamo la tradizionale forma caratterizzata dalla fabula e dall’intreccio, ma avrà un tempo completamente diverso, quello della d’icona mali, infatti quando si va ad un consulto con uno psicanalista che adopera l’ipnosi, episodi della vita riaffiorano senza ordine e si mischiano ad eventi di un passato remoto e ad eventi più vicini, troviamo dunque sia il passato che la contemporaneità, si parla di tempo misto, si va a creare un diario. Quando parliamo di questi autori parliamo di scordinamento delle forma narrative tradizionali; non sono romanzi con una struttura a cui siamo abituati, che si dipanano secondo uno schema preciso, non troviamo personaggi che abbiamo visto nelle opere precedenti. Non sono eroi i personaggi di queste opere, ma inetti o anti eroi. Questo periodo coincide con il diffondersi di una filosofia di pensiero, la corrente filosofica del "relativismo" che mette in dubbio tutto, non vi sono più certezze e ogni cosa è relativa poiché cambia in base a chi la guarda. La realtà non è più un valore assoluto, ma relativo che varia a seconda del variare del punto di vista. indietro ma non riesce a ottenere la sua identità originale perché servirebbe una denuncia, allora anziché indossare una maschera rimane una maschera nuda, un personaggio privo di identità. Il secondo passaggio del saggio, è quello in cui Pirandello decide di spiegare cos’è l’umorismo, e perché Il fu mattia pascal è un romanzo umoristico. L’umorismo va distinto dalla comicità; l’umorismo nasce da un sentimento del contrario, invece la comicità nasce da un avvertimento del contrario, sembrano delle sottigliezze, ma non lo sono. La vecchia imbellettata: L'esempio che al meglio fa comprendere tale distinzione è quello della vecchia imbellettata: se noi vediamo passare per strada un vecchia signora tutti avvinghiata, truccata pesantemente, vestita con abiti succinti, vedendola passare noi proviamo l’avvertimento del contrario: quella signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere, è il contrario di quello che ci aspettiamo e questo ci fa naturalmente ridere; se però in noi scatta una riflessione, quindi non ci fermiamo lì ma incominciamo a riflettere, ci poniamo domande sul come mai e proviamo a darci delle risposte: magari ha un marito più giovane e allora si veste per restare al passo, oppure ha paura della morte e può tentare a sembrare più giovane per scongiurare la morte. Pirandello dice che se io inizio a riflettere, io non riesco più a ridere di lei perché dall’avvertimento si passa al sentimento del contrario, perché mi metto nei panni dell’altra persona e sento quel che può sentire lei, al massimo sul mio viso ciò può essere un sorriso amaro, questo è l’umorismo. Il romanzo il fu mattia pascal è umoristico perché se non lo fosse il lettore, quando legge quella sequenza in cui mattia si trova l’impasto spiaccicato in faccia, se non sapesse che situazione sta vivendo il protagonista, potrebbe ridere, Mattia dice di essere il protagonista di una tragedia buffa, è un ossimoro, come faccio a ridere se mi rifletto in lui, se penso non rido più. Il treno ha fischiato: Anche all’interno delle "Novelle per un anno” si può trovare l’umorismo, c’è per esempio una novella che rispecchia la poetica dell’umorismo ossia “Il treno ha fischiato”. Il protagonista è un impiegato, si chiama Belluca, è un contabile, che si sveglia tutte le mattine presto per andare in ufficio e lavora fino a tardi, lavora mattino, pomeriggio e sera con ritmi incessanti; un giorno succede che inspiegabilmente fa tardi in ufficio, lui che è sempre stato puntualissimo, il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare, infatti Belluca era solito fare tanti straordinari. Un giorno fa tardi a lavoro e viene sgridato dal capo ufficio, ma non è mite come è di solito, ma reagisce in modo aggressivo e allora chiamano il pronto intervento e lo fanno portare via, a questo punto i suoi colleghi vedendo che è il contrario di come è di solito ridono di lui. Pirandello ci porta nella vita privata di Belluca, dalla visuale del vicino che conosceva la sua situazione, una situazione devastante: Belluca è sposato, ma in casa ci sono altre tre donne, la madre, la suocera e una zia con problemi di vista e in più con lui sono andate a vivere le figlie senza più marito con i loro bambini, Belluca non ha nemmeno un letto, infatti la sera si addormenta su una poltrona stanco da tutte le ore di lavoro, non ha un letto perché sono tutti occupati. Lui lavora tanto per mantenere una famiglia così allargata. Una sera inspiegabilmente è entrato in casa prima e ha sentito il fischio del treno, avendo sentito il fischio la sua fantasia lo ha portato a bordo di quel treno, lui ha immaginato di allontanarsi con quel treno, di viaggiare, ha iniziato a fantasticare e si è perso su questo treno così facendo si è addormentato tardi, svegliandosi di conseguenza più tardi la mattina, questa è una serie di eventi cause effetto. Belluca ha provato a seguire la vita ma è rimasto intrappolato nella forma. I suoi colleghi ridono perché provano solo l’avvertimento del contrario, ma grazie al vicino di casa arriviamo al sentimento del contrario, non si può più ridere di lui. Dramma teatrale: “Così è, se vi pare” A teatro Pirandello porta in scena il teatro di grottesco, fatto di situazioni iperboliche e paradossali. Un bel giorno in un paese arrivano dalla Marsica i membri di una famiglia e gettano lo scompiglio in questo paese perché il signor Ponza e la signora Frola, genero e suocera litigano, sono nel mezzo di una disputa familiare; il motivo del litigio è la moglie del signor Ponza, la cui identità è ignota agli abitanti del paese in quanto non si sa se credere nel signor Ponza, che dice che quella donna è la sua seconda moglie poiché la prima è morta, oppure credere alla signora Frola la quale dice che il genero è pazzo, che sua figlia non è morta ma è la donna sposata con lui. Per la verità si accusano a vicenda di pazzia. Insieme gettano scompiglio in questo paese. Le convenzioni sociali, la burocrazia e la legge vogliono ripristinare l’ordine e conferire un'identità a questa persona, tanto che mettono in atto una sorta di processetto per cercare di venire a capo della verità, qui partecipano tutte le autorità del paese: il sindaco, il giudice e c’è un personaggio, il signor Laudisi che potrebbe rappresentare lo stesso autore, scrittore, che ha un atteggiamento più distaccato, non esamina la vicenda con quel accanimento di tutto il passe. L’epilogo del dramma dà l'illusione al pubblico di risolvere la vicenda. Alla prima di questo spettacolo, il pubblico infatti rimase con il fiato sospeso vedendo apparire sulla scena questa donna non identificata, la moglie del signor Ponza, tutta vestita di nero e velata, il pubblico ebbe la sensazione di risolvere finalmente l’enigma, se non che, la donna pronuncia questa battuta e dice: “io sono colei che mi si crede” quindi non risolve. Il dramma non prevede una soluzione e l’identità rimane incerta. Alla luce di quello che abbiamo detto, cioè che si era diffusa in questo periodo la corrente di pensiero del relativismo, qui c’è il trionfo del relativismo assoluto, perché abbiamo un personaggio che ci dice che una verità certa non esiste, colei che resta sia la moglie del signor Ponza e la figlia della signora Frola, perché qualcuno crede una cose e l’altro un altra. Ma per quanto qua ci troviamo nel ambito del teatro del grottesco, se noi ragioniamo già sul titolo di questo dramma: il titolo "Così è, se vi pare” ci dice che c’è una contrapposizione tra la forma e la vita, troviamo l’‘umorismo, al mondo statico e fisso della forma che intrappola e da un'identità alle persone, il personaggio oppone il se vi pare, cioè la vita, “io sono colei che mi si crede”. La poetica surrealista: Pirandello in età matura aderisce alla poetica del surrealismo, (sub reale) che fa riferimento a tutto quello che c’è sotto e dunque oltre alla realtà reale. Già nelle “novelle per un anno” Pirandello affronta anche questa tematica, le novelle che aderiscono al surrealismo sono meno. C’è qualcuno che ride: All’interno delle Novelle per un anno. Nel testo viene descritta una festa in maschera, c’è un'orchestra che suona e diversi invitati in una sala da ballo, ognuno di loro si muove con movimenti meccanici e stereotipati. Anche la stessa orchestra sembra meccanica, una di quelle a cui si da la corda, il lettore percepisce che si tratta di una festa mascherata e che nessuno in questa festa si sta divertendo perché individua movimenti meccanici, stereotipati e non ci sono sorrisi e facce allegre. Ad un certo punto dal fondo della sala da ballo i partecipanti avvertono una risata, immediatamente al percepire di questa risata la folla in questa festa inizia a fare eco e a dire che “c’è qualcuno che ride” (titolo), questa affermazione sgomenta. Nella folla nasce la volontà di identificare la fonte di origine della risata, si vuole sapere chi stia ridendo e quindi tutta la folla si sposta in direzione della risata. Al fondo della sala su un divanetto c'è una famigliola seduta che ride. La folla continua ad avanzare in direzione di questa famigliola e avanza senza lasciare più spazio, questo avanzare così oppressivi fa sì che la famiglia senta la necessità di allontanarsi dalla festa, di andarsene. Questa novella è una delle novelle che aderiscono alla poetica del surrealismo, in questa novella come ci ha insegnato Frank Kafka si cela un allegorismo, dei simboli, dei significati nascosti. Come per la metamorfosi di Kafka molto critici hanno sostenuto un’interpretazione che non è detto che sia quella definitiva, secondo molti la festa in maschera potrebbe rappresentare la tipica adunata fascista, dove tutti i partecipanti si muovono in modo meccanico e stereotipato perché sono obbligati, c’è la forzatura, partecipare è un “dovere”, infatti nessuno si diverte. A spezzare la forzatura, questa atmosfera, c’è la famigliola che ride, essa rappresenta il diverso, il dissidente, il ribelle rispetto al regime, come essa osa ridere se nessun altro lo fa, ma cosa succede al diverso?, viene eliminato, in realtà è già ghettizzato in partenza e poi eliminato. È un’interpretazione, ma non è detto che sia quella definitiva e unica. Analogamente alle metamorfosi di Kafka adesso abbiamo un’interpretazione possibile, ma non è detto che sia quella definitiva, per questo anche con Pirandello possiamo parlare di allegorismo vuoto, perché le cose non vanno viste nel loro significato superficiale, ma occorre andare oltre per cercare significati possibili, ma è vuoto perché sono possibili anche altre interpretazioni. Teatro dei miti: Quando Pirandello in prosa aderisce alla poetica del surrealismo il teatro del grottesco, che corrisponde all’umorismo, diventa il teatro dei miti. A proposito del teatro dei miti, Pirandello compose un dramma che rimase incompiuto, in seguito alla sua morte, ma lascia comunque i suoi appunti che vengono presi in mano dal figlio Stefano, il quale avrebbero portato al termine il dramma. I giganti della montagna: Questo testo si intitola “i giganti della montagna”; la protagonista è una giovane attrice, Ilse, che ha perduto il ragazzo che amava e che aveva scritto la “favola del figlio cambiato”. Il testo finisce nelle mani della ragazza la quale intenzione è portare in scena quest’opera, tanto che Ilse si rivolge a diverse personalità per riuscire nel suo intento, portare in teatro l’opera scritta dal suo perduto amore. Ilse si rivolge persino ad un mago, ma non riesce nel suo intento, allora ad un certo punti le viene consigliato di andare sulla montagna e rivolgersi ai giganti della montagna, figure quasi mitiche, dotate di poteri straordinari, figure che magari possono aiutare Ilse nel suo intento. Ilse armata di buon coraggio e dalla volontà di mettere in scena quest'opera, si reca sulla montagna per chiedere aiuto. Il romanzo rimane inconcluso, Stefano Pirandello, il figlio, specialista di cui non si sa il nome, poiché viene chiamato dottor S., decide di pubblicare il suo memoriale, violando il segreto professionale. Il memoriale stesso si fa romanzo: il romanzo è un unicum dal punto di vista letterario per la presenza della fiction da cui parte e il narratore è interno omodiegetico. Il narratore è rappresentato da Zeno che racconta diversi episodi della sua vita, poiché sono le sue sedute di ipnosi in cui emergono questi aspetti. Non c'è una focalizzazione interna perché Zeno non sa tutto di sé ma lo scopre attraverso le sedute e quindi non è onnisciente. L'aspetto che varia di più è l'aspetto della sfera temporale: il romanzo ha un tempo misto perché è il tempo della psicoanalisi quindi si vivono dei momenti di vita presente e di tanto in tanto, quando fa queste sedute, si alternano due sfere temporali differenti che corrispondono a ricordi recenti e ricordi remoti che si incrociano. Il romanzo non segue né la fabula né l'intreccio e non rientra in uno schema rigido. Il romanzo si sviluppa per temi e argomenti: il vizio del fumo, la morte del padre, la storia del matrimonio di Zeno, l'associazione commerciale che Zeno fonda con suo cognato Guido… Il romanzo è composto di vari capitoli in cui emergono gli argomenti dalle sedute di psicoanalisi. Verso la parte conclusiva, come tema, viene affrontata la malattia e l'epilogo del romanzo ci porta di fronte ad una visione apocalittica. I temi sono: -vizio del fumo, è la punta dell'iceberg poiché per smettere di fumare bisognerebbe avere un po' di volontà e fare leva su se stessi ma Zeno è abulico quindi scopre la sua malattia che corrisponde all'incapacità di imporsi; -morte del padre, viene prima descritta la malattia grave da cui è affetto il padre di Zeno e per la quale i medici lo costringono a stare a letto e non alzarsi. Zeno non ha mai avuto un rapporto positivo con la figura paterna ma un rapporto conflittuale e nelle pagine del romanzo emerge il complesso di Edipo, che si deve superare con la crescita sennò diventa una patologia studiata dalla psicoanalisi, che consiste nel provare un affetto molto forte nei confronti del genitore di sesso opposto e un sentimento di rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso. I medici dicono al figlio di controllare che il padre non si alzi dal letto e un episodio significativo si riscontra quando Zeno si impegna nel non far alzare il padre dal letto perché dentro di lui sente di avere su di esso un potere per la prima volta. il padre, involontariamente, colpisce la guancia del figlio e viene percepito da Zeno come uno schiaffo diventato famoso come "lo schiaffo del padre". Il senso di colpa che Zeno prova nei confronti del padre lo porta a vivere quello che è un gesto involontario come un gesto volontario poiché il padre non aveva nemmeno le forze per alzarsi e da lì a poco muore; -matrimonio, Zeno è un impiegato di banca che frequenta la casa del suo capo Malfenti che ha quattro figlie. Zeno è interessato a tre di queste ragazze, poiché una è troppo piccola, che sono a turno delle papabili mogli. Le sue attenzioni ricadono sulla figlia più bella di nome Ada a cui fa la proposta ma lei lo rifiuta perché è interessata a quello che nel romanzo viene descritto come l'antagonista di Zeno e si chiama Guido Speier, che diventerà suo cognato. Quindi Zeno punta sulla seconda sorella, media dal punto di vista estetico, di nome Alberta che lo rifiuta perché non è interessata ad instaurare una relazione sentimentale. Zeno subisce un secondo rifiuto e non ha nemmeno bisogno di dichiararsi alla terza sorella di nome Augusta poiché essa si fa avanti, lei è molto aggraziata ma bruttina rispetto alle altre sorelle. Augusta dice a Zeno che lui ha bisogno di una moglie e lei è disposta a diventarlo. Loro vivono un buon matrimonio ma Zeno, pur non volendo, la tradisce ripetutamente e instaura una relazione adulterina con una giovane donna di nome Carla. Più volte vorrebbe lasciare Carla per rispetto di Augusta che è una brava moglie ma non ha il coraggio di farlo. Carla chiede a Zeno di vedere la moglie e lui gliela indica distanza ma le mostra Ada, che era decisamente più bella di Augusta. Carla rivede Ada triste per strada e, sentendosi in colpa per questa sua emozione, decide di lasciare Zeno. Quindi Zeno, pur non facendo niente, ottiene ciò che vuole perché non sapeva come liberarsi di Carla ma se ne libera; -società, Guido diventa socio di Zeno per l'impresa commerciale con cui Guido si indebita e più volte simula il suo suicidio per impietosire la moglie Ada e farsi prestare del denaro. Guido non era fedele alla moglie ed è questo matrimonio non felice a determinare la tristezza di Ada, che verrà vista triste dall'amante di Zeno Carla. All'ennesima simulazione di suicidio, Guido si suicida davvero e, al suo funerale, Zeno arriverà in ritardo perché non ricordava la chiesa in cui doveva andare. Quando arriva alla cerimonia, la cognata dice delle parole eloquenti chiedendogli il perché della sua presenza. Queste parole sono eloquenti perché Zeno, tutto sommato, non voleva andare al funerale siccome non stimava Guido ma si era messo in società con lui in quanto inetto che si lasciava travolgere dagli eventi. Il fatto di sbagliare chiesa è un meccanismo studiato dalla psicoanalisi che consiste in un lapsus, ovvero un errore che commette il nostro cervello facendoci fare ciò che davvero vorremmo fare. Malgrado Zeno non abbia le doti di Guido, riesce a risollevare l'impresa dal punto di vista economico e con gli affari ma rimane comunque scontento e insoddisfatto. La conclusione è che non solo lui è malato ma arriva la consapevolezza del fatto che tutto il mondo soffre di abulia, di inettitudine e di eterna insoddisfazione. La soluzione per questo mondo malato potrebbe essere pessimista e apocalittica: consiste nel posizionare un ordigno al centro della terra per creare un nuovo Big Bang e ripartire da zero. Zeno non ha la consapevolezza scientifica degli esperimenti che si stavano attuando in quel periodo, non ha cognizione e non è così informato da poter prevedere la bomba atomica che si utilizzerà nella seconda guerra mondiale. Infatti saranno gli Stati Uniti a sganciare la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Questa è pura letteratura perché Zeno non ha la consapevolezza dei fatti storici che accadranno. Una vita: Alfonso Nitti è un impiegato di banca che ha sempre vissuto insieme alla madre; un giorno, però, viene trasferito in un'altra filiale e il suo capo è un certo dottor Maller. Lui prende a frequentare la casa di questo signore dove conosce una ragazza, la figlia, della quale si invaghisce, la quale ha il suo stesso interesse per la letteratura. Poi però le condizioni di salute della madre di Alfonso precipitano e lui è costretto ad andarsene velocemente al capezzale della donna per assisterla negli ultimi istanti della sua vita. Scappa senza scrivere una riga di spiegazione alle persone con cui aveva instaurato una relazione. Quando la madre muore, lui ritorna al suo impiego ma la situazione è cambiata: nessuno lo vuole più vedere e viene sfidato a duello dal fratello della signorina maller, Annetta, per averla disonorata. In questo romanzo, come in altri romanzi di Svevo, c'è un antagonista di nome Macario che è il contrario di Alfonso: Macario è affascinante, carismatico, ricco di capacità, competenze e attitudini. Il testo mette in evidenza la differenza tra l'inetto e l'uomo carismatico che invita Alfonso a fare un giro in barca. Alfonso non vorrebbe accettare questo invito perché ha paura dell'acqua e non sa nuotare ma accetta comunque: Macario si diverte a metterlo in difficoltà perché entrambi sono innamorati della stessa ragazza e lui vuole dimostrare la sua superiorità. I due personaggi vedono volare in cielo dei gabbiani e Macario, attraverso il volo di questi uccelli, fa capire qualcosa di molto importante ad Alfonso: dice che questi gabbiani, pur avendo una testa piccola e di conseguenza un cervello piccolo, sono capaci di librarsi in volo con le loro ali e sfidare l'aria. Alfonso capisce la metafora e gli chiede se anche lui sia capace di volare aspettandosi una risposta negativa. L’altro sorride e lo mette in ridicolo dicendo che è capace solo di voli pindarici come a voler dire che non è capace di fare nulla in un modo raffinato. L’epilogo di questo romanzo è tragico, si conclude con il suicidio del protagonista,, a differenza di "la coscienza di Zeno". Senilità: Senilità significa vecchiaia e corrisponde a un titolo frastico, che allude alla vecchiaia precoce che l’inetto si ritrova a vivere. Il protagonista è Emilio Brentani che vive in simbiosi con la figura femminile della sorella Amalia: c’è un complesso di Edipo per la presenza di un antagonista maschile che incarna il padre e la presenza di una figura femminile che incarna la madre. Emilio ha una vita piatta e monotona fino a quando non conosce un artista di nome Stefano Balli che è il suo contrario poiché è carismatico e ha successo con le donne. Emilio lo ammira moltissimo tanto da voler diventare come lui nelle relazioni sentimentali, quindi non vuole più affezionarsi ma solo divertirsi. Emilio conosce una ragazza di nome Angiolina, che è un'aspirante attrice, con cui inizia a frequentarsi. Appena inizia la frequentazione, Emilio dice di non volere una relazione seria e lei si comporta di conseguenza, iniziando a frequentare delle altre persone. Angiolina è una donna di famiglia umile che ambisce a fare fortuna nel mondo dello spettacolo e, quando inizia a frequentare altre persone, Emilio ne soffre perché, pur prefiggendosi di fare delle cose, in realtà non riesce perché non voleva affezionarsi ma si affeziona. Angiolina parte con un impresario e lui soffre moltissimo poiché lei lo tradisce anche con Stefano Balli. Parallelamente si sviluppa un'altra storia: Amalia si innamora di Stefano e lei rappresenta un alter ego di Emilio poiché è una donna inetta ed incapace che si ammala perché il suo amore per Stefano non è corrisposto. Quando Emilio è avanti negli anni, il passato gli appare con chiarezza e vive una sorta di allucinazione: vede fuse nella medesima persona sua sorella Amalia e la ragazza di cui è innamorato Angiolina poiché insieme sarebbero state la donna ideale, che però non esiste. Questo è dovuto al morboso attaccamento alla madre, un complesso di Edipo non superato. Si parla della metamorfosi strana di Angiolina. Il romanzo ha un epilogo negativo per il protagonista che finisce in solitudine. T: La madre Melanie Klein, psicoanalista, che ha letto con grande interesse questo racconto di Svevo, in particolare la sua vela psicoanalitica, ha analizzato le difficoltà e i traumi infantili notando come essi modificano la vita di una persona. Il testo presenta la struttura di una fiaba, ricorda fedro, i protagonisti sono degli animaletti, in particolare dei pulcini. Il protagonista si chiama Curra. Troviamo due pollai, in uno i pulcini nascono dalla cova dell'incubatrice, un luogo molto freddo, nel senso affettivo, Curra, nato nell’ incubatrice, si mette in testa di andar a cercare la sua vera mamma, è tanto curioso al punto che decide di oltrepassare la siepe e andare nell’altro pollaio, qui individua una chioccia, una vera madre, circondata da altri pulcini come lui. Curra nota che la madre ha trovato un vermicello e vuole imboccare i piccini che sono però timidi, hanno paura, allora Curra dice che sono così sciocchi perché la chioccia è così premurosa. Quindi Curra si piomba a prendere il verme dalla chioccia, ma essa vedendolo lo picchia, perché lo riconosce come estraneo, a questo punto Curra scappa, salvandosi per poco. Passano gli anni e rammarico Curra può solo dire agli altri pulcini come lui che lui un giorno ha incontrato una madre, aggressiva, violenta e affettuosa ma non con lui. Le nuove avanguardie del 900: Oltre al futurismo abbiamo come novità all’avanguardia, la scuola dell’ ermetismo. Al di fuori del futurismo, dell’ermetismo e del crepuscolarismo, si trova un poeta Umberto Saba che rifiuta le avanguardie e la sua poesia, una poesia a sé, viene definita da lui stesso come onesta e chiara. Giuseppe Ungaretti si può considerare il precursore dell’ermetismo, anticipa i tratti distintivi dell’ermetismo; ricordiamo anche Salvatore Quasimodo, che si può individuare nella prima parte della sua produzione tra gli ermetici anche se poi se ne discosta, e Eugenio Montale. Questi 3 autori gravitano attorno alla corrente dell’ermetismo. La poesia dei futuristi da un punto di vista letterario non porta risultati esaltanti se non per le opere di Marinetti, il futurismo ha più successo nelle arti figurative. Ricordiamo anche Alfonso Gatto. La scuola crepuscolare: Quando parliamo di crepuscolarismo dobbiamo fare riferimento ad una esperienza solo italiana, non si tratta di un movimento artistico, non è una corrente letteraria ma si può distinguere in una scuola, ove si raggruppano autori con tratti distintivi, si chiamano crepuscolari, nome dato dalla critica, perché essi rappresentano il crepuscolo della grande stagione lirica rappresentata dai poeti dal carico di Carducci, Pascoli, D’Annunzio; questi poeti sono coloro che hanno restituito al poeta l’appellativo di vate, essi stessi sono poeti vati e rappresentano una grande fioritura lirica, sono stati osannati dal pubblico, lo stesso d’Annunzio che aveva un atteggiamento schivo verso la massa era diventato un mito di massa. A metà del 900, rispetto alla stagione poetica dei poeti vati, vengono chiamati crepuscolari, ciò indica che la grande poesia è tramontata, c'è un giudizio molto severo dei critici che rappresentano un tramonto dell'epoca precedente. Se loro sono giudicati così dalla critica, loro in realtà aderiscono alla scuola per scelta ed essi hanno come obiettivo principale quello di prendere le distanze da Gabriele d’Annunzio, loro vorrebbero essere definiti come degli anti d'annunzio, sono lontani dai toni magniloquenti di d’annunzio, da quelle scelte di lessico e stile; mentre d’annunzio rivendicava il ruolo di poeta vate e si incarnava nel superuomo, questi poeti hanno un atteggiamento dimesso, malinconico, dei toni languidi, pacati, tanto da sconfinare nel patetico. Questa scuola abbraccia degli autori che hanno fatto anche delle esperienze differenti in ambito poetico, come Aldo Palazzeschi, che intraprese anche altri cammini poetici, viene annoverato in altri ambiti; troviamo altri due autori della scuola, uno torinese, e l’altro romano, il primo Guido Gozzano e il secondo si chiama Sergio Corazzini. Il loro malessere psicologico sconfina anche nel malessere fisico, moriranno infatti molto giovani, tutte e due si ammalano di tisi, malattia molto diffusa. Gozzano dice di essere “un coso con due gambe chiamato Guidogozzano”, da qui noi capiamo quanto sono distanti dai poeti precedenti; Corazzini dice invece di se “non sono un poeta ma un povero fanciullo che piange “, questo è dissacrante perché con queste autodefinizioni loro prendono le distanze dagli altri autori, una distanza da d’Annunzio, chiamata distanza evoluta; Corazzini utilizza il patetico mentre Guido utilizza l’ironia. La raccolta più importante di Gozzano si intitola “Colloqui”, da questo titolo alla raccolta perché c’è una scelta di stile e lessico estremamente vicina al parlato. Corazzini scrive una raccolta di versi, la più importante chiamata “Piccolo libro inutile”, ove il tono è molto patetico, se una cosa inutile perché la si scrive. Desolazione del povero poeta sentimentale, tratto dal piccolo libro inutile. Questo testo ha il tono di una cantilena, ha un po 'il sapore di una preghiera, ha un tono molto malinconico e patetico perché esprime dolore, sofferenza e questo malessere esistenziale. Qui Corazzini dice di non essere un poeta, troviamo la negazione del suo ruolo. Con la parola fanciullo la nostra mente ci porta a Pascoli, ma non è corretto, non lo dobbiamo fare, questo fanciullo è un poverino senza forse, che non può fare altro che rassegnarsi, il fanciullo pascoliano, è colui che vede le cose in maniera pura, privilegiata, l’unico che percepisce i messaggi della natura, Pascoli mette il fanciullo in primo piano, i due autori sono alle antipodi, Corazzini invece non lo vede nemmeno come un poeta. La signorina Felicita, tratto da colloqui. Lo stile di Gozzano è ironico, lui non si autocommisera, accenna i suoi tratti fisici, lui è molto magro, anche perché la malattia ti consuma. Questo testo si può considerare manifesto della sua poetica, il testo è molto lungo, lui ricorda momenti del suo passato, in particolare quando passava l’estate nella tenuta di famiglia, a Ivrea, a villa Amarena e vi trascorreva l’estate, in questa villa circondata dal verde. L’autore che un tempo studiava giurisprudenza per solo il fatto che seguiva quel corso, veniva guardato con un certo rispetto all’interno della campagna, tutti lo chiamavano dottore quando in realtà non lo era ancora e non si laureò mai. Durante queste vacanza era solito a frequentarsi con una ragazza del posto, una domestica, molto umile, di astrazione sociale molto umile, una ragazza semplice di nome Felicita, lui adorava passare del tempo insieme a lei, amava osservare, e lo fa a suo modo, non viene fuori un ritratto di una donna femme fatal, o comunque non troviamo le descrizioni di d’Annunzio o Pascoli, ma Felicita è una ragazza molto semplice e lui la descrive con realismo, quasi brutale, lui non dice che era la più bella del mondo, lui la vede cosi com’era con i suoi difetti, Felicita assomigliava a quelle donne rappresentate nei ritratti flamminghi (influenze nordiche), capelli biondi, rossicci, lentigginosa, occhi azzurri, di un azzurro di stoviglia,( nessuno fino ad ora ha descritto una donna di cui è anche attratto cosi, in maniera cosi onesta e schietta), questo è sminuente, poi gli dice che è quasi brutta, non ha paura di descriverla come era, Nonostante questo lui la ricorda con trasporto, e dice che questa ragazza che trascorreva le sue giornate in cucina tra gli aromi, che magari mentre io leggevo Nietzsche lei stirava le camice… Felicita era molto distante da lui non solo da un punto di vista sociale ma anche culturale, ma forse lei poteva rappresentare la felicità per me, questa serenità che la ragazza poteva regalargli; Gozzano era un poeta che grazie alle possibilità di famiglia poteva viaggiare, studiare ed era solito frequentare donne totalmente diverse da Felicita, come la poeta Amalia Guglialmintetti, Amalia era l’antifelicita, era una ragazza istruita, ben vestita, profumata, di buona astrazione sociale; ma lui fermandosi a pensare ricorda quegli attimi con felicita di assoluta spensieratezza. Tanto che quando era in villa Amarena lui preferiva stare con lei, osservarla a cucinare piuttosto che giocare a carte con gli altri uomini. Le figure femminili in Gozzano sono sempre molto realistiche nella loro descrizione ma molto distanti dal poeta, una distanza che può essere spaziale o temporale, nel momento in cui le descrive sono ormai parte del passato, sono donne che non ha mai avuto. L’amica di nonna Speranza, tratto da colloqui Gozzano un giorno perlustra la soffitta della casa della nonna e trova un dagherrotipo, un antenato della fotografia, lui lo trova tra le tante cose borghesi e di pessimo gusto, perché essi, soprattutto se facoltosi, amavano comprare cianfrusaglie e riempire la casa, l’autore trova questa “foto” che ritrae la nonna Speranza con una suo amica, compagna di collegio, di nome Carlotta, tanto gli basta vederla lì che quella poteva essere per lui una donna ideale; quindi tutte le donne da cui si sente più attratto vengono descritte nelle sue poesie, ma poi sono molto distanti nella realtà; ha una relazione sentimentale estremamente complicata, che non riesce a vivere serenamente e idealizza queste donne così distanti; rappresenta la sua incapacità di avere una relazione, perché quando si è ammalati, interiormente e fisicamente, si fa fatica a costruirsi delle relazioni sentimentali. GIUSEPPE UNGARETTI Il precursore dell’ermetismo è Giuseppe Ungaretti (1888-1970), la poesia di Ungaretti presenta delle caratteristiche riprese e portate avanti dagli ermetici. A livello di scelte stilistiche Ungaretti è il precursore dell’ermetismo perché sceglie la brevitas, i suoi componimenti si basano sui versicoli, dei versi brevissimi costituiti anche da una sola parola, il suo stile si può definire nominale, Ungaretti dice che “la parola non ha bisogno di binari” perché nella parola c’è già tutto. La struttura delle sue poesie è tipica dei poeti ermetici perché lo spazio tipografico viene sfruttato nel lato verticale, per la brevità dei versi; loro sfruttano l’analogia e quindi per tutte queste ragioni ma soprattutto per la valorizzazione dello stile nominale e della parola, che contiene in sé già tutto quel di cui c’è bisogno, Ungaretti è considerato il precursore dell’ermetismo. Ungaretti nasce ad Alessandria d’egitto da genitori lucchesi, in seguito alla morte del padre, la madre ritorna in europa, mentre il figlio va a studiare a Parigi, che nei primi anni del 900 è un vero e proprio crocevia per artisti e intellettuali, Parigi è una città in pieno fermento culturale, dove Ungaretti può incontrare artisti di grande fama, come artisti del calibro di Picasso, qui si forma la sua cultura, qui è dove esplora tratti moderni, sempre però preservando anche la tradizione. Ad un certo punto vi è un evento storico che lo sconvolge, Ungaretti è chiamato alle armi e combatte nella 1 guerra mondiale, quella che si riteneva dalle forze in campo una guerra lampo, in realtà diventa una guerra di logoramento che si protrae a lungo soprattutto per chi combatte sul fronte del Carso come per Ungaretti. Di conseguenza Ungaretti si trova sul fronte del Carso, territorio che ha dato nome al fenomeno del carsismo: la pioggia, l’umidità corrodono le rocce calcaree, creando delle cavità naturali, queste trincee, sfruttate nella guerra. I soldati passano le giornate nelle trincee, al di là dei traumi che porta la guerra, c'è lo sfinimento del militare, l'agonia di stare in attesa diverse ore ad attendere, che è tipico per questa tipologia di guerra. Da questa esperienza viene fuori la prima raccolta poetica di Ungaretti, che è la più significativa, oggi si intitola “Allegria” ma che inizialmente porta il titolo “Corpo sepolto” e “Allegria di naufragi” (titolo ossimorico), ma poi lo abbrevia. Eugenio Montale (1896-1981): Se la poesia di Ungaretti si può definire poesia della parola, quella di Montale, di origine ligure, viene definita poesia delle cose. Quando parliamo di parola, il nostro pensiero immediatamente pensa a qualcosa di estratto, mentre quando pensiamo alle cose, pensiamo al concreto, la poesia di Montale adopera la tecnica del correlativo oggettivo, ripreso da Thomas Eliot. In Montale è ripresa la polisemia degli oggetti, una cosa può avere più significato, gli oggetti si caricano di valore simbolico. Montale vuole comunicare al lettore una condizione esistenziale, tipica dell’uomo del 900, un’angoscia, un malessere, caratterizzata da tanti drammi e sciagure, che definisce male di vivere. Ricordiamo che la metafore era una similitudine senza come, la similitudine un paragone, l’analogia andava oltre a queste prime due perché accostava un termine ad un altro sulla base di una somiglianza non riconosciuta universalmente o oggettivamente, ma soggettiva, quest’ultima la troviamo nei simbolisti, futuristi e anche in Ungaretti. L’analogia è astratta, è qualcosa che entra nella soggettività dell’autore. Il correlativo oggettivo è diverso, io qui vado sul concreto, io individuo nella realtà concreta un oggetto che si carica di valore simbolico. Noi studieremo di Montale la raccolta “Ossi di Seppia”, una raccolta che conta molte edizioni perché si arricchisce via via di nuovi testi, qui è evidente la poesia delle cose e il male di vivere, il titolo è un correlativo oggettivo, troviamo la scelta di qualcosa di tangibile che viene caricato di valore simbolico, “ossi di seppia” rappresenta per Montale gli esseri umani, in balia delle onde della vita, che cercano di barancomarsi nell'esistenza, che è un continuo fluire come il mare, ma così come gli ossi di seppia vengono abbandonati sulla battigia come dei relitti, anche gli esseri umani si ritrovano abbandonati e privati del senso dell’esistenza, svuotati di vitalità; così come l’uomo si ritrova a navigar nel mar dell’esistenza, un attimo dopo può ritrovarsi privo di vitalità. Osso di seppia sta all’uomo, come il mare sta all’esistenza. Montale esprime nei suoi versi un malessere esistenziale, un angoscia, c’è pessimismo, vuole esprimere il male di vivere, il malessere, che accomuna gli uomini del 900, periodo pieno di tragedie, molte collettive, oltre che personali, quell’inspiegabile e spiegabile senso di angoscia, ma ciò affligge l’uomo, che gli impedisce di vivere, allora il poeta vuole denunciare questa posizione esistenziale, il poeta diventa il mezzo. Possiamo comprendere meglio la tecnica del correlativo oggettivo nella poesia manifesta di Montale. Nella poesia “Spesso il male di vivere ho incontrato” troviamo diversi correlativi oggettivi per raccontare il male dì vivere; troviamo il verbo era che mette in relazione il sentimento con l’oggetto concreto, per descrivere il male di vivere Montale ha utilizzato: una foglia secca e accartocciata, un rivo strozzato, un cavallo stramazzato, privato dell’energia vitale. Tutti oggetti o cose concrete e visibili della realtà che si associano tramite verbo al essere, essenziale, a un sentimento, a uno stato d’animo. Il titolo è l’incipit del testo, Montale sottolinea che lui spesso si è imbattuto in questa condizione di malessere e angoscia, Montale assomiglia a Dante, Montale vuole anche lui dirci, ma come faccio a far capire ciò che è inspiegabile, come poi motivarla e descriverla è un'impresa ardua perché poi le ragioni che ci conducono a viverla possono essere tutte o nulle, ma dove ci sono parole per lui ci sono cose concrete. Troviamo il verbo essere che crea correlazione, correlativo oggettivo. Questo male di vivere era la foglia riarsa e accartocciata, una foglia secca, questo accartocciare è quasi onomatopeica, una foglia priva di linfa vitale è una foglia che si stacca dall’albero non è più nutrita; era il rivo strozzato, una personificazione (strozzato pensi al collo di un essere umano) un corso d’acqua la cui corrente viene ad essere impedita per una diga o magari un masso e perde il suo senso perché non è più fluire; era (verbo essere copula, ossia segue parte nominale) il cavallo stramazzato (forti i participi, pieni di pathos) cavallo non caduto ma stramazzato, gli animali in poesia sono sempre rappresentati energici, veloci (il motore ricorre all’immagine del cavallo), qui ha perso la sua vitalità energia e forza, ecco cos’è questo, è il male di vivere. Sono cose che si possono vedere nel quotidiano, qualcosa di concetto che ci permettono di comprendere il male di vivere, questo è il male di vivere. Nello stesso testo montale sembra individuare un rimedio che starebbe nella divina indifferenza, l’uomo non soffrirebbe se raggiungesse l’indifferenza di quel che succede attorno a noi, così da essere immuni al male di vivere e individua 3 correlativi oggettivi anche per l’indifferenza sempre legati con la copula: è una statua di marmo, freddo e inerme,è una nuvola che sta alta sopra di noi; è un falco che vola alto. Cerca delle cose estremamente distanti dall’uomo. Il falco non si preoccupa di arrecare danno al resto, è un calcolatore freddo che colpisce la preda non pensando ad altro. L’indifferenza è divina indica che se c'è un dio anche dio è indifferente. Sono tre cose lontane dall’ uomo, ma cose che l’uomo può osservare, non può l'uomo raggiungere l'indifferenza totale quindi ci sarà sempre qualcosa per cui soffrire, gli essere umani non sono stati, nuvole o rapaci, quindi soffrirà di male di vivere. La sensibilità è il nostro limite, non potremmo mai essere totalmente freddi e indifferenti perché sennò non saremmo umani. “Meriggiare pallido e assorto” in Ossi di seppia: Il poeta è originario di Genova, della Liguria; la famiglia ha una casa dove trascorre le vacanze estive che si trova a Monterosso, nelle cinque terre. Qui il poeta è dove ha sempre trascorso il periodo estivo e conserva tantissimi ricordi di questo ambiente marino; qui il poeta conosce anche il primo amore Annetta o Arletta, Anna degli Uberti a cui lo lega un dolce ricordo. Sono tante le donne nella vita del poeta che si susseguono che vengono cantate con pseudonimi: Annetta o Arletta, per esempio, Volpe (Maria Luisa Spaziani); Clizia (Irma Brandeis); Mosca (sua sposa Drusilla Tanzi). Una donna, una poetessa di origine statunitense con cui intreccia una relazione, che viene chiamata Clizia ma il vero nome è Irma Brandeis, Clizia è uno pseudonimo che richiama le metamorfosi di Ovidio e in particolare il mito di Clizia, che è il mito del girasole: la fanciulla era innamorata di Apollo, dio del sole, ed era invidiosa di un’altra fanciulla di nome Leucotoe, ma la sua invidia viene punita da Apollo che la trasforma in girasole, condannandola a muoversi sempre in orientamento ai raggi solari. Le donne di Montale si palesano soprattutto nella raccolta “le occasioni” e queste figure femminili rappresentano quasi in maniera dantesca un mezzo, un tramite, che possa creare un legame tra la condizione terrena dell’uomo e la condizione trascendentale. Sono donne che si legano tramite i ricordi e la memoria. Questo paesaggio ligure e marino gli rimane sempre nel cuore, viene spesso rievocato, però non sempre il mare è visto con un'ottica positiva, ricordiamoci “Ossi di seppia”, la vita è fatta anche di ostacoli e difficoltà e spesso per l’uomo è difficile orientarsi nel mare della vita, dare senso alla propria esistenza. In Meriggiare pallido assorto descrive una situazione, quella di trascorrere il pomeriggio presso un rovente muro d’orto nella campagna ligure non troppo distante dal mare; qui ci sono questi orti, e a recintarli si possono osservare questi muretti, che hanno la caratteristica, per evitare di far entrare degli estranei, di essere decorati con cocci aguzzi di bottiglia. Il poeta era solito a passare qui il pomeriggio ascoltando tra i pruni e gli sterpi, schiocchi di merli e frusci di serpi, troviamo una campagna, ma è arsa dal sole, dove anche la terra è secca tanto da separarsi e da creparsi in zolle, perché il sole è talmente forte da seccare la terra, questa campagna non è indice di vitalità ma di aridità, quindi passeggiare lungo questo muro d’orto può rappresentare come correlativo oggettivo la ricerca di un senso alla vita, ma i segni vitali sono pochi, sia per la vegetazione sia per gli animali (qualche merlo, qualche serpe, ma soprattutto insetti, formiche). L’uomo sa che potrebbe trovare un senso alla sua esistenza infatti ode da lontano il palpitar lontano delle scaglie di mare; lui sta dalla parte opposta del muretto ma ode le onde, che rappresentano la vita, quindi il suo obiettivo è dare un senso all’esistenza, ma tra l’uomo e il mare c’è un ostacolo reso insormontabile, il muretto, la muraglia con in cima cocci aguzzi di bottiglia. É una visione molto pessimistica quella di Montale, nonostante l’uomo senta il richiamo e ha il desiderio di raggiungere il suo scopo, ossia dare un senso alla vita, è impedito, perché nonostante tutto il suo travaglio non è altro che una muraglia. Anche qui troviamo la tecnica del correlativo oggettivo. A rendere questa idea del male di vivere, che è una costante nella poetica di Montale, c’è da un lato l’aspetto del significato, la natura arida, ma concorre a rendere questo aspetto anche il significante, anche la scelta dei suoni, perché ci sono rumori aspri, che danno una sensazione sgradevole, che concorrono a creare questo senso di malessere. Nella raccolta Occasioni questo male di vivere sembra avere uno sbocco, un’occasione attraverso delle figure femminili, queste figure femminili in Montale sono figure distanti, diafane, evanescenti, il contatto con queste figure è un filo, il filo della memoria, il tema della memoria nelle occasioni è molto ricorrente, il ricordo del tempo felice insieme ad una donna, che poteva rappresentare una salvezza rispetto al male di vivere, nelle Occasioni la donna più presente è Annetta, la cui lo lega un ricordo, la memoria del passato giovanile, ma in Mantale troviamo altre figure femminili che assumono pseudonimi, come Clizia, la volpe la cui identità è avvolta nel mistero, ma probabilmente piena di astuzia, mosca, ossia la moglie di Montale, con cui convola a nozze in età matura, mosca perché ipovedente, indossava delle lenti bifocali, molto spesse, era Drusilla Tanzi. Ho sceso a braccio, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. Qui Montale spiega la problematica della moglie, ipovedente, quindi doveva aiutarla, queste scale diventano simboliche e vanno a rappresentare tutte le diverse vicissitudini dell’esistenza e della vita che i due coniugi hanno trascorso insieme, dovendo poi ammettere che alla fine pur dandole il braccio, alla fine ad accompagnarlo e a supportarlo era piuttosto la moglie che non il contrario. Nelle occasioni le donne rappresentano delle possibilità perché il senso della vita forse saranno i momenti felici, o sereni, trascorsi assieme, o forse chi si ama, ma la memoria è crudele e sfoltisce i ricordi e quindi anche quelle figure che dovrebbero rappresentare la salvezza svaniscono pian pian perché la memoria si sfoglia dei ricordi. Questa idea, ricorrente, di memoria è contenuta nel testo: “Non recidere forbice quel volto” tratta da Occasioni. Qui Montale procede sempre con la tecnica del correlativo oggettivo, noi qui abbiamo un appellativo correlato da parte del poeta, si tratta di un oggetto concreto che viene chiamato con licenza poetica, forbice (perché si dice forbici), che molto probabilmente sono cesoie da giardiniere, questo oggetto si carica di significato, indicano il tempo, l'azione esercitata dal tempo sulla memoria umana, il tempo via via, come una cesoia recide, taglia e sfoltisce i ricordi. Nel testo si possono individuare alti correlativi oggettivi, c’è un ramo d’acacia sul ramo vi è un uovo di cicale (di nuovo suoni aspri); l’uovo di cicala è un correlativo oggettivo rappresenta il volto di una donna che il poeta si sforza di ricordare, di lasciare fisso nella memoria, ma il tempo sta per tagliare anche questo ricordo. Il ramo della memoria, su cui c’è appoggiato un uovo di cicala, il volto di una donna, viene custodito perché è da ricordare, minaccia questi presupposti. Nasce la raccolta “Giorno dopo giorno” e in questa raccolta ci sono testi molto noti, troviamo il Quasimodo più apprezzato dai critici che parla alle nazioni divulgando un messaggio di pace, il manifesto di questa nuova modalità di fare poesia si intitola “Alle fronde dei salici”. Qui il poeta rievoca un salmo biblico, quel momento in cui il popolo di Israele era sottomesso ai babilonesi, era schiavizzato per volontà di un sovrano Nabucodonosor, il periodo della cattività babilonesi contro gli ebrei. Momento molto triste della bibbia e coloro che avevano il compito di cantare i salmi, nel momento di schiavitù sotto i babilonesi, avevano appeso le loro lire (cedre) che si adoperavano nell’antichità per accompagnare le recitazioni, come a dire che nel momento in cui viene violata la dignità e la libertà delle persone non si può più cantare o recitare i versi religiosi. Quindi Quasimodo riprende questa immagine è la fa propria dicendo “anche le nostre cedre erano appese e oscillavano lievi al triste vento” nostre per dire dei poeti che di fronte all’orrore della guerra che calpesta la dignità umana i poeti non possono più trovare la forza di cantare e fare ciò a cui loro sono abituati “e come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, tra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura del ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo. Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cedre erano appese, oscillavano lievi al triste vento” questo è un interrogativo, è una domanda retorica: noi rappresenta tutti i poeti che non possono fare poesia di fronte alla morte, di fronte alle madri che soffrono per la perdita dei figli, si chiede come sia possibile, ma è una domanda retorica perché la risposta è negativa. “Milano, agosto 1943” In questo testo si parla dei bombardamenti aerei, una caratteristica innovativa della seconda guerra mondiale. L’attacco non si può prevedere perché arriva dall’alto a sorpresa, uccide i civili ed è devastante ed immediato perché distrugge la città. La città dopo i bombardamenti appare distrutta, con macerie di edifici; uno dei problemi principali era che si colpiscono le infrastrutture. L’istinto dell’essere umano è scavare alla ricerca di acqua, che consente di sopravvivere nonostante tutto e ha un significato simbolico perché non c’è vita senza acqua. Ci sono mani che scavano tra le macerie alla ricerca di acqua: il poeta, di fronte a questo scenario, può parlare a chi cerca di scavare alla disperata ricerca di acqua, si rivolge a loro dicendo che è inutile perché tanto nemmeno i vivi hanno sete, nel senso che il vivo che sopravvive ad un evento del genere non può più dirsi veramente vivo, è come se fosse un fantasma, quindi è inutile scavare pozzi. La poesia va a fotografare un momento della devastazione e di ciò che succede come se fosse un’istantanea. La rappresentazione del reale funge anche da denuncia: la realtà è devastante e collettiva. Umberto Saba (1883-1957): Mentre questi tre autori (Ungaretti, Montale e Quasimodo) hanno dei legami con l’ermetismo abbiamo un autore che rimane distaccato da questo contesto, ossia Umberto Saba. Quella di Saba è una poesia onesta e chiara, come dice lui stesso nella sua unica raccolta “Canzoniere” che riprende il Canzoniere di Petrarca. In Saba non troviamo più l’analogia, siamo distanti dalle avanguardie, ma vicini e legati alle tradizioni. Anche Saba pur essendo vicini alla tradizione lirica italiana si discosta da D’Annunzio. Onesta e chiara, vuol dire che non è poesia dilettantistica, perché è molto studiata anche dal punto di vista stilistico e retorico, è curata, però il messaggio arriva in maniera più diretta al lettore, il lettore deve percepire subito il messaggio. Troviamo poesie molto vicine al quotidiano, altre in cui anche questo autore riflette su alcuni drammi storici, a cui è particolarmente sensibile, lui è di origine ebrea, sente di quel che accade nella prima metà del novecento e lo sperimenta in prima persona. Nel canzoniere, diviso in diversi settori che affrontano generi diversi, troviamo sempre la caratteristica di una poesia onesta e chiara che arriva subito al lettore. Se dovesse scegliere una figura retorica questa è la similitudine, la più semplice da cogliere e sciogliere. Umberto Poli, alias Umberto Saba è un poeta di Poli, ovvero Trieste, città particolarmente interessante dal punto di vista culturale e nella storia del novecento è molto contesa essendo città di confine. I suoi genitori sono: la madre di origine ebrea e il padre ariano. Questo poeta vive nella seconda metà del novecento e sperimenta cosa vogliono dire le leggi razziali approvate nel 1938. Grazie all’amicizia con altri intellettuali, non vive un’esperienza drammatica, ma resta comunque scosso dagli eventi che caratterizzano la sua epoca. Le sue poesie sono riunite nel “Canzoniere”: titolo non scelto casualmente, ma richiama la tradizione rappresentata da Petrarca che simboleggia la lirica italiana. Saba si discosta dalle avanguardie e dalle scuole poetiche che tentano strade nuove in poesia, optando per una poesia che egli stesso definisce “poesia onesta e chiara”. Onesta perché è una poesia estremamente sincera che si basa sulla verità, verità dei fatti e dei sentimenti, ma anche chiara perché vuole essere molto distante da ciò che è, per esempio, l’ermetismo. Non ci sono significati nascosti da individuare nel testo, ma i messaggi arrivano in modo diretto al lettore. Il canzoniere è suddiviso in diverse sezioni, per comodità, essendo un’opera molto corposa. C’è un testo che il poeta descrive anche nella sua prosa “Storie e cronistorie del canzoniere” c’è una poesia che suscitò nell’immediato, alla prima pubblicazione, non poca ilarità (riso): molti risero di questo testo perché si prefiggeva di discostarsi dall’ermetismo contemporaneo e autori come D’Annunzio, che aveva usato toni magniloquenti e lessico estremamente forbito, o comunque immagini finalizzate ad impressionare il lettore, mentre Saba, per contrastare D’Annunzio, decide di attingere al quotidiano e bandisce la magniloquenza, il lessico ricercato e le immagini ricercate di D’Annunzio. Ricordiamo l'inno alla sua donna "A mia moglie”: in questo testo, non con metafore ardite o analogie criptiche, ma con semplici similitudini (paragoni semplici senza correlativo oggettivo) la donna viene accostata alle immagini di animali femminili che sono considerati animali miti che avvicinano l’uomo a dio. In questi animali così comuni, non esotici come quelli che si possono individuare in un esteta, e che appartengono alla nostra quotidianità dipinge il ritratto della moglie che possiede caratteristiche speciali che la rendono unica. Gravida giovenca - non è un paragone lusinghiero per una donna ma la moglie condivide con questo animale la tenerezza, la capacità di essere così docile soprattutto quando viene accarezzata dal padrone. Al contempo alla moglie appartiene anche la forza e l’istinto di protezione, la fedeltà, della cagna che ringhia quando vede qualche estraneo davanti alla casa e difende il territorio e l’ambiente domestico dimostrando fedeltà. Un altro animale è la pavida coniglia - questo perché tale animale femmina ha l’abitudine di strapparsi la pelliccia, quindi sacrificarsi con estrema generosità, per creare la tana per i suoi cuccioli, quindi grande istinto materno. L’immagine della moglie è accostata a due insetti noti per essere laboriosi: l’appecchia (ape sempre in costante movimento alla ricerca di polline, nettare, per il suo miele così come la moglie è dotata di una grande forza di volontà) e la formica. Poi la rondine perché, esattamente come una rondine, la moglie ha portato nella vita del poeta una seconda primavera essendo più giovane di lui. Ogni paragone è intervallato da quella sorta di ritornello che dice che questi sono proprio quegli animali che accostano l’uomo a dio. Non ha trovato le caratteristiche di divina in nessuna altra donna: non vuole essere una parodia ma un ritratto lusinghiero della moglie che ha doti che non si possono riscontrare in nessuna altra. In “Storie e cronistorie del canzoniere” risponde alle critiche che gli erano state mosse, spiega le ragioni che lo hanno spinto a scegliere questi termini di paragone, il fatto che queste doti non si possano riscontrare in nessuna altra donna come lui ha fatto con Lina, fanno apparire la storia come un elogio, una lode per la donna amata. La vita di questo poeta è molto difficile per gli eventi storici che accadono, è travagliata: Saba va anche sotto analisi, si affida a cure psicoanalitiche per far emergere l’intimo vero, perché fino al momento dell’età adulta e matura, lui è sempre in lotta con se stesso e non riesce a capire le motivazioni e quindi si rivolge a psicanalisti che possano aiutarlo. Viene rilevata in lui una latente omosessualità che emerge in un’opera minore e incompiuta in prosa “Ernesto”. In questo romanzo autobiografico, seppur incompiuto, porta a galla questa omosessualità che poi rimane latente negli anni. La sua vita è anche complicata per altri eventi: lui ha un indole tormentata perché il padre ha abbandonato lui e la madre quando era piccolo, Saba ha subito un abbandono dalla figura paterna (omosessualità spiegata in questo modo, ricerca di una figura maschile nella vita). Nei primi anni di vita è stato affidato dalla madre, che stava affrontando una crisi grave a causa dell’abbandono, alle cure di una balia che si chiama Peppa Sabah, cognome ebraico. Figura di riferimento nella sua infanzia, il ricordo gli rimane nel cuore e quando cambia il suo cognome da quello paternò Poli sceglie quello della balia che lo ha accudito nei primi anni di vita. Da adulto andrà a cercare questa donna a cui era molto affezionato (anche il marito che nel suo immaginario rappresentava la figura paterna che non aveva mai avuto, un marito dolce nei suoi confronti), nel canzoniere c’è un ciclo di poesie dedicate a lei, tre poesie. La balia si allontana quando la madre torna a occuparsi di lui dopo essere guarita, il padre viene ricercato in età adulta e riesce a trovarlo “mio padre è stato per me un assassino” un antonomasia con cui la madre chiamava il padre. Saba rivede questo genitore in età adulta e mette a confronto la figura materna e quella paterna: ciò che contraddistingue la madre sono le responsabilità che sente gravare sul suo corpo, ciò che invece contraddistingue la figura paterna è la leggerezza, tanto che, infatti,come un palloncino il padre è volato via, si è staccato dal suo nucleo familiare perché voleva vivere la vita in un modo completamente diverso da quella della donna, la madre di Saba. Due razze in antiche tenzone: non solo perché la madre è ebrea e il padre è ariano ma perché sono due esseri umani completamente diversi l’uno dall’altro e in continuo litigio, non sono conciliabili. Troviamo molti spunti autobiografici nel canzoniere. La poesia che ha suscitato curiosità da parte della critica nella sezione “Case e campagna” è intitolata “La capra”. Sceglie la capra per descrivere la tragedia storica e collettiva che stava colpendo gli ebrei nel secondo novecento, nell’incipit dice “ho parlato ad una capra”, verso spiazzante che porta il lettore a capire che chi soffre, sia essere umano che animale, parla un linguaggio universale che è quello del dolore e della sofferenza, che trascende le parole. È entrato in empatia con questo animale sofferente, bagnato e legato, in una condizione di prigionia dove è privato della libertà, infreddolito. “Il suo belato era fraterno al mio dolore”, parla di volto semita poiché nella propaganda fascista si enfatizzava il volto allungato tipico di chi aveva origini semite e questo volto vagamente poteva revocare il volto caprino. Ci sono state molte discussioni su questo componimento, la critica non capisce se è una posizione antisemita o prosemita, qui interviene Saba a chiarire le cose e pone l’accento sul sentimento di empatia che ci deve essere tra le creature, quando si prova sofferenza se si ha la sensibilità ci si capisce e comprende pur parlando linguaggi diversi perché quello del dolore è una lingua universale. C’è poi una sezione “Mediterranee” dove c’è il testo autobiografico "Ulisse". Il poeta parla di una sua esperienza giovanile e ricorda quando si
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