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Il barocco di Montanari, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'Arte Moderna

conoscere il barocco: i suoi confini e le sue interpretazioni, conoscere cosa ci ha lasciato e i protagonisti principali

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 15/04/2022

alessia-ottanelli
alessia-ottanelli 🇮🇹

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Scarica Il barocco di Montanari e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! 1 IL BAROCCO – T.MONTANARI 1) CONOSCERE IL BAROCCO COSA VUOL DIRE “BAROCCO”? Possibili origini della parola hanno a che fare con l’area semantica del bizzarro e irregolare. Gli scolastici del 1200 italiano -> ”barocco” = certo tipo di sillogismo-> poi cultura umanistica e fino al 1700 -> “barocco” = sinonimo di ragionamento che trae in inganno; in Francia esiste aggettivo “baroque” = serve a designare perle di forma irregolare; una terza etimologia, improbabile-> il toscano “barocco” = indica una forma di usura popolare. Quindi: 1) un ragionamento che non torna; 2) una perla bizzarra; 3) una frode-> il senso non cambia molto. Importante è che nel 1700 francese, entra nel linguaggio figurato e nell’uso comune. Nel 1788 il “Dizionario d’architettura” -> trasforma l’aggettivo in sostantivo-> e su questo passo si basa la censura neoclassica di Milizia, che inaugura al negativo, la gloriosa carriera semantica italiana della parola: “Barocco è l’eccesso del ridicolo”. Le cose però erano destinate a cambiare: la distanza dalla stagione neoclassica e l’evoluzione dell’arte ottocentesca spianavano la strada al riscatto del Barocco. Tre libri aiutano a capire come il barocco iniziasse a sembrare più attraente: 1) “Galleria Estense”, 1883 di A. Venturi, erudita storia della collezione modenese di cui Bernini e il barocco giocavano ruolo positivo; 2) “Rinascimento e barocco”, 1888 di H. Wolflinn, con intrise le idee di Nietzsche, un parallelo astratto tra le due categorie; 3) “Piacere” di G. D’Annunzio, 1889, in cui il protagonista Andrea Sperelli avrebbe voluto scrivere un libro sul Bernini. I CONFINI DEL BAROCCO. In un articolo del 1950 di G. Briganti -> pensava che l’età barocca apparisse come una vicenda storica mal definita, che a volte se ne fissa l’inizio nel 1630, altre nel 1580 o perfino al 1520. Nella sua edizione tedesca, vicenda si divide in tre atti: barocco severo, maturo e tardo. R. Wittkower pensava che un’unità stilistica e culturale consentisse di definire “barocca” l’intera arte italiana tra 1600 e 1750, mentre Briganti definiva barocco solo l’arte fiorita a Roma intorno al 1630. La morale che si trae da tutto questo è che in verità la questione del barocco non è così essenziale. Nel tempo che ci separa dalla loro discussione, la storia dell’arte ha impiegato il tempo a fare ricerca invece di disputare sui concetti (“consiglio” di Michelangelo-> “lasciar tante dispute, perché vi va più tempo che a far le figure”, in seguito a inchiesta sul paragone tra pittura e scultura). Ci lascia tuttavia in eredità da una parte la storia dell’arte dei fatti, dall’altra la storia dell’arte delle idee-> si deve tornare dunque a una storia dell’arte integrale. È in quest’ottica che la distinzione operata da Briganti appare oggi forse più utile. I confini cronologici-> per Briganti il barocco comincia con le opere del Cortona sul 1630; ma basta guardare il Bernini per accorgerci che bisogna andare verso il 1617. Importante è il peso che si deve attribuire al soggiorno italiano di Rubens. È anche da chiedersi quale fosse il ruolo di Caravaggio e Annibale Carracci: si può dire che siano gli aspetti fondamentali del 1600: uno rivoluzionario e l’altro conservatore-> da una parte Caravaggio e dall’altro Bernini e da Cortona. Il barocco cominciò con uno strappo rivoluzionario, cioè con l’affermazione di Caravaggio e Carracci-> opere simbolo: Galleria Farnese e cappella Contarelli -> quindi 1600= barocco. È nella rottura cosciente con l’arte manierista che affonda l’autocoscienza barocca del proprio parallelismo con i giganti del secolo precedente. Una delle ragioni per proporre questa periodizzazione-> “Le Vite” di Bellori, Roma, 1672-> sono la storia di quella 4° età dell’arte italiana profetizzata da Vasari: 1°= Cimabue e Giotto, dopo parentesi medioevale; 2°= Brunelleschi, Donatello e Masaccio, con cui si ha ulteriore crescita; 3°= Leonardo, Raffaello e Michelangelo, conquistano la perfezione assoluta e superiore a quella che le arti figurative raggiunsero nell’antichità. Dopo aver stigmatizzato la decadenza che contraddistingue il manierismo (fine 3° età), Bellori descrive la 4°: due potenziali redentori sono esclusi a causa della loro lontananza da Roma: Rubens rifonda la pittura in Fiandra e F. Barocci. A Roma, battaglia da Cavalier d’Arpino, manierista, e Caravaggio, rivoluzione naturalistica, mette a rischio la sopravvivenza della pittura. Il vero salvatore è Carracci, il nuovo Raffaello. Bellori si serve do materiale già presente nella letteratura artistica: tripartizione tra manieristi, caravaggeschi e carracceschi, ma è Bellori che la introduce in una prospettiva di evoluzione storica; delinea la 4° età che nasce col 1600. Un continuo confronto col 1500: Annibale è nuovo Raffaello, Barocci e Lanfranco sono Correggio, Caravaggio è Giorgione, 2 Van Dyck un Tiziano. Potrà sembrare bizzarra la proposta di fondare periodizzazione dell’arte barocca su una fonte ritenuta anti-barocco e classicista. C’è un altro motivo per cui visione di Bellori può offrire una solida legittimazione storica a questa visione: è il fatto che sono fondamentali la centralità di Roma e l’apertura europea. Non si potrà parlare in Italia o Europa barocca alludendo a una condizione poligenetica, ma solo alla diffusione monogenetica di un’arte figurativa che si sviluppa a Roma a partire dal 1600. Lo stile si diffuse grazie a viaggi artisti, circolazione opere e fondazioni di accademie. Più insidioso è il problema della fine del Barocco e della sua trasformazione in Rococò. Morte di Cortona (1669), Bernini (1680) e Guarini (1683) segnano la fine del pieno barocco romano. Si apre fase nuova. L’antitesi classico-barocco servì a ordinare le idee, ma anche gli artisti del 1600. Così ai barocchi Bernini, Cortona, Borromini, si contrapposero i classicisti Poussin, Duquesnoy, Sacchi. Bernini, Borromini e Cortona furono frequentatori dell’arte e della tradizione classica che conobbero e utilizzarono più e più profondamente di Sacchi, Duquesnoy. L’indicatore del classicismo non è adatto a far emergere le differenze. Le distinzioni possono avvenire sulla base dello studio delle singole opere dei singoli autori. 2) INTERPRETARE IL BAROCCO UNA LETTURA DEL BAROCCO. Il carattere identitario del barocco-> l’obiettivo è quello di abbattere i confini tra lo spazio, fisico e psicologico, realtà e lo spazio dell’arte. I sensi, la mente e l’anima di chi guarda sono il vero teatro a cui ambisce l’artista. Il recupero e il rilancio del rapporto con lo spettatore è tra i sintomi più evidente del ritorno al rinascimento su cui su fonda. Con il barocco si torna a coltivare un canale di comunicazione diretta. L’analisi del ruolo dello spettatore, la chiave di lettura più redditizia. Nella “Madonna dei pellegrini”, Caravaggio trasforma pala d’altare nella porta della casa della vergine che esce incontro ai fedeli. Il barocco non ebbe una teoria ufficiale, ma il 1600 fu un secolo meno incline all’elaborazione astratta di quanto non fosse il 1500. Biografia di Bernini scritta da Baldinucci-> secondo lui, la via attraverso cui Bernini ha intrapreso il suo rinnovamento è stata di non accettare il canone corrente delle forme, vocabolario e monotono, degli elementi architettonici e plastici dall’ultimo manierismo. Ha infranto in questa prassi formale ma non i canoni classici dell’architettura. Alla base della libertà barocca ci fosse la licenza manierista. Baldacchino di san Pietro-> Bernini ha tentato d’unire l’architettura con la scultura e pittura; Bernini ha avuto una concezione scultorea e pittorica del linguaggio architettonico. Carattere intimamente scultoreo e pittorico dell’architettura berniniana e anzi più in generale di quella barocca. L’EREDITA’ DEL BAROCCO. Chiedersi se il barocco romano creò per quella società più di quanto essa stessa seppe suggerirgli. Questa domanda chiama in causa il rapporto tra artisti e mecenati. Notando che non esistono gli equivalenti italiani di Velàzquez, Rembrandt, Vermeer, Poussin, nel 1963, F. Haskell propose di cercane la causa: gli artisti legati al mecenatismo di una particolare società non riuscirono ad adattarsi alle nuove condizioni quando le basi su cui questa si reggeva crollarono. La pittura borghese tipica dell’Inghilterra, e della Francia in Italia non aveva vere radici. Durante il 1600, la nascente opinione pubblica colta europea accettò l’autonomia dei valori propri dell’arte figurativa e ciò determinò l’affermazione di una più vasta libertà capace di allargare la propria interpretazione della realtà in sensi sconosciuti alla civiltà rinascimentale e di elaborarne una critica. L’antico pregiudizio umanistico relegava le arti figurative tra le attività meccaniche. L’ingresso nella storia dell’arte tra le discipline scientifiche riconosciuto dalle università sia un fatto solo otto/novecentesco. Annibale diceva che i pittori dipingono con le parole e i pittori parlano con le opere. Egli non intendeva esaltare la raggiunta parità non solo di due linguaggi ma di due tradizioni culturali parallele. Bellori porta a termine il processo intellettuale dei Carracci. Scopo di levatura mentale e filosofica degli artisti romani di considerarli intellettuali. Il punto fondamentale è che avveniva senza schiacciare la specificità visiva delle arti figurative su un contenutismo che le avvicinasse alla letteratura. Intorno al 1660 l’intellettuale cardinale gesuita S. Pallavicino dichiarò che Bernini non solo era il migliore scultore e architetto ma anche maggior uomo. Bernini elevava una sfida tecnica a livello di fine ultimo dell’arte e con ciò invitava il pubblico a far proprio un discorso, una scala di valori e, in un’ultima analisi, uno sguardo da artisti. Tra le finezze dell’arte della scultura 5 evidenziate da Galileo. L’intera opera scultorea di Bernini si può leggere come una confutazione dell’affermazione di Galileo. I primi frutti importanti della gara tra Bernini e la pittura-> quando cardinale M. Barberini gli ordinò una serie di sculture nella cappella di famiglia-> “San Sebastiano”, martire agonizzante, estenuata sofferenza e la sua dolce e terribile sospensione tra vita e morte rivelano suggestioni: di Rubens e la tradizione correggesca e tizianesca. Per la 1° volta Bernini sembra stabilire un punto di vista privilegiato, dal lato destro. Finì poi al servizio di Scipione Borghese-> gruppo di 3 personaggi-> “Enea, Anchise e Ascanio” in collaborazione col padre; poi gli commissiona “Il ratto di Proserpina”, distacco dal padre è completo; P. Aldobrandini commissione una versione monumentale del “San Sebastiano”; il cardinale Montalto un “Nettuno”; lo stesso cardinale una statua a grandezza naturale del “David”, ma morì poco dopo-> Scipione allora rilevò l’ordine aggiudicandosi un altro Bernini nella sua villa. Bernini non stimola la devozione e la spiritualità dello spettatore: cerca piuttosto di far scattare sensazioni più basse e incontrollabili come la sorpresa e la paura. “L’Apollo e Dafne”. Le figure di villa Borghese, concepite per essere poste contro una parete e per essere godute da un punto di vista determinato, invadono lo spazio dello spettatore e sembrano condividerne gli aspetti essenziali: il movimento, l’aria e il colore= la vitalità stessa. La scultura tornava a dialogare alla pari con i capolavori antichi e rinascimentali. Era finalmente colmata a distanza che la separava dalla pittura. Nei primi anni venti, davanti alla bottega indivisa dei Bernini padre/figlio c’era la fila di coloro che volevano ritrarre se stessi o un loro caro defunto da G. Lorenzo. Una delle conseguenze è la marcata unità stilistica di questo gruppo di ritratto: ora Bernini cerca di imprimere nei busti un accenno moto che possa porli in un rapporto più diretto con lo spettatore. Ma il vertice di questo gruppo di ritratti è rappresentato dal “Montoya”: busto aveva destinazione funebre ma decise poi di lasciarla nella bottega dell’artista. Bernini compie un altro passo verso gli effetti della pittura: il ritratto “Roberto Bellarmino”-> illusione di estrema naturalezza, viva-> ricorda il “caravaggesco” della santa Cecilia. Bernini non si limita a riprodurre meccanicamente, ma anzi lo anima secondo modello pittorico riconoscibile (cardinale O. Farnese dipinto da Annibale). L’idea fondamentale di risolvere tutte le sue storie non come racconti ma come ritratto del protagonista congelato in un irripetibile momento individuale è uno dei frutti principali dell’indelebile vocazione di Bernini al genere del ritratto, caravaggesco e carraccesco. IL TEATRO DEL BAROCCO: SAN PIETRO IN VATICANO. Eletto papa M. Barberini (=Urbano VIII) e fu una rivoluzione culturale. Urbano VIII si dedica alla nuova san Pietro, impresa titanica avviata dai predecessori e in vista del traguardo. L’azione di Urbano in san Pietro: chiamò il giovane Bernini, che conosceva da tempo e fiorentino come lui-> lo trasformò in architetto e inventore di un nuovo universo figurativo. Con questa decisone, Bernini cominciò a trasformare il volto stesso della città, segnando alcuni luoghi simbolo-> barocco diventa linguaggio figurativo del papato. In Santa Bibiana Bernini si fa regista e trasforma spazio sacro nel palcoscenico di una rappresentazione il cui intreccio avvince gli spettatori. È dunque in questa piccola chiesa che nella metà anni venti del 1600, Bernini e Cortona battezzarono ufficialmente il Barocco. Soddisfatto, Urbano, si dedicò a san Pietro-> copertura della tomba di Pietro, baldacchini-> scultura-architettura in bronzo. Giugno 1629 si innalzano le 4 colonne e iniziò poi la complicata gestazione della parte superiore dell’opera: soluzione finale è sorta di corona abitata da angeli. Giugno 1633 baldacchino inaugurato. Impatto visivo e intellettuale fu immenso. Buona parte del fascino risiede nel suo sottrarsi a ogni univoco tentativo di interpretazione. Bernini non intende rappresentare qualcosa che è, ma dare l’illusione di qualcosa che sta accadendo ora, rinnovandosi sotto ogni sguardo. L’effetto sorpresa. Questioni aperti circa la genesi del baldacchino: più rilevanti riguardano l’entità del ruolo di Borromini: debuttò nel quartiere vaticano come scalpellino e poi come disegnatore e supervisore baldacchino: viene da chiedersi se qualcuna delle idee innovative di esso siano venute al giovane Borromini (problema difficile ma è un fatto che chiesa di S. Carlino alle 4 fontane sia pervasa da stesso spirito dinamico e stesso amore per le curve che anima le colonne tortili del baldacchino). Bernini e Urbano trasformarono ini 4 reliquari i piloni che sorreggono la cupola e scava nella parte inf. 2 nicchie con statue. Sugli altari della basilica compaiono altre rappresentazioni: pale d’altare “Seppellimento di Santa Petronilla” commissionato a Guercino i nuovi pittori conquistano gli ambiti altari della nuova 6 san Pietro. È Andrea Sacchi “la Messa di san Gregorio Magno”; Cortona “Trinità”; Poussin “Martirio di sant’Erasmo”. Lo spirito di Bernini e Rubens abitano le pale d’altare di Sacchi, Cortona e Poussin; anche Domenichino dipinge una pala “Martirio di San Sebastiano”. Ma l’effetto è che di un grande artista che tradisce la vera identità per cercare di comprendere qualcosa che gli è precluso. Mentre san Pietro si trasformava Urbano VIII ne andava costruendo Palazzo Barberini affidato a Maderna, Bernini e Borromini attivi in Vaticano. La campagna di decorazione pittorica degli interni-> Sacchi, Cortona, Poussin. Immagine di Urbani VIII era indissolubilmente legato alla nuova basilica decise di farsi costruire una tomba lì-> affida esecuzione a Bernini-> destinata alla tribuna ma era stata già presa la decisione di spostare quella di Paolo III Farnese nella tribuna-> a quel punto disporre nell’altra nicchia il sepolcro di Urbano-> non è chiaro cosa si intendesse porre al centro delle due tombe. Fin dall’inizio non si pensava un singolo monumento ma di 2 tome accoppiate: soluzione di due sepolcri godeva a Roma di una tradizione: Pio II e Pio III, Leone X e Clemente VII, Paolo V Borghese e Clemente VIII, ma Bernini e Urbano volevano risalire all’origine: Sagrestia Nuova di San Lorenzo dove Michelangelo aveva realizzato quella di Lorenzo di Urbino e Giuliano di Nemours. Revival rinascimentale nessun’opera era più ovvia della tomba di Urbano VIII e luogo più indicato era san Pietro. Dibattito 1500: quale forma completare la basilica: da una parte i difensori di san Pietro rinascimentale, dall’altra croce latina per esigenze liturgiche. Paolo V croce latina e commissionando a Maderno la facciata-> tra gli oppositori Maffeo Barberini-> la sua forte tensione trova sintesi simbolica nella vicenda del monumento funebre migrato dalla vecchia alla nuova basilica: fu Maffeo a prerorare salvataggio della tomba di Innocento VIII del Pollaiolo e a curarne il riallestimento. Urbano e Bernini studiarono quel sarcofago. Anche il Bernini aveva fatto proprie le convinzioni del suo mentore e ripeteva che il progetto di Michelangelo aveva escluso a ragione la navata fatta poi costruire da Paolo V e che la facciata di Maderno deturpava la veduta della cupola che gli più volte aveva consigliato ai papi di abbatterla ma che nessuno aveva il coraggio di demolire. Barberini una volta papa, si era ben guardato dal prendere una decisione tanto drastica e impopolare. Urbano era deciso a restaurare gli equilibri originari dello spazio michelangiolesco, a correggere l’alterazione prospettica e percettiva introdotta dall’aggiunta maderniana, solo che lo fece aggiungendo e non distruggendo. Apparirà ovvia la scelta di Urbano di farsi seppellire in san Pietro e di situare monumento nella parte michelangiolesca. Impianto compositivo sua romba segna un ritorno al Buonarroti, solo un’occhiata ne svela invece le distanze e lascia assaporare una dolcezza e mollezza ignote a Michelangelo. Alla morte di Urbano gli successe Innocenzo X-> cambio di regime fece fare alla clientela barberiniana un passo indietro. In san Pietro Innocenzo volle provarci a distinguersi da Urbano: unica pala che avrebbe donato sarebbe stato enorme rilievo di marmo degli episodi di san Leone a opera di A. Algardi. Nel 1655 eletto pontefice erede di Urbano: Alessandro VII Chigi-> si concentrò sull’architettura e sull’urbanistica e crebbe una Roma moderna. Per san Pietro egli chiese a Bernini di risolvere i due grandi problemi lasciati irrisolti da Urbano: piazza di fronte a Basilica e la zona absidale (la risolse con la Cattedra di san Pietro-> illusione è quella di un abbattimento del perimetro materiale della basilica: la struttura architettonica dell’abside è cancellata dall’irruzione della colomba di santo Spirito). Gaulli era diventato a Roma il braccio pittorico di Bernini. Colonnato di san Pietro e una trionfale via d’accesso voluta da Clemente IX, il ponte di sant’Angelo: fu decorato da 10 statue di angelo con gli strumenti della passione eseguiti sotto direzione di Bernini da Raggi, Morelli, Nandini ecc. Sepolcro di Alessandro VII eseguito da equipe di artisti sotto la direzione di un Bernini ottantenne. Baldinucci coglie l’essenza del monumento descrivendolo come un palco sul quale è rappresentata una scena in cui si espandono a dismisura quegli spunti di movimento che erano già presenti nelle singole figure del sepolcro di Urbano VIII. IL TRIONFO DELLA PITTURA: REMBRANDT E VELAZQUEZ. I due pittori più grandi del secolo: lo spagnolo Velàzquez e l’olandese Rembrandt. Il messinese Ruffo aveva ordinato una mezza figura, di un filosofo a Rembrandt. La costruzione luministica è caravaggesca: lo sono l’abbattimento dei confini tra i generi, l’attualizzazione emotiva di un soggetto classico e l’assenza di azione. Rembrandt nutriva un sincero e profondo interesse per la recitazione che nasceva dall’esigenza di padroneggiare, per poi insegnare, la tecnica di una rappresentazione verosimile ed efficace delle 7 scene storiche. La forza del naturalismo caravaggesco spinge ora l’artista a diventare anche attore, cioè interprete convincente e credibile di un‘espressione, di un volto, di una psicologia. Una caratteristica importante dell’accademia di pittura guidata da Bernini. Nel 1635 i suoi frequentatori misero in scena la commedia delle “Due accademie”, dove il maestro e gli allievi si autointerpretavano e si autorappresentavano sul palcoscenico, egli si autorappresentava perché gli allievi imparassero a rappresentare. Per Rembrandt la messa in scena teatrale era un mezzo per arrivare a comporre i suoi quadri più complessi: primo tra tutti il ritratto la “Ronda di notte” -> non è solo un ritratto di gruppo teatralmente Rembrandt introduce nell’opera delle discusse figure allegoriche. La vita artistica di Velàzquez si può raccontare come un continuo confronto con l’Italia del presente e passato. Era nato a Siviglia, ma l’Andalusia sembrava molto lontana. In realtà le rotte culturali e commerciali del Mediterraneo avevano tenuto la capitale intellettuale spagnola a giorno degli ultimi eventi che avevano squassato la pittura italiana. Già intorno al 1621 Velàzquez ultimava il suo primo capolavoro Acquaiolo di Siviglia. Il fatto che Velàzquez avesse ben compromesso la rivoluzione caravaggesca prova che l’eversivo abbattimento della gerarchia contenutistica dei generi innescato da Caravaggio era implicito nei dipinti stessi e nelle loro copie. Egli si stabilì a Madrid, dove avvenne l’incontro con la grande pittura italiana e veneziana, collezionata dai re di Spagna. Nel 1639 Velàzquez è a Roma e può conoscere l’antico, i maestri del Rinascimento, il caravaggismo e arte barberiniana. 1631 è di nuovo a Madrid in qualità di pittore del re-> doveva dipingere ritratti e sempre delle stesse persone. Ma in questa sorta di gabbia creerà alcune delle stesse opere più importanti. L’immobilità del pittore di posa o la sublime noia di un artista fecero di Velàzquez il pittore “di studio” per eccellenza: i suoi quadri nascevano nell’atelier della reggia, come in un laboratorio. Da qui proviene la sensibilità meta-artistica di Velàzquez, cioè la disposizione a riflettere sulla propria attività a “parlare” della sua arte attraverso le sue stesse opere, a violare le regole dall’interno. Diego tornò in Italia nel 1650. La lontananza da Madrid permetteva a Velàzquez di darsi tutto ai generi che gli interessi della corte escludevano: risalgono le due vedute di Villa Medici-> la loro singolarità rende difficile la classificazione in termini di genere: soggetto urbano impedisce di definirle paesaggi, natura delle figurine, ferialità della situazione sconsiglia di ritenerle vedute da Grand Tour. Il quadro più importante del secondo viaggio in Italia e ritrattistica è “Innocenzo X”. L’ENERGIA IMBRIGLIATA: L’ALBA DEL RE SOLE. Nel 1665 i rapporti tra Francia e Italia conobbero un tornante: il giovane capo dello stato più ricco e potente d’Europa ottenne che il palazzo degli avi fosse riprogettato dall’artista più illustre: Bernini-> per convincerlo a lasciare Roma, la tensione tra il R e Sole e Alessandro VII era sfociata in una concreta minaccia di invasione francese nel Vaticano. Bernini venne onorato e ricompensato come mai nessun artista prima di lui e l’opinione pubblica europea seguì l’evento con curiosità. E tutto questo non fece che render ancor più clamoroso l’insuccesso con cui si concluse: se si escludono il busto di Luigi XIV e il diario di viaggio scritto da P. F de Chantelou, è difficile elencare altri risultati di rilievo del soggiorno di Bernini. I progetti del Louvre vennero abbandonati e la statua equestre del Re Sole fu trovata mal fatta. Fu a spese di Bernini che Luigi XIV e il ministro Colbert si emanciparono dalla sudditanza culturale verso l’Italia e Roma. Era la conclusione del processo dell’imitatio Romae. La nuova politica di grandezza catalizzò antichi risentimenti anti-italiani e anche nel campo figurativo si passò dalla volontà di competere per la supremazia artistica con l’Italia. Il massimo artista francese, Poussin, il quale era stilisticamente e culturalmente un italiano, non aveva alcuna intenzione di lasciare Roma per andare a Parigi a legittimare il nuovo corso nazionalista. La propaganda colbertiana cominciava a impressionare molti italiani. La trasformazione dell’Accademia reale di pittura e scultura in una sorta di organo supremo dell’ortodossia figurativa al servizio della glorificazione del monarca-> anche le arti figurative avevano trovato un loro posto, finendo per essere irregimentate. La translatio artis ad Francos non si tradusse in un trapianto dello stile barocco romano sulle rive della Senna. La libertà e la varietà artistiche consentite da un principato sacro non erano pensabili nel sistema colbertiano. Per il Louvre il re creò una commissione col suo primo architetto, pittore e teorico dell’architettura: il risultato fu il progetto delle Colonnade. La trasformazione del castello di Versailles-> nuova Versailles segna una decisiva distanza dai modelli italiani. Della Roma barocca Luigi XIV aveva capito una cosa: lo
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