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il bilancio di francesco giunta e michele pisani, Dispense di Analisi Di Bilancio E Principi Contabili

bilancio riassunto-dispense in classe

Tipologia: Dispense

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Scarica il bilancio di francesco giunta e michele pisani e più Dispense in PDF di Analisi Di Bilancio E Principi Contabili solo su Docsity! IL BILANCIO Appunti Riassuntivi Francesco Giunta e Michele Pisani 2 Sommario 1. BILANCIO: DEFINIZIONE E FUNZIONI .................................................................................................. 5 2. IL QUADRO NORMATIVO ................................................................................................................... 5 2.1 LE NORME CIVILI, POSTULATI E CRITERI SPECIFICI ........................................................................................ 5 2.2 PRINCIPIO DELLA CHIAREZZA .................................................................................................................... 6 2.3 IL PRINCIPIO DELLA VERITÀ ...................................................................................................................... 7 2.4 IL PRINCIPIO DELLA CORRETTEZZA ............................................................................................................. 7 3. I PRINCIPI DI REDAZIONE (E PRECONDIZIONI TECNICO – CONTABILI) .................................................. 9 3.1 LOGICA DI FUNZIONAMENTO ................................................................................................................... 9 3.2 COMPETENZA ECONOMICA ...................................................................................................................... 9 3.3 PRINCIPIO DELLA PRUDENZA .................................................................................................................. 10 3.4 COSTO STORICO COME CRITERIO BASE DI VALUTAZIONE ............................................................................ 10 3.5 PREVALENZA DELLA SOSTANZA SULLA FORMA .......................................................................................... 11 3.6 PRINCIPIO DELLA COMPARABILITÀ .......................................................................................................... 11 3.7 IL DIVIETO DEI COMPENSI DI PARTITE E LA VALUTAZIONE SEPARATA DI ELEMENTI PATRIMONIALI ..................... 12 3.8 L’OMOGENEITÀ DEI VALORI DI BILANCIO ................................................................................................. 12 3.9 LE DEROGHE (2423 COMMA4) .............................................................................................................. 12 4. LO STATO PATRIMONIALE ................................................................................................................ 13 4.1 LA FORMA DELLO SP ............................................................................................................................ 14 5. L'ATTIVO DELLO STATO PATRIMONIALE ........................................................................................... 15 5.1 IMMOBILIZZAZIONI ............................................................................................................................... 16 5.2 L'ATTIVO CIRCOLANTE ........................................................................................................................... 18 5.3 I RATEI E I RISCONTI ATTIVI ................................................................................................................... 19 6. IL PASSIVO ....................................................................................................................................... 19 6.1 PATRIMONIO NETTO ............................................................................................................................. 19 6.2 FONDI RISCHI E ONERI, FONDO TFR ....................................................................................................... 19 6.3 I DEBITI .............................................................................................................................................. 20 7. IL CONTO ECONOMICO .................................................................................................................... 20 7.1 FORMA E STRUTTURA DEL PROSPETTO ...................................................................................................... 20 8. LA GESTIONE OPERATIVA ................................................................................................................. 21 9. LA GESTIONE FINANZIARIA .............................................................................................................. 22 10. LA GESTIONE STRAORDINARIA ..................................................................................................... 23 10.1 GLI ERRORI CONTABILI, IL CAMBIO DI PRINCIPI E IL PRINCIPIO DELLA COMPARABILITÀ ........................................ 23 11. L'AREA TRIBUTARIA ..................................................................................................................... 24 12. L'UTILE DI ESERCIZIO .................................................................................................................... 25 13. IL BILANCIO IN FORMA ABBREVIATA ............................................................................................ 25 14. L'INVENTARIO .............................................................................................................................. 26 14.1 LA VALUTAZIONE DELLE IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI ............................................................................... 27 14.2 L'AMMORTAMENTO ............................................................................................................................. 28 14.3 LA REVISIONE DEL PIANO DI AMMORTAMENTO ........................................................................................ 29 14.4 LE SVALUTAZIONI E I RIPRISTINI DI VALORE .............................................................................................. 29 14.5 IL FAIR VALUE ..................................................................................................................................... 30 5 1. BILANCIO: DEFINIZIONE E FUNZIONI Il bilancio d'esercizio è l'insieme dei documenti contabili di sintesi redatti dagli amministratori di una impresa. Il Bilancio è redatto periodicamente, e ha scopo di rappresentare in modo veritiero, chiaro e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell'impresa stessa al termine del periodo amministrativo. Del Bilancio fanno parte lo Stato Patrimoniale, il Conto Economico e la Nota Integrativa, ai quali deve essere allegata la Relazione sulla Gestione. A questi quattro documenti si possono aggiungere ulteriori documenti, fra i quali il Rendiconto Finanziario e il rendiconto delle variazioni di patrimonio netto, qualora sia previsto per legge, e possono aggiungersi inoltre eventuali informazioni volontarie, come il bilancio sociale e il bilancio ambientale. Il bilancio rappresenta, grazie alla sua funzione di sintesi periodica della contabilità generale, la fonte primaria di informazioni riguardanti lo stato di salute e la composizione di una impresa, rendendo il bilancio lo strumento fondamentale di comunicazione dell'impresa con gli stakeholders. Il legislatore si è trovato a dover prestare una attenzione particolare nei confronti della redazione di bilancio proprio per tutelare gli stakeholders dell'impresa, in quanto senza un quadro normativo che regoli gli aspetti formali e sostanziali dei documenti di bilancio gli amministratori potrebbero effettuare delle esposizioni arbitrarie che potrebbero trarre in inganno i vari stakeholders interni o esterni dell'impresa. 2. IL QUADRO NORMATIVO Il quadro normativo di Bilancio si basa su quattro pilastri fondamentali, ovvero le norme del Codice Civile negli articoli dal 2423 al 2435, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), la prassi contabile nazionale e la prassi contabile internazionale. Le norme del Codice Civile hanno, all'interno del quadro normativo, compito di dare natura giuridica al Bilancio di Esercizio, decretandone i parametri e i criteri di redazione. Tali criteri però sono soggetti a possibili varianti interpretative, senza contare diversi aspetti non direttamente regolamentati dal codice civile. In questo ambito lacunoso o poco chiaro si inserisce la prassi contabile nazionale e internazionale, che ha funzione interpretativa in chiave tecnica delle norme di legge e funzione integrativa delle stesse laddove siano presenti carenze. La prassi contabile nazionale nasce storicamente dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti e dal consiglio nazionale dei ragionieri, i quali hanno emesso diversi documenti, alcuni dei quali ancora oggi in vigore. Il compito dei due consigli nazionali è stato dal 2001 preso in consegna dall'organismo italiano di contabilità (OIC). Dei documenti emessi dai Consigli Nazionali sono rimasti attualmente in uso i documenti dal numero 11 al numero 30, ai quali si aggiungono i documenti emanati dall'OIC. Sul piano internazionale la prassi è regolata dagli “international accaunting standards” (IAS) e dagli “international financial reporting standard” (IFRS). Gli IAS sono 41 documenti, emessi dall'“international accaunting standard committee” (IASC), rinnovato a “International accaunting standard board” nel 2001. Lo stretto legame fra prassi nazionale e internazionale è dimostrato dal compito dell'OIC, il quale cerca di armonizzare i principi contabili italiani con quelli internazionali in modo da creare un univoco sistema normativo del bilancio. 2.1 LE NORME CIVILI, POSTULATI E CRITERI SPECIFICI Le norme del Codice Civile si sviluppano su due differenti livelli di azione. 6 I postulati sono le norme a carattere generale, con carattere di assoluta preminenza, che vanno a creare la cornice all'interno del quale si sviluppano i criteri specifici. Compito dei postulati è quello di mantenere integra la finalità del bilancio in quanto strumento primo di informazione per gli stakeholders riguardo lo stato di salute dell'impresa. I criteri specifici sono approfondimenti in senso operativo di singoli aspetti della redazione di bilancio, e non possono disattendere nella loro interpretazione e applicazione i postulati. I postulati su cui si fonda la normativa sono dettati negli articoli 2423 e 2423 bis del codice civile, nel documento numero undici dei principi contabili nazionali e nel framework dello Iasb. All'interno dei postulati si possono distinguere due diversi livelli, ovvero le clausole generali e i principi di redazione. Le clausole generali fissano gli obbiettivi strategici che devono ispirare il procedimento di redazione del bilancio, affinché esso sia coerente con i fini ultimi di questo documento. Si tratta dunque del cuore più vivo della materia del bilancio, al punto da essere definiti come “super postulati”. Le clausole generali sono presentate nell'articolo 2423 cc, e sono tre: chiarezza, verità e correttezza. 2.2 PRINCIPIO DELLA CHIAREZZA In quanto documento di informazione il bilancio deve trasmettere il suo messaggio chiaramente. Il bilancio deve essere dunque redatto in modo che il lettore possa capire, senza ambiguità, la natura e il contenuto delle varie poste nonché i criteri seguiti per determinarne il valore. Il bilancio deve dunque essere intelligibile tanto nella sostanza che nella forma. In questo va sottolineato che bisogna tenere dovuto conto della natura tecnica dell'informazione, e quindi della necessaria presenza di un minimo di conoscenze tecnico- contabili da parte del lettore. Il principio della chiarezza può essere soddisfatto, dal punto di vista formale, attraverso una puntuale applicazione degli schemi di bilancio e delle norme del codice civile e della prassi contabile per quanto riguarda forma, contenuto e struttura, mentre dal punto di vista sostanziale va perseguito attraverso una esposizione intelligibile dell'oggetto rappresentato dal bilancio, fornendo così modo di effettuare una verifica intersoggettiva dei valori di bilancio. Il principio della chiarezza sfocia così nel principio della verificabilità dell'informazione, contenuto nella prassi contabile, secondo cui l'informazione patrimoniale, economica e finanziaria fornita dal bilancio deve infatti essere verificabile attraverso un indipendente ricostruzione del procedimento contabile, tenendo conto degli elementi soggettivi. La chiarezza sfocia e si approfondisce nel principio della significatività e rilevanza dei dati e nel principio della topica legale dell'informazione. Secondo il principio della significatività dei dati in bilancio vanno iscritti quei valori che possono influenzare le decisioni economiche degli utilizzatori, aiutandoli a valutare gli eventi passati e a prevedere quelli futuri. Deve inoltre essere rappresentata anche la rilevanza di tali dati, ovvero la consistenza quantitativa dei fenomeni oggetto di rappresentazione. Questo principio, non direttamente citato nel codice civile, ha comunque origine nell'impianto civilistico, nel quale è richiamato in diversi articoli. Secondo il principio della topica legale le voci devono essere inserite nel bilancio in maniera corretta. Questo principio sancisce la rigidità del bilancio, in quanto la legge stabilisce in modo preciso dove vanno inserite determinate notizie. L'integrazione di questi tre principi evidenzia come la chiarezza sia legata non solo alla quantità delle notizie concernenti il patrimonio, ma anche alla qualità, al modo e al luogo in cui tali notizie vengono fornite. 7 Questo viene dimostrato da tre fatti: → Conto Economico e Stato Patrimoniale sono schemi rigidi e chiusi, con scarsissime zone di elasticità. Tali modifiche però sono obbligatorie quando possono rendere il bilancio più chiaro. → La nota integrativa e la relazione della gestione rappresentano chiavi di volta attraverso le quali interpretare i contenuti dei due prospetti contabili. → eventuali informazioni aggiuntive devono essere fornite in maniera obbligatoria, anche se non esplicitamente richieste dalla legge, se utili per una piena comprensione del contenuto del bilancio. 2.3 IL PRINCIPIO DELLA VERITÀ Un bilancio che rispetti il principio della chiarezza, ma non della verità, risulterebbe svuotato della sua funzione informativa. Bisogna sottolineare che, non essendo tutti i valori iscritti in bilancio certi, il principio della verità va inteso sia in senso oggettivo che in senso soggettivo. La verità oggettiva richiede che i valori iscritti in bilancio rispecchino fatti reali, mentre dal punto di vista soggettivo si richiede che valori stimati e congetturali non siano frutto dell'arbitrio del redattore del bilancio, ovvero che non siano frutto di una soggettività assoluta, ma bensì debbano essere espressione di una soggettività razionale, ovvero devono essere risultato di un processo logico-applicativo che fornisca credibilità ai risultati ottenuti tramite i processi di stima e di congettura. Il processo logico-applicativo di stima presuppone tre distinti passi da eseguire al fine di poter essere attuato. Innanzitutto bisogna partire da premesse che siano congrue, ipotesi fattibili e obbiettivi conoscitivi concernenti le grandezze in oggetto di valutazione. Va inoltre sottolineato che la grandezza oggetto di valutazione deve essere valutabile all'interno di un intervallo di numeri, e che il valore sia scelto attraverso l'applicazione di un determinato criterio o metodo di valutazione in grado di elaborare le ipotesi e le condizioni definite in precedenza, fino a raggiungere il valore di bilancio. Infine serve una costante verifica della coerenza e della compatibilità fra le ipotesi, i criteri e le conclusioni alle quali si perviene al termine del ragionamento estimativo. 2.4 IL PRINCIPIO DELLA CORRETTEZZA Ad un primo esame il principio della correttezza apparirebbe come una risultante dall'unione fra i principi della chiarezza e il principio della verità. La correttezza però ha due diversi piani di azione, il piano della correttezza tecnica e il piano della correttezza formale. Dal punto di vista del profilo tecnico il bilancio deve essere redatto secondo quanto previsto dal quadro normativo, con puntualità e completezza, senza errori numerici. Per fare ciò si deve presupporre una conoscenza approfondita e una piena padronanza della tecnica contabile, in quanto bisogna sempre ricordare la fondamentale natura tecnica delle informazioni trasmesse dal bilancio, e bisogna inoltre ricordare che, senza la conoscenza della tecnica contabile, sarebbe impossibile rispettare i principi di chiarezza e di verità. A questo aspetto del principio della correttezza si collegano strettamente i principi della esattezza contabile e il principio della conformità del complessivo procedimento di formazione del bilancio a corrette funzioni di ragioneria. Il principio della esattezza contabile infatti pone che, nonostante la presenza di valori stimati e congetturali all'interno del bilancio i conti devono sempre tornare. Riguardo il principio della conformità, il bilancio per poter essere costruito in maniera corretta deve basarsi su personale competente, rispetto delle procedure e disponibilità di dati. In questo principio si rivelano i tre aspetti fondamentali per ottenere un bilancio corretto, ovvero la presenza di procedimenti di rilevazione che siano derivati dall'applicazione di metodi di registrazione dei fatti aziendali in base a criteri contabili rigorosi 10 economicamente al periodo nel quale le utilità incorporate nei fattori produttivi acquisiti sostenendo il costo sono state effettivamente impiegate nella produzione; analogamente un ricavo è di competenza economica del periodo nel quale le “utilità” incorporate nei prodotti ai quali il ricavo si riferisce sono state effettivamente create con la produzione e cedute a terzi. Il procedimento di individuazione dei costi è ricavi di competenza economica si sviluppa in due fasi: a) (realization principle) principio di realizzazione,riconoscimento ricavi. Sono ricavi di competenza dell’esercizio quelli che si riferiscono a prodotti il cui processo produttivo è completato e dei quali nell’esercizio è avvenuto lo scambio con il conseguente passaggio, sostanziale e non solo formale, del titolo di proprietà (cosiddetti ricavi “realizzati). Cioè si individuano prima i ricavi realizzati…e poi i costi correlativi. b)(matching principle) principio di correlazione,correlazione dei costi, il quale enuncia che sono di competenza economica dell’esercizio tutti i costi sostenuti per la realizzazione dei ricavi, che sono cioè “in correlazione” con i ricavi realizzati, indipendentemente dalla loro manifestazione finanziaria: 1)Correlazione causa-effetto (es. provvigioni su vendite, materie prime ecc.) 2)Correlazione con i ricavi complessivi (es. costi amministrativi, costi della direzione generale ecc.) 3)Attribuzione mediante ripartizione (beni ad utilità pluriennale) 4)Attribuzione immediata al conto economico: in ogni caso un costo grava sul conto economico dell’esercizio quando è relativo ad un fattore produttivo che non può più produrre benefici futuri (ad esempio un impianto danneggiato irrimediabilmente) Vedi DOC n. 11 Principi contabili. Quando non è possibile la correlazione diretta(+ semplice e immediata) allora si deve ricorrere a ipotesi di attribuzione dei costi all’esercizio. 3.3 PRINCIPIO DELLA PRUDENZA Alla luce di queste precondizioni tecnico-contabili si procede all’applicazione dei principi di redazione veri e propri, anzitutto quello della prudenza normativa in base al quale non si devono rilevare utili finchè questi non sono realizzati.quindi - imputare perdite effettive e potenziali all’esercizio; - imputare solo gli utili realizzati; questo principio si pone come presupposto per determinare un reddito d’esercizio che possa essere distribuito senza svuotare l’integrità del capitale.deve rispettare le clausole generali e risulta spesso in conflitto con quello della competenza economica svilendolo e facendogli perdere parte della sua purezza teorica se applicato in maniera estrema poiché competenza dice che si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio;nella prudenza invece si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio,anche se conosciuti dopo la chiusura di questo. Un esempio classico è quello della valutazione delle rimanenze di magazzino: se il costo di acquisto è minore del valore di presunto realizzo,la valutazione al costo non determina la formazione di utile potenziale,se invece il costo di acquisto è maggiore del valore di presunto realizzo, la valutazione al valore di presunto realizzo determina l’imputazione di una perdita potenziale. 3.4 COSTO STORICO COME CRITERIO BASE DI VALUTAZIONE Questo principio appare direttamente correlato alla logica della determinazione del reddito secondo la competenza economica infatti l’individuazione dei costi correlati alla produzione dei ricavi dell’esercizio passa attraverso la valorizzazione degli elementi che formano il capitale,gli investimenti,cioè gli elementi attivi che occupano un ruolo centrale. Per molti di questi il costo sostenuto dall’impresa per acquisirli rappresenta il criterio base di valutazione. Il costo di acquisto per i fattori produttivi acquisiti all’esterno Il costo di produzione per i fattori prodotti internamente Il valore di costo deve essere confrontato costantemente con opportuni “parametri di controllo”, volti a verificare il mantenimento dell’utilità funzionale dell’elemento patrimoniale a cui il costo si riferisce: IL VALORE D’USO: ossia il valore attuale dei flussi di benefici futuri generati dall’attività. L’ambito di applicazione specifico del valore recuperabile tramite l’uso è quello delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, e delle partecipazioni. (impairment test) 11 IL VALORE NETTO DI REALIZZO: ossia il valore recuperabile mediante l’alienazione sul mercato dell’attività oggetto di valutazione. E’ un parametro di controllo utilizzato per diverse attività dell’attivo circolante (es. scorte di merci) IL COSTO DI SOSTITUZIONE: ossia il costo che l’impresa dovrebbe sostenere, in normali condizioni di gestione per riacquistare o riprodurre una determinata attività (es. scorte di materie) - Tuttavia anche se il criterio risulta semplice e sufficientemente oggettivo non va considerato immutabile, infatti in applicazione delle clausole di verità e correttezza e col confronto dei parametri di controllo il costo deve essere svalutato se ne ricorrono i motivi e, successivamente ripristinato se tali motivi vengano meno. Il costo storico comunque sta perdendo terreno,incalzato da un nuovo criterio di valutazione: il FAIR VALUE(valore equo) il quale esprime l’importo al quale un’attività può essere scambiata,o una passività estinta tra soggetti consapevoli e intenzionati,in una normale transazione di mercato. Questo rende le valutazioni di bilancio più attuali rispetto al costo storico e consente di giungere a valori di reddito che esprimono una misura più attendibile dei risultati conseguiti dalla direzione aziendale. 3.5 PREVALENZA DELLA SOSTANZA SULLA FORMA Il principio è espresso,sia pur non chiaramente nell’art.2423,punto1,la valutazione delle voci deve essere fatta…tenendo conto della funzione economica dell’elemento attivo o del passivo considerato. Occorre perciò prestare attenzione alla sostanza economica dei fatti di gestione e non alla forma giuridica. Il trattamento contabile dei fatti aziendali deve basarsi sulla reale sostanza economica dell’operazione più che sugli aspetti formali. I singoli atti vanno trattati contabilmente in modo unitario sotto il profilo economico. Questo offre un quadro fedele alla gestione aziendale e impone una chiara definizione del concetto di attività e passività patrimoniale. 3.6 PRINCIPIO DELLA COMPARABILITÀ Altro principio cardine è quello della comparabilità dei dati di bilancio del tempo poiché la segmentazione in periodi amministrativi è artificio contabile,la valutazione delle prestazioni necessita confrontare più periodi,allora è essenziale l’adozione di criteri valutativi costanti nel tempo. I bilanci dunque devono essere letti nel tempo e nello spazio(con altre imprese).Per rendere comparabili i valori di bilancio si distingue tra aspetti formali e sostanziali. La comparazione riguarda gli aspetti formali per la costanza nella modalità di presentazione: -Per tutte le poste dello Stato Patrimoniale, è obbligatorio riportare accanto ai valori dell’esercizio in chiusura anche quelli dell’esercizio precedente (art. 2423 ter) -Gli schemi di bilancio sono rigidi e uniformi per tutte le imprese -Laddove le voci non fossero comparabili, quelle relative all’esercizio precedente devono essere riadattate. L’adattamento operato deve essere spiegato nella Nota Integrativa, così come l’eventuale impossibilità di effettuarlo. Per quanto riguarda gli aspetti sostanziali si parla di uniformità degli schemi di bilancio e quindi: - costanza di applicazione dei criteri di valutazione – nella prassi internazionale si parla di consistency - ma bisogna anche dire che il legislatore ammette,tuttavia,deroghe sottoposte ad alcune condizioni rigide. Infatti abbiamo delle condizioni per la deroga alla costanza dei criteri di valutazione: A) il cambiamento deve essere legato al manifestarsi di casi eccezionali B) i motivi del cambiamento devono essere indicati in Nota Integrativa C) gli effetti sulla situazione patrimoniale, economia e finanziaria derivanti dal cambiamento nei criteri di valutazione devono essere chiaramente evidenziati. 12 3.7 IL DIVIETO DEI COMPENSI DI PARTITE E LA VALUTAZIONE SEPARATA DI ELEMENTI PATRIMONIALI Diretta applicazione della clausola generale della chiarezza e della prudenza infine sono i principi che vietano i compensi di partite e impongono la valutazione separata degli elementi eterogenei compresi in una stessa voce. Divieto di compensazioni giuridiche (col termine comp.giuridiche si intende la somma algebrica di poste specificatamente e separatamente indicate con segno opposto negli schemi di S.P. e C.E. codificati dal legislatore) sono vietate dal codice per il semplice fatto che compromettono la chiarezza. Mentre,le compensazioni contabili al contrario avendo un significato più generale implica che un valore non è significativo se non viene letto insieme all’altro e quindi non solo sono possibili,ma addirittura doverose,proprio per garantire la chiarezza. Infatti alcune compensazioni contabili sono imposte dal codice civile. Problemi di compensazione possono sorgere non solo al momento di esporre le poste contabili ma anche nella fase valutativa ed è qui che interviene il secondo principio: valutazione separata degli elementi eterogenei invece vieta di compensare utili attesi con perdite presunte al momento di valutare più elementi raccolti in un'unica posta di bilancio. 3.8 L’OMOGENEITÀ DEI VALORI DI BILANCIO L’applicazione rigorosa di tutti i principi richiamati non garantisce,tuttavia,la redazione di bilanci significativi. Fondamentale però è che i valori accolti in bilancio siano omogenei,ossia stessa moneta di conto e soprattutto misurati in una stessa moneta avente uguale potere di acquisto nel tempo,poiché la disomogeneità potrebbe portare alla distribuzione di utili fittizi e conseguentemente pregiudicare il mantenimento della consistenza finanziaria del capitale investito dai soci dell’impresa e offerto in garanzia dai creditori. 9)I principi di redazione nella prassi contabile (DOC n. 11) 1)Utilità= del bilancio per i destinatari,rappresenta più una conseguenza derivante dall’applicazione dei postulati successivi che di se stesso. L’utilità decisionale per i lettori invece lo scopo ultimo del bilancio stesso e non tanto un postulato di redazione. 2)Prevalenza della sostanza sulla forma=vista punto 5 3)Comprensibilità (chiarezza)=favorita da informazioni analitiche e inserendo nella nota integrativa elementi che ne agevolino la lettura. 4)Neutralità (imparzialità)=i valori di bilancio dipendono dalla discrezionalità del valutatore,il suo ruolo è quello di aver il maggior numero di destinatari. 5)Prudenza=vista nel punto 3 6)Periodicità della misurazione del risultato economico e del patrimonio aziendale=ogni ex 7)Comparabilità=vista nel punto 6 8)Omogeneità=vista nel punto8 9)Competenza=vista nel punto 2 10)Significatività e rilevanza dei fatti economici=ai fini della loro rappresentaz. in bilancio 11)Il costo come criterio base delle valutazioni=vista nel punto 4 12)Conformità del complessivo procedimento di formazione ai corretti principi contabili 13)Funzione informativa della nota integrativa=al bilancio e delle altre informazioni necess. 14)Verificabilità dell’informazione=affinchè l’informazione possa essere affidabile,il bilancio e scritture dalle quali deriva devono essere verificabili. 3.9 LE DEROGHE (2423 COMMA4) Il lavoro del redattore del bilancio è tutt’altro che libero,le regole da rispettare sono molto rigorose,e ben si sa che le cose troppo rigide si spezzano,quindi si può finire per imbrigliare l’operato del redattore impedendogli di rappresentare adeguatamente l’attività aziendale. Il legislatore civile non essendo ignaro di questa circostanza ha dunque previsto la possibilità di derogare alcune delle norme da lui stesso dettate…un 15 dovrebbe riportare la voce “linee e dipendenze”, o la voce “attrezzature industriali e commerciali” potrebbe diventare in “attrezzature di linea”. L'aggiunta è l'operazione tramite cui si aggiunge una voce allo schema di bilancio al fine di rappresentare un valore che non sia rappresentata in modo esplicito o implicito nelle poste già presenti nello stato patrimoniale stesso. Un esempio di aggiunta è il caso in cui si debba svalutare un bene conferito in natura da un socio: la posta di rettifica deve essere aggiunta tramite apposita voce nel patrimonio netto, con segno negativo “minusvalenza da apporto beni in natura”. Come nel caso dell'adattamento questo è un obbligo per colui che redige il bilancio. Le poste dell'attivo sono disposte in base a due distinti criteri: il criterio della destinazione/origine e il criterio della liquidità/esigibilità. Il criterio della destinazione/origine ispira la logica di suddivisione delle poste in attivo e passivo dello stato patrimoniale. Il criterio della destinazione nell'attivo circolante non è inteso in senso assoluto, in quanto nell'attivo circolante sono presenti ad esempio i crediti di funzionamento scadenti oltre l'esercizio e nelle immobilizzazioni possono essere accolte voci in dismissione entro l'esercizio. Si definiscono comunque immobilizzazioni tutti quei beni destinati a essere utilizzati durevolmente. Nel passivo invece si può distinguere fra la macro-classe patrimonio netto e fra i valori del passivo in senso proprio, ovvero generato dal ricorso a capitale di terzi. Per quanto riguarda la disposizione delle poste invece si può far riferimento al criterio della liquidità/esigibilità. Le poste dell'attivo sono disposte in modo da andare dagli investimenti più difficilmente monetizzabili verso le poste prontamente liquide, ovvero dalle immobilizzazioni immateriali verso le disponibilità liquide. Le poste del passivo invece sono disposte dal meno esigibile verso il più esigibile, partendo del capitale sociale fino ad arrivare ai debiti a breve termine. Anche in questo caso i criteri non vengono posti in termini assoluti, e per rafforzare il principio della chiarezza è richiesta che venga inserita separata indicazione della quota di crediti o debiti scadenti entro o oltre l'esercizio per ogni posta. 5. L'ATTIVO DELLO STATO PATRIMONIALE L'attivo è suddiviso in quattro distinte macro-classi: → crediti verso soci per versamenti ancora dovuti → immobilizzazioni → attivo circolante → ratei e risconti 5.1 CREDITI VS SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI: I crediti verso soci per versamenti ancora dovuti sorgono in momenti particolari della vita societaria, ovvero alla sua costituzione e a seguito di aumenti di capitale sociale. Tale macro-classe è stata evidenziata dal legislatore in quanto rappresenta una ideale rettifica alla voce del passivo “capitale sociale”. Chiunque legga il bilancio potrà dunque quantificare in maniera prudente il capitale di rischio effettivamente versato, sottraendo l'importo dei crediti verso soci per versamenti ancora dovuti al valore nominale del capitale sociale. In questa voce si possono segnalare tutte le operazioni concernenti il capitale netto, quali ad esempio i versamenti in copertura perdite e i versamenti in conto futuro aumento di capitale. Non potranno invece essere qui indicati eventuali crediti finanziari in senso stretto o versamenti derivanti da operazioni commerciali dai soci. Infine è necessario indicare espressamente la parte di credito già richiamata. 16 5.2 IMMOBILIZZAZIONI La macro-classe B è suddivisa in tre classi di valori: → Immobilizzazioni immateriali → Immobilizzazioni materiali → Immobilizzazioni finanziarie Immobilizzazioni immateriali Le immobilizzazioni immateriali sono investimenti caratterizzati dalla mancanza di tangibilità, e si suddividono in costi di impianto e di ampliamento, costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità, diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere di ingegno, concessioni licenze marchi e diritti simili. Si deve distinguere in queste voci fra gli oneri pluriennali e beni e diritti immateriali, l'avviamento, le immobilizzazioni in corso e gli acconti e la classe residuale. Gli oneri pluriennale non possono essere scissi dall'attivo, in quanto rappresentano costi che misurano investimenti non separabili dal sistema aziendale nel quale sono integrati. Sono dunque privi di autonomia e di trasferibilità non rappresentando una vera e propria consistenza patrimoniale. I beni e i diritti immateriali invece hanno una autonomia tecnica, economica e giuridica che ne consente la separabilità dalla massa dell'attivo e la negoziabilità. Si tratta infatti di investimenti immateriali che però presentano una consistenza patrimoniale paragonabile a quella di beni materiali. I costi di impianto e di ampliamento sono oneri pluriennali che sorgono nella fase costitutiva dell'azienda e in momenti particolari successivi alla costituzione, ad esempio durante una trasformazione di veste giuridica o durante una ristrutturazione aziendale. I costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità sono oneri pluriennali che sorgono per l'acquisizione di competenze scientifiche e tecniche che possono dare luogo a rinnovamenti aziendali. I costi di pubblicità invece devono avere, per essere iscritti in questa voce, carattere straordinario, ad esempio devono essere volti al lancio di un nuovo prodotto. I diritti di brevetto industriale e di utilizzazione delle opere di ingegno rappresentano tutti quei beni immateriali che rientrano nel novero delle creazioni intellettuali, alle quali è fornita tutela dal codice civile. Le concessioni, licenze e marchi rappresentano una serie di diritti e di doveri di utilizzazione. Le concessioni sono provvedimenti dell'autorità pubblica tramite quale si trasferisce il potere e il diritto di utilizzazione di determinati beni pubblici, con relativi diritti e obblighi nati da tale trasferimento. Le licenze sono autorizzazioni tramite il quale si consente l'esercizio di determinate attività regolamentate, e possono essere amministrative o private, come le licenze d'uso dei brevetti. Il marchio infine risulta essere uno dei segni distintivi dell'azienda, e se registrato gode di tutela giuridica e quindi di un valore. Concessioni licenze e marchi rientrano fra i beni e i diritti immateriali. L'avviamento è la differenza fra il valore economico del capitale aziendale e il valore contabile rettificato dello stesso capitale, ed esprime la capacità dell'impresa di remunerare in maniera congrua i capitali di rischio in essa investiti. L'avviamento è un bene immateriale, essendo un plusvalore legato al complesso di condizioni esistente nell'impresa. L'avviamento però non può essere iscritto in bilancio a meno che non sia stato acquisito a titolo oneroso, si parla dunque di avviamento derivativo, mentre non è ammessa l'iscrizione dell'avviamento originario, ovvero dell'avviamento intrinsecamente presente nell'impresa. Fra le immobilizzazioni in corso e gli acconti vanno iscritte le somme corrisposte come anticipo rispetto alla piena acquisizione di un bene o di un diritto immateriale, e gli oneri pluriennali collegati progetti ancora non completati. Fra le “altre” immobilizzazioni immateriali vanno inserite quelle immobilizzazioni immateriali che non siano riconducibili alle categorie di oneri pluriennali e di beni e diritti immateriali, limitando così l'utilizzo di questa 17 voce altrimenti troppo ampia. In questa voce vengono inseriti ad esempio le spese sostenute per migliore a beni di terzi o i costi di studio e progettazione riguardanti lavori su commessa. Immobilizzazioni materiali Le immobilizzazioni materiali sono beni di uso durevole, costituenti di parte della struttura permanente dell'impresa e solitamente destinati alla produzione di beni e servizi. Questa classe accoglie cinque voci: terreni e fabbricati, impianti e macchinario, attrezzature industriali e commerciali, altri beni, immobilizzazioni in corso e acconti. I terreni e i fabbricati sono beni adibiti ad uso industriale o civile, e in questa voce sono accolti anche i valori relativi a impianti fissi necessari per l'utilizzo di tali beni o in essi incorporati, come accade ad esempio nel caso di impianti idraulici. La voce impianti e macchinario ospita sia gli impianti generici che gli impianti specifici, e vengono accolti anche i valori relativi a pezzi di ricambio e parti di scorta degli impianti il cui valore risulti essere importante e il cui utilizzo sia raramente frequente. Nella voce attrezzature industriali e commerciali vengono accolte strumentazioni di valore modesto rispetto agli impianti veri e propri, sono accolti in questa voce utensili di varia natura. Nella voce altri beni si accolgono i beni residuali, fra i quali figurano gli automezzi, le macchine da ufficio, il mobilio e gli arredi. Fra le immobilizzazioni in corso e gli acconti infine valgono le stesse considerazioni effettuate per le immobilizzazioni materiali. In questa voce va inserito anche il leasing finanziario, ovvero quello atto all'acquisizione di un bene tramite leasing. Le immobilizzazioni finanziarie Le immobilizzazioni finanziarie si compongono di quattro voci, ovvero le partecipazioni, i crediti immobilizzati, gli altri titoli e le proprie azioni. Il termine partecipazione è inteso come ogni titolo o diritto rappresentativo della proprietà di una quota del capitale di rischio di una impresa, senza però contare l'ammontare della quota di capitale posseduta né le finalità perseguite. Si potrà distinguere nelle quattro sotto-voci fra imprese controllate, collegate e controllanti o in altre imprese. Una impresa si dice controllata quando si ha il potere di determinare le scelte amministrative e gestionali di un'altra impresa, e di ottenerne i relativi benefici, quindi si potrà avere tale stato sia i caso di controllo diretto, ovvero tramite il possesso della metà più uno del capitale sociale dell'impresa controllata, sia tramite vincoli contrattuali o tramite il possesso di una quota maggioritaria del capitale dell'impresa stessa, esercitando così una influenza dominante. Una impresa si dice collegata quando una società può partecipare alla definizione delle politiche finanziarie e operative di un'altra impresa, senza però essere in grado di esercitare un vero e proprio controllo su di esse, ovvero la quota posseduta del capitale sia pari ad almeno il venti percento del capitale sociale di una impresa non quotata o il dieci percento di una impresa quotata. La situazione di collegamento si ha dunque quando si esercita una influenza notevole sull'altra impresa. I crediti iscritti fra le immobilizzazioni accolgono crediti finanziari a medio e lungo termine e crediti commerciali, nel caso la durata degli stessi sia inusualmente lunga, solitamente tale tipo di credito è contratto all'interno dell'ambito di gruppo, ed è opportuno evidenziare anche i crediti sorti nei confronti di imprese consociate. Nella voce altri titoli vengono iscritti per residualità tutti titoli che non rappresentano partecipazioni, siano essi pubblici o privati, aventi lunga scadenza e che l'impresa non sia intenzionata a vendere per almeno i dodici mesi successivi alla data di bilancio. Si possono trovare in questa voce anche i titoli atipici, ovvero quei titoli che rappresentano fondi di investimento o certificati immobiliari. 20 Il fondo di trattamento fine rapporto si distingue dai fondi rischi e oneri, in quanto è un onere avente natura determinata, esistenza certa e importo determinato, con unico elemento di incertezza rappresentato dal momento del pagamento. 6.3 I DEBITI In questa macro-classe devono essere rilevate tutte le obbligazioni che presentano natura determinata, esistenza certa, ammontare determinato e scadenza determinata. Questi debiti possono derivare da operazioni finanziarie, da operazioni commerciali, da operazioni con società parenti o di altra natura. Le classi dalla 1 alla 5 rappresentano i debiti finanziari, la classe dalla 6 alla 8 rappresenta i debiti commerciali, la classe dalla 9 alla 11 rappresenta i debiti interni al gruppo e infine le ultime tre classi rappresentano i debiti vari. 7. IL CONTO ECONOMICO Il conto economico illustra la consistenza quantitativa e qualitativa del reddito che l'impresa ha prodotto nel corso del periodo amministrativo in seguito allo svolgimento della gestione, rappresentato attraverso l'esposizione dei ricavi e dei costi di esercizio. I costi sono decrementi di benefici economici di competenza del periodo amministrativo che si manifestano sotto forma di incrementi di passività o diminuzione di attività, mentre i ricavi sono incrementi lordi di benefici economici di competenza del periodo amministrativo che si manifestano sotto forma di incrementi di attività o diminuzioni di passività. Costi e ricavi vengono rilevati all'interno del Conto Economico in base al principio della competenza economica. Per rispettare il principio della prudenza la prassi contabile limita la rilevazione a conto economico dei ricavi realizzati, ovvero il cui processo produttivo è completato, e dei quali durante l'esercizio è avvenuto lo scambio con il conseguente passaggio sostanziale e non formale del titolo di proprietà. Sempre nel rispetto del principio della competenza i costi di esercizio vanno iscritti nel conto economico anche se solo probabili, purché sia attendibile la valutazione dell'ammontare di tali flussi. 7.1 FORMA E STRUTTURA DEL PROSPETTO Il conto economico è disciplinato dagli articolo 2425, 2425 bis e 2423 ter. Il conto economico ha forma a sezioni riunite (o scalare), e si caratterizza per la presenza di una unica sezione nella quale i vari valori vengono raccolti, perdendo l'aspetto contabile a sezioni contrapposte. La forma scalare è stata scelta per l'esigenza di permettere di separare il reddito in aree gestionali, permettendo così di distinguere e raggruppare i vari ricavi e costi in relazione alla natura delle operazioni di gestione dalle quali derivano, ovvero individua la pertinenza dei diversi costi e ricavi. I redditi parziali ottenuti tramite questo meccanismo valutano l'andamento economico di una impresa, misurandone l'aspetto qualitativo, permettendo agli stakeholders di individuare la reale composizione e formazione del reddito di esercizio. Le poste sono invece ordinate per natura. Le poste del conto economico sono strutturate secondo uno schema rigido con medesime zone di elasticità dello stato patrimoniale, può contenere solo le poste indicate dal legislatore, con la determinazione da esso decisa e nell'ordine dal legislatore prefissato, e si suddividono in macro-classi, voci e sotto-voci, non presenta invece classi. Nel rispetto del principio della comparabilità ogni posta deve presentare anche l'importo dell'esercizio precedente, se gli importi non sono fra loro direttamente comparabili occorre adattare l'importo dell'esercizio precedente, sia pure vada inserita adeguata motivazione in nota integrativa. Le poste con valore pari a zero possono non essere riportate purché non presentino valore nell'esercizio precedente. 21 Come nello stato patrimoniale, anche nel conto economico sono vietate compensazioni di partite, ma sono invece richieste determinate compensazioni contabili, in quanto i valori di costo e di ricavo devono essere espressi al netto di eventuali resi, sconti e abbuoni. Le voci e le macro-classi del conto economico sono disposte in modo da evidenziare i risultati delle operazioni per area gestionale, potremo quindi riconoscere due grandi aree gestionali, l'area della gestione operativa e l'area della gestione straordinaria. All'interno della gestione ordinaria potremmo inoltre distinguere la gestione operativa e la gestione finanziaria. La gestione operativa raccoglie operazioni concernenti la produzione e la vendita di beni e servizi che caratterizzano l'attività di impresa, e viene quindi definita come gestione caratteristica o tipica, in quanto nasce da operazioni che assumono connotazione in base alla particolare produzione che l'impresa svolge. La gestione finanziaria rappresenta invece le operazioni attraverso le quali l'impresa si approvvigiona dei capitali monetari necessari al suo funzionamento. Ne fanno dunque parte gli interessi passivi derivati dai prestiti contratti per finanziare l'attività operativa, oltre che gli investimenti finanziari in titoli, partecipazioni e crediti di finanziamento. 8. LA GESTIONE OPERATIVA La gestione operativa si costituisce di due elementi, i valori della produzione e i costi della produzione, la cui differenza raffigura il reddito operativo dell'impresa. Il valore della produzione è il risultato dello sforzo produttivo complessivamente compiuto dall'impresa nel periodo amministrativo. Il valore della produzione accoglie quindi, oltre alla produzione venduta, la produzione “per vendere” e la produzione “per produrre”, e ulteriori ricavi accessori di diversa natura. La produzione venduta è espressa dai ricavi di vendita e delle prestazioni, che accolgono il fatturato caratteristico. La produzione da vendere accoglie al suo interno le variazioni delle rimanenze di prodotti e semilavorati e le variazioni dei lavori in corso su ordinazione. La produzione “per produrre” è rappresentata dalla voce “incrementi di immobilizzazioni per lavori interni”, e rappresenta lo sforzo produttivo che l'impresa sostiene per produrre internamente determinati beni funzionali all'integrazione nel processo produttivo. Si tratta dunque di una capitalizzazione di costi che son stati sostenuti per la realizzazione interna di immobilizzazioni. L'ultima voce del valore della produzione accoglie in quanto posta residuale tutti i componenti positivi di reddito che non appartengono all'area finanziaria e all'area straordinaria e che non possono, data la loro natura, trovare collocazione nelle voci precedenti. Esempi sono i ricavi accessori come i fitti attivi o le royalties derivanti da utilizzo di marchi brevetti e i contributi in conto esercizio. Accoglie inoltre plusvalenze, minusvalenze o insussistenze attive ordinarie. I costi della produzione vengono ordinati seguendo una classificazione per natura, ovvero osservando la natura del fattore produttivo la cui acquisizione e il cui impiego ha causato il sostenimento del costo. I fattori impiegati potranno provenire generalmente da materie e servizi, lavoro, per il personale, collegati alle immobilizzazioni e agli accantonamenti, e si chiude con una classe generica quale oneri diversi di gestione. I costi collegati alle materie e ai servizi contengono al loro interno, oltre ai costi di approvvigionamento di materie prime, i costi collegati a tutti quei servizi esterni all'azienda per la funzione di approvvigionamento, 22 per la produzione, legati alla funzione commerciale o alla funzione amministrativa, i costi per l'utilizzo di beni di terzi e le variazioni del magazzino merci. Fra i costi per le immobilizzazioni ritroviamo gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali o immateriali, in questa categoria rientrano anche le svalutazioni dei crediti verso clienti e le svalutazioni delle immobilizzazioni. I costi per il personale rappresentano invece quei costi che l'impresa ha sostenuto per remunerare la forza lavoro. Fra i costi per accantonamenti distinguiamo due voci, una dedicata ai fondi rischi e una dedicata agli accantonamenti ai fondi spese future. La voce residuale accoglie i costi generici non strettamente collegati all'attività produttiva, accoglie inoltre minusvalenze derivanti dall'alienazione di immobilizzazioni e sopravvenienze o insussistenze passive se ordinarie. La differenza fra il valore della produzione e i costi della produzione esprime sostanzialmente il risultato della gestione operativa, sia pure includa al suo interno i risultati della gestione accessoria. Il risultato della differenza A-B è dunque in parte sfuocato in quanto mescola gestioni diverse. Un risultato positivo, nonostante questa sfocatura, rappresenta comunque un messaggio chiaro e forte, in quanto l'impresa è stata in grado di ottenere dalle sue tipiche attività produttive integrate dalle attività complementari o collaterali un determinato reddito, prescindendo dagli effetti reddituali derivanti dalle scelte finanziarie operate nel periodo amministrativo. 9. LA GESTIONE FINANZIARIA L'area finanziaria è composta dalle macro-classi C e D del Conto Economico. Nella sezione C sono accolti i proventi e gli oneri finanziari, ed è suddivisa in quattro voci. Nella voce proventi da partecipazioni sono accolti i dividendi e i proventi derivanti dai diritti di opzione. Vanno inoltre in questa sezione inseriti i dividendi, i proventi derivanti dalla vendita di diritti di opzione e le plusvalenze da alienazione di partecipazioni nei casi in cui questi siano negoziati correntemente, a patto quindi che fossero iscritte nell'attivo circolante. La seconda voce dei proventi finanziari accoglie tutti i proventi residuali, fra i quali ritroviamo quindi gli interessi attivi generati dai crediti iscritti nelle immobilizzazioni, i proventi originati dai titoli, interessi attivi bancari, interessi di mora su crediti e le quote di ammortamento dell'aggio su prestiti obbligazionari. Anche in questo caso è necessario evidenziare i valori sorti nei confronti di società controllate, controllanti o collegate. La terza voce della sezione C accoglie invece gli interessi e gli oneri finanziari, quindi accoglierà al suo interno interessi passivi, spese bancarie, costi di emissione prestiti, quote di ammortamento del disaggio su prestiti obbligazionario e minusvalenze realizzate durante l'alienazione di partecipazioni o di titoli negoziabili. La quarta voce accoglie invece sia gli utili che le perdite su cambi, che nascono da operazioni concluse nel corso dell'esercizio o di posizioni aperte che richiedano la valutazione dei cambi monetari nella data di conclusione. Le operazioni che originano questi utili o queste perdite possono essere di natura commerciale o di natura finanziaria, a seconda che siano collegati a operazioni o vendita di fattori produttivi, oppure che nascano in seguito a crediti in valuta estera o debiti di finanziamenti in valuta estera. Le rettifiche di attività finanziarie sono accolte nella macro-classe D del conto economico, ed accoglie 25 cambiamenti di aliquota d'imposta prima del momento in cui sarà annullata la differenza temporanea di imposta. Hanno quindi sia natura economica (l'accantonamento al fondo imposte differite) che patrimoniale (come Fondo per l'appunto) Le imposte anticipate rappresentano le imposte pagate anticipatamente e che verranno recuperate negli esercizi successivi, risultando come costo nell'esercizio in cui verranno pagate, e come credito nello stato patrimoniale. Negli esercizi successivi una quota del credito sarà portata a sottrazione, attraverso il conto “recupero imposte anticipate”, delle imposte di esercizio. In sintesi alla voce 22 del conto economico vanno iscritte con segno meno le imposte correnti, alle quali andranno aggiunte le imposte anticipate e l'assorbimento delle imposte differite, e sottratte le imposte differite e il recupero delle imposte anticipate. 12. L'UTILE DI ESERCIZIO L'utile (o la perdita) di Esercizio è l'ultimo margine del Conto Economico Civilistico, e rappresenta il risultato globale dell'attività svolta nelle diverse aree di gestione. Il valore corrispondente di questa voce deve corrispondere al valore iscritto nello Stato Patrimoniale, e rappresenta una quota ideale del patrimonio dell'azienda a fine esercizio, originata in seguito alle operazioni svolte nello stesso. 13. IL BILANCIO IN FORMA ABBREVIATA Le imprese di minori dimensioni possono trovare difficile e oneroso rispettare le richieste della normativa e allora per non essere soffocate possono redigere un bilancio ”semplificato” chiamato bilancio in forma abbreviata(2435 bis). Possono redigerlo le imprese che per due esercizi consecutivi non abbiano superato 2 dei 3 parametri stabiliti:3'125'000€ di attività;6'250’000€ di ricavi di vendita e di prestazioni;50 dipendenti.(possibilità comunque esclusa se l’azienda ha emesso titoli negoziati in mercati regolamentati). Le semplificazioni riguardano solo gli aspetti formali e interessano tutti i documenti,nessuna semplificazione riguarda gli aspetti sostanziali ossia i criteri di valutazione. Le semplificazioni dello stato patrimoniale si traducono in un raggruppamento di voci,si limita a riportare le macroclassi contrassegnate da lettere maiuscole e le classi indicate con i numeri romani, si può presentare all’attivo con 2 sole macroclassi:B(immobilizzazioni),C(attivo circolante)all’interno di queste le voci e sottovoci vengono accorpate nella classe di riferimento evidenziando distintamente fondi e svalutazioni. Anche il passivo viene presentato nelle sue macroclassi e classi,raggruppando tutte le voci e sottovoci:A(patrimonio netto);B(fondi per rischi e oneri);C(T.F.R.);D(debiti,ratei e risconti),logicamente si può intuire che la perdita di informazioni nello stato patrimoniale abbreviato è notevole. Per quanto riguarda invece il conto economico questo subisce semplificazioni minori essendo consentito solo il raggruppamento di alcune voci,riguardano voci del valore della produzione,dei costi della produzione e valori dell’area finanziaria della gestione. Per quanto riguarda la nota integrativa si traducono in tagli alle informazioni obbligatorie. La relazione sulla gestione può essere omessa se nella nota int. vengono fornite informazioni sulle azioni proprie. PARTE TRE La determinazione del reddito di esercizio e del correlato capitale di funzionamento è il frutto di un processo laborioso e complesso, in quanto il reddito è espressione dell'aspetto economico della gestione che risulta esprimere la capacità dell'impresa di svolgere la propria funzione. Esistono due processi che portano alla determinazione del reddito di esercizio, ovvero il processo indiretto o 26 sintetico e il processo diretto o analitico. Il processo indiretto confronta il valore del capitale iniziale con il valore del capitale finale di un dato arco di tempo, ovvero l'esercizio, determinando così la variazione che il capitale di un'impresa ha subito nell'arco dell'esercizio per via della gestione. Questo processo non è in grado di mostrare la formazione progressiva e continua del reddito come valore prodotto da un complesso di operazioni coordinate. Il processo diretto calcola il reddito in via analitica, attraverso il confronto fra le masse di ricavi e le masse di costi, e la sua applicazione pone il problema di identificare quali ricavi e costi debbano essere confrontati per individuare il reddito di esercizio. Questo secondo procedimento pone il problema di valutare la competenza economica dei fatti rilevati in contabilità, in quanto la stessa si ispira al criterio della competenza finanziaria. Si rende dunque necessario eseguire le rilevazioni di assestamento, tramite le quali è possibile passare dal criterio della competenza finanziaria al criterio della competenza economica. Le scritture di assestamento effettuano dunque rettifiche di quei costi e ricavi rilevati (o non ancora rilevati) in contabilità in base alla competenza finanziaria, e si dividono quindi in rettifiche di storno, o sottrattive, e modifiche di imputazione. Le rettifiche di storno consentono di rimandare a esercizi futuri, mentre le rettifiche di imputazione consentono di imputare all'esercizio costi e ricavi di sua competenza, ma non ancora manifestati finanziariamente. Per effettuare le rettifiche serve però prima individuare i costi e i ricavi di competenza dell'esercizio, e questo si può fare ricorrendo all'approccio funzionale, ovvero procedendo a confrontare il valore dei servizi effettivamente consumati e il valore dei servizi effettivamente ceduti nel periodo di riferimento. Applicando questa teoria i costi potranno dunque essere divisi in costi che hanno ceduto la loro utilità nel processo produttivo, costi che non hanno ceduto utilità nel processo produttivo e che non potranno essere utilizzati in futuro per tali finalità e i costi che non hanno ceduto utilità nel processo produttivo, ma potranno ragionevolmente essere impiegati negli esercizi successivi. I ricavi invece potranno essere distinti in ricavi conseguiti in quanto effettivamente ceduti nell'esercizio come risultato del processo produttivo e ricavi conseguiti che non si sono ceduti nell'esercizio, ma che potranno cedersi in futuri esercizi. Questo viene rappresentato in concreto attraverso l'applicazione del realization principle e del matching principle, grazie ai quali si considerano di competenza dell'esercizio i ricavi realizzati, ossia che si riferiscono a prodotti il cui processo produttivo sia stato completato e dei quali è avvenuto lo scambio con sostanziale passaggio del titolo di proprietà. Una volta rilevati i costi di competenza si procede tramite il matching principle a ricollegare i costi anche presunti che si contrappongono ai ricavi realizzati nell'esercizio. 14. L'INVENTARIO L'inventario è l'operazione tecnico-contabile tramite la quale si opera la ricognizione e la determinazione quali-quantitativa del capitale dell'impresa. Si provvede dunque a ricercare, descrivere e classificare gli elementi costitutivi del capitale, attribuendogli un valore. L'inventario è articolato in sei fasi: la ricerca degli elementi attivi e passivi che concorrono a formare il capitale, la descrizione di tali elementi, la ripartizione e classificazione per classi qualitative omogenee, la misurazione in termini quantitativi non monetari, la valutazione in termini monetari e la rappresentazione secondo opportune forme espositive. La valutazione da termini quantitativi non monetari a termini monetari è la fase più delicata, in quanto è volta ad assicurare omogeneità ai diversi elementi patrimoniali al fine di pervenire a una espressione di sintesi del capitale come fondo di valori. 27 Come enunciato dal processo logico applicativo atto a effettuare tale valutazioni bisogna definire premesse congrue, ipotesi e attendibili e obbiettivi conoscitivi precisi concernenti le grandezze oggetto di valutazione, porre un intervallo di numeri dai quali scegliere il valore, utilizzando un determinato valore, e infine verificare coerenza e compatibilità fra le ipotesi, i criteri e le conclusioni alle quali si è giunti. I criteri convenzionali forniscono una verità convenzionale, a volte con discutibile significatività economico- contabile. I risultati ottenuti però consentono una verifica ampia e una comprensione da parte dei terzi, oltre che di mantenere il valore ancorato a elementi oggettivi. I criteri di valutazione sono: costo storico, costo corrente, valore di realizzo e valore attuale. Il criterio di valutazione adottato più comunemente è il criterio del costo solito. 14.1 LA VALUTAZIONE DELLE IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI Le immobilizzazioni materiali sono beni d'uso durevole che costituendo parte della struttura permanente dell'impresa presentano tre caratteristiche: sono impiegati come strumenti per la produzione o la fornitura di beni e servizi, per affittarli a terzi, per scopi amministrativi o per la costruzione e manutenzione di altre immobilizzazioni, si attende che siano utilizzati per più di un esercizio e non sono destinati alla vendita, non sono oggetto di trasformazione per l'ottenimento di prodotti destinati alla vendita nella normale attività di impresa. I beni materiali sono valutati tramite sei fasi: l'identificazione, la determinazione del valore originario iscritto in bilancio, la definizione del piano di ammortamento, le eventuali revisioni dello stesso, le eventuali revisioni del valore originario con conseguenti svalutazioni o ripristini di valore, e infine con l'individuazione delle informazioni rilevanti da inserire nella nota integrativa o nella relazione di gestione. Le immobilizzazioni sono iscritte nell'attivo patrimoniale, al netto dei fondi di rettifica. Il codice non definisce le singole voci, cosa regolamentata dal principio contabile sedici. Le immobilizzazioni materiali sono iscritte per la prima volta in contabilità al valore di costo, che rappresenta il valore originario dell'immobilizzazione stessa. Il costo rappresenta quindi il criterio base di valutazione. La determinazione del valore di costo dipende dalla via di acquisizione, infatti una immobilizzazione materiale può derivare da acquisto da terzi, costruzione interna o in economia o altre vie di acquisizione (come il conferimento). Nel caso dell'acquisto da terzi il valore originario è pari al costo di acquisto maggiorato di eventuali oneri accessori (compresi interessi passivi relativi a mutui o finanziamenti, spese di trasporto relative al macchinario etc), al netto di eventuali sconti commerciali e dell'iva detraibile. Nel caso della costruzione interna o in economia per determinare il valore originario di costo del bene bisogna definire quali dei fattori entrano a far parte del complesso di azioni che hanno portato alla costruzione dell'immobilizzazione. Vanno quindi innanzitutto posti tutti i costi direttamente imputabili al prodotto, ovvero il costo primo. Nel caso di produzione occasionale di immobilizzazioni in economia risulta corretto fermarsi al costo primo, mentre nel caso di produzione ricorrente di beni ricorrente è possibile utilizzare il costo industriale che comprende anche una quota di spese generali industriali, in quanto tale procedura porta ad una ripartizione di costi indiretti e alla loro attribuzione all'immobilizzazione. Non essendo possibile una misurazione oggettiva di tale quota bisogna individuare una base di ripartizione, ad esempio sfruttando le ore di manodopera diretta sull'impianto per ripartire in fattore temporale il costo dell'energia elettrica, oppure utilizzando lo spazio utilizzato all'interno del capannone per calcolare il costo di un affitto di competenza del bene. La determinazione del costo originario è dunque dipendente dagli elementi di costo presi in considerazione e dai criteri di ripartizione delle spese generali industriali che si adottano. A limitare la discrezionalità di valutazione intervengono due principi: i costi di natura straordinaria non sono possono essere capitalizzati, e il valore dell'immobilizzazione costruita in economia non deve eccedere il suo 30 valore contabile negli esercizi di vita utile che ancora residuano. Ciò implica che il piano di ammortamento non subirà modificazioni né sul piano della vita utile del bene né sul piano dei criteri di rivalutazione, ma solo sul piano della somma da ammortizzare. La rilevazione contabile della svalutazione avviene ponendo il conto “svalutazioni” in contropartita alla riduzione diretta del valore dell'immobilizzazione in conto. Il conto “svalutazione x” è un conto economico e andrà nella apposita voce B10e del conto economico. Il ripristino di valore è l'atto di reversione di una svalutazione, in quanto nei casi in cui la riduzione di valore si renda necessaria questa non può essere mantenuta in tempi successivi se sono venuti meno i motivi per cui tale svalutazione era stata effettuata. Se vengono meno i motivi che avevano portato alla svalutazione quindi è necessario correggere la precedente svalutazione ripristinando, in tutto o in parte, il valore di costo. L'operazione di ripristino non rivaluta il bene, infatti presenta come limite superiore invalicabile rappresentato dal valore che avrebbe avuto l'immobilizzazione se non fosse stata compiuta la precedente svalutazione. Il valore dell'immobilizzazione materiali, dopo il ripristino è pari al valore recuperabile tramite l'uso dell'immobilizzazione stessa. Come nel caso della svalutazione anche il ripristino non va a intaccare durata di vita utile e criteri di valutazione del piano di ammortamento. La rilevazione contabile avviene tramite il conto “ripristino di valore impianti e macchinari”, che andrà nel conto economico alla voce altri ricavi e proventi, mentre il valore ripristinato andrà direttamente nel conto riguardante l'immobilizzazione in oggetto di rivalutazione. 14.5 IL FAIR VALUE Il fair value è un processo di valutazione alternativo al costo storico, e consiste di valutare al valore corrente le immobilizzazioni materiali, ovvero il valore iniziale di costo viene periodicamente rivisto al momento redigere il bilancio. Mentre i beni di nuova acquisizione vengono iscritti in bilancio al costo di acquisto o di produzione, i beni negli anni successivi i beni per i quali il fair value può essere determinato in modo attendibile sono iscritti con tale valore. Il fair value di terreni, immobili e fabbricati è normalmente dato dal loro valore di mercato, analogamente si dovrebbe procedere per determinare il valore corrente di impianti, macchinari e attrezzature. In caso di beni di cui non sia possibile stimare il valore il fair value può essere stimato al costo di sostituzione, ovvero calcolando il costo che si dovrebbe sostenere per riacquistare o ricostruire quell'impianto giunto in quel determinato stadio di obsolescenza. La frequenza degli aggiornamenti nel fair value dipende dalla natura del bene oggetto di valutazione, nonostante questa dovrebbe comunque assicurare che il valore iscritto in bilancio non differisca in modo significativo dal suo valore corrente. La valutazione al fair value può comportare la necessità di vere e proprie rivalutazioni, il valore originario non rappresenta un limite massimo di di valutazione, e le nuove valutazioni possono anche attribuire al bene un valore superiore all'originale costo storico. Le rivalutazioni per fair value possono avvenire in due modi: aumentando il valore lordo della immobilizzazione e il relativo fondo ammortamento in misura proporzionale, cosicché il valore netto contabile del bene, dopo tale rettifica, corrisponda al suo valore netto contabile corrente, effettuando successivamente la rivalutazione. In ambo i casi il maggior valore ottenuto della valutazione andrà iscritto in una apposita riserva di rivalutazione nel patrimonio netto. NB: la rivalutazioni da fair value sono una procedura derivante dalla normale applicazione del criterio stesso. Le rivalutazioni operate con la deroga invece sono eccezioni straordinarie alla regola, che devono avvenire nei modi e nei casi previsti dalla legge. 15. LEASING OPERATIVO E LEASING FINANZIARIO Il leasing operativo si articola fra l'azienda costruttrice del cespite, la quale è locatrice del bene, e l'impresa locataria del bene che utilizza il bene in leasing. La causa economica del contratto è riconducibile 31 all'esigenza dell'utilizzatore dell'usufruire del bene, e i canoni periodici che l'impresa pagano non contengono nessuna porzione del prezzo del bene, ma sono ragguagliati al valore della sua utilizzazione. A fine rapporto l'acquisto del bene è quindi solo eventuale. Il leasing finanziario prevede tre soggetti: l'impresa locataria, l'impresa costruttrice e la società di leasing, e il rapporto si sviluppa in tre fasi: la società di leasing acquista il bene dalla società costruttrice, che viene fornito in uso all'impresa locatrice, la quale paga i canoni di leasing proprietaria del bene strumentale. Nel leasing finanziario la causa economica è assicurare copertura al fabbisogno finanziario dell'investimento in beni strumentali, ottenendo temporaneamente in locazione il bene, mentre la volontà originaria è sostanzialmente diretta al trasferimento della proprietà del bene oggetto della transazione. I canoni non costituiscono soltanto il corrispettivo per l'utilizzazione del bene, ma anche una quota del prezzo del bene stesso, la cui opzione di acquisto è elemento essenziale nel contratto. Il contratto assume quindi sostanza economica di un acquisto con pagamento rateizzato, in cui ciascuna rata è maggiorata degli interessi per la dilazione di pagamento ottenuta. Il leasing finanziario può essere contabilizzata tramite il metodo patrimoniale o tramite il metodo finanziario. Il metodo patrimoniale consiste nel contabilizzare le operazioni di leasing finanziario come se si trattasse di contratti di affitto. Questo metodo privilegia gli aspetti contrattuali e giuridici dell'operazione sacrificando gli aspetti economici, e può produrre distorsioni qualora la durata del contratto di leasing finanziario sia inferiore alla vita utile prevista per il bene e nel caso in cui il valore di riscatto del bene sia inferiore al valore economicamente congruo del bene correlato della sua residua possibilità di utilizzazione economica. Il metodo finanziario invece guarda alla sostanza dell'operazione, e il valore del bene deve essere rilevato come immobilizzazione materiale, in contropartita nel passivo sarà rilevato per uguale importo un debito verso la società di leasing corrispondente al valore attualizzato del canone di leasing. La quota di leasing sarà quindi divisa in due quote, una la quota interessi di carico al conto economico come onere finanziario, e dall'altra l'importo dell'investimento che viene gradualmente ridotto trovando impiego nella produzione mediante il processo di ammortamento. Il metodo finanziario risulta essere imposto dalla prassi contabile internazionale e obbligatorio in diversi paesi europei, sia pure il metodo patrimoniale risulti essere il più diffuso fra le aziende italiane. Per favorire l'applicazione dei principi contabili internazionali e la conseguente modifica della legislazione fiscale consente oggi la deducibilità fiscale dei canoni di leasing se indicati in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi. 16. I CONTRIBUTI E LE IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI Lo stato, la regione e gli enti pubblici in generale possono concedere contributi concernenti la costruzione, la riattivazione o l'ampliamento di immobilizzazioni materiali. Tali contributi si rilevano in contabilità nel momento in cui sorge il diritto per riscuoterli, e possono essere rilevati secondo l'impostazione reddituale o secondo l'impostazione patrimoniale. Secondo l'impostazione reddituale il contributo viene gradualmente distribuito, in modo diretto o indiretto, sul conto economico dei diversi esercizi in cui i beni ad essi connesso trovano utilizzazione economica. Per poter attuare l'impostazione reddituale si necessita di un criterio di ripartizione e di un criterio di contabilizzazione. Il criterio di ripartizione deve essere ispirato al principio della competenza economica, mentre il criterio di contabilizzazione deve essere scelto fra la rettifica di costo pluriennale o come iscrizione di risconto passivo. Nel primo caso i contributi vengono iscritti nell'attivo, a diretta riduzione del costo dei beni a cui si riferiscono, mentre nel secondo metodo i contributi sono iscritti nel passivo come risconti passivi, e annualmente trasferiti in quote nel conto economico. Con l'impostazione patrimoniale il contributo è considerato come capitale ricevuto da terzi anziché da azionisti, e viene iscritto direttamente in una posta del patrimonio netto. Le due impostazioni hanno entrambe vantaggi e svantaggi. Secondo l'impostazione reddituale i contributi si riferiscono e sono commisurati al costo dei cespiti, e rappresentano una riduzione del costo degli investimenti, partecipando direttamente o indirettamente alla formazione del reddito degli esercizi in 32 rispetto del principio della competenza economica, sono concessi per attuare investimenti in zone di difficoltà operative che si concretizzano per un lungo periodo di tempo con l'aggravio di costi che vengono per l'appunto contrastati dal contributo, e infine i contributi in costo impianti non risultano essere un contributo degli azionisti. Secondo invece l'impostazione patrimoniale poiché non è previsto rimborso i contributi rappresentano integrazioni del capitale di rischio, e servono a compensare i soci del danno che gli aggravi di costo potrebbero comportare sul capitale di rischio, inoltre secondo questa teoria non risulta corretto rilevare i contributi pubblici nel conto economico, dato che essi non sono guadagnati ma rappresentano un incentivo fornito da un ente pubblico senza che siano sostenuti i relativi costi. 17. LE SPESE DI MANUTENZIONE, RIPARAZIONE, AMPLIAMENTO E MIGLIORAMENTO Le immobilizzazioni immateriali sono fonte spesso di spese di natura incrementativa o di natura conservativa. Le spese di natura incrementativa quali costi di ampliamento e di miglioramento possono essere capitalizzati in aggiunta al valore originario di una immobilizzazione qualora si traducano in un aumento misurabile di capacità, produttività, sicurezza o vita utile, concorrendo quindi alle quote di ammortamento alla formazione del reddito di esercizi futuri. Se l'intervento è invece di tipo conservativo il relativo costo deve essere inserito in conto economico e deve concorrere in modo integrale alla formazione del reddito di esercizio. 18. LE IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI Le immobilizzazioni materiali sono costituite da tre tipologie di costi generali, ovvero gli oneri pluriennali, i beni e i diritti immateriali e l'avviamento. La valutazione delle immobilizzazioni immateriali segue il medesimo percorso effettuato per la valutazione delle immobilizzazioni materiali, ovvero l'identificazione del bene, la determinazione del valore originario iscritto in bilancio, la definizione del piano di ammortamento, le eventuali revisioni del valore originario con conseguenti svalutazioni o ripristini di valore e l'individuazione delle informazioni rilevanti da inserire nella nota integrativa o nella relazione sulla gestione. 19. GLI ONERI PLURIENNALI Gli oneri pluriennali sono costi sorti in determinati momenti della vita aziendale o per operazioni speciali effettuate dall'impresa, che al loro interno nascondono una utilità che sarà ceduta negli esercizi futuri. Sono strettamente legati all'impresa e non possono essere ceduti a terzi, ovvero non sono alienabili. La loro iscrizione nell'attivo dello stato patrimoniale è una facoltà, non un obbligo, e non sono riconosciuti a livello internazionale in quanto mentre per il codice e la prassi nazionale sono identificabili, misurabili e manifestano una capacità di produrre benefici, per la prassi internazionale non sono identificabili in quanto non rappresentano una attività con autonoma consistenza patrimoniale. Gli oneri pluriennali rappresentano, se iscritti nell'attivo dello stato patrimoniale, condizioni operative che concorrono alla produzione in più esercizi, pertanto vanno ripartiti in più esercizi. Per i costi di impianto e di ampliamento l'ammortamento ha inizio nell'esercizio in cui si comincia l'attività di produzione, per i costi di ricerca e di sviluppo si ha inizio nell'esercizio in cui i nuovi processi o i nuovi prodotti sono disponibili per l'uso o per la vendita, mentre per i costi di pubblicità ha inizio nell'esercizio in cui può avvenire la vendita di tale prodotto. Il tempo dell'ammortamento degli oneri pluriennali è un ammortamento atecnico, in quanto è impossibile stabilire con esattezza la vita utile dell'onere, e quindi tale dato viene predisposto come periodo di tempo convenzionale, ovvero in un lasso di tempo non superiore a cinque anni. Gli oneri pluriennali non sono inoltre soggetti a svalutazioni per perdite durevoli di valore, in quanto è impossibile, secondo la prassi contabile, che svaniscano le prospettive di benefici futuri intrinseche in questi 35 22.2 MOVIMENTAZIONE DEL MAGAZZINO, METODI D’INDIVIDUAZIONE DEL COSTO GIACENZE Quando l’individuazione e l’attribuzione di un costo specifico(che è la soluzione migliore) agli elementi delle rimanenze non è praticamente attuabile,perché molti beni di magazzino sono normalmente fungibili(non sostituibili)oppure le rimanenze sono numerose e caratterizzate da alta velocità di rotazione,il costo delle rimanenze è determinato ricorrendo a ipotesi di movimentazione della giacenza e di formazione del relativo flusso di costi. I metodi più diffusi di determinazione del flusso di costi per i beni fungibili sono tre: C. M. P.;LIFO;FIFO. Questi hanno un elemento in comune:funzionano in base a ipotesi di movimentazione del magazzino che individuano u ipotetico valore di costo delle partite scaricate. COSTO MEDIO PONDERATO:questo metodo determina il valore de costo di giacenza valorizzando gli scarichi del magazzino al costo medio della quantità acquistate o prodotte presenti in magazzino. il documento 13 da 2 alternative per ponderare il costo medio: 1)per periodo = media dei prezzi di acquisto ponderata per le quantità; 2)per movimento = determinazione di un nuovo costo medio ponderato ogni qualvolta si verifica un nuovo acquisto(tale metodo comporta un valore più alto delle rimanenze poiché più è alto il prezzo di acquisto più si incrementa). FIFO:(first- in,first-out) primo entrato primo uscito,tale metodo ipotizza una movimentazione delle rimanenze razionale,dove le prime entrate sono anche le prime ad uscire(scarico)facendo restare in magazzino le produzioni più recenti. ipotizza che le quantità più remote siano le prime ad uscire in modo che restino in magazzino quelle più recenti,ossia i più prossimi alla data di chiusura dell’esercizio. Questo metodo riflette l’andamento dei prezzi di mercato. Può essere applicato:1)per movimento o continuo;2)per periodo o scatti LIFO:( (last in,first out) ultimo entrato primo uscito,è l’esatto opposto del fifo,con tale metodo si ipotizza che le quantità entrate per ultimo siano le prime ad uscire,lasciando in giacenza i beni entrati nei primi periodi quindi i più vecchi ossia lontani rispetto alla data di chiusura dell’esercizio. Può essere applicato:1)per movimento o continuo = applicato ad ogni singolo movimento,rigoroso sul piano teorico ma oneroso se i movimenti risultano numerosi; 2)per periodo o a scatti = è applicato alla fine di un certo periodo,la valutazione viene compiuta a fine esercizio confrontando la giacenza di fine esercizio con quella di inizio esercizio,se la quantità è aumentata quella pari all’inizio si valorizza al costo di quella data, l’incremento al costo di medio periodo formando lo strato di lifo,gli altri strati sono quelli che rappresentano la rimanenza iniziale; se invece la quantità è diminuita la riduzione viene imputata all’ultimo degli strati lifo che compongono la rimanenza iniziale. In regime di prezzi crescenti il metodo lifo sottovaluta il magazzino,e c’è da dire che i principi contabili internazionali escludono l’utilizzo,ma i principi contabili nazionali ammettono l’utilizzo di tutti e tre infatti è molto utilizzato in Italia,(valutazione fatta a fine del periodo,non gradualmente) La svalutazione può avvenire in modo diretto oppure in modo indiretto attraverso fondi di svalutazione che in bilancio andranno a diretta rettifica delle voci corrispondenti In caso di rivalutazione, il fondo di svalutazione andrà stornato, rilevando in contropartita un componente positivo di reddito nel conto economico 22.3 DETERMINAZIONE DEL VALORE DI MERCATO (slides:presunto valore di realizzo) Il costo rappresenta la base di partenza della valutazione di magazzino,se il valore di mercato è più basso del valore di costo,la valutazione delle rimanenze deve avvenire al valore di mercato. Il valore di mercato è il valore di netto realizzo,per le merci,i prodotti finiti,i semilavorati di produzione e prodotti in corso di lavorazione, determinato sottraendo al prezzo di vendita i costi di completamento e le spese dirette di vendita. Per le materie prime,sussidiarie e di consumo e i semilavorati d’acquisto che partecipano alla fabbricazione dei prodotti finiti,il costo di sostituzione può rappresentare la miglior stima del valore di netto realizzo,diciamo che è il costo con il quale,in normali condizioni di gestione,una determinata voce di magazzino può essere riacquistata o riprodotta. 36 22.4 I LAVORI IN CORSO SU ORDINAZIONE Doc. 23 richiede alcune caratteristiche fondamentali:1)carattere formale,apposito contratto con il committente;2)durata,normalmente ultrannuale;3)oggetto,realizzazione opere. Il criterio di valutazione civilistico dice che … La variazione di tali rimanenze può avvenire sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza. L’utilizzo di un criterio piuttosto che un altro viene lasciato alla libera scelta dei redattori del bilancio. I criteri da seguire perla valutazione ammessi dal C.C. sono due: Criterio della commessa completata o Criterio del costo sostenuto= le commesse sono valutate al costo,i ricavi e l’utile di commessa vengono riconosciuti interamente nell’ultimo esercizio di lavorazione quando il contratto è completato e l’opera è consegnata al mittente,quindi soltanto quando la commessa è completata viene rilevato il ricavo di vendita. Questo è allineato al principio di prudenza(asimmetria negativa delle stime)ma in contrasto con quello della competenza economica. Il rischio è eccesso di prudenza se le condizioni di maturazione del corrispettivo sono dimostrate verificabili. Criterio della percentuale di completamento o Criterio del corrispettivo maturato= le commesse sono valutate in base al ricavo maturato. Il ricavo e l’utile di commessa vengono riconosciuti ogni anno in funzione dell’avanzamento dell’attività produttiva. La percentuale di avanzamento della lavorazione viene misurata con vari metodi: 1) basata su misurazioni contabili -Metodo del costo sostenuto o cost to cost : quello suggerito dai principi contabili,e prevede di determinarla confrontando i costi effettivi sostenuti a una certa data con i costi totali stimati da sostenere per completare la commessa. Affinché questo metodo conduca a misurazioni attendibili è necessario che le stime siano basate su un preventivo aggiornato. 2) basati su misurazioni fisico-tecniche –ore lavorate –unità consegnate –metodo delle misurazioni fisiche,altre misurazioni tecniche : quello che conta è la costanza di applicazione del metodo,si possono avere deroghe in caso eccezionali art.2423bis 2°comma. In ogni modo a prescindere dal criterio di valutazione adottato,è importante individuare con precisione tutti i ricavi e costi operativi di commessa,soprattutto i costi pre-operativi(quelli dopo l’acquisizione del contratto e prima di iniziare la lavorazione)e i costi post-operativi(dopo chiusura attività di costruzione). Gli oneri finanziari maturati sui finanziamenti per la commessa devono essere iscritti nel conto economico dell’esercizio in cui sono stati sostenuti tranne che in casi particolari e seguendo modalità diverse a seconda del criterio di valutazione utilizzato. La vita di una commessa prevede l’incasso di somme versate prima della conclusione della commessa cioè anticipi prima dell’inizio dei lavori;e acconti durante lo svolgimento e commisurati all’avanzamento della lavorazione. Normalmente sono contabilizzati come crediti verso clienti,soltanto gli acconti percepiti a titolo definitivo come corrispettivo delle opere fino a quel momento eseguite possono essere contabilizzati come ricavi di vendita e portati a riduzione del valore della rimanenza di valori in corso su ordinazione. Infine in applicazione del criterio della prudenza,quando si prevede una perdita per il completamento di una commessa,questa deve essere interamente rilevata nell’esercizio nel quale la perdita è conosciuta con un accantonamento a un fondo del passivo o riducendo il valore della rimanenza finale di lavori in corso su ordinazione. 37 23. L'ANALISI DI BILANCIO E LA RICLASSIFICAZIONE Il bilancio civilistico non è adatto alla lettura sistemica o all'analisi gestionale dei valori in esso iscritti. Si rende dunque necessario trovare una chiave di lettura capace di fornire maggiori informazioni sui valori iscritti nel bilancio. La riclassificazione fornisce tale chiave di lettura, predisponendo i dati all'analisi finanziaria ed economica attuata attraverso un set di indici, La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 23.1 L'ATTIVO Gli impieghi del capitale aziendale possono essere valutati in base a diversi parametri. In base alla natura degli elementi possiamo distinguere fra valori numerari e valori non numerari. La classe dei valori numerari accoglie crediti e liquidità, mentre la classe dei valori non numerari accoglie i fattori produttivi e i prodotti. Nasce da qui un ciclo, attraverso il quale i valori in cassa vengono investiti in fattori produttivi, i quali trasformano i prodotti, che attraverso la vendita si realizzano in crediti, che a loro volta dopo il pagamento si realizzano in valori in cassa, creando una rotazione fra gli impieghi. Distingueremo quindi fra impieghi numerari liquidi e non liquidi, e impieghi non numerari per l'utilizzo o per la vendita. Questo ciclo rappresenta un segmento temporale, dato dalla velocità di rotazione degli impieghi che compongono il ciclo. Dato che il ciclo operativo però varia grandemente fra le varie possibili attività, sia in base ai tempi di lavorazione che al tipo di impianti, per poter ottenere una informazione comparabile si considera come tempo di riferimento l'esercizio. La linea temporale dell'esercizio permette di suddividere i valori che saranno impiegati nel breve termine, ovvero le disponibilità, e i valori che saranno impiegati oltre il breve termine, ovvero le immobilizzazioni. L'attivo immobilizzato accoglie al suo interno tutti quei valori che scadranno oltre l'esercizio, e in base alla natura degli stessi potremmo distinguere le immobilizzazioni tecniche materiali e immateriali, le immobilizzazioni finanziarie, le immobilizzazioni patrimoniali e le immobilizzazioni commerciali. Le immobilizzazioni tecniche materiali comprendono gli impieghi relativi a fattori pluriennali aventi consistenza fisica, siano essi funzionanti, verso cui si sono pagati anticipi o in corso di costruzione. Le immobilizzazioni tecniche immateriali, accolgono beni e diritti immateriali, oneri pluriennali immateriali e l'avviamento a titolo oneroso. Le immobilizzazioni finanziarie accolgono al loro interno, oltre alle partecipazioni e ai crediti finanziari anche le quote di crediti commerciali scadenti oltre l'esercizio. Le immobilizzazioni commerciali accolgono al loro interno tutte quelle scorte di prodotti o semilavorati che non si prevede di usare entro l'esercizio seguente. Nelle immobilizzazioni patrimoniali invece rientrano tutti quegli investimenti non collegati al ciclo produttivo in se, ovvero facenti parte dell'area accessoria, e ne fanno parte teoricamente le partecipazioni in imprese acquisite per reddito, titoli di stato o civili, immobili civili da reddito. NB: Le partecipazioni, se si posseggono le corrette informazioni, andrebbero distinte fra partecipazioni da reddito (figuranti nelle IP) e partecipazioni da controllo (IF), così come prodotti e fattori commerciali scadenti oltre l'anno potrebbero essere considerati come ITM, in quanto rappresentano fattori produttivi pluriennali, sia pure di natura commerciale. L'attivo circolante accoglie al suo interno cinque classi di valori, ovvero le disponibilità tecniche, le disponibilità commerciali, le disponibilità finanziarie, le disponibilità numerarie e le liquidità. In sostanza queste cinque categorie sono riassumibili in disponibilità realizzabili e disponibilità liquide. Fra le disponibilità realizzabili troveremo le disponibilità non numerarie nel magazzino, mentre le disponibilità realizzabili numerarie andranno a formare le liquidità differite. Infine, le liquidità, andranno a formare le così dette liquidità immediate. Il magazzino accoglie una parte di valori materiali e una parte di valori immateriali, fra i valori materiali ritroviamo le scorte di materie, semilavorati e prodotti finiti, le immobilizzazioni tecniche materiali in 40 Ø L’ANALISI DI INDEBITAMENTO DEL CAPITALE FINANZIARIO Le fonti di finanziamento possono essere interne(capitale di rischio)o mezzi propri(Mp) ed esterne(capitale di credito)o passività (P). Quando l’analisi non si limita a considerare solo il capitale di credito ma anche i suoi componenti allora si calcolano gli indici di composizione con ciascuno dei componeti(passività consolidate e correnti) (2) . L’interpretazione che deve seguire a questi indici è di comprendere se il grado di indebitamento emerso è funzionale o al contrario antifunzionale. C’èda d ire anche che l’altezza del capitale di rischio dipende da vari fattori,dimensione azienda dove se è piccola dipende tutto dal titolare se individuale o dei soci se societaria,se è grande dipende dal mercato finanziario e capacità di attrazione capitali. Nelle società di capitali esiste un minimo legale 100'000 per le s.p.a. e uno funzionale. Quindi è logico pensare che se si ha un capitale di rischio molto basso ci si viene a trovare in una situazione di dipendenza finanziaria. Quello di rischio impone la formazione di utili per la sua rimunerazione,mentre quello di credito la formazione di oneri finanziari,questi nel tempo attuale muovendosi ad alti livelli avranno un effetto sul conto economico di un alto indebitamento che oggi può risultare insostenibile. Ø L’ANALISI DELLA SOLIDITA’ IL CONCETTO: La solidità patrimoniale è la capacità dell’azienda di mantenersi in equilibrio finanziario(entrate ed uscite finanziarie) nel medio lungo termine. Un’azienda ha la possibilità di superare disequilibri economici o finanziari di breve periodo in quanto il suo assetto patrimoniale le consente di assorbire gli effetti negativi di tali disequilibri senza compromettere la gestione. Questo implica il grado di resistenza alla pressione finanziaria del breve periodo. Quindi è orientata a comprendere se la configurazione del patrimonio aziendale conferisce all’azienda la capacità de tenere in equilibrio entrate ed uscite future. Si studiano le possibilità di mantenimento tendenziale dell’equilibrio finanziario nel lungo periodo. Tale capacità dipende da: La correlazione tra gli impieghi a medi-lungo termine e le fonti a medio-lungo termine,ossia le modalità con le quali vengono finanziate le immobilizzazioni; La struttura dei finanziamenti,ossia la tipologia delle fonti di finanziamento analizzati sotto il profilo del rischio aziendale. Si hanno 2 rischi: insolvenza (natura finanziaria,liquidità) non è detto che l’azienda non riesca a vendere i propri prodotti,però con tecniche di pagamento per i clienti,dilazioni ecc. che superano i tempi necessari per pagare i fornitori si va in crisi finanziaria … scopertura c/c;fornitori scarsi ecc. ecc. delle altre volte può essere una naturale crisi economica. Si,è vero che è la stessa moneta però indebitandosi con i mezzi propri il rischio è differente. Ø CORRELAZIONE TRA GLI IMPIEGHI E LE FONTI L’analisi di bilancio non può tralasciare lo studio delle correlazioni,poiché fra gli impieghi e le fonti devono esistere correlazioni logiche,alla base di ciò sta il postulato generale: il tempo di scadenza delle fonti deve essere sincronizzato al tempo di scadenza degli impieghi. Il totale del capitale di finanziamento finanzia il capitale investito. Da esso derivano i principi elementari: 1)principio del finanziamento dell’attivo fisso: impieghi pluriennali dovrebbero per logica essere alimentati da fonti di finanziamento parimenti pluriennali,cioè l’attivo fisso dovrebbe essere finanziato prevalentemente con il passivo permanente. Se nò possibile incaglio. 2)principio del finanziamento dell’attivo circolante: gli impieghi di esercizio dovrebbero essere alimentati da fonti di finanziamento a breve scadenza,cioè l’attivo circolante dovrebbe essere finanziato prevalentemente con il passivo corrente. In caso contrario si andrebbe in liquidità fittizia per il differimento della scadenza del passivo rispetto al rientro attivo. Son considerate solo le linee fondamentali,nella realtà si scende maggiormente nei dettagli. 41 Ø CORRELAZIONE TRA IMPIEGHI M/L T.E FONTI M/L T.:ANALISI DEL FINANZIAMENTO DELLE IMMOBILIZZ. Si tratta di vedere come viene finanziato l’attivo fisso,in quali proporzioni fra mezzi propri,passività consolidate e passività correnti. Possono aversi pertanto tre situazioni: 1) il passivo permanente finanzia completamente l’attivo fisso e in parte,quello circolante: questo determina una liquidità da ammortamento, non genera problemi di insolvenza ed assicura il rinnovo dell’attivo fisso stesso. 2) l’attivo fisso è finanziato esclusivamente dal passivo permanente quindi passività consolidate: non genera rischi di insolvenza(se il prestito scade in contemporanea con la vita utile del bene e i ricavi sono sufficienti a coprire i costi di esercizio)ma non determina liquidità da ammortamento e per il rinnovo rende necessario un rifinanziamento 3)l’attivo fisso è finanziato in parte dal passivo permanente,e la restante parte dal corrente: determina una illiquidità da finanziamento che espone ad un costante rischio di insolvenza,per il rinnovo nel caso l’azienda sopravviva fino alla fina della vita utile delle immobilizzazioni si rende necessario un rifinanziamento. Quindi ipotesi preferibile per la solidità è la prima. Ø GLI INDICI DI CORRELAZIONE STRUTTURALE I margini: risultano dalla differenza tra singole classi di impieghi e singole classi di fonti I quozienti: risultano dal rapporto tra singole classi di impieghi e singole classi di fonti In particolare la Solidità patrimoniale si misura con il quoziente di struttura primario: rapporto fra mezzi propri e l’attivo fisso MpAF questo esprime quanta parte di immobilizzazioni sono finanziate con mezzi propri;può essere maggiore,minore o uguale a 1. Talvolta in aggiunta si preferisce calcolare anche l’indice- differenza derivante dal confronto tra Mp e AF chiamato margine primario di struttura : Mp – AF. Quoziente di struttura primario > di 1 (margine di struttura primario > di 0), si tratta di una situazione dove le immobilizzazioni sono interamente finanziate con i mezzi propri che finanziano anche una parte dell’attivo circolante: ci troviamo in una situazione ottimale sotto il profilo dell’attività patrimoniale. Quoziente di struttura primario < di 1 (margine di struttura primario < di 0), in questo caso le immobilizzazioni non sono finanziate del tutto dai Mp ma anche dalle passività consolidate e/o correnti: quando si è del poco inferiori a 1 (0,7 – 0,8) siamo in una situazione accettabile purché la restante parte sia finanziata con passività consolidate. Prima del caso(3)bisogna parlare del quoziente di struttura secondario: indica come vengono finanziate le immobilizzazioni non coperte dai mezzi propri,ed è dato dal rapporto tra passivo permanente (Mp+Pml) e l’attivo fisso: MP+PmlAF ,anche in questo caso può essere > , = , < di 1 e anche qua in aggiunta all’indice- quoziente si può calcolare l’indece-differenza derivante dal confronto tra passivo permanente e attivo fisso: margine secondario di stuttura: (Mp+Pml) – AF questo indica la parte di attivo circolante finanziata con il passivo permanente(> di 0) o la parte di immobilizzazioni finanziata con il passivo corrente(< di 0). Quoziente di struttura secondario > di 1 (margine di struttura secondario > di 0), le immobilizzazioni sono finanziate interamente dal passivo permanente che finanzia anche una parte di attivo circolante. Buona situazione ai fini della Solidità. Quoziente di struttura secondario < di 1 (margine di struttura secondario < di 0), le immobilizzazioni non sono finanziate interamente col passivo permanente ma anche tramite il passivo corrente. Questa è una situazione da considerarsi insoddisfacente ai fini della Solidità collegata ad un rischio di insolvenza. Quoziente di struttura secondario = a 1 (margine di struttura secondario = a 0), caso che si ricorda per completezza,in questo caso l’attivo fisso sarà finanziato esclusivamente dal passivo permanente,e l’attivo circolante dal passivo corrente. Approfondimenti Per L’interpretazione Dei Quozienti Di Struttura Quando si hanno quozienti di struttura insoddisfacenti il ricorso all’utilizzo del finanziamento bancario in c/c per le coperture del fabbisogno generato dalle immobilizzazioni è una politica errata che compromette la Solidità aziendale esponendo l’azienda al rischio di insolvenza. Le cause all’origine di quozienti di struttura insoddisfacenti possono essere le seguenti: - insufficienza di mezzi propri; - insufficienza di passività consolidate;- eccesso immobilizzaz. 42 Un’altra interpretazione dovrebbe tener conto dell’anzianità delle immobilizzazioni,la loro vecchiaia appunto,che potrebbe essere espressa tramite il grado di ammortamento ottenuto col rapporto tra il tot. dei fondi amm.to ed il tot. dei costi storici delle imm.ni ammortizzate. Bisogna stare attenti anche quando i valori di margini e quozienti sono molto elevati,poiché ciò non vuol dire che la Solidità sia maggiore,infatti possono nascondersi situazioni anti-funzionali Ø L’AUTONOMIA FINANZIARIA Il secondo profilo di analisi della Solidità Patrimoniale riguarda la struttura dei finanziamenti,infatti questa è più elevata quando la struttura dei finanziamenti è composta da fonti che non accrescono il rischio finanziario dell’impresa e non generano una dipendenza da terzi nelle scelte di gestione. Ai fini dell’analisi dell’autonomia finanziaria si distinguono2 categorie:fonti interne (Mp)e fonti esterne (debiti),più precisamente possono essere analizzate sotto 2 aspetti: -velocità di estinzione; - natura del debito. Dunque l’analisi dell’autonomia finanziaria può essere condotta attraverso il calcolo di 2 tipologie di quozienti: 1- indici di composizione del passivo,rapportando ciascuna voce delle fonti al totale delle fonti. 2- rapporti mezzi di terzi/mezzi propri ottenuti rapportando i debiti ai mezzi propri. Questo rapporto si può fare in due modi: dipende da cosa si inserisce al numeratore: quoziente di indebitamento complessivo: Pml+PbMp (tutti i debiti,sia commerciali che finanziari) quoziente di indebitamento finanziario: DfMp (solo i debiti finanziari) Quest’ultimo è molto utile ai fini della Solidità e indica quanta unità monetaria di capitale di credito sono affluite all’azienda per ogni unità monetaria di capitale di rischio. Ø L’ANALISI DELLA LIQUIDITÀ Mira a verificare che l’azienda sia in grado,tramite la liquidità esistente e le entrate attese nel breve periodo, di fronteggiare le uscite attese per il breve periodo. Li + E bp – U bp > 0 (entrate a breve) (uscite a breve) per convenzione il periodo è 12 mesi. Per una buona liquidità si parla del principio di finanziamento dell’attivo circolante : l’att. circolante dovrebbe essere finanziato prevalentemente con il passivo a breve (corrente); inoltre l’attivo circolante una volta convertito in liquidità immediata deve essere in grado di estinguere il passivo corrente. M(rimanenze) M+Ld+Li-Pb > 0 (che poi non è altro che AC- Pb) dunque richiede che tra gli impieghi e le fonti a breve sussista il seguente equilibrio: - Margine di disponibilità : AC – Pb > 0 differenza tra le componenti dell’attivo circolante e passività correnti. Questa è la fotografia del 31/12,ma in realtà è la foto di un istante che non sarà esattamente quello che sarà in un futuro,per dire veramente che un’azienda è liquida è che i tempi di scadenza degli impieghi siano sincronizzati ai tempi di scadenza delle fonti Dal rapporto tra questi valori deriva - Quoziente di disponibilità : ACPb e cioè scrivendo le componenti M+Ld+LiPb All’utilizzo di questo si può fare una critica nel senso che la presenza del magazzino al numeratore non è strettamente attinente con i problemi della liquidità, infatti questo rappresenta un impiego non numerario non sempre destinato a convertirsi in breve tempo in impiego numerario,innanzitutto perché esso comprende quasi sempre una scorta vincolata la cui posizione risulta più vicina all’attivo fisso che all’attivo circolante e in più la parte non vincolata non sempre è destinata a diventare liquida in breve tempo. Quindi poiché questa scomposizione è inattuabile si procede all’analisi mediante una seconda categoria di indici: Margine e Quoziente di Tesoreria : si tratta di esaminare la liquidità della gestione corrente mettendo a fuoco l’equilibrio e il non equilibrio fra gli impieghi liquidi e le passività correnti. Margine di tesoreria : (Ld+Li) – Pb Ma l’analisi è maggiormente espressiva se si utilizza l’indice-quoziente, che prende anche il nome di quoziente di liquidità totale. Questo è denominato Quoziente di tesoreria : Ld+LiPb Che rappresenta la capacità dell’azienda di far fronte con la liquidità totalmente disponibile,differita e immediata,all’estinzione delle passività correnti. Possono aversi 3 casi: 1) margine di tesoreria positivo, (quoziente > di 1 e margine positivo) Mt = (Ld+Li) - Pb L’importo delle 2 classi di liquidità è superiore all’importo delle passività correnti,in questa situazione le liquidità(diff. e immed.)finanziano completamente le passività correnti e il magazzino è finanziato per intero 45 produttivi invece che in base alle operazioni. I costi sono distinti per natura, ovvero in base al titolo originario del loro sostenimento. Questa distribuzione non è adatta a una analisi economica o finanziaria in quanto non effettua una distinzione basata sulla funzione che i costi assumono nel sistema produttivo. Il terzo limite è dato dal fatto che si limita a esprimere quantitativamente il risultato di esercizio ma non la qualità dell'utile tramite risultati parziali che sintetizzino classi di valore omogenee prodotte dal risultato di un determinato tipo di funzione o di gestione. 24.2 IL SUPERAMENTO DEI LIMITI I limiti vengono superati innanzitutto passando dalla forma a costi e ricavi della produzione alla strttura a costi e ricavi, nella quale i valori di esistenze finali e rimanenze finali vengono assorbiti dai costi e ricavi attinenti all'esercizio, nelle strutture a costi e ricavi della produzione venduta o nella struttura a costi e ricavi della produzione ottenuta. Il secondo limite viene superato tramite la divisione del sistema di gestione secondo le varie funzioni, avremmo quindi le funzioni industriali, le funzioni commerciali, le funzioni amministrative, l'area caratteristica e l'area finanziaria. Il terzo limite viene superato attraverso il passaggio da una forma a sezioni divise con la forma scalare, evidenziando così i redditi di area e ottenendo un grado di informazione notevolmente maggiore di quello che si ottiene tramite il conto profitti e perdite. La non omogeneità della struttura a costi e ricavi delle rimanenze è data principalmente da rimanenze di prodotti e materie. Le materie fanno parte del costo sostenuto per l'utilizzazione delle materie, che è per l'appunto dato dalle materie acquistate alle quali si sommano le esistenze iniziali e si detraggono le rimanenze finali di materie, al netto ovviamente di resi, abbuoni e sconti sull'acquisto di materie. Riguardo i prodotti invece si distinguerà fra metodo del costo del venduto e metodo della produzione ottenuta. Nel metodo della produzione ottenuta il magazzino e le immobilizzazioni in corso vanno a sommarsi ai ricavi della produzione ottenuta, con segno dato dalla differenza fra rimanenze finali e rimanenze iniziali, mentre nel metodo della produzione venduta il magazzino prodotti e le immobilizzazioni in corso vanno a sommato al costo della produzione ottenuta con segno dato da rimanenze iniziali meno rimanenze finali. 24.3 LA RICLASSIFICAZIONE PER AREE GESTIONALI: Il superamento del secondo limite e del terzo limite porta al completamento della riclassificazione, in quanto è dato dalla scissione della gestione di esercizio in aree, con strutturazione in forma scalare. La distinzione permette di scindere quattro aree gestionali: l'area caratteristica, l'area extracaratteristica, l'area finanziaria e l'area straordinaria. L'area operativa comprende i valori relativi all'attuazione ed alla vendita di produzione, e il suo saldo prende il nome di reddito operativo. L'area extracaratteristica accoglie al suo interno tutti i costi e i ricavi relativi alle attività collaterali e atipici. Tutti i costi e i ricavi che derivano da impieghi dell'area caratteristica saranno valori operativi, mentre tutti i costi e i ricavi che derivano da impieghi extracaratteristici sono valori che apparteranno all'area extracaratteristica. L'area straordinaria accoglie tutti quei costi e ricavi non direttamente collegati alla gestione ordinaria dell'esercizio, ovvero accoglie quei valori estranei alla gestione e con caratteristica di scarsa ripetibilità. L'area finanziaria invece comprende i valori relativi al finanziamento della produzione, accoglie quindi al suo interno gli oneri finanziari relativi ai finanziamenti ottenuti. All'interno dell'area caratteristica è inoltre possibile effettuare una serie di operazioni che permette di ottenere risultati intermedi, che rendono maggiormente efficace la lettura del bilancio di esercizio. 24.4 COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE VENDUTA: Nel caso dello schema a costi e ricavi della produzione venduta avremmo quindi la possibilità di stabilire il reddito lordo industriale come margine ottenuto dalla sottrazione fra i ricavi il solo costo della produzione venduta. Solitamente questa riclassificazione è effettuata attraverso l'applicazione del criterio funzionale, ovvero raggruppando i costi e i ricavi in base alla loro funzione di destinazione (sia essa industriale, 46 amministrativa, commerciale etc). Avremmo quindi che dai ricavi di vendita andranno sottratti i vari risultati di area. La sottrazione fra i ricavi di vendita e il costo industriale del venduto porta all'ottenimento del risultato lordo industriale, che esprime la capacità dei ricavi netti di remunerare l’impiego dei fattori produttivi consumati per la realizzazione dei prodotti venduti. Il costo industriale del venduto si ottiene dalla somma tra i costi dei fattori consumati in area industriale, rettificata con la variazione magazzino prodotti finiti e le eventuali costruzioni in economia. La realizzazione di questa classificazione però è gravata dai costi necessari al reperimento delle informazioni necessarie per la sua applicazione, rendendola uno strumento utile solo al fine di analisi interne sulla efficacia e sulla efficienza delle varie aree funzionali. 24.5 COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE OTTENUTA Lo schema a costi e ricavi della produzione ottenuta offre invece un numero maggiore di margini interni, grazie alla possibilità di suddividere i costi fra costi interni e costi esterni, oppure fra costi variabili e costi costanti. 24.6 COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE OTTENUTA “A VALORE AGGIUNTO” Il criterio della posizione funzionale distingue fra costi esterni e interni, e considera come fattori interni tutti i fattori strutturali nonché i fattori correnti relativi al lavoro del personale dipendente, mentre considera fattori esterni tutti i fattori correnti di esercizio con eccezione per quelli relativi ai dipendenti. I fattori interni saranno dunque quei fattori che l'impresa appronta per poter affrontare il ciclo operativo, ovvero i costi sostenuti per la struttura tecnica (gli ammortamenti) e i costi per le strutture organizzative, ovvero per il personale dipendente. Per iniziare invece il ciclo operativo vi è necessità dei costi esterni, ovvero di quei fattori contestuali rispetto alla produzione, acquisiti all'esterno della combinazione aziendale. Ne faranno dunque parte il consumo di materie e le spese esterne. Il primo margine del conto economico riclassificati a costi e ricavi della produzione ottenuta a valore aggiunto è formato dalle vendite nette, ottenibili attraverso la somma fra i ricavi di vendita al netto di resi, abbuoni e sconti. Alle vendite nette si aggiungeranno dunque gli altri ricavi interni di produzione, ovvero la variazione di magazzino semilavorati, prodotti e le eventuali costruzioni in economia, ottenendo così il valore della produzione. Al valore della produzione andranno sottratti la prima quota dei costi interni, rappresentati dal consumo di materie, ottenendo così il margine industriale lordo, rappresentante il risultato industriale in senso stretto, in quanto confronta costi e ricavi operativi. Si tratta di un margine fondamentale in quanto esprime il cuore dell'impresa, ovvero la sua capacità di produrre ricchezza attraverso l'attività industriale più pura. Al margine industriale lordo si procede a sottrarre il resto dei costi esterni, ovvero tutti i costi derivanti da servizi o utilizzo di beni di terzi, ottenendo così il valore aggiunto. Il valore aggiunto può essere definito come la parte del prodotto di esercizio che, coperti i costi relativi ai fattori produttivi esterni, serve per la copertura dei costi relativi ai fattori produttivi interni e dei successivi oneri delle altre aree gestionali. Guardando invece il conto economico dal basso verso l'alto il valore aggiunto rappresenta la somma dei compensi che vengono assegnati ai titolari dei fattori produttivi interni, ovvero lavoro, impianti, capitale di credito e di rischio. Sottraendo al valore aggiunto la prima quota dei costi interni, ovvero i costi per il personale, otterremo il margine operativo lordo. Il MOL rappresenta il prodotto operativo al netto dei costi non monetari. Si tratta di un parametro oggettivo in quanto i costi non monetari sono affetti a valutazioni, mentre i fattori produttivi finora analizzati sono stati oggettivi. Può essere definito come la parte del valore aggiunto che residua dopo aver remunerato il capitale umano e a disposizione per remunerare il capitale tecnico e finanziario, come il margine ante oneri non monetari, atto ad esprimere l'autofinanziamento generato dalla gestione operativa, e come il margine ante costi discrezionali atto ad esprimere un risultato economico maggiormente oggettivo dell'utile operativo. Al margine operativo lordo vanno infine sottratti i costi non monetari, ovvero la seconda parte dei costi interni atti a remunerare la struttura tecnica, ammortamenti e accantonamenti a fondi. Questi costi sono 47 valori discrezionali, in quanto derivanti da stime. Una volta sottratti tali oneri dal margine operativo lordo si otterrà dunque il reddito operativo. 25. IL CONTO ECONOMICO A COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE OTTENUTA “MARGINALISTICO” La classificazione del conto economico per il rapporto dinamico esistente fra i fattori produttivi e la produzione distingue due categorie: i costi variabili e i costi costanti. Il principio cardine di questa distinzione è dato dal fatto che le variazioni qualitative e quantitative non determinano effetti uguali sui vari fattori di produzione. Un fattore dunque reagisce in base alla sua capacità produttiva. Un fattore produttivo che all'aumentare o alla modificazione il fattore avrà una capacità produttiva sufficiente ai nuovi impegni, non sarà necessario l'aumento dello stesso. Questo fattore sarà dunque un fattore costante, mentre in caso debba essere modificato l'impiego di tale fattore ci si troverà davanti a un fattore produttivo variabile. Sono costi costanti quelli che non variano al variare della produzione, e ne sono dunque indipendenti, sono invece costi variabili quelli che variano, in base a determinate modalità, con il variare della produzione, e ne sono dunque dipendenti. Nella prima categoria rientreranno i costi di manodopera indiretta, gli ammortamenti degli impianti e quelli relativi a determinati servizi operativi. Nella seconda categoria si comprendono invece i costi delle materie, quelli della mano d'opera diretta, e quelli relativi ai rimanenti servizi operativi. Il margine che si otterrà sottraendo al prodotto di esercizio i costi variabili sarà chiamato margine di contribuzione, ovvero quella parte del prodotto di esercizio che, coperti i relativi costi variabili, serve per la copertura dei costi relativi ai fattori produttivi costanti e dei successivi oneri delle altre aree di gestione. Se al margine di contribuzione si detraggono i costi fissi si otterrà il reddito operativo. Il margine di contribuzione è un indicatore di performance economica, in quanto esprime un risultato parziale non contaminato da componenti di costo “stimati”, e al contempo è un indicatore di performance finanziaria, in quanto derivando dalla differenza tra ricavi e costi monetari riesce a rappresentare il flusso di cassa potenziale o il flusso di capitale circolante prodotto dalla gestione corrente. Si può inoltre attuare una diversificazione funzionale interna al conto economico, separando i costi industriali dai costi commerciali e ottenendo così due margini: il margine di contribuzione industriale e il margine di contribuzione complessivo. In entrambi i casi la costruzione di un conto economico marginalistico porta a ingenti costi per il reperimento delle informazioni, e il suo utilizzo è consigliato solo al fine di analisi interne legate al grado di copertura dei costi di struttura, al rapporto fra elasticità dei costi operativi rispetto ai volumi di vendita, ai modelli di proiezione e ai modelli di simulazione costi-volumi-risultato. Le altre aree: Il reddito operativo può quindi essere raggiunto attraverso questi tre meccanismi. Al reddito operativo però andranno sommati o detratti i risultati delle restanti aree, dando origine a altri margini. Il primo margine sarà quello dato dal reddito operativo al quale verrà sommato il reddito dell'area extracaratteristica, ottenendo così il così detto “ebit normalizzato”. L'ebit, ovvero l'earning before interest and taxes è il margine che esprime quanto utile l'azienda abbia prodotto escludendo il costo di finanziamento del capitale e l'area tributaria. Si dice in questo caso normalizzato in quanto la gestione extracaratteristica raccoglie al suo interno voci di ricavo accessorie, nate da investimenti a reddito come quelli che si ottengono attraverso titoli e immobili civili, frutto di una attenta e ponderata attività di programmazione da parte del soggetto economico. Sottraendo all'ebit normalizzato il saldo dell'area straordinaria avremmo l'ebit integrale, viene chiamato integrale in quanto integra anche gli aspetti straordinari di reddito, ovvero accoglie al suo interno tutte le componenti economiche di periodo caratteristiche, accessorie o straordinarie che siano. All'ebit normalizzato andranno dunque sottratti gli oneri finanziari, i quali invece rappresentando il costo del capitale di finanziamento, permettono di individuare il reddito prodotto dall'impresa al netto delle imposte e dell'area tributaria dunque. Questo risultato è particolarmente importante, in quanto l'area tributaria varia anche grandemente da paese a paese. 50 calcolate sui valori storici, mentre i costi fissi rimangono invariati. 28.1 IL GRADO DI LEVA STRUTTURALE Il grado di leva strutturale misura la reattività del reddito operativo a variazioni dei costi fissi, a parità di altre condizioni. Il rapporto fra il tasso di aumento del reddito operativo ed il tasso di riduzione dei costi fissi prende il nome di grado di leva strutturale, ed è misurato dal rapporto negativo fra costi fissi e reddito operativo. La variazione di utile operativo sarà dunque uguale al grado di leva strutturale moltiplicato per la variazione percentuale dei costi fissi. 28.2 LA LEVA OPERATIVA INTEGRATA La leva operativa integrata è data dalla combinazione della leva operativa e della leva strutturale, e ha compito di analizzare l'influenza sull'utile operativo data da variazione contestuale del prodotto di esercizio e dei costi fissi a parità di altre condizioni. La reattività complessiva dell'utile operativo o del margine di contribuzione, accompagnate da contestuali variazioni dei costi fissi, è misurata sommando gli effetti conseguenti alla leva operativa e alla leva strutturale, quindi avremo che il tasso complessivo di variazione dell'utile operativo sarà dato dalla somma fra il grado di leva operativa moltiplicato per il tasso di variazione del prodotto di esercizio e il grado di leva strutturale per il tasso di variazione dei costi fissi. Il decremento dei costi fissi moltiplica per il grado di leva operativa integrata l'effetto sull'utile operativo dovuto alla variazione del prodotto di esercizio, misurato dal grado di leva operativa. 28.3 LA LEVA CREDITIZIA Il grado di sensibilità dell'utile lordo a variazioni dell'utile operativo è misurato dal grado di leva creditizia, che esprime quindi la capacità dell'impresa di contenere l'altezza degli oneri finanziari. Un elevato grado di leva creditizia evidenzia un peso eccessivo degli oneri finanziari sul reddito operativo. L'impresa riesce a sfruttare un elevato grado di leva creditizia quando l'impresa riesce a finanziare il suo sviluppo senza incrementare il peso degli oneri finanziari, ottenendo ad esempio una riduzione del costo dell'indebitamento consequenziale a una riduzione del tasso di interesse. Il grado di leva creditizia si ottiene attraverso la divisione fra l'utile operativo e l'utile lordo. 28.4 LA LEVA COMBINATA La leva combinata è data dall'abbinamento fra la leva operativa e il grado di leva creditizia, misurando direttamente la reattività dell'utile lordo a variazioni del prodotto di esercizio. Il grado di leva combinata è dato dal rapporto fra margine di contribuzione e utile lordo, in quanto deriverebbe dalla moltiplicazione fra il rapporto fra margine di contribuzione fratto utile operativo e l'utile operativo fratto l'utile lordo. 29. LA RICLASSIFICAZIONE “ECONOMICA” DELLO STATO PATRIMONIALE Il criterio di riclassificazione finanziario non è il solo criterio tramite il quale è possibile riclassificare lo stato patrimoniale. Esso può essere infatti riclassificato attraverso il criterio economico, estendendo agli impieghi e alle fonti aziendali il criterio di riclassificazione in aree del conto economico. Questo criterio, strumentale all'analisi della redditività, confronta gli opportuni flussi di reddito ad omogenei e coerenti stock di capitale, ottenendo una valutazione relativa e non assoluta del risultato economico, valutandolo in relazione al capitale impiegato. Dato che per effettuare una analisi di redditività bisogna rendere i valori facenti parte del capitale investito o del capitale di funzionamento coerenti fra di loro. Considerando che la produzione del reddito netto possa essere suddivisa nella fase di produzione del reddito e la fase di distribuzione dello stesso alle fonti di finanziamento, si potrà estendere tale principio allo stato 51 patrimoniale riguardando per la prima parte le attività e per la seconda fase le passività. Fra le attività possiamo distinguere tre aree gestionali: le attività operative, strumentali allo svolgimento della gestione operativa, le attività extraoperative strumentali allo svolgimento delle gestioni extracaratteristica e straordinaria, e le attività miste, potenzialmente strumentali allo svolgimento sia della gestione operativa che di quella extraoperativa, rappresentate dalle scorte di liquidità. Il flusso di reddito operativo dovrà dunque corrispondere al capitale impiegato di tipo operativo, il reddito della gestione extracaratteristica dovrà corrispondere al capitale impiegato di tipo extraoperativo, mentre all'EBIT integrale deve corrispondere il capitale complessivamente applicato dalla gestione. Estendendo alle fonti possiamo riclassificare le passività in funzione al relativo costo, in base alle relative modalità di remunerazione. Distingueremo quindi le fonti remunerate con utili lordi o netti di esercizio, ovvero i mezzi propri, le fonti remunerate con gli oneri finanziari e le fonti prive di remunerazione esplicita, ovvero i debiti di funzionamento. Le attività operative strumentali all'esercizio vanno individuate facendo riferimento alla specifica attività dell'impresa e in base ai criteri seguiti per l'imputazione dei relativi proventi e oneri alle varie gestioni. Per una impresa di tipo industriale potremmo ritrovare in questa categoria le ITM e le ITI, le rimanenze, i crediti di funzionamento e i ratei e i risconti operativi. Fra le attività extraoperative potremmo ritrovare invece le attività strumentali all'ottenimento dei proventi e degli oneri riclassificati tra reddito operativo e ebit integrale. Troveremo quindi gli immobili civili, le immobilizzazioni finanziarie, le attività finanziarie non immobilizzate, i ratei e i risconti attivi non operativi. All'interno delle attività miste rientrano le disponibilità presso le banche e le liquidità esistenti in cassa. I proventi finanziari derivanti dalle disponibilità bancarie andranno iscritti laddove essi siano stati imputati. Nel caso siano stati imputati alla gestione extraordinaria in tale area andranno iscritti, altrimenti il relativo stock di capitale deve essere posizionato a sottrazione dei debiti finanziari. Nel caso delle disponibilità in cassa invece si pone il problema che tali valori non generano flussi attribuibili a una singola gestione, possono quindi o essere suddivisi in quote fra le varie gestioni oppure il valore corrispondente, se non di importo rilevante, può essere portato a sottrazione delle passività di funzionamento. La riclassificazione delle fonti invece annovererà fra i mezzi propri tutte le forme di finanziamento cui corrispondono i mezzi propri riclassificati secondo il criterio finanziario. Fra i debiti finanziari invece andranno a rientrare tutte le forme di finanziamento cui corrisponde un onere finanziario esplicito riclassificato a valle dell'ebit integrale, rientreranno quindi in questa categoria i prestiti obbligazionari, i debiti verso banche, i debiti rappresentati da titoli di credito e i debiti verso controllate, collegate o controllanti se di natura finanziaria. Le passività di funzionamento sono una fonte di finanziamento a cui non corrisponde un onere esplicito di remunerazione. Capita spesso però che tale onere sia presente, ma implicito nel prezzo pagato, dato dalla differenza che si avrebbe fra la pronta consegna di merci e la dilazione di pagamento, per esempio. Si potranno dunque o esplicitare tali valori ponendoli fra gli oneri finanziari a valle dell'ebit, oppure si potrà mantenere gli oneri finanziari impliciti nelle gestioni a monte dell'ebit integrale, portando le passività ad esse collegate a sottrazione delle attività complessive. Fra le passività di funzionamento troveremo i fondi rischi e oneri, il fondo tfr, i debiti verso fornitori, verso istituti previdenziali, i debiti diversi, gli acconti, i debiti tributari e la quota di utile destinato a dividendo. Considerando questo modello, supponendo che le passività di funzionamento siano riferite alla gestione operative, avremmo che fra l'attivo dello stato patrimoniale dovremmo iscrivere gli impieghi operativi netti, dati dalla sottrazione fra gli impieghi operativi e le passività di funzionamento al netto della cassa, e gli impieghi extraoperativi maggiorati della scorta liquida dei depositi bancari, mentre fra le fonti rimarranno i mezzi propri e le fonti di finanziamento. 30. L'ANALISI DELLA REDDITIVITÀ La corretta analisi della gestione si sviluppa su diversi livelli, procedendo dal generale verso il particolare, identificando quindi prima le linee generali e scendendo poi nel dettaglio. 52 L'analisi della gestione si svolge attraverso la costruzione di indici, che mettano a confronto una determinata configurazione di reddito con il capitale che ha prodotto tale reddito stesso. 30.1 IL ROE Il ROE è un indice che misura la convenienza, da parte degli operatori economici, ad investire mezzo monetari a titolo di capitale di rischio nella gestione aziendale. Il ROE, ovvero il return on equity, è l'indice che esprime la redditività del capitale di rischio. Si considererà dunque il reddito netto di esercizio rispetto al capitale di rischio investito nell'esercizio. Il tasso di redditività del capitale di rischio esprime il tasso di ritorno sul capitale di rischio investito nella gestione, e viene calcolato con il rapporto fra l'utile netto fratto i mezzi propri. Il calcolo del roe permette di verificare il grado di soddisfacimento del capitale di rischio, ovvero il potere di attrazione da parte della gestione nei riguardi di tale capitale. Il Roe per attrarre il capitale di rischio deve essere superiore agli investimenti alternativi e non inferiore ai rendimenti attesi degli investitori. L'importo del capitale di rischio può essere sottoposto a rettifica, qualora questo subisca variazioni in aumento o diminuzione nel corso dell'esercizio, preferendo determinare un valore medio basato o su una media aritmetica semplice o su una media aritmetica ponderata. Questa base maggiormente razionale si dimostra più efficace nel commisurare il reddito di esercizio al fine di determinazione del relativo tasso di redditività. Il Roe si definisce lordo qualora esso sia calcolato attraverso l'utile lordo, al netto cioè degli oneri tributari. Questo indice risulta particolarmente utile in quanto prescinde dall'influenza degli oneri gravanti sull'esercizio, specialmente nel caso di analisi relativi a diversi bilanci successivi di una medesima azienda isolando gli effetti perturbatori dovuti al variare di aliquote fiscali nel decorso del tempo considerato, oppure qualora si voglia analizzare due aziende operanti su diversi regimi fiscali (ad esempio a base internazionale). Il Roe integrale invece prende come base di calcolo l'Ebit integrale, ovvero comprende tutti i componenti di reddito ordinari (caratteristici + extracaratteristici) e straordinari. Un Roe integrale è spesso accusato di falsare il giudizio di merito sulla gestione, in quanto considera gli elementi eccezionali di reddito. Risulta essere un rendimento reale, che rappresenta il rendimento totale del capitale di rischio al netto degli oneri finanziari. Il Roe Normalizzato corregge tale critica, escludendo l'area straordinaria dal computo e prendendo come base l'ebit normalizzato. Questo indice a differenza del Roe integrale è un indice ideale, che rappresenta solo il rendimento ordinario. Il Roe normalizzato si presta per questo meglio alle comparazioni nel tempo e nello spazio. Nelle analisi comparative risulta utile scindere il roe nei suoi componenti. L'utile netto sarà infatti dato dal prodotto di esercizio, pari alla somma fra ricavi di vendita, lavori interni, variazione magazzino prodotti e semilavorati, al netto di spese per materie, spese operative, spese di personale, quote di ammortamento, oneri finanziari, tributari, diviso per il capitale di rischio. Questo diagramma permette una visione panoramica dei vari elementi che concorrono alla sua formazione, sul tempo o nello spazio. Se le variazioni risultano ancora più chiare se espresse oltre che in valori assoluti in valori relativi, permettendo lo studio delle variazioni dei rapporti dei diversi componenti. Ø GLI INDICI DERIVATI DAL ROE L'utile di esercizio può generalmente essere suddiviso in due parti fondamentali, ovvero la parte destinata alle riserve e la parte destinata ai dividendi. Dal roe possono dunque derivare l'indice di autofinanziamento e l'indice di dividendo. Il tasso di autofinanziamento esprime il rapporto fra utile riservizzabile e capitale di rischio, mentre il secondo indice esprime il rapporto fra l'utile distribuibile e i mezzi propri. Questi tassi sono complementari 55 converrà dunque operare nel finanziare lo sviluppo con il ricorso al capitale di rischio, mentre in caso il roi sia maggiore del tasso dei finanziamenti conviene finanziare lo sviluppo aziendale con il concorso al capitale di credito. Bisogna però porre attenzione in tali scelte, in quanto qualora si elevi il tasso di finanziamento e diminuisca il roi, il Leverage potrebbe avere effetti devastanti sul patrimonio aziendale. Altro importante componente della formula finanziaria è il moltiplicatore dato dal quoziente di indebitamento. Variando il quoziente di indebitamento il ROE varia in funzione del prodotto fra leva finanziaria defiscalizzata e variazione del quoziente stesso. 31. IL RENDICONTO FINANZIARIO 31.1 INTRODUZIONE Il rendiconto finanziario è lo strumento che permette di effettuare il controllo dell'equilibrio finanziario attraverso l'analisi dei flussi finanziari. Questo strumento è destinato a un utilizzo di breve periodo, in quanto proprio nel breve periodo si mostra il divario fra gli andamenti finanziari e gli andamenti economici, e consente di avere una visione dinamica della gestione finanziaria, fornendo in maniera diretta informazioni che coadiuvano una efficace interpretazione razionale e completa della gestione aziendale. Gli andamenti economici esprimono lo svilupparsi della produzione, dell'acquisizione e dell'utilizzazione dei fattori produttivi da un lato e l'ottenimento e la vendita del prodotto dall'alta. Gli andamenti finanziari esprimono invece il manifestarsi dei pagamenti relativi ai fattori produttivi e gli incassi relativi al prodotto, l'ottenimento e l'eventuale concessione dei finanziamenti. L'equilibrio generale di gestione è ottenuto quindi se all'equilibrio economico dato da costi e ricavi si affianca l'equilibrio finanziario, riferito a uscite ed entrate. La valutazione può essere effettuata sia a consuntivo che a preventivo, ovvero fornendo dati riguardanti gli andamenti storici o per effettuare scelte riguardanti la gestione futura, e si rivolge sia a soggetti interni all'impresa che a soggetti esterni all'impresa. Lo Stato Patrimoniale fornisce una fotografia statica degli elementi patrimoniali ad una determinata data, rappresenta dunque una misura di stock, e risulta quindi inadeguato a analizzare gli ingressi o gli esborsi di liquidità in quanto nulla dice sulle cause delle variazioni dei valori in esso iscritti. Ogni operazione di gestione infatti determina movimenti, positivi o negativi, nella liquidità. Il fondo è un valore istantaneo che esprime una determinata consistenza, il flusso invece è un valore cinetico che esprime un determinato movimento, il delta fra due unità di fondo. Lo stato patrimoniale consente quindi solo un saldo sintetico del complesso di entrate monetarie e uscite monetarie, ottenuto confrontando i valori presenti in due esercizi. Questo valore non permette comunque di individuare le cause degli esborsi o degli ingressi di liquidità né l'ammontare di tali movimenti. Non appaiono dunque le fonti né gli impieghi della liquidità. Il Rendiconto dei flussi di cassa mette in evidenza i flussi relativi ad un determinato fondo di cassa, con riferimento ad un determinato periodo di tempo, rappresentando così la dinamica dei flussi. Il rendiconto di cassa viene composto a due sezioni, dove iscrivere rispettivamente le fonti di cassa e gli impieghi di cassa, ovvero le cause di entrate e uscite avvenute nell'arco temporale in esame. Ovviamente tali categorie devono risultare omogenee, ovvero suddivise ad esempio in base alla gestione da cui esse sono derivate. Il rendiconto dei flussi può essere costituito non solo per i flussi di cassa, ma anche per aggregati di elementi patrimoniali. Si parlerà di aggregati semplici quando siano formati da un solo elemento patrimoniale, composto quando questo sia formato da diversi elementi appartenenti alla medesima sezione dello stato patrimoniale o complesso qualora riguardi più elementi appartenenti alle due sezioni dello stato patrimoniale. 56 Il rendiconto dei flussi di cassa risulta essere un rendiconto semplice, in quanto originato da un aggregato semplice. Il rendiconto dei flussi è composto quando si prende in considerazione ad esempio il rendiconto dei flussi della liquidità totale, che rappresenta le variazioni subite dalla cassa e dai crediti a breve termine durante il periodo amministrativo. Il rendiconto dei flussi è complesso nel caso del rendiconto dei flussi di capitale circolante netto, che esprime le variazioni subite dall'attivo circolante al netto del passivo corrente durante il periodo amministrativo. Il rendiconto dei flussi di capitale circolante netto è il documento che permette di evidenziare le fonti delle variazioni del capitale circolante netto e gli impieghi dello stesso. Le operazioni di gestione determinano movimenti, positivi e negativi, di capitale circolante. Le operazioni di gestione possono determinare movimenti positivi o negativi in ciascuna delle categorie dello stato patrimoniale (mezzi propri, attivo fisso, passivo a medio-lungo e utile di esercizio). Ci possono dunque essere spostamenti di valore fra le categorie stesse, alcuni di questi movimenti riguardano il CCN, mentre altri di questi movimenti rimangono ad essi estranei. 31.2 VARIAZIONI FINANZIARIE E NON FINANZIARIE Nella distribuzione finanziaria del capitale aziendale gli impieghi vengono distinti in attivo fisso e attivo circolante, mentre le fonti vengono distinte in mezzi propri, passività consolidate e passività correnti. Tale distinzione non basta ai fini dell'analisi di rendiconto nel capitale circolante netto. Si dovrà dunque a estrarre dai mezzi propri una nuova categoria, ovvero l'utile prodotto dall'esercizio, e provvedere a sottrarre le passività correnti all'attivo circolante, ottenendo l'attivo circolante netto. Avremmo dunque fra gli impieghi l'attivo fisso e l'attivo circolante netto, e fra le fonti i mezzi propri, l'utile e le passività a medio lungo termine. Le operazioni di gestione permettono di combinare ogni categoria patrimoniale con ciascuna delle altre categorie patrimoniali. Tali variazioni potranno essere distinte in variazioni finanziarie e variazioni finanziarie. Si dicono variazioni finanziarie quelle che riguardano l'attivo circolante netto con una delle altre categorie, invece si diranno variazioni on finanziarie quelle che non riguardano l'attivo circolante netto, ma due o più categorie patrimoniali rimanenti. Per poter eseguire il raffronto si rende necessario dunque effettuare l'accertamento delle variazioni che hanno caratterizzato le diverse categorie patrimoniali, escludere le variazioni non finanziarie e accertare le variazioni finanziarie per differenza. Esistono quattro principali tipi di variazione finanziaria: - i movimenti finanziari dell'attivo fisso, che coinvolgono attivo circolante netto e attivo fisso, che riguardano le vendite o gli acquisti di immobilizzazioni - i movimenti finanziari del capitale di rischio (attivo circolante e mezzi propri), come ad esempio gli aumenti di capitale, - le variazioni che riguardano i movimenti finanziari nell'utile di esercizio ovvero l'andamento dei costi e dei ricavi monetari (attivo circolante netto e utili), - le variazioni che riguardano i movimenti finanziari del passivo consolidato (attivo circolante e passività a medio lungo), come ad esempio accensioni di prestiti, rimborsi di debiti finanziari o utilizzi di fondi spese, rischi o tfr. Esistono sei principali tipi di variazione non finanziaria: - i movimenti che intercorrono fra attivo fisso e mezzi propri, come per le rivalutazioni o le svalutazioni di immobilizzazioni o per gli apporti di immobilizzazioni. - I movimenti fra attivo fisso e utile di esercizio, ovvero l'andamento di costi e ricavi non monetari attivi all'attivo fisso come le quote di ammortamento o le minus/plusvalenze sulle immobilizzazioni - le variazioni fra attivo fisso e passività consolidate come nel caso di accensione di finanziamenti con 57 liberazione in natura - le variazioni fra mezzi propri e passività consolidate che riguardino aumenti o diminuzione di capitale per conversione di debiti, o portare la riserva a aumentare fondi spese e rischi. - i movimenti fra mezzi propri e utile di esercizio, come accade nella riservizzazione di utili o la redditualizzazione di fondi di riserva - i movimenti fra utile di esercizio e passività consolidate, ovvero l'andamento di costi e ricavi non monetari attinenti al passivo consolidato, accantonamenti a tfr, quote di accantonamento ad altri fondi spese, accreditamenti di oneri finanziari. Ø LE VARIAZIONI REDDITUALI Costi e ricavi di esercizio possono avere in contropartita dei componenti dell'attivo circolante netto, mentre altri invece hanno come contropartita una delle altre categorie patrimoniali. Il costo di acquisto delle materie avrà ad esempio come contropartita il debito verso i fornitori o cassa o banca, mentre il costo sostenuto per la quota di ammortamento impianti avrà l'impianto dell'attivo fisso. Si parla di costi e ricavi monetari quando questi hanno come contropartita un componente dell'attivo circolante netto, mentre si parla di costi non monetari quando si ha come contropartita una diversa classe patrimoniale. Ø IL FOGLIO DI LAVORO Il work sheets o foglio di lavoro è uno schema che consente di eseguire una prima analisi dei flussi finanziari. Si compone di quattro colonne a doppia sezione. La prima colonna accoglie il confronto fra lo stato patrimoniale dell'esercizio corrente e lo stato patrimoniale dell'esercizio precedente, e le due sezioni saranno dedicate una all'inizio dell'esercizio e uno alla fine dell'esercizio. Fra le attività troveremo dunque l'attivo circolante netto, l'attivo fisso, i mezzi propri, le passività a medio lungo termine e l'utile. La seconda coppia di colonne accoglie le variazioni positive e negative, e le colonne saranno considerate come dare e avere. Nel dare si accoglieranno gli aumenti di attività, le diminuzioni di passività e i costi di esercizio, mentre in avere avremmo diminuzioni di attività, aumenti di passività e ricavi di esercizio. In questa sezione infatti l'utile andrà esploso in modo analitico, ovvero con l'iscrizione dei suoi componenti. La terza coppia di colonne serve per escludere le variazioni finanziarie manifestatesi nell'esercizio tramite l'esclusione delle variazioni non finanziarie. La quarta coppia infine accoglie l'enunciazione delle variazioni finanziarie, e fornisce la base strutturale per il rendiconto finanziario vero e proprio. Nell'ultima coppia di colonne infatti apparirà evidente l'aumento dell'attivo circolante e da cosa esso sia dovuto. Il rendiconto potrà essere creato in versione sintetica o in versione analitica. Nel primo caso presenterà la sola variazione reddituale e l'aumento dell'attivo circolante, nel secondo caso invece si procederà a indicare anche le voci che hanno influito sulla variazione reddituale e sulla variazione del capitale circolante netto. Il reddito di esercizio è caratterizzato sia da costi e ricavi monetari che da costi e ricavi non monetari. Le variazioni finanziarie create costi non monetari vanno escluse attraverso l'utilizzo della terza colona. Tale operazione avviene come se si stesse effettuando una scrittura opposta a quella che in origine aveva creato la variazione. Per facilitare il riconoscimento di queste operazioni è buona norma porre una lettera accanto ai valori della terza colonna, in modo da identificare le varie operazioni che si frappongono fra loro. Il reddito di esercizio differisce dalla variazione del capitale circolante netto in caso di presenza di costi e ricavi non monetari, questo perché i costi e i ricavi non monetari non trovano contropartita nel ACN ma bensì la trovano in una delle altre categorie patrimoniali. Questo è esprimibile con due formule: nel caso il reddito sia composto solo da valori monetari avremmo che Δ Acn = Rn dove con Δ indichiamo la variazione, con Acn l'attivo circolante netto e con Rn il reddito netto. Nel caso invece siano presenti costi non monetari avremmo la relazione: Δ Acn = Rn + Cnb – Rnb dove con Cnb indichiamo i costi non a breve, ovvero i costi non monetari, e con Rnb indichiamo i ricavi non a breve, ovvero i ricavi non monetari. Diciamo a breve e non a breve in quanto l'unica classe che accoglie i valori a breve termine è per l'appunto l'attivo circolante netto.
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