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Il Banchetto Romano : descrizione ed exursus, Appunti di Storia Romana

Descrizione del banchetto romano, storia romana

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 10/12/2018

elisazinni
elisazinni 🇮🇹

3 documenti

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Scarica Il Banchetto Romano : descrizione ed exursus e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! La tradizione del banchetto nell’antica Roma Il termine banchetto si riferisce ad un pasto collettivo contrassegnato da un carattere di ritualità. Il pasto costituiva spesso, già in origine, un atto dotato di valenza rituale e religiosa: conservavano tale carattere non solo i banchetti rituali delle divinità, dei morti, delle cerimonie pubbliche, ma anche i pranzi privati cui assistevano gli dei onnipresenti. Al significato comunitario del banchetto si associavano quelli dell'ospitalità (ξενία) e del dono. Il pasto principale presso i Romani è la cena (o coena); il ientaculum, colazione della mattina, e il prandium, refezione di mezzogiorno, sono pasti alla buona che si fanno usualmente in piedi. Anticamente si pranzava nell'atrium, dove cioè la famiglia stava riunita la maggior parte della giornata; più tardi in un appartamento al piano superiore , uso di cui rimase traccia nel nome cenaculum, soffitta; solo col diffondersi del lusso si cominciò a destinare per la cena stanze appositamente costruite, i triclinia; nelle case signorili vi era il triclinio d'estate e il triclinio d'invernò e potevano esservene altri ancora. Nelle città meridionali era largamente diffusa l'abitudine di pranzare all'aperto, sotto pergolati o tende (cfr. Plaut., Most., v. 363 segg.). Nel triclinium, come dice il nome stesso (da κλίνη "letto") si cenava stando sdraiati; l'uso primitivo di cenar seduti è attestato solo per i tempi più antichi. Anche le donne di casa prendevano parte alla cena: il che non era considerato sconveniente a Roma come in Grecia; nella età repubblicana stavano a mensa sedute, nell'età imperiale sdraiate. I bambini, invece, siedono davanti a tavole separate. Quando la cena veniva allestita con maggior fasto e solennità e vi erano molti invitati, si chiamava convivium. Offrono occasione al convivio ricorrenze o avvenimenti familiari ovvero le feste del calendario, fra le quali in modo particolare i Saturnali. A banchetto La consuetudine di mangiare distesi su di un letto si diffuse a Roma e poi in tutta Italia e nelle province dell’Impero in età repubblicana, in particolare sotto l’influenza greca e orientale, anche se già gli Etruschi mangiavano sdraiati. Anche presso le classi più modeste, l’usanza voleva che almeno nelle grandi occasioni si mangiasse coricati. Questa posizione, apparentemente non confortevole, permetteva però di ingerire una maggiore quantità di cibo e consentiva ai convitati sazi oltre misura di assopirsi tra una portata e l’altra. Si sdraiavano gli uomini ma non le donne, i bambini e gli schiavi. In un primo tempo le uniche donne ammesse ai banchetti furono solo le cortigiane. In seguito anche le altre cominciarono a prendervi parte ma da sedute poiché non considerate in grado di partecipare alle conversazioni di politica, letteratura e filosofia (anche se sembra certo che almeno nelle cene intime, potessero coricarsi sullo stesso letto del marito).Solo molto tempo dopo le donne, in età imperiale, furono autorizzate a consumare i loro pasti sdraiate. I bambini e gli adolescenti che non avevano assunto la toga virile mangiavano, ancora ai tempi dell’Impero, seduti su sgabelli davanti al letto del padre e della madre. In certe occasioni particolari e con l’autorizzazione dei loro padroni, anche gli schiavi potevano mangiare coricati. Ai convitati era inoltre consentito portare commensali non invitati dal padrone di casa: questi, chiamatiumbrae, erano bene accetti ma non potevano prendere posto sul letto triclinare al pari degli altri ospiti e partecipavano al banchetto anch’essi da seduti. Intorno alla tavola, esistevano generalmente tre letti, andando da destra a sinistra, chiamati F 0 B 7 summus F 0 B 7 medium F 0 B 7 imus da tre posti ciascuno per un totale di nove posti. Le fonti, infatti, ricordano che il numero ideale di commensali era dai tre ai nove, come le Grazie e non più delle Muse. Questo letto da tavola era chiamato triclinium termine che in breve tempo finì per identificare l’intera sala da pranzo. Piatti e posate Il piatto era sorretto dal convitato con la mano sinistra. Poiché si ignorava l’uso della forchetta, che fece la sua apparizione solo in tarda età imperiale, si adoperavano le dita per mangiare. I grandi forchettoni con tre o quattro denti, visibili su raffigurazioni e affreschi, erano semplicemente utensili da cucina o strumenti utilizzati dagli schiavi, chiamati carptores o scissores, che per maggiore comodità dei commensali tagliavano gli alimenti a piccoli pezzi.Il coltello veniva usato nei ritrovi quali tabernae o popine, mentre non era presente nei banchetti a causa della posizione sdraiata assunta dai commensali : esso era pressoché inutile, poiché le pietanze venivano tagliate in piccole porzioni o in cucina, o nel triclinium stesso da uno scalco (scissor), al quale si richiedeva oltre all'abilità del taglio anche l’eleganza di gesti. Del cucchiaio si conoscevano due diversi modelli: un primo inizialmente realizzato in legno ma con il tempo fabbricato anche in metallo, chiamato ligulae; un secondo, il cochlear (da cui è derivata la parola “cucchiaio”) con le estremità utilizzate rispettivamente per estrarre le lumache dal guscio, come dice il nome, e come portauovo. Uno schiavo portava acqua fresca e profumata per lavare mani e piedi dei commensali. Per non macchiare la coperta sulla quale erano distesi, gli invitati avevano l’abitudine di portare un tovagliolo personale che serviva loro anche per avvolgere gli avanzi del pasto talora offerti dal padrone di casa o, nel caso di clienti perennemente affamati, per nascondere quello che arraffavano nel corso della cena. Numerosi resti alimentari cadevano sotto il triclinio e, alla fine del convivio, questi venivano fatti mangiare dai cani oppure degli schiavi provvedevano a pulire il pavimento con della segatura. Partecipare ad un banchetto era un vero e proprio rituale e iniziava già con la scelta dell’abbigliamento. Molto indicata era la vestis coenatoria o synthesis, tunica piuttosto ampia in lino colorato e leggero che garantiva una certa libertà di movimento e che occorreva talora cambiare tra una portata e l’altra per mantenerla pulita; ai piedi si toglievano i sandali ordinari e si calzavano le solae, riservate all’uso domestico e costituite da una suola particolarmente confortevole e da sottili strisce di pelle intrecciate sul dorso del piede e legate alla caviglia. Rituale del banchetto La tavola quadrata veniva chiamata cilliba (“tavolo a tre piedi”) mentre quella successiva e rotonda mensa (dal greco mesa) perché, secondo Varrone, essa era posta al centro . Accanto a queste ne esisteva una per il vino, anch’essa rotonda e con un solo piede, chiamata cilibantum e l’urnarium, riservata ai recipienti contenenti acqua chiamati urnae. Le tavole erano coperte da una tovaglia detta mappa, diffusa già dall’età augustea, che durante lo svolgimento del pasto viene pulita dai servitori con la gausape, un panno di lana grezza a pelo lungo. Su una tavola apparecchiata con cura non dovevano mai mancare la saliera (salinum), l’ampolla dell’aceto (acetabulum) e, talvolta, uno scaccia mosche (muscarium pavoninum). Sempre presenti anche gli stuzzicadenti (dentiscalpia) costituiti da una lunga spina di legno, da una piuma o da altro materiale idoneo sia per funzionalità che per igiene e sicurezza.
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