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Il Cappotto Gogol - sintesi, Sintesi del corso di Letteratura

Sintesi del racconto per esame di letteratura generale dal titolo "Lo scherzo e altri scherzi", all'interno del corso di Progettazione e coordinamento dei servizi educativi

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 17/06/2019

valentina_prada
valentina_prada 🇮🇹

4.1

(19)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il Cappotto Gogol - sintesi e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! Il cappotto (in russo: Шинель?) è un racconto dello scrittore ucraino di lingua russa Nikolaj Vasil'evič Gogol', pubblicato nel 1842. Fa parte dei Racconti di Pietroburgo. È stato tra i maggiori narratori del 19° sec.: alcuni suoi racconti riflettono l'amore per il folklore ucraino, mentre in altri scritti G. prende la burocrazia a emblema del carattere oppressivo del mondo moderno. Il carattere oppressivo del mondo moderno è ben rappresentato dalla burocrazia di Pietroburgo, che Gogol´ descrive nei racconti di Arabeschi (1835): Il ritratto, La prospettiva della Neva e Il diario di un pazzo; a essi si aggiungeranno poi Il naso (1836) e Il cappotto (1842) nel ciclo I racconti di Pietroburgo. Chi tenta di uscire dallo squallore e dalla routine è colpito da follia o morte, come mostrano le storie dei poveri impiegati protagonisti di Il diario di un pazzo e Il cappotto. In questi racconti Gogol´ elabora uno stile letterario che esprime il carattere assurdo della società russa: la narrazione non è mai obiettiva, pacata, ma oscilla sempre fra il grottesco e il patetico; i dettagli sono descritti in modo quasi maniacale e poi inspiegabilmente abbandonati; gli animali e gli oggetti si animano: celebre, per esempio, lo scambio di lettere fra due cagnolini in Il diario di un pazzo. Al contrario, le persone sono rese simili a maschere, si disgregano in una serie di particolari fisici che vivono come di vita propria: si pensi al naso dell'omonimo racconto o all'inizio di La prospettiva della Neva, dove abiti e pettinature passeggiano e agiscono al posto delle persone. Nelle storie raccontate da Gogol´ la voce narrante divaga continuamente dal soggetto principale ed esprime spesso giudizi paradossali e illogici, in contrasto con le vere opinioni dell'autore. Questo flusso di parole che pare giocare a nascondino con sé stesso influenzerà profondamente la letteratura russa successiva, tanto che Fëdor Dostoevskij ammetterà: "Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol´". Trama Ambientato nel mondo dell'amministrazione burocratica: “nel dipartimento…ma è meglio non precisare in quale dipartimento. Nulla è più arcigno dei luoghi amministrativi. Ora ogni brav’uomo considera oltraggiata nella sua persona tutta la società”, p.5. Il cappotto tratta la vicenda umana del funzionario Akakij Akakievič Bašmačkin: “impiegato, si direbbe, non troppo appariscente, a vederlo: un tantino bassotto, leggermente butterato, un tantino rossiccio, perfino un po’ corto di vista, con una piccola calvizie sulla fronte, con rughe ai due lati delle guance e con un colorito che si potrebbe chiamare emorroidale”. Si tratta di un consigliere titolare perpetuo, il cui cognome Basmackin deriva dalla parola scarpa quando però suo padre, suo nonno e anche suo cognato indossavano degli stivali. Akakij si chiama come il padre e il suo nome è stato scelto, nella notte del 23 marzo giorno della sua nascita, dalla madre. “Nel dipartimento l’avevano visto sempre allo stesso posto, nello stesso atteggiamento, nelle stesse funzioni, sempre lo stesso impiegato copista […] Nel dipartimento non gli si testimoniava nessun rispetto”, pp. 8-9. Akakij Akakievic è preso in giro dai colleghi, “per quanto lo permetteva il loro spirito di cancelleria”, che raccontavo su di lui diverse storie inventate. Ma alle prese in giro Akakij Akakievic non risponde né queste hanno influenza sulla sua occupazione. Solamente quando lo scherzo era insopportabile tanto da impedirgli di lavorare allora Akakij Akakievic dice: “Lasciatemi stare! Perché mi offendete? E c’era qualcosa di strano delle sue parole e nella sua voce […] vi si sentiva qualcosa di così umilmente pietoso” da colpire profondamente un giovane impiegato che da quel momento riflette su “quanto c’era d’inumano nell’uomo, quanta feroce rudezza era nascosta nella mondanità raffinata e istruita e, Dio! Perfino nell’uomo che il mondo considera onesto e nobile…”, pp. 10-11. Di Akakij Akakievic, il narratore dice “è poco probabile che vi fosse un altro uomo che vivesse a tal punto il suo impiego. È poco dire: egli lavorava con zelo; no, egli lavorava con amore”. E in quello che faceva, che copiava, Akakij provava un forte godimento: “all’infuori del copiare sembrava che nulla esistesse per lui”, p. 12. Infatti, perfino una volta rientrato a casa, “a quell’ora in cui tutti cercano di distrarsi, Akakij Akajevic non si dava a nessun genere di distrazione”, p. 16. “Così scorreva la placida vita dell’uomo che con quattrocento rubli sapeva essere contento della propria sorte e sarebbe trascorsa così forse fino alla vecchiaia se non ci fossero stati diversi guai disseminati nella vita non solo dei consiglieri titolari, ma anche perfino dei consiglieri segreti, di corte, effettivi e di tutti quanti i consiglieri, perfino quelli che non dànno consigli a nessuno e non ne prendono da nessuno”, p. 16. Akakij Akakievic si trova in difficoltà nel momento in cui è costretto a comprarsi un nuovo cappotto, visto che è il suo abito è ormai vecchio, trascurato (lui non se ne cura affatto) e talmente liso da non essere più utilizzabile. Da non essere più adatto al gelo nordico. Visto che i prezzi per comprare un cappotto sono superiori alle sue possibilità, Akakij Akakievič “decise che bisognava ridurre le spese usuali almeno per un anno” e comincia a risparmiare al fine di acquistarne uno facendolo confezionare al sarto Petrovič, che abita al quarto piano del suo palazzo (un ex servo della gleba che “cominciò a chiamarsi Petrovic da quando il su padrone gli aveva dato la liberta; da allora si mise anche a bere abbastanza forte”), pp. 17- 31. Nell’attesa del nuovo cappotto, l’esistenza di Akakij Akakievic diventa “per modo di dire, come più completa […] come se egli non fosse più solo [..] Egli divenne in un certo modo più animato, perfino più deciso di carattere, come un uomo che avesse uno scopo ben definito e prefisso”, p. 32. L'arrivo del nuovo indumento rappresenta per Akakij un evento estremamente importante, “di certo fu il giorno più solenne della vita di Akakij Akakjevic” (p. 33). Una gioia rompe l'assoluta ripetitività di un'esistenza dedicata al proprio lavoro, tanto che, appena raggiunto il dipartimento, tutti i colleghi sembrano essere informati del nuovo cappotto, “tutti si misero a felicitarlo, a festeggiarlo, così che dapprima egli sorrise, ma poi cominciò a vergognarsi”, e Akakij Akakievič pare guadagnare il rispetto di quei colleghi e di quei superiori che prima lo infastidivano quasi ferocemente. Anzi addirittura i suoi colleghi arrivano a organizzare una festa per il suo nuovo cappotto: “questo gli avrebbe dato l’occasione di indossare il suo cappotto anche di sera. Tutta quella giornata fu per Akakij Akakjevic un giorno di festa solenne”, p. 38. Questo apparentemente insignificante acquisto sembra poter frantumare le incertezze e l'apatia di Akakij; tuttavia la gioia è di brevissima durata e il dramma dietro l'angolo. Mentre rincasa dalla serata coi suoi colleghi di lavoro, il protagonista viene derubato del cappotto: “Egli si avventurò nella piazza, non senza un certo involontario timore, come se il suo cuore presentisse qualcosa di brutto […] Sentì soltanto che gli fu tolto il cappotto e gli fu dato uno spintone col ginocchio ed egli cadde supino sulla neve e non sentì più nulla. Dopo alcuni minuti si riebbe e si alzò in piedi, ma non c’era più nessuno […] si mise a gridare; ma la sua voce sembrava non arrivare neppure all’estremità della piazza”, pp. 44-45. Annichilito dall'episodio, Akakij Akakievič cerca invano giustizia in ridicole figure di superiori: prima la guardia della piazza, poi il commissario di polizia e infine la persona molto importante del dipartimento (“D’altronde il suo posto ea considerato poco importante in paragone ad altri importantissimi. Ma si trova sempre una cerchia di gente per la quale il poco importante agli occhi degli altri diventa invece importante”, p. 50). Ma tutti i tentativi di Akakij Akakievic di chiedere giustizia sembrano fallire; tornato a casa si mette a letto, il giorno dopo gli viene la febbre (“avrà egli rimpianto la sua misera vita?”) e infine muore di freddo. “E Pietroburgo rimase senza Akakij Akakjevic, come se egli non fosse mai esistito. Sparì e si dileguò un essere che non fu mai caro a nessuno. Si dileguò, scomparve un essere che non era protetto da nessuno, a nessuno caro, e che non interessava nessuno; che non aveva richiamato su di sé l’attenzione neppure del naturalista, il quale non manca di infilzare nello spillo anche una comune mosca e studiarla al microscopio; un essere che aveva sofferto umilmente ogni beffa dei compagni d’ufficio, e che era disceso nella tomba senza aver compiuto nulla di notevole nella vita, ma a cui, tuttavia, sia pure all’estremo declino della vita, era comparso fuggevolmente l’ospite luminoso nelle parvenze di un cappotto, ravvivando per un fugace istante la sua misera esistenza; ma sul cui capo si era poi abbattuta ineluttabilmente la sventura, così come essa si abbatte sopra i potenti della terra.””, pp. 59-60. La narrazione ha però un finale fantastico (“Ma chi potrebbe immaginarsi che con ciò non tutto fosse detto […] che gli fosse destinato di vivere alcuni giorni rumorosi dopo morto, come compenso di una vita così ignota a tutti?”, p. 61), che vede il fantasma di Akakij Akakjevic vagare per la città, nei pressi del ponte Kalinkin, derubando tutti senza distinzione alcuna dei loro cappotti. Per poco addirittura non riuscirono a catturare il fantasma ma la sua furia si placherà solo quando questo riuscirà a intimidire quella stessa persona molto importante che gli aveva negato giustizia per il cappotto perduto, ottenendo l suo: “Ah eccoti infine! Finalmente io ti ho già… ti ho afferrato per il bavero! È proprio il tuo cappotto che voglio! Non ti sei curato di ritrovare il mio e per giunta mi hai sgridato; ora dammi il tuo!”, p. 67. Commento Ne Il cappotto troviamo una summa di quella che è la comicità irridente e caprioleggiante di Gogol', maestro della letteratura russa che ha dato grande impeto alle future produzioni e che è servito da modello a generazioni di autori. Gogol' ne Il cappotto, come ne Le anime morte, irride i vari strati della società, rappresentandoli corrotti, viziosi e involontariamente ridicoli.
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