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Il cappotto e la fiera di Gogol, La morte di Ivan Il'lic, la figlia del capitano, Appunti di Letteratura Russa

Il cappotto e la fiera di Gogol, La morte di Ivan Il'lic, la figlia del capitano di Puskin

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 06/02/2022

444by
444by 🇮🇹

4.5

(12)

58 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il cappotto e la fiera di Gogol, La morte di Ivan Il'lic, la figlia del capitano e più Appunti in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! 24-11 “La figlia del capitano” più semplice, sia la struttura, sia il linguaggio; la fiera è troppo dettagliata e descrittiva. Scorrevole la scrittura di Puskin, fluida, questo è dovuto anche all’impostazione, Puskin per “La figlia del capitano” segue l’impostazione/struttura tipica della fiaba: l’eroe che affronta vari ostacoli e alla fine riesce a raggiungere il suo lieto fine, altra ispirazione oltre alla fiaba, romanzo storico. Infatti l’evento storico a cui si ispira: rivolta di Pugacev, che avviene prima di lui (1773-75). Mentre questa sua opera, tra le sue ultime, è 1837 (ultimata, lui ci lavorava già dal 32). Si tratta di un romanzo storico particolare, infatti Puskin riprende l’impostazione data da Walter Scott (considerato il padre del moderno romanzo storico) infatti questo romanzo storico oltre a soffermarsi sui grandi eventi storici avvenuti, si concentra anche su piccoli personaggi (inventati), ma verosimili. I destini tra questi grandi eventi e immensi personaggi (Pugacev, Caterina), si intrecciano all’interno della trama, anche con i personaggi fittizi. Ciononostante la trama mostra il contesto storico in modo ben definito, chiara e facilmente riconoscibile è l’epoca a cui lui si rifà. Come Walter Scott Puskin si concentra sulle passioni individuali dei personaggi (singole personalità), quindi vediamo un dato interesse per il comportamento alla base dell’agire umano. Riassunto: L’opera si apre con l’infanzia di Petr Grinev, figlio di una famiglia nobile antica nobiltà ma non ai livelli più alti della aristocrazia, per questo non ha il prestigio di altre famiglie. Conducono una vita borghese, mediamente normale ma solo legati a tutti i valori della nobiltà (senso dell’onore ecc). Difatti il padre è un militare in pensione. Nelle prime pagine sono nominati: Savieric servo di famiglia, una sorta di accompagnatore nelle avventure di Grinev, il suo ruolo principale è di tenerlo d’occhio e che non porti disonore alla famiglia. Un’altra figura importante nella formazione del ragazzo: l’istitutore francese, il suo compito è di indottrinare Grinev. Viene cacciato dalla casa di famiglia in età adolescenziale, perchè era un buono annulla, andava appresso alle serve e un ubriacone. Non era affidabile, competente. Questo ruolo viene dato ad un francese in quanto era usanza nella Russia dell’epoca dare una formazione europea o meglio francese, ma spesso questi francesi non ricoprivano l’apice della società francese, sicuramente non erano i più educati quelli che si rifugiavano in Russia. Venivano assunti perché madrelingua. Perdipiù Puskin lo usa come pretesto per analizzare l’educazione dei nobili, che vede negativamente. Inserisce come personaggio l’istitutore francese per mettere al centro che alla fine l’educazione è superficiale, non delle migliori, si limita all'apparenza di conoscenza della lingua francese. Ma a livello di insegnamenti non forma il giovane. Così come agli nobili del tempo in Russia. Le vicende prendono piede nel momento in cui il padre e la madre prendono coscienza dell’età del figlio, e decidono di fargli iniziare il servizio di leva. Il padre manda una lettera alla madre nella quale specifica di non mandarlo a S. Pietroburgo perché lì si sarebbe solo che divertito, non avrebbe svolto un servizio importante. Sicché si trattava della capitale, ove tutti i nobili pensavano ai divertimenti, i balli, le feste, i grandi incontri di società. Puskin non adorava particolarmente San Pietroburgo, idea che fosse burocratica, fredda, in cui ci si divertiva ma non era completa e vivace come Mosca ma a Grinev sarebbe però piaciuta. La lettera viene spedita e Grinev viene assegnato alla provincia di Orengburg, cittadina fortificata. Tuttavia non vi permane perché l’amico del padre lo manda a Bielogorsk, leggendo la lettera del padre (Andréj Petrović ha contribuito involontariamente) di Grinev capisce che è uno scavezzacollo, che sarebbe meglio spedirlo in una fortezza più rigida che lo metta in riga. Inoltre Grinev perde dei soldi a biliardo con Zurin. Momento rilevante per la morale di Grinev, perde i soldi ma è fermo nel restituirli piuttosto di scappare come invece gli suggerisce Savelic, e di tutelare così il suo onore, pagando il debito. Dirigendosi verso Bielogorsk Il servo e il padrone si imbattono in una tempesta di neve. primo incontro tra i due mondi, quello contadino e quello aristocratico. In un primo momento il vetturino non riesce a imporsi a Grinev Che insiste per avanzare nella tempesta, sminuendo l'intensità e pericolosità che di lì a poco si sarebbe imbattuta su di loro. Nonostante anche il servo lo incalzi a tornare indietro per trovare un riparo, il giovane nobile insiste nel proseguire. Fino a quando non si rende conto da sé che sarebbe stato meglio non avanzare, in quel momento viene miracolato da un contadino, la cui identità è quella di Pugacev al momento sconosciuta, Che si pone come guida per accompagnarli a una locanda. Prima dell'abbattersi della tempesta di neve scorgiamo la differenza tra il vetturino e il nobile, il vetturino più vicino alla natura la comprendo subito e sa come deve agire. Il nobile invece la ignora o comunque non è in grado di capirne il linguaggio. Puskin così sottolinea che la parte russa, più bassa, è quella che può comprendere il contesto in cui si trova, la parte invece più Occidentalizzata è più lontana. A livello teorico può essere più istruita, maggiormente intellettuale ma a livello pratico non è utile. Un altro episodio rilevante che avrà risvolti positivi nella vita di Pëtr. Ovvero la pelliccia di lepre. Pugacev Per questioni di morale si sentirà in debito nei confronti del nobile e non potrà giustiziarlo a tempo debito. Giunti alla fortezza Il primo personaggio importante che incontra: Svabrin. Da prima potenzialmente amico, si rivelerà suo rivale amoroso e realmente suo antagonista. All'inizio impersonava la sua guida, prima impressione, si offre di accompagnarlo ad un pranzo tenuto dal capitano della fortezza e sua moglie. Grinev prima conoscenza con la figlia. Considerata una ragazza sciocchina, anche la madre la descrive malamente. La definisce una fifona, molto timida, le orecchie le diventano rosse subito. Primo ritratto non pienamente positivo, si scoprirà che lei sarà molto di più, capovolgerà le aspettative della madre, di Svabrin e di quello che pensa inizialmente Grinev. Tant’è che Puskin intitola il romanzo la figlia del capitano e non lo dedica e Grinev. Egli viene introdotto all’interno della famiglia, dal quale viene accolto calorosamente, nei giorni a seguire infatti viene spesso invitato nella casa, e comincia a cambiare idea su Masa, al punto che le dedica una poesia. Il primo che leggerà la poesia sarà Svabrin, che lo canzona acidamente, schernisce i suoi sentimenti e il gesto di per sé. Grinev ferito nell’orgoglio lo sfida a duello. Il primo duello rimarrà incompiuto, siccome in quanto illegale non era ammesso (perseguibile dalla legge e condannato dalla zarina) e sarà anche scoperto dal generale e dal capitano; il secondo duello lo vince Svabrin, approfittando dell'attimo in cui il servo accorre chiamando Grinev, il quale distratto verrà colpito alla spalla. Rimane convalescente. Si prenderà cura di lui Masa, e qui si avrà un avvicinamento tale che accenderà la loro storia d’amore. Nonché, al momento in cui si riprende completamente, le chiederà la mano. Lei acconsente nel momento in cui riceverà la benedizione dell’unione da parte dei genitori del ragazzo; anche perchè comprende che sarebbe avventato fare una tale proposta nel momento in cui il padre sarà alterato nel conoscere l’episodio del duello. Giacché il padre sa che Grinev è uno scavezzacollo, immagina che questa sarà un momento e finirà presto e vuole addirittura far cambiare fortezza a Grinev. Tuttavia ciò non ha tempo di compiersi nel momento in cui giunge voce che le truppe di Pugačëv stanno avanzando. Si ha l’idea di far abbandonare la piccola fortezza alla madre di Masa e a quest’ultima, e tutte le categorie più vulnerabili della fortezza. Conseguente addio strappalacrime tra i due innamorati, ma ella non fa tempo ad andarsene in quanto la fortezza è ormai circondata, Puga arrivato prima del previsto. Si decide di travestirla da contadina, una veste tipica (sarafan) delle contadine russe, fingendosi nipote del pope. Essendo del clero è intoccabile. I genitori della ragazza vengono giustiziati, prima l'uomo e poi la madre. Lei orfana. Vengono uccisi perché non hanno riconosciuto Puga come autentico sovrano, non si sono arresi. Svabrin invece ha un cambiamento quasi istantaneo, Prende totalmente le sembianze di un cosacco: si traveste Come loro, si rasa il capo come i cosacchi. Grinev non si dichiara fedele al rivoltoso in quanto fedele alla zarina, ma ha salva la vita grazie al servo che riconosce Puga come l'uomo che gli aveva guidati alla locanda soccorrendoli dalla tempesta di neve. E ricorda a questi come stato omaggiato dal suo padrone. A questo punto Puga Si vede costretto per sua morale a risparmiarlo. questa morale è la stessa che fa in modo che Grinev Restituisca i soldi persi al biliardo o si tratta di una morale differente? È diversa. La morale contadina, popolare agisce diversamente rispetto a quella nobiliare. Un nobile avrebbe visto un traditore, e avrebbe fatto di tutto per eliminarlo, invece Puga non ragiona in questo modo, lo salva e addirittura lo invita a cena. Qui riuniti Puga gli mostra il suo riconoscimento e in questa scena vengono mostrati una serie di simboli che mostrano come nonostante lui stia rivendicando un potere nobiliare (Pugacev si era finto l’assassinato marito di Caterina II), rimanga purtuttavia legato ai simboli del potere contadino (chiama tutti fratelli e sorelle, si veste come un capo cosacco e così via). Per riferimenti più precisi può comunque riferirsi all’opera, ma nominarne troppi a mio avviso può risultare superfluo. Torna a Orenburg, ma continua a sentirsi irrequieto pensando a Maša è arrivato alla fortezza e si confronta coi suoi superiori sul da farsi. Scontro di opinioni. Le reazioni dei generali? Non lo considerano, se non come un ragazzino. Faranno l’opposto di ciò che era stato proposto da Grinev, ovvero attaccare la fortezza di Bielogòrsk (nelle mani di Puga) invece i generali propendono per la difensiva, infatti si conclude di attendere il nemico all’interno della fortezza, che non tarda ad arrivare. Inizia la battaglia, durante la quale giungono notizie dall’altra fortezza: Petr riceve una lettera di Masa in cui lei denuncia i maltrattamenti perpetrati da Svabrin nei suoi confronti. Nella lettera tra l’altro fa riferimento che egli l’ha chiesta in moglie, allorché Grinev domanda ancora supporto ai generali. E’ introdotto un concetto importante, per i russi in generale e non solo Il gruppo si spaventa nuovamente, siccome appare un maiale alla finestra, convinti che si tratti dell’opera del diavolo, corrono di soprassalto fuori, tanto che Cerevik e la moglie inciampano l’uno sull’altro gridando al diavolo. All’indomani Cerevik porta la cavalla al mercato per venderla. Gli viene chiesto che cosa sta vendendo, e questi si stranisce poiché gli sembra logico, ovvio che stia vendendo la cavalla che ha portato fin lì. Ma nel frattempo al posto della cavalla c'era un pezzo di casacca rossa, incomprensibilmente viene accusato di aver rubato la sua stessa cavalla, venendo condannato e imprigionato insieme al suo amico. A questo punto arriva il giovane dalla casacca bianca che accetta di salvare l’uomo solo se questi gli avesse dato la benedizione al fine di sposare la figlia. Credendo di non avere altre alternative il padre accetta. La storia quindi si concluderà con il matrimonio. Il demone, in tutto questo, riesce a riottenere la casacca grazie ad un patto con Gric’ko, promettendogli la mano della ragazza in cambio dell’ultimo frammento di casacca. Una scena affettuosa quello in cui Cerevik vede la figlia felice, iniziano quindi a danzare assieme. Indispettendo la seconda moglie, che non riesce più a impedire il matrimonio. Alla fiera i mercanti stanno vendendo le loro merci ai visitatori giunti dai dintorni. Uno zingaro accenna ad una giacca rossa che il diavolo starebbe cercando, mentre il giovane Gric'ko tenta di conquistare Parasja. Suo padre Čerevik, dapprima è sdegnato per la sfrontatezza del ragazzo, poi, avendo saputo che Gric'ko è il figlio del suo caro amico Kum, acconsente alle nozze tra i due e va alla taverna con il suo compagno per festeggiare, mentre giunge la sera e la gente si dirada. Čerevik e Kum escono dall'osteria ubriachi e gironzolano al buio. Chivrija, la moglie di Čerevik, esce di casa e lui le annuncia il fidanzamento di Parasja. Lei è contraria e riesce a far cambiare idea al marito ubriaco, mentre Gric'ko ha sentito tutto di nascosto e ne è molto rattristato. In quel mentre sopraggiunge lo zingaro ed i due fanno un patto: Gric'ko darà allo zingaro il suo bue per quindici rubli, se quest'ultimo riuscirà far tornare Čerevik sui suoi passi. Intermezzo: Il sogno del giovane paesano Rimasto solo, Gric'ko si addormenta e fa un sogno in cui vede streghe e diavoli, che alla fine vengono dispersi dal risuonare delle campane di una chiesa. A casa di Kum, dove Čerevik e Chivrija sono alloggiati, la moglie riesce con un litigio a far uscire il marito, in modo da poter incontrare segretamente in casa Afanasij Ivanovič, il figlio del prete del villaggio. Quando quest'ultimo arriva, lei gli offre i suoi manicaretti, che lui mangiava con gusto. Nel bel mezzo del loro incontro amoroso si sente bussare alla porta. Afanasij si nasconde in un mobile, mentre Čerevik e Kum entrano con degli amici, in allarme per le voci su qualcuno che ha visto la giacca rossa ed il diavolo. Kum inizia a raccontare i particolari della leggenda, e conclude dicendo che il diavolo appare ogni anno alla fiera con la faccia da maiale, in cerca della sua giacca. all'improvviso il grugno di un maiale appare alla finestra, e tutti corrono fuori nel trambusto generale.Scena prima In strada, in seguito alla confusione della scena precedente, Čerevik e Kum vengono inseguiti dallo zingaro e da alcuni giovani, con l'accusa di aver rubato una cavalla: vengono catturati e legati. Gric'ko entra in scena, ed estorce a Čerevik la promessa che il matrimonio con Parasja sarà celebrato l'indomani, e i due vengono rilasciati. Scena seconda In una strada di fronte a casa di Kum, Parasja dapprima è triste per Gric'ko, poi però si rallegra con un hopak, al quale si unisce Čerevik senza essere notato. Kum e Gric'ko entrano, e Čerevik benedice i due innamorati, per essere investito dalla rabbia di Chivrija, al che lo zingaro dà ordine a dei paesani di bloccarla. Tutti celebrano il matrimonio ballando un hopak. Puskin e Gogol’ hanno stili diversi. in entrambi però uso della lingua particolare. Gogol’ riempie il racconto di dettagli (che possono sembrare inutili, esagerati) per distrarre il lettore continuando a interrompere la lettura, in modo che non sia scorrevole. In Gogol’ si utilizzano tanti ucrainismi, non è un russo normativo, non puro. Allo stesso modo Puskin usa un russo puro, ma non pomposo, che rimane comprensibile, ma non è sempre lo stesso, lo modifica in base al personaggio. Se, ad esempio, leggiamo la contadina Liza di Karamzin, ella parla inverosimilmente come il nobile di cui si innamora, ma al contrario Puskin attua una differenziazione di questo tipo. Il fine di distrarre il lettore è di tipo stilistico, non siamo più nel realismo vero e proprio. Spesso Gogol’ definito realista, erroneamente, soprattutto dalla critica di Belinskij, ma è molto più complesso di come viene definito come autore dalla critica. Viene spiegato bene nel “come è fatto il cappotto di Gogol’” in cui viene spiegato questo suo stile atto a renderlo proprio e dall'altro per abbellirlo. Il suo modo di scrivere non segue un percorso rettilineo, lui si sofferma nel spiegare tutto quello che c’è “in mezzo”, usando digressioni e concetti particolari. Non ha il fine di farsi comprendere, questo è solamente il suo modo di farsi comprendere, il mondo intorno a lui, quello dei racconti. Il suo linguaggio si adatta ai racconti, nel momento in cui scrive il romanzo “le anime morte” il linguaggio cambia: è adattato alla forma più lunga, ovvero del romanzo. Nel racconto più breve in cui in poche pagine deve riuscire a spiegare tutte le vicissitudini del personaggio, le peculiarità, la vita, come in Akakievic nel “cappotto” ove spiega in un pagine la sua vita: com’è nato il suo nome ecc è molto più denso e condensato, rispetto in un romanzo in cui è più libero, respiro, in un capitolo si possono scrivere più cose e diluite nel raccontarle nella descrizione. 1-12 Prova di quello che si farà all’esame: commento finale, contesto generale inizio (di cosa parla, pubblicazione), analizzare i personaggi e narratore e tramite questi impostiamo la trama. Esporre temi, tecnica di gogol utilizza nomi parlanti (Akak), Dikan’ka è uno dei tanti nomi parlanti utilizzati da Gogol’ e sì, deriverebbe dall’aggettivo russo дикий = selvaggio, parlare delle tematiche affrontate. Palese che nella morte di Ivan tema della morte, qualsiasi passaggio. Uomo del sottosuolo parla dei tre avvenimenti, ricordi>citiamo di che tematiche sta trattando, che sta facendo. Nella figlia del capitano: lieto fine, stile di puskin, Caterina grande figura storica che interagisce con personaggi piccoli e così via. Riflessioni più esplicite sulla morte in Ivan Il'ic; anche nel cappotto motivo della morte, ma non ci sono grandi riflessioni sull'esistenza e sull'arrivo della morte e desolazione della esistenza. “Il cappotto” autore Gogol' titolo in russo Шинель ha genere femminile, important particolare poichè in molti hanno intravisto una personalizzazione del cappotto in un amante femminile, per quanto lui si innamori, ossessioni a tal punto che lo porterà alla morte e delirio, e al vendicarlo. Il cappotto non di tutti i giorni, ma tipico dei funzionari. L’opera è stata scritta nel 1842, racconto fantastico in cui c'è molto grottesco (tutto il racconto grottesco, si parte da un piccolo elemento insignificante arrivando a un’esagerazione dell’elemento; infatti il grottesco è una voluta sproporzione deformazione degli elementi costitutivi di un dato elemento grammatico, che invece di rimanere insignificanti vengono sproporzionati. A tal punto che rende l’elemento grottesco e comico nel leggerlo) che si intreccia con il comico. L'elemento in questo caso è il cappotto nuovo, che in realtà non è insignificante, poichè da una parte fatica per mettere da parte i soldi per comprare il cappotto, ma dal momento in cui lo indossa e cambia personalità assume una connotazione esagerata compulsiva, non riesce a farne a meno. Si ha un rapporto quasi amoroso che raggiunge l'ossessione. Nome del protagonista Akakij Akakievič (patrionimico) e B cognome, deriva dal tataro e significa scarpa. Si tratta di un nome parlante di Gogol’, perlomeno dei personaggi più importanti tutti i nomi che utilizza Gogol’ hanno un significato. In questo caso scarpa siccome la famiglia di Akakij Akakievič era una famiglia di calzolai, Bas starebbe a indicare scarpa, qualcuno che fa la scarpa. Akakij Akakievič è un personaggio timido, povero, introverso, dedito al lavoro, infatti passa dall'amare intensamente il lavoro al cappotto. Lavorare fino a poco prima era l’unica cosa che gli desse soddisfazione nella vita. Inetto parallelismo uomo del sottosuolo, invece Akakij Akakievič è una persona piccola, insignificante per la società, che la società non nota, è ignorato da tutto e da tutti, se anche muore non importa a nessuno. Gli eventi vengono presentati seguendo un ordine cronologico, non abbiamo salti né avanti né indietro, tutto segue il filone della storia per come si è svolta. L’unico flashback, non vero e proprio, è l’introduzione in cui viene presentata la nascita di Akakij e come gli viene dato il nome. “Buon giorno,Petrovic!» «Buona salute, signoria,» disse Petrovic e fissò l'occhio sulle mani di Akàkij Akakièviè, per vedere che razza di preda avesse portato con sè. «E io, ecco, per te, Petròviè, questo...» Bisogna sapere che Akàkij Akakièviè s'esprimeva principalmente con preposizioni, con avverbi, insomma con particelle che non hanno assolutamente alcun significato. Se poi la questione era imbarazzante, aveva anche l'abitudine di non terminare affatto la frase, tanto che spesso, avendo cominciato con le parole: «ecco, davvero, assolutamente quello...» poi non seguiva più nulla e lui stesso si dimenticava del resto, credendo d'aver già detto tutto. «Che razza di roba è?» disse Petròviè, mentre squadrava col suo unico occhio l'uniforme di Akàkij Akakièviè dal colletto alle maniche, alla schiena, alle falde, alle asole, roba che però gli era tutta già ben nota perchè lavoro suo. Questa è l'abitudine dei sarti; questa è la prima cosa che fanno nel vedervi. «E io, ecco, che cosa, Petròviè... il cappotto, già, il panno... ecco vedi, negli altri posti regge bene, s'è un po' impolverato e sembra vecchio, ma invece è nuovo, solo che in un posto è un poco così.... sulla schiena, e poi anche su una spalla s'è un poco consumato; sì, ecco, su questa spalla un po'... ecco tutto. E non c'è tanto lavoro...» Petròviè prese la «vestaglia», e la distese sulla tavola, la esaminò a lungo, scosse la testa e allungò la mano verso la finestra per prendere la sua tabacchiera rotonda con il ritratto di un generale, quale precisamente non si sa, perchè il punto dove si trovava la faccia era stato sfondato dal dito e poi rattoppato con un quadratino di carta incollata. Annusato il tabacco, Petròviè allargò la «vestaglia» fra le mani e la esaminò controluce e di nuovo scosse la testa. Poi la rovesciò dalla parte della fodera e di nuovo scosse la testa, di nuovo levò il coperchio con la carta incollata sopra il generale e, riempitosi il naso di tabacco, chiuse la tabacchiera, la ripose e finalmente disse: «No, non si può riparare: è in cattivo stato!» A queste parole il cuore di Akàkij AkakIèviè ebbe un balzo. «Come non si può, Petròviè?» disse con voce quasi supplichevole, da bambino, «è consumato soltanto sulle spalle, tu devi pur avere dei pezzi di stoffa da metterci...» «Certo, i pezzi si possono trovare, i pezzi si trovano,» disse Petròviè, «ma è cucirli che non si può: è roba completamente marcia, come la tocchi con l'ago, ti si disfa in mano.» «Che si disfi pure, tu subito ci metti una pezza.» «Ma non c'è dove poggiarle le pezze, non c'è presa, è troppo logoro ormai. Non è panno questo, ma gloria: come soffia un po' di vento vola via.» «E tu appunto rinforzalo. Come sarebbe a dire, così, davvero, questo!...» «No,» disse deciso Petròviè, «non si può far nulla. È una brutta faccenda. Meglio, piuttosto, appena verrà il freddo dell'inverno, che ve ne facciate delle pezze per i piedi, perchè la calza non tiene abbastanza caldo. Sono stati i tedeschi a inventarla per farci più soldi (appena c'era il modo, a Petròviè piaceva tirare una frecciata contro i tedeschi), e di cappotto dovrete farvene uno nuovo.» Alla parola «nuovo» Akàkij Akakièviè si sentì annebbiare la vista e tutto quello che era nella stanza cominciò a confondersi. Vedeva chiaramente soltanto il generale con la faccia coperta dal pezzetto di carta sul coperchio della tabacchiera di Petròviè. «Come sarebbe, nuovo?» disse, sempre sentendosi come in un sogno. «Ma io, per questo, i soldi non li ho.» «Sì, nuovo,» disse con crudele flemma Petròviè. «Be', e se per caso uno nuovo, cosa, quanto...» «Ossia, quanto costerà?» «Sì.» «Eh, bisognerà metterci centocinquanta rubli o poco più,» disse Petròviè stringendo significativamente le labbra. A lui piaceva molto far effetto, gli piaceva colpire forte la gente di primo acchito e poi guardare di traverso che faccia facesse la persona ch'egli aveva colpito con le sue frasi. «Centocinquanta rubli un cappotto!» gridò il povero Akàkij Akakièviè e forse gridò per la prima volta dalla sua nascita, perchè s'era sempre distinto per il tono sommesso della voce. «Sissignore,» disse Petrovic, «e poi si tratta di vedere quale cappotto. Se si vuole della martora sul collo e magari il cappuccio con la fodera di seta, allora si va sui ducento.» «Petrovic, ti prego,» disse Akàkij AkakIevic con voce supplichevole senza sentire e senza nemmeno cercare di sentire le parole a effetto dette da Petrovic, «riparalo in qualche maniera in modo che mi serva ancora un poco.» «Ma no, sarebbe come buttar via il lavoro e spendere i soldi per niente,» disse Petrovic. Queste parole, annientarono del tutto Akàkij Akakièviè. Quanto a Petrovic, dopo che quest'ultimo se ne fu andato, rimase ancora per un bel pezzo in piedi con le labbra significativamente serrate, senza rimettersi al lavoro, contento di non essersi umiliato e di non aver tradito l'arte di sarto. Analizziamo i personaggi: - il narratore parla ponendosi al di sopra degli eventi, è narratore onnisciente, sa come si comportano i personaggi e i loro pensieri, atteggiamenti nelle situazioni; “aveva il vizio di non terminare la frase”, cita Akakij Akakievic in altri momenti, per esempio commenta su Petrovic che tirava in ballo spesso i tedeschi. Narratore esterno agli eventi narrati, per la maggior parte dell’opera è comico, schernisce spesso Akàkij Akakievic; il lettore tende a dubitare sull'affidabilità del narratore. Inaffidabile per le locuzioni dubitative utilizzate “se la memoria non mi tradisce”, “questo è come le cose dovrebbero essere avvenute”, pone egli stesso dei dubbi su cosa è raccontato, indirettamente sensazione di è vero o non è vero, insicurezza, incertezza. Sembra inaffidabile per via del modo comico utilizzato nel raccontare gli eventi. Soprattutto nelle battute di Akàkij Akakievic scorgiamo una tecnica narrativa specifica di Gogol' (lo skaz, per esempio: ecco, per te petrovic, ecco davvero, assolutamente quello) parla tendenzialmente da analfabeta, Gogol' ricorre allo skaz per sottolineare il parlato tipico del personaggio che sta rappresentando, ricalca la parlata, in modo verosimile, grottesco ma quasi realistico. suoi giorni, era balenato un ospite luminoso sotto forma di quel cappotto che aveva ravvivato per un attimo la sua povera esistenza, e sul quale poi altrettanto insopportabilmente si era abbattuta la sventura, come si abbatte sugli zar e sui grandi del mondo…». Il cappotto è stato dunque per Akakij Akakievič un «ospite luminoso», che ha ravvivato per un «attimo la sua povera esistenza», decretandone però, al tempo stesso, la rapida e prematura fine. Una fine inevitabile dopo il furto del cappotto, come appare inevitabile la fine di Piskarëv nella Prospettiva Nevskij [3] dopo la perdita definitiva dell’ideale incarnato dalla sconosciuta. Casi analoghi, che riguardano personaggi analogamente singolari, immersi in una ir-realtà parallela che va per sempre in frantumi una volta costretta a fare i conti con la realtà autentica, vera, un muro indistruttibile contro il quale entrambi si schiantano violentemente perdendo la vita. Acquistando il cappotto nuovo, senza limitarsi all’acquisto, come tutti, ma fantasticando per mesi e mesi su di esso, quasi si trattasse davvero di una donna amata, Akakij Akakievič si permette un lusso che la sua esistenza misera – tale per il decreto imperscrutabile del destino – non può sostenere. Per questo motivo la sua fine è inevitabile. Il protagonista, per la prima volta nella sua vita, si è spinto oltre, oltre se stesso e la sua esistenza misera, pagando a carissimo prezzo questa incursione improvvida nell’ignoto. Il destino non perdona, mai. Si prende gioco dell’uomo fino in fondo e, dopo aver fatto assaporare ad Akakij Akakievič una gioia dolcissima e insperata, imprevista, lo abbatte con crudeltà e ferocia, una crudeltà e una ferocia diaboliche. Del resto, come scrive Baudelaire, è il diavolo a tenere i fili che ci muovono [4], quello stesso diavolo che, calata la sera, accende personalmente i lampioni della prospettiva Nevskij. Ma al povero Akakij Akakievič – ed è questo a rendere la sua storia davvero straordinaria – Gogol’ dona il conforto di una rivincita, di una vendetta postuma, sotto forma di spettro che semina il panico per le strade di Pietroburgo rubando i cappotti ai passanti. E vittima del fantasma dell’impiegato è anche, soprattutto, quel fantomatico «personaggio importante», quel generale che lo ha umiliato, strapazzato, moralmente annientato come mai nessuno aveva fatto prima, in uno slancio di crudeltà gratuita davvero ingiusta, disonesta, colpevole, perché rivolta a un uomo innocuo come nessun altro («Lasciatemi in pace, perché mi offendete?» ovvero «Sono tuo fratello»): «Ah! Eccoti finalmente! Finalmente, cioè, ti ho acciuffato per il bavero! Proprio del tuo cappotto ho bisogno! Per il mio non hai voluto darti da fare, e per giunta mi hai strapazzato – ora dammi il tuo!». Consumata la sua vendetta, sfoderando inoltre una chiarezza linguistica davvero invidiabile, lo spettro di Akakij Akakievič può svanire nel nulla, protetto dal suo nuovo cappotto – il cappotto di un generale, questo sì impreziosito da un bavero di martora. ---------------------------------------- La morte di Ivan Il'ič Lev Tolstoj, nasce a Jàsnaja Poljàna nel 1828, muore non lontano dalla sua tenuta a Jàsnaja Poljàna presso la stazione Astatovo nel 1910 all'età di 92 anni. La morte di Ivan Il'ič pubblica 1886, si tratta di una poviest' ossia racconto lungo ispirato alla morte del procuratore della città di Tula. Il racconto fu ispirato alla morte del procuratore di Tula, conosciuto da Tolstoj: Ivan Il'ič Mečnikov (morto 5 anni prima nel 1881 all'età di 45 anni). Giudizi entusiastici della critica, non tarda nemmeno l’entusiasmo da parte del fratello di Mečnikov, premio Nobel per la medicina, ne afferma la grandezza: “dicendo che si trattasse della migliore descrizione paura della morte”. Infatti nell'opera troviamo molti riferimenti alla morte e alla paura che può scaturirne, all’esistenza, alla paura di non essere in grado di vivere correttamente. Lev scrive questo racconto dopo la sperimentazione della sua crisi 1878, scatenante da seri dubbi esistenziali sulla sua vita, sul perché si vive e come si debba vivere. Tolstoj descrive in modo particolare l’evento, la morte non viene descritta come in qualsiasi altra opera letteraria, ma sotto un'altra prospettiva, è questo lo speciale. Questo lo avvicina al conoscere le motivazioni per cui si vive, quindi si avvicina alla religione, ma non quella ufficiale bensì alla religione del popolo russo, a parer suo più autentica. Difatti dopo la sua crisi si dedicherà alla traduzione dei vangeli nella quale traduzione si ferma alla morte di cristo, non procede oltre questa. Lui vede i vangeli come modelli di vita e da essi esclude i miracoli nell'analizzare e studiare le opere. Abbiamo un’ampia evoluzione, da un inizio quasi idilliaco: Ivan fa carriera, lavorativamente è appagato e ambizioso, ha svariate promozioni, ma successivamente e soprattutto dall’unione con la futura moglie, comincia a sperimentare un decadimento fisico e morale, dopo il quale si accorge delle menzogne che lo circondano in vari ambiti, dei rapporti con la famiglia non veritieri, il lavoro non ricopre più un ruolo così rilevante poichè si rivela anch'esso una menzogna. Sempre di più notiamo come egli si avvicini a questo pensiero di vita nella società come menzogna. Tolstoj comincia questo racconto in maniera molto particolare: Ivan è già morto e la moglie di questi si dispera chiedendo dei soldi a uno dei colleghi di Ivan per pagare le spese del funerale. L'inizio si ha dall'epilogo, dunque fabula e intreccio non coincidono. Dopodiché si ha un lungo flashback che spiega come si è arrivati a questa morte, questa scena. Importante ricordare che Tolstoj non è interessato all'evento della morte, già dal titolo rende noto l’evento della morte del protagonista, bensì dà più spazio alle riflessioni che un evento di tale portata può portare nella mente del protagonista. – Per amore di Cristo, lasciami morire in pace... – disse egli. Essa voleva andarsene ma in quel momento entrò la figlia e si avvicinò a salutare il padre. Egli guardò la figlia come aveva guardato la madre, e alla sua domanda sulla sua salute le disse seccamente che presto li avrebbe liberati tutti dalla sua presenza. Tutt'e due tacquero, stettero un poco ed uscirono. – Ma in che cosa siamo colpevoli? – disse Liza alla madre. – Come se il male glielo avessimo fatto venire noi! Papà mi fa pena, ma perchè ci tormenta così? All'ora solita venne il dottore. Ivan Il'ič Ilijc gli rispondeva: «sì, no», senza toglier da lui il suo sguardo irritato, e alla fine disse: – Lo sapete che non potete far nulla per me: sicchè lasciatemi stare. – Possiamo alleviare le vostre sofferenze – disse il dottore. – Non lo potete: lasciatemi stare. Il dottore uscì nel salotto e dichiarò a Prascovia Fedorovna che si andava molto male e che l'oppio era l'unico mezzo di alleviare le sofferenze dell'infermo che dovevano essere atroci. Il dottore diceva che le sofferenze fisiche dell'infermo dovevano essere atroci, e aveva ragione: ma più atroci delle sue sofferenze fisiche erano le sofferenze morali, e in ciò consisteva il suo tormento maggiore. Le sue sofferenze morali provenivano da ciò: che nella notte, guardando il viso di Gherassim, insonnolito, bonario, dagli zigomi sporgenti, gli era a un tratto venuta in mente quest'idea: «Che avverrà se difatti tutta la mia vita, la mia vita cosciente, non è stata come doveva essere?». Gli si affacciò al pensiero il dubbio che ciò che prima gli era parso assolutamente impossibile, cioè che la sua vita non fosse stata come doveva essere, fosse invece la verità. Dubitò che quelle tentazioni di rivolta, appena percettibili, contro tutto ciò che le persone altolocate approvavano, quelle tentazioni appena percettibili, che egli scacciava subito, potessero essere le sole cose buone della sua vita, e che tutto il resto fosse biasimevole. E che la sua vita ufficiale e la sua vita privata e la sua famiglia, e i suoi interessi sociali e le sue occupazioni di magistrato, tutto ciò potesse essere spregevole. Si provò a difendere tutte queste cose innanzi a se stesso. E a un tratto sentì tutta la debolezza dei suoi argomenti di difesa. Non c'era nulla che si potesse difendere. «E se è così – diceva fra sè – e io me ne vado dalla vita con la coscienza di aver rovinato tutto ciò che m'era stato dato, e che non c'è rimedio, allora, che farò?». Si mise a giacere supino e di nuovo esaminò tutta la sua vita. Quando vide, la mattina, il domestico, poi la moglie, poi la figlia, poi il dottore, ognuno dei loro gesti, ognuna delle loro parole gli confermò la terribile verità che gli era apparsa nella notte. In loro vedeva se stesso, vedeva tutto ciò per cui era vissuto, e capiva chiaramente che nulla era stato come doveva essere, tutto era stato un terribile, enorme inganno, che nascondeva la vita e la morte. Questa convinzione aumentava, decuplicava le sue sofferenze fisiche. Si lamentava, si agitava, si strappava di dosso i vestiti. Aveva la sensazione che lo soffocassero, lo strangolassero. E perciò odiava tutti. Gli diedero una forte dose d'oppio e si calmò. Ma a desinare cominciò da capo. Scacciava via tutti e non poteva star fermo. La moglie gli si avvicinò e disse: – Jean, mia piccola colomba, fallo per me (per me?). Non ti può recar danno, ma spesso invece aiuta. Che cos'è poi? Nulla. E a volta anche i sani... Egli spalancò gli occhi. – Che? I sacramenti? Perchè? No! Ma del resto... Lei piangeva. – Sì, amico mio? Chiamerò il nostro sacerdote. È tanto buono! – Va bene, va benissimo – proruppe egli. Quando venne il sacerdote e lo confessò egli si raddolcì, si sentì come sollevato dai suoi dubbi e quindi dalle sue sofferenze, ed ebbe un momento di speranza. Di nuovo cominciò a pensare all'intestino cieco e alla possibilità di guarirlo. Si comunicò con le lacrime agli occhi. Quando, dopo la comunione, lo rimisero a giacere, per un istante stette meglio e di nuovo apparve la speranza di vivere. Cominciò a ripensare all'operazione che gli avevano proposta. «Vivere, voglio vivere», diceva fra sé. La moglie venne a far le sue congratulazioni: disse le solite parole e aggiunse: – È vero che ti senti meglio? Senza guardarla, egli rispose: – Sì. Personaggi: moglie, medico, sacerdote, figlia. Prettamente non si relazionano tra loro, in famiglia, la figlia si può dire che lo vada a visitare solo in punto di morte assieme al ragazzo a cui era promessa sposa, rare volte chiede alla madre come stia il padre. Si preoccupa in maniera distaccata, chiede aggiornamenti sulle condizioni di salute non perchè si allarmi del suo essere cagionevole, bensì vuole sposarsi e non può convolare a nozze se è implicato il funerale del padre. Dietro c’è una preoccupazione materiale, non è un interesse profondo che la muove. Chiede della sua salute per sapere quando potrà organizzarsi per sposarsi. Dice "papà mi fa pena", le fa pena il fatto che lui stia soffrendo ma non sta soffrendo per lui, non empatizza. Arriva il dottore che suggerisce come alleviare le sue pene, ma Ivan risponde "non potete nemmeno quello, lasciatemi stare", nemmeno quello perchè Egli non può alleviare le sofferenze fisiche perchè più atroci erano le sofferenze morali, i suoi dubbi stanno esacerbando il suo male fisico, tu che sei medico non puoi risolvere il mio male morale e quindi devi lasciarmi stare. Il narratore in quest’opera è onnisciente ma più distaccato, affidabile, sempre esterno (è al di sopra dei personaggi, conosce e vede tutto ciò che accade; può essere onnisciente e può prevedere il corso degli avvenimenti. Si esprime in terza persona), si limita a riportare gli eventi/i fatti in maniera chiara, da una prospettiva esterna, ripete i concetti più volte. Abbiamo spesso nella riflessione di Ivan l’uso ricorrente di “dubitò”,”gli venne in mente che”,”appena percepite le velleità”,”velleità appena percettibili","improvvisamente gli venne in mente il pensiero che la sua vita cosciente non fosse stata come doveva essere”,”che tutto il resto potesse non essere stato come avrebbe dovuto essere”,”tutto ciò non era stato come doveva essere”. Queste ripetizioni nel racconto, rendono il fatto più chiaro. Tolstoj non si sofferma sui dettagli insignificanti, tutto quello su cui si sofferma prende peso, significato, importanza; inoltre utilizza il metodo chimico di scomposizione della vita interiore, descrivendo quasi scientificamente i pensieri del protagonista. Ne consegue un effetto forte ma al contempo freddo quasi antiestetico. Qual è la tematica principale di quest'opera e in particolare di questo passaggio? La morte, in particolare Ivan espone il dubbio di aver vissuto in modo giusto, come avrebbe dovuto vivere oppure in maniera ingiusta: Lui soffre dal punto di vista morale anche nel momento in cui si paragona a Gherassim, il quale gli pare che abbia vissuto meglio di lui, questo incontro gli pone il dubbio che prima non si era mai posto. Queste sue sofferenze morali sono il principale tormento di Ivan, tormento che accomuna anche l’autore Tolstoj durante la crisi (che in questo momento si è risolta), in particolare il dubbio nel confrontarsi con la morte, se si ha vissuto adeguatamente la vita, cosa succede se realizzo di non aver vissuto bene la mia esistenza? Cosa ne comporta il non averla vissuta appieno? La morte nel racconto è tormentata, sofferente, angosciante, di patimento, lunga. Prima di arrivare al punto di non ritorno, la morte, il palesarsi del male che lo farà ammalare progressivamente è improvviso, inaspettato, sottovalutato, è causata da un evento insignificante, purché si tratti di quell'evento. Gli vengono proposte varie cure ma non sembrano funzionare, e lui stesso smette di credere in una possibile guarigione. Nel passaggio riportato è speranzoso per la nuova cura per aver fatto i sacramenti e l'estrema unzione. Ivan Il'ič riflette sulla morte esponendo la tematica in maniera diversa: Tolstoj utilizza la tecnica dello straniamento (Tolstoj mette in risalto una cosa normale, la morte ma che risulta essere la più terribile e
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