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Il cinema dell'Estremo Oriente, Appunti di Storia Del Cinema

Riassunti del libro "Il cinema dell'Estremo Oriente"

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 03/07/2019

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Scarica Il cinema dell'Estremo Oriente e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! RIASSUNTI DEL CINEMA DELL’ESTREMO ORIENTE CAPITOLO 1 – IL CINEMA CINESE DAGLI ANNI OTTANTA AD OGGI 1.0 – Introduzione La Cina della fine degli anni 70’ e inizio anni 80’ era una Cina di rivoluzione, rivoluzione dentro la quale il cinema assume un ruolo fondamentale. Nuovi soggetti, nuovi approcci, nuove tradizione a lungo vietati trovano ora un piccolo spazio di rappresentanza. I cambiamenti furono tantissimi ma tra i più importanti possiamo ricordare • L’inaugurazione di nuovi studi • La riapertura dell’Accademia di Cinema di Pechino • Fondazione di riviste specializzate • Raddoppiamento della produzione cinematografica • Aumento dei posti di lavoro in questo ambito e aumento degli spettatori Tutto ciò permette la nascita di incredibili collaborazioni tra vari registe delle diverse generazioni. Si inizia quindi a sviluppare nuove formule narrative più complesse, a riscoprire il valore delle cellule familiari e delle minoranze etniche, a descrivere il mutamento delle abitudini sociali, del paesaggio urbano e delle relazioni interpersonali. 1. – La ‘generazione perduta’ e ritrovata Il decennio è segnato dall’emergere della Quinta generazione. Una coincidenza di fattori consente loro di assicurarsi una grande visibilità: • La possibilità di evitare il periodo ‘gavetta’ in stabilimenti periferici o appena inaugurati, quindi agli inizi • La possibilità di studiare i film stranieri e da loro apprendere • La neonata nuova onda di cinema delle regioni adiacenti • Il disinteresse verso i temi contemporanei “One and Eight” di Zhang Junzhao, 1984, è il primo film della nuova generazione, infatti rappresenta già un febbrile banco di prova per affermare i nuovi modi di rappresentazione e nuovi stili di ripresa (in particolare ricordiamo la carnalità dei corpi-personaggi e l’intreccio che, a tratti, risulta quasi eterodosso). Nel 1987 Zhang esordisce con “Sorgo Rosso”, un film seducente, ambiguo e lontano dal grigiore del cinema contemporaneo. Il suo lavoro cattura l’attenzione del pubblico e della critica. “Yellow Earth” di Chen Kaige, 1984, esce qualche mese dopo il sopraccitato. Passato inizialmente inosservato, il film, presentato successivamente all’Hong Kong Festival dell’anno dopo, trova presto un’accoglienza entusiasta da parte del pubblico. In particolare, Chen Kaige, sembra essere la guida della sua generazione. I suoi film come “The Big Parede” o “King of the Children”, conservano uno stile astratto, fondato sulla contemplazione narrativa e su un marcato simbolismo figurativo. Essi ribaltano la concezione educativa e formativa attualmente in auge, perché inscenano parabole personali di fallibilità, acquiescenza e carnalità. “On the hunting ground”, 1984, “The horse thief”, 1986. Dopo questi due registi, esordisce Tian Zhuangzhuang che realizza due film di incredibile forza figurativa nei quali culti e tradizioni di due minoranze etniche sono raccontati senza alcun intento didascalico. Altri registi esordiscono in questo periodo. Huang Jianxin realizza “Black Cannon Incident” nel 1985, una delle prime commedie sarcastiche della storia del cinema cinese. Il merito del film è quello di inserire dentro alle griglie delle dark commedy un’amara riflessione sull’ottusità di chi sta al potere. Zhou Xiaowen realizza “In Their Prime” nel 1986, un war-movie sulla guerra sino-vietnamita che viene presto bloccato dalla censura; “Desperation” nel 1987 e “Obsession” nel 1988. Tutte queste opere vantano uno stile ambiguo, atmosfere inquietanti e grande capacità di lavorare sulle attese e sulla suspense. Li Shaohong debutta con “The Case of the Silver Snake”, un detective-movie. Wu Ziniu si specializza in war-movie spietati e tormentati come “The Dove Tree” del 1985, “Blood-shedding Black Valley” del 1985 ed, in particolare, “Evening Bell” del 1988. Tutti i suoi lavori sembrano studiati per attraversare i confini tra film d’arte e film di genere, tra rappresentazioni realistiche e simboliche, tra aspirazioni umanistiche e ricadute in mondi caotici. Si tratta di cineasti che rivisitano e reinventano i canoni di genere, ampliano gli standard spettacolari e portano sullo schermo soggetti inediti. Tuttavia, i cineasti citati non si riconoscono in tale generazione. Ciò che li unisce è, tuttavia, l’appartenenza alla cosiddetta ‘generazione perduta’, privata di identità, di professione e di posizione sociale che ora fa affidamento solo sulla propria forza, sul proprio linguaggio e sulle proprie azioni concrete. A grandi linee, però, un filo stilistico li unisce per esempio nell’uso ambiguo e stratificato del linguaggio audiovisivo e dei pattern narrativi, nella scrupolosità praticata per perimetrare sguardi e raggio di azione dei personaggi nei confronti dello spettatore. Affermano una loro triplice supremazia: quella del mostrare sul raccontare, del visibile sul narrabile e dell’immagine sulla sua interpretazione. Oltre ciò, li accomuna anche il fatto di delegittimare le figure che incarnano le istituzioni. Molti dei film di questi registi infatti puntano a smontare l’eroismo solitamente associato agli uomini in uniforme. Per riassumere, il cinema post-maoista porta la novità che permette l’attivazione di un processo di demitizzazione dell’universo liturgico socialista e di re-mitizzazione di un universo archetipo dentro al quale si cala l’individuo secondo nuovi codici. 2. – Un nuovo trauma e le sue conseguenza In concomitanza con le rivolte studentesche (in particolare le rivolte di Piazza Tiananmen) il cinema cinese subisce un grande cambiamento. Presto, infatti, la Cina si ritroverà in una situazione di crisi, crisi che la costringerà ad aprire il mercato ai film esteri. Un’altra diretta conseguenza di queste rivolte fu la dispersione delle Quinta generazione: i registi appartenenti a questa generazione continueranno a fare il loro lavoro come hanno sempre fatto ma si ritroveranno spesso in vicoli ciechi o in strade già segnate. Nonostante le varie esperienze dei registi sopraccitati, di film di minima portata che ne conseguono, esiste un ultimo momento di congiunzione tra di loro. Nel triennio 1992-1994, Chen, Tian, Zhang, Li e Jiang realizzano una serie di film che portano sullo schermo le fasi più contraddittorie del maoismo. I film assumono la forma di una sfida lanciata al governo ma, nonostante la loro posizione di forza, i registi ne usciranno sconfitti. A riaprire questa sfida saranno, successivamente, alcuni registi della Sesta generazione tramite la realizzazione di film indipendenti. 3. – Un altro cinema è possibile? Il primo cineasta che lavora al di fuori del sistema pubblico è Zhang Yuan. Esordisce con “Mama”, film che mescola fiction e documentario, seguito da “Beijing Bastards” cronistoria su un gruppo rock e dei suoi componenti. “Dirt” di Guan Yu, 1994, è un caso molto interessante in quanto porta sullo schermo un ritratto generazionale simile a quello tratteggiato dai suoi coetanei dove le difficili relazioni di coppia, l’assenza di punti di riferimento e di valori, un sentimento di alienazione, vengono proiettati sui personaggi. Intanto, nei primi anni ’90, si sviluppa un movimento di registi documentaristi ‘indipendenti’ che usano le caratteristiche del documentario (fino ad ora usato quasi solo per propaganda) come, per esempio, l’impianto discorsivo didascalico e la voce over, per descrivere fenomeni sociali e culturali del paese. In questo ambito la figura più importante è Wu Wenguang che realizza un documentario in cui si narravo la vicissitudini di un gruppo di artisti immigrati in cerca di fortuna. “Bumming in the Beijing – The last dreamer” è il titolo dell’opera amara, solitaria, intrisa di pessimismo che raramente, prima di allora, era venuta tramite il documentario. “I Graduated!” di Shi Jian e Chen Yue, 1992. Appartenenti al gruppo SWYC, i due cineasti realizzano questo film come fosse una video-intervista in cui vengono interpellati otto neolaureati nelle più prestigiose università cinesi su temi quali l’amore, il sesso, le aspirazioni lavorative, gli stili di vita e i gusti musicali. Dalle loro risposte emerge un clima di disaffezione che sembra dipendere da un fuori-campo oppressivo, quale quello delle autorità. “The Square” di Duan Jinchuan e Zhang Yuan, 1994, medesimo lavoro del sopraccitato “I Graduated!”. Un documentario ‘muto’ in cui vengono registrate, senza alcuna voce, gli eventi di Piazza Tiananmen. “The Order Bank” di Jiang Yue, 1995, lavoro più intenso ed implicito. Si tratta di un documentario in cui vengono descritte le fasi di allestimento e di performance di una pièce di teatro sperimentale. Nel 1995 viene emanata una nuova legge sul cinema che puntava al suo sostegno. Venne anche eliminato il vecchio sistema di censura a favore di un ente più adatto al titolo. Allo stesso tempo nasce anche la Korean Film Commission ovvero un’associazione non governativa con regole proprie, composta da professionisti che si impegnano per la crescita del cinema nazionale. Nel 1996 nasce il Festival di Pusan che presto diventerà molto importante per il cinema coreano. Tuttavia, nel 1997, si registra una nuova crisi economica che avrà grandi ripercussioni sul settore cinematografico ma che comunque resisterà permettendo la nascita di nuove case di produzione. 5.3 – La stagione dei blockbuster Il periodo che va dal 1996 al 2000 può essere considerato come la prima fase del boom del nuovo cinema coreano per via di molti motivi come la quota di mercato acquistata o la nascita di nuovi registi ma, in particolare, per l’avvio del fenomeno dei blockbuster che costituisce un altro degli aspetti chiave del cinema coreano. “Shiri” 1999, sembra indicare il vero e proprio inizio del nuovo cinema coreano. Questo film fece qualcosa che nessuno prima di allora aveva mai fatto, che nessuno credeva possibile per un film coreano ovvero scalare la classifica degli incassi battendo addirittura “Titanic” e ridando fiducia al cinema coreano. Fra le ragioni del successo del film ci fu indubbiamente la forma spettacolare e nazional-popolare data ad un tema forte come quello del conflitto tra le due Coree. Il film fu poi superato da altri nel corso degli anni tuttavia, non tutti i blockbusters ebbero il successo sperato così come film non concepiti come tali superarono il record di incassi. 5.4 – Luci ed ombre A partire dal 2001 l’interesse che suscita il cinema coreano porta ad una serie di remake ed acquisti dai produttori stranieri. Ciò fa sì che, nel corso degli anni successivi, nasca una vera e propria tendenza per questo tipo di film che porterà ad un ulteriore aumento di incassi e di film prodotti. Tuttavia, ci sono anche dei contro in questo periodo, come appunto il grande fallimento di molti blockbuster e le loro conseguenze economiche. Questo fallimento portò inevitabilmente a favorire una produzione più mainstream ed un aumento dei costi di produzione dei film. Tutto ciò, sommato al crollo dell’economia giapponese, fa sì che l’industria cinematografica continui a perdere soldi, portando alla chiusa di molte case di produzione e riduzione di film. La situazione di crisi non fa che peggiorare anche per l’abbassamento delle quote, che renderà più grave il tutto nel 2008. 5.5 – La generazione impegnata degli anni Ottanta Dopo il buoi degli anni ’70, il decennio successivo vede l’esordio di molto registi spinti da un profondo impegno sociale. Tuttavia, il governo cerca il più possibile di limitarli e di controllarli, imponendo tagli e censure. Il periodo successivo comporta l’affermazione di film dal carattere politico-sociale. Di questo periodo è bene ricordare Park Kwang-su che produce film di carattere politico e militante, film che denunciano la violenza politica e l’ingiustizia sociale celata nella vita comune e nel mondo del lavoro. Troviamo anche Jang Sun-woo, che similarmente a Park, crea un film di politica, ma si allontana dal didascalismo di quest’ultimo. Jang utilizza spesso una chiave metaforica per esprimere il suo pensiero. 5.6 – Verso e oltre il 2000: generi… Alla prima New Wave Coreana ne seguirà subito una seconda, quella dei cosiddetti ‘cinefili’ che si allontana dal realismo e dall’intensità politica dalla prima, più attenta all’uomo che alla società e che affronta il tutto con generi più mainstream. Il genere tipo del cinema coreano è il melodramma che tuttavia, nel corso di questi anni, subirà molte variazioni contaminazioni di altri generi. Fra il 1996 e 1998 debuttano molti registi, registi che oggi rappresentano il cinema coreano, quello di un periodo di perfetta convivenza del cinema popolare e del cinema d’autore. Convivenza che porterà ad una grandissima e vastissima produzione e ricerca espressiva. Il boom degli esordi dà il via ad una vera e propria rivoluzione generazionale con registi molti diversi da quelli del ‘passato’ che si proiettano verso il futuro. 5.7 - …e autori Parliamo di tre autori che rappresentano il cinema coreano nel mondo occidentale: Kim Ki-duk, Hong Sang-soo e Lee Chang-dong. Kim Ki-duk esordisce alla regia nel mondo della produzione indipendente. “The Crocodile” è il primo di una lunga serie di film divisi tra violenza e sentimento che si concentra su personaggi emarginati. Il cineasta agisce attraverso le pulsioni soprattutto sessuali e di morte (vedere bene pag. 127 – 128). Hong Sang-soo, i suoi film hanno una struttura aneddotica, si scandiscono in parti nettamente divise, in giochi di ripetizioni ed ellissi, in un’emblematica rappresentazione della realtà della società. Le sue vicende sono spesso storie di ordinaria immoralità. Park Chang-wook riprende il tema del conflitto delle due Coree. Mette in atto al Trilogia della Vendetta ovvero tre film segnati da brutalità e lirismo, humor e poesia, gusto per il grottesco e malinconia. CAPITOLO 8 - RITRATTO D’AUTORE, SENZA FAMIGLIA: IL CINEMA DI LEE CHANG-DONG 8.0 - Introduzione Lee Chang-dong è una delle figure chiave del cinema coreano. Esordisce nel 1997 con “Green fish”, il film si limita ad ottenere buoni riconoscimenti critici senza però smuovere le acque del cinema coreano. Solo successivamente con “Peppermint candy”, 1999 il regista segna un momento molto importante del cinema di quel paese. Chang-dong, in questo film, narra la storia degli ultimi 20 anni della Corea del Sud con un movimento a ritroso nel tempo che va dal presente al passato e ne ripropone alcuni momenti salienti attraverso le vicissitudini di un uomo che si è ritrovato a giocare sia ruolo di vittima sia quello di perpetuatore di questa dittatura. Il film è un invito a non dimenticare gli anni più bui del recente passato nel paese. 8.1 - La poetica dell'intruso e un drammatico passato Sin dalle prime battute, i film di Lee Chang-dong danno vita ad una sorta di poetica dell'intruso, con l'arrivo del protagonista in un luogo ed il suo confronto con un'entità collettiva che, in qualche modo, è infastidita della sua presenza e costretta a confrontarsi con essa. La figura dell’intruso può essere rappresentato sia dalla famiglia che dalla società, due figure sempre presenti all'interno dei film del regista. Il conflitto tra il singolo ed il gruppo infatti è uno dei temi portanti dell'opera dell'autore, tema che sviluppa attraverso la rappresentazione di un rapporto di forza in cui l'individuo è costretto a soccombere. Un altro tema che accomuna i protagonisti dei film di Lee Chang-dong è il fatto che grava su di loro un drammatico passato che è anche causa della precarietà del loro equilibrio psichico. Emerge così la volontà del regista di costruire le proprie storie intorno personaggi costretti a confrontarsi con un passato ed un presente assai drammatici, che li costringe a cercare di definire, a partire da una grave situazione di disagio interiore, il loro nuovo spazio in rapporto ad una comunità di individui che tende ad escluderli. 8.2 - Senza famiglia Infatti è proprio questa drammatica situazione a spingere i protagonisti dei film a cercare rifugio in istituzioni, congreghe o gruppi che in qualche modo li possono accogliere, lenire le loro ferite e offrire loro una sorta di consolazione. Per esempio, nel film “Green Fish”, il protagonista entra a far parte di una banda criminale e sviluppa un particolare rapporto con il suo capobanda: è evidente che quest'ultimo rappresenti, nei confronti del protagonista, un ruolo paterno in sostituzione ad un padre reale ma assente. Il protagonista vive quindi nell'illusione di aver ricreato attraverso la sua banda ed il rapporto con il capo, quell’unità familiare ormai perduta. Tuttavia di un'illusione si tratta, infatti, nell'epilogo, il protagonista viene ucciso proprio da quello che aveva preso la figura di suo padre, il capobanda. Allo stesso modo, nel film “Peppermint candy”, il protagonista entra nella polizia come se volesse identificarsi in un ambito istituzionale che, in qualche modo, può legittimare l'omicidio e quindi consolare il suo dolore. Il destino dei due protagonisti dei film è lo stesso di quasi tutti i personaggi dei film del regista. 8.3 - Il sogno realizzato Nonostante quanto detto sopra, tutti in qualche modo travolti da queste entità in cui avevano cercato rifugio, paradossalmente i loro desideri trovano nel finali dei film una loro realizzazione. In “Green fish”, l'epilogo mostra come la famiglia del protagonista sì riesca davvero a riunire sotto lo stesso tetto, anche se in memoria dell’ormai defunto protagonista. In “Peppermint Candy” è possibile ripercorrere la vita del protagonista e quindi ritornare all'origine. In “Oasis” vediamo la protagonista impegnata nella normalità che ora è parte della sua vita. 8.4 - La colpa commessa e l’amore come tragedia Quel che è certo è che nei rapporti fra i protagonisti dei film di Lee Chang-dong e la comunità sociale di cui sono parte, il ruolo di outcast esistenziali che essi assumono è anche determinato dalle loro colpe. In questo senso, il personaggio più emblematico è certamente il protagonista di “Peppermint candy”, in quanto al suo passato da assassino e torturatore. Meno delineate sono le colpe dei protagonisti di “Green Fish” ed “Oasis”. Comunque, colpevoli e innocenti, carnefici e vittime, gli eroi di Lee Chang-dong percorrono il loro calvario all'interno di strutture narrative che rievocano quello che è stato il genere per eccellenza del cinema sudcoreano ovvero il melodramma. 8.5 - Senza fine Sconfitti da sé stessi e dal mondo che li circonda, i protagonisti dei film di Lee Chang-dong sembrano condannati da un destino che non dà loro tregua. Eppure uno spiraglio sembra aprirsi perché entrambi i finali rimangono spesso aperti ed incerti. Non solo perché in questi finali un loro desiderio, in qualche modo, si realizza ma anche perché scandiscono un processo che sembra farti progressivamente meno tragico di come era cominciato. CAPITOLO 9 - IL CINEMA GIAPPONESE DAGLI ANNI NOVANTA AD OGGI 9.1. - Il decennio perduto Gli anni Settanta e Ottanta vedono l'emergere di alcuni autori di notevole interesse, privi però, a seconda dei casi, di quella radicalità stilistica, originalità tematica, continuità espressiva o forza carismatica in grado davvero di imporsi e di ‘fare movimento’ all'interno della società. Questi anni sono decenni di prosperità e benessere che fanno del Giappone una delle più grandi potenze economiche mondiali. Tuttavia il sogno si interrompe bruscamente all'inizio del decennio successivo con il cosiddetto ‘scoppio della bolla’ e l’avviarsi di una crisi che dà vita al ‘decennio perduto’, nel corso del quale il tasso di crescita del paese si riduce considerevolmente. Il ‘decennio perduto’ è stato anche segnato da un generale senso di smarrimento esistenziale che improvvisamente fa sì che ci si renda conto di non essere più in grado di produrre alcun profitto. Ciò comporterà la ricerca di nuovi dei e feticci che alimenteranno il diffondersi di sette religiose che causeranno l'attacco con il gas alla metropolitana di Tokyo. Sarà proprio in questi anni difficili che il cinema giapponese ritroverà la sua forza espressiva. 9.2 - Un’industria in crescita L'industria del cinema, in questi anni, subirà un enorme incremento ed una grandissima crescita. In questo senso, il dato più sorprendente è quello relativo alla percentuale di incasso dei film giapponesi rispetto a quelli esteri che passano da un 40% ad un 60% nel giro di pochi anni. 9.3 - Sento Takenori e la produzione indipendente Kitano sarà uno degli ultimi registi degli anni ‘80 che diventerà l'emblema di un Giappone che è diventato più il paese degli anime e dei manga che delle geisha e dei samurai. Il regista si afferma negli anni ‘70 e ‘80 come attore diventando uno dei personaggi più popolari del mondo dello spettacolo giapponese. Arriverà alla regia con un percorso diverso da quello del tradizionale assistentato. Infatti, il suo debutto al cinema avviene per conto di una major, la Shochiku, da cui però si renderà presto indipendente, fondando una propria società di produzione ovvero l’Office Kitano. “Violent Cop” è il suo film d'esordio, il primo di una serie di pellicole legate al mondo della yakuza. Seguito da “Boiling Point”, “Hana-bi” e “Brother”, vediamo un insieme di film che riscrivono il genere yakuza allontanandosi dalla forma classica fino ad allora utilizzata sia dal totale realismo dei documentari sull'argomento. Kitano diventa presso uno degli autori più apprezzati del cinema internazionale, ma anche un punto di riferimento per il Nuovo cinema giapponese. La filmografia di Kitano si presenta nel suo insieme come un'opera fortemente coesa e fondata una dialettica di elementi tradizionalmente antitetici tra loro quali quelli di violenza e gioco, crudeltà e dolcezza, ferocia animalesca e ingenuità infantile, dramma e commedia; il cui lavoro si basa su metodi di lavorazione affidati in buona misura all'improvvisazione, con uno stile fatto di immagini statiche, campi lunghi, ellissi, fuori campo, sospensioni e deviazioni narrative, un montaggio alieno a qualsiasi regola, una recitazione essenziale e lunghi silenzi: un cinema in cui si respira tanto l'originalità e l'intensità espressiva della tradizione giapponese quanto la libertà inventiva dell'universo dei manga. Kitano imprime una svolta alla sua opera con “Takeshi” e “Glory of the Filmmaker” ovvero due film autoreferenziali in cui mette in scena se stesso ed il proprio ruolo di regista, in una sorta di format televisivo per sketch che ricorrono a frequenti soluzioni comiche di tipo demenziale e non-sense. 9.8 - Ichikawa, Koreeda e Kawase: tra poetiche del quotidiano, fiction e documentario Ichikawa, Koreeda e Kawase Tentano quello che è oggi nel cinema d'autore in giappone. Ichikawa esordisce nel cinema di finzione con “Bu-su”, film dallo stile calmo e controllato, con un andamento disteso della narrazione, attenzione alla dimensione interiore dei personaggi, capacità di cogliere il senso di una situazione attraverso un gesto o uno sguardo che sono elementi caratterizzanti anche decenni successivi. Lo stile di questo regista prende chiaro spunto dal lavoro di Ozu. I suoi film si radicano assai bene nella realtà giapponese contemporanea soprattutto per la loro capacità di esprimere sentimenti ed inquietudini proprie delle nuove generazioni. Una dimensione ricorrente del cinema del regista è quella metropolitana che spesso si insinua nel racconto attraverso sequenze di montaggio dedicate alla città, ai suoi ambienti e i loro riti quotidiani. Koreeda esordisce nel mondo del documentario. Il suo cinema è un cinema di osservazione e di rapporti interpersonali, in cui la memoria ed il ricordo assumono un ruolo fondamentale nel definire ‘chi siamo’, soprattutto in rapporto alle persone e alle cose che abbiamo perso. I suoi primi film ovvero “Moboroshi”, “After Life” e “Distance” sono accomunati fra loro dalla volontà di abbattere alcune delle barriere che sono state artificialmente create per dividere la fiction dal documentario, dando vita ad un gioco di scatole cinesi dove il materiale di fiction si incastra con quello documentario. Anche per Kawase il documentario è l'aspetto fondamentale del suo cinema. L'opera della regista è fortemente segnata da una dimensione autobiografica, diaristica e familiare, non senza una certa attenzione al dato sociale. Lo testimonia il suo “Sukazu”, film premiato al festival di Cannes, a metà tra fiction e documentario. La sua filmografia comprende documentari dal carattere familiare e film che mescolano documentario e finzione. La sua opera si presenta assai omogenea, opera in cui l'approccio documentario e la dimensione privata ed autobiografica si amalgamano perfettamente. 9.9 - Aoyama Shinji e gli allievi di Kurosawa e Hasumi Un'altra figura chiave del Nuovo cinema giapponese è Aoyama Shinji, il cui interesse verte in particolare sui personaggi e sullo stile piuttosto che sulle dinamiche dell’azione. Nei suoi film si pone grande attenzione alle figure marginali; all'affermarsi del tema del trauma con cui è necessario fare i conti per ridefinire la propria identità; la ricerca di figure stilistiche e piuttosto inusitate nell'ambito del cinema di genere; la ricorrenza a dei momenti in cui la macchina da presa si sofferma sui tempi morti in cui tutto è accaduto o deve ancora accadere. Tuttavia è con il film “Eureka” che il regista consolida il suo stato d'autore e conquista la fama internazionale. Il film, specialmente nella seconda parte, assume le cadenze di un road movie in cui l'uso del piano sequenza, l'attenzione ai momenti minimali e la centralità dei paesaggi va di pari passo con una storia che narra la necessità di ritornare alla vita non guardando solo dentro di te ma anche ciò che ci circonda. In questo senso, il film è la somma di tutto il cinema del regista. Una tappa fondamentale della formazione di Aoyama è stata indubbiamente la frequenza dei corsi di cinema tenuti da Hasumi e Kurosawa. Allievo di Kurosawa, Shiota debutta con “Moonlight Whispers”, film che rappresenta la complessità dell'adolescenza, vista come un periodo inquieto in cui iniziano a farsi strada i germi dell'età adulta. La conclusione del regista è sempre la stessa, in tutti i suoi film, ovvero che solo al di fuori della società si trova la strada che permette ai suoi personaggi di essere fedeli a sé stessi come individui. 9.10 - Il cinema (non solo) gay di Hashiguchi Anche Hashiguchi Ryosuke si forma attraverso l’8mm vincendo poi il premio PiaFF per “Secret Evening” che gli permetterà di girare il suo primo lungometraggio in 16 mm ovvero “Touch of Fever”. Il film fissa non solo l’ambito tematico dominante delle successive opere del regista ovvero il mondo della sessualità ed i suoi rapporti con il resto della società ma anche una stilistica ben precisa, fatta di piani lunghi e fissi che scrutano impietosamente in una certa distanza critica e fatti rappresentati. Nasce quindi il suo secondo film ovvero “Like Grains of Sand” in cui mette in primo piano i sentimenti di confusione e incertezza adolescenziale ed insiste nel cercare una comunicazione positiva tra il mondo gay ed il mondo etero, rifiuta semplificazioni e stereotipi affidandosi ad un finale aperto. Dopo sei anni ritorna dietro la macchina da presa con “Hush!” film che diventa il ritratto di esistenze solitarie e delle loro difficoltà a rapportarsi col proprio ambiente. Sospeso tra humor e dramma, il film si affida in modo ancora più radicale all'uso del long take e dei piani sequenza fissi cui tocca il compito di mettere in scena i momenti salienti della narrazione dando particolare peso a gesti, posture ed in generale alla costruzione dello spazio. Dopo altri sette anni realizza “All Around Us” che abbandona le tematiche omosessuali e mette in scena il dramma di una coppia, Il film è intervallato da una serie di sedute processuale che hanno per tema ricorrente l'omicidio. Il tema dell'elaborazione del lutto della donna si intreccia così con quello della società costretta a fare i conti con il proprio lato oscuro. 9.11 - L’autore ed il genere: Miike ed il cinema dell’eccesso Un ambito importante del cinema giapponese contemporaneo è costituito da quel gruppo di autori e film che, da una parte, si rapporta esplicitamente al cinema di genere e, dall'altra, si muove per contenuti e stile in quell’ambito estremo che è riprende, portarne all'eccesso, certe caratteristiche radicali del cinema popolare giapponese degli anni ‘70. In questo ambito è doveroso citare Miike Takashi, regista che si è formato nel mondo del V-cinema. L'aspetto più evidente del suo cinema è la violenza oltraggiosa, unita all'intensità espressiva di uno stile che attraverso un montaggio sincopato, dettagli ipertrofici, sorprendente angolazioni ed effetti digitali, dà vita a situazioni audiovisive possibili solo al cinema. Il punto di partenza di tale percorso è l'assenza di radici che accomuna molti dei suoi personaggi e che ne fa tutti gli effetti degli outcast, emarginati dal contesto sociale. I personaggi sono spinti a muoversi verso un’utopica ricerca della felicità cercando la fuga in un altrove che spesso non è quello che sembra. E’ la condizione esasperata di questi individui ed il loro fallimento che genera quella violenza tipica dei film di questo regista. Il regista realizza un certo numero di film che hanno a che vedere col mondo della yakuza. Il suo cinema in questo ambito privilegia una dimensione nichilista e autodistruttiva, più attenta al singolo che al gruppo. Miike si cimenterà anche in altri generi e ambiti come l’horror, il musical, il jidaigeki, il fantastico, i film di violenza giovanile ambientato negli anni ‘70, gli intrecci familiari, le relazioni omosessuali e le storie di giapponesi all'estero. Gli sono anche stati affidati dei blockbuster i cui esiti furono discutibili ma che gli consentirono di dare libero sfogo alla sua straordinaria immaginazione e al suo talento visivo. 9.12 - Nakata, Shimizu e il J-Horror Il genere che ha più contribuito al successo commerciale ma anche ad un certo prestigio del Nuovo cinema giapponese è indubbiamente l’horror. Il J-horror si è imposto per la sua capacità di lavorare sul rimorso, sulle colpe che riaffiorano in forme mostruose, su inquietanti atmosfere psicologiche e ambientali in cui vengono ripresi gli stili del tradizionale fin giapponese di fantasmi. Il successo di questi film è stato tale da spingere Hollywood a creare una serie di remake. Nakata entra nel mondo del cinema erotico a metà degli anni Ottanta realizzando un documentario in quell'ambito. Successivamente realizzerà, oltre che ad altri documentari, alcuni film di fantasmi. Tuttavia il progetto che deciderà la fortuna della sua carriera sarà l'adattamento del best-seller horror “Ring”. Il film è un ottimo esempio di horror suggerito, di atmosfere inquietanti, di apparizioni fugaci e spaventose, la cui modernità risiede nella rappresentazione di una tecnologia che dà vita ad una proliferazione simulacrale in cui contagiosi frammenti di personalità infettano chiunque venga a contatto con loro, trasformandoli in qualcosa di diverso da ciò che erano. Il successo di questo film affiderà a Nakata il ruolo di maestro del genere horror che lo porterà a realizzare le sue opere di maggiore rilievo. Nakata realizzerà un ultimo horror “Kaidan” ovvero un film ad episodi che si caratterizza soprattutto come l'operazione dal sapore filologico che però solo sporadicamente riesce a convincere lo spettatore. A seguire le orme di Nakata troviamo Shimizu che, sempre nell'ambito del genere horror, realizza due film per il mercato video di cui ci saranno delle normalizzazioni cinematografiche e due remake americani. Il film in questione è “Ju-on: The Grudge”. Pensato e strutturato come un’opera seriale, il film ripropone la stessa inquietante atmosfera dei film di Nakata e la stessa idea di passato truce che riaffiora come una scheggia impazzita. 9.13 - Orizzonti Noir: Hayashi, Ishii Takashi e Sabu Un altro genere che ha caratterizzato la stagione del Nuovo cinema giapponese è il cinema nero. Hayashi è un autore post-moderno che ha proposto una rilettura del cinema giapponese passato e in particolare del noir. Il carattere surreale del suo cinema è evidente nel suo film d'esordio “To Sleep so as to Dream”. Stravagante e visionario, il film è un omaggio ai primi anni del cinema giapponese ed alla grande stagione benshi. Ishii Takashi ha assunto fino in fondo la natura drammatica del genere. Entra nel mondo del cinema negli anni ‘80 realizzando una serie di Roman porno. Il suo film più apprezzato è “Gonin”. Cupo e pessimista, il film è l'amaro ritratto dell'insicurezza e della precarietà della società giapponese negli anni di crisi. E’ un mondo dove le opportunità di lavoro non esistono, il suicidio è un'opzione realistica e la violenza è ovunque. Per un breve periodo il regista abbandonerai il noir per tornare a Roman Porno. Sabu entra nel cinema in veste di attore per poi esordire alla regia con il film “Danger Runner” che dà il via ad una serie di commedie nere giocate in modo esasperato sul tema dell'inseguimento. Tutti i primi film di Sabu sono infatti ciniche commedie d'azione costruite su coincidenze assurde che provocano catastrofiche reazioni a catena nonostante ciò i film del regista hanno spesso un evidente spessore drammatico che però non rinuncia ai suoi personaggi eccentrici e al gioco delle coincidenze. 9.14 - Dal mondo dell’erotismo: Zeze e ‘i quattro imperatori’ Un altro genere rappresentante della stagione del Nuovo cinema è quello della produzione erotica. Zeze è l’esponente di maggior spicco di quella generazione del cinema erotico, genere che non abbandonerà mai. Grazie a lui nasce il cosiddetto gruppo ‘Shitenno” ovvero un gruppo di quattro filmmaker che pur nelle loro contraddizioni e diversità hanno testimoniato la volontà di usare il cinema Pink come un modo per esprimere se stessi e la propria visione del mondo e del cinema, insieme ad una esplicita volontà di ricerca e di sperimentazione. Il regista esordisce con “Good Luck Japan” seguito subito dopo da “No Man's Land”. Tra i suoi lavori emergono una serie di film più espliciti. Si tratta di film tristi e brutali che hanno per protagonisti donne e uomini disperati, assai omogenei nell'uso di un paesaggio dalle forti valenze impressionistica e, sul piano dello Il regista rappresenta situazioni drammatiche e spesso disperate in modi quasi comici con distanza e nel contempo con grande partecipazione. Caratteristiche che si trovano nel suo maggiore successo ovvero” Linda, Linda, Linda”, film che si fonda su un intreccio mainstream che viene poi svuotato di ogni componente spettacolare insistendo invece in modo minimalista su una rappresentazione dell'adolescenza come momento fatto di provvisorietà, confusione e alienazione. Esemplari a questo riguardo sono i dialoghi, spezzati, pieni di silenzio e di verità implicite e imbarazzanti. CAPITOLO 12 - TRACCE DELLA MEMORIA: IL CINEMA DI KOREEDA HIROKAZU 12.1 - Reminiscenze Koreeda è un autore che fin dal suo primo film dimostra di essere profondamente segnato dalla consapevolezza dell'offerta dei mezzi espressivi del cinema. Il regista punta su una narrazione priva di acuti drammatici e sull'uso di una serie di elementi prettamente cinematografici che assegna al racconto un andamento definito e coerente. Alcune delle caratteristiche principali della sua opera sono, per esempio, la fotografia morbida e sfumata che circonda i personaggi e gli ambienti con un alone irreale, la posizione della macchina da presa sempre ad altezza tatami che inquadra spesso finestre e porte delle tipiche case giapponesi, restringendo il campo visivo, l’uso espressivo del paesaggio come riflesso dei sentimenti dei personaggi e la dilatazione del tempo presente. La sua tecnica possiede dei chiari rimandi al cinema di Ozu. Da lui, infatti, prende la capacità di raccontare senza giudicare, di mettersi completamente al servizio di un sentimento, descrivendo le situazioni attraverso sottrazioni e piccoli scarti, leggere increspature e vuoti delle attese. Si ha quindi l'impressione che egli si limiti ad osservare il mistero, impressione che ritornerà in molti dei suoi film. Allo stesso tempo il regista ha la propensione sull’affrontare uno stesso argomento su più piani e su più punti di vista, conferendo ad ogni situazione un ulteriore senso e stratificazione, sia in base alle vicende narrate nel lavoro stesso che nei lavori precedenti. Un altro tema della sua poetica è quello della memoria nella sua doppia accezione di possibilità di recuperare il passato e fardello che opprime un presente spesso segnato da rimpianto o dal rimorso. Questi temi sono esplicitamente affermati nel film “After Life”. I personaggi del film sono collocati sulla soglia di un nuovo inizio, il film, infatti, è ambientato nel limbo dove i trapassati si affollano per accedere all’aldilà. Il film alterna lunghe sessioni di interviste ad alcuni protagonisti con parti narrative, interpretate da attori professionisti ed esplicitamente finzionali. Documentario e finzione, racconto e messa in scena sono binari che corrono paralleli non soltanto per coniugare passato e presente ma anche per esprimere una doppia accezione della reminiscenza come intima espressione del noi. “After Life” gioca sulla dissonanza tra la semplice quotidianità dei rapporti umani. L'obiettivo di Koreeda è quello di mettere in scena l'eccezionalità della morte attraverso una rappresentazione che allude in ogni momento alla normalità della vita. 12.2 – Distanze Alcuni dei temi sopracitati, come in particolare quello della memoria, ritornano nel film “Distance”. Uno dei primi temi è quello della morte che, anche in questo caso, viene affrontato da un punto di vista inedito. Man mano che il film avanza possiamo notare un cambio di registro che tende all’horror: questo è rappresentato tramite la presenza di un gruppo di personaggi eterogeneo, con uso nervoso della macchina mano e della luce naturale, con una location inquietante e con l'attesa di un evento che tarda a sopravvenire. Subito dopo notiamo il registro dello psicodramma che invece lo si trova nell'isolamento in un luogo lontano dalle convenzioni sociali dei pochi personaggi sopravvissuti ad un comune e doloroso passato. Nonostante questi elementi, il regista si tiene ben distante dalle due opzioni di registro, mescolandole tra di loro. Sul piano dello stile, la pellicola si caratterizza per la capacità di organizzare visivamente gli spazi attraverso un uso espressivo della fotografia (es. La luce naturale che illumina la notte in modo assai inquietante). Koreeda inoltre più che dirigere sembra registrare i movimenti degli interpreti, lasciandoli liberi di interagire tra loro e di improvvisare. Il regista si avvale di immagini appartenenti a diverse tipologie come per esempio i ricordi che vengono mostrati attraverso dei flashback oppure le sequenze oggettive che alimentano il dubbio sulle figure mostrate. 12.3 - Assenze “Nobody Knows” rappresenta un ulteriore passo in avanti nel percorso autoriale del regista. Con questo film Kooreda, ricongiungendosi ancora una volta con la matrice documentaristica del suo lavoro, crea un racconto al presente annullando i flashback, in favore di una contingenza temporale assoluta che, tuttavia, rasenta l'astrazione ed elude la questione della memoria per concentrarsi sui corpi che non hanno nulla da ricordare ovvero quello di un gruppo di bambini lasciati a loro stessi da parte di una madre incapace di accudirli. Il film è un racconto crudele dell'infanzia che adotta uno sguardo tutto interno al nucleo familiare. Possiamo notare alcuni dei principali registri narrativi e stilistici messi in scena dal film: il tempo della narrazione che viene scandito dallo scorrere delle stagioni, i divieti ed i tabù elencati dalla madre ai figli appena giunti nella nuova abitazione, l'opposizione tra la casa e l'esterno, l'uso considerevole di oggetti-simbolo tratti soprattutto dal mondo dell'infanzia e dell'adolescenza ed infine la missione impossibile che Akira, ‘eroe’ della vicenda, cercherà di portare a termine malgrado tutto. Prestando attenzione si può notare che il dramma del racconto è soffocato, almeno in gran parte del tempo. I bambini infatti nonostante la situazione non conoscono l'aggressività o egoismo di alcun tipo, vivono in armonia malgrado le difficoltà. A questo punto notiamo un inversione dei ruoli: da un lato abbiamo una madre-bambina, irresponsabile, capricciosa ed inaffidabile ma ben lontana dall'immagine demoniaca datane dai media e dall'altro i figli giudiziosi, solidali, generosi, privi di molti dei connotati che caratterizzano i loro coetanei. Nel corso della vicenda capiamo che la madre impedisce ai figli di uscire ad eccezione di Akira, facendo sì che il mondo esterno acquisti un immaginario di libertà e allo stesso tempo la casa assuma un immaginario intimo e isolato. A produrre questo effetto contribuiscono anche una serie di scelte formali come per esempio quella di girare in un vero appartamento, per accrescere il realismo, la focalizzazione delle inquadrature su particolari dei corpi dei protagonisti per evidenziare l'armonia segreta di un mondo a sé stante, l'uso originale delle finestre come unica fonte di luce accecante come fosse un monito dell'invadenza del mondo esterno. Ancora una volta Koreeda rivela le radici profondamente baziniane del suo cinema, capace di indagare la memoria, la morte ma anche una fase della vita come l'infanzia attraverso la quale è possibile rappresentare il passaggio del tempo non più attraverso memorie e dolori del passato ma sul corpo dei protagonisti. 12.4 - Confronto con i padri “Still Walking” è il film della piena maturità di Koreeda, quello dove tutti i temi e tutte le questioni sollevate dal suo cinema trovano una dimensione narrativa e formale pienamente compiuta e dal sapore classico che lascia dietro di sé la sperimentazione e le incursioni nel campo documentaristico. Non è un caso, infatti, che proprio in questo film, vengono messe in scena tutte le età della vita e tutte con la medesima importanza all'interno dell'economia narrativa del film: si tratta del primo vero ‘gruppo di famiglia in un interno’ e, anche in questo caso, riunito attorno ad una assenza ovvero quella del fratello maggiore, morto anni prima. E’ proprio durante la ricorrenza della sua morte che la famiglia si ritrova ed è proprio in questa occasione che riemergono, attraverso una serie di micro-eventi, i vecchi rancori e i dolorosi ricordi che quel tragico evento aveva portato. In “Still Walking” il rapporto con la memoria è vissuto all'insegna di una trasfigurazione dello scomparso che assurge a ideale di figlio. Un’idealizzazione che, tuttavia, non fa che produrre infelicità e generare rancore nella famiglia. Il racconto, tuttavia, è disseminato di occasioni in cui il ricordo è semplicemente un momento felice, di condivisione dell'affetto o occasione di scherzo e buon umore. In questo film troviamo con maggior evidenza l'omaggio che Koreeda fa ad Ozu (viene dichiarato nella sequenza iniziale della pellicola). Il regista, con i suoi ultimi film, questo in particolare, sembra volersi ricongiungere definitivamente a quella matrice profondamente realista del cinema giapponese che fa capo ad Ozy, in cui viene rappresentato un filone particolarmente attento alle dinamiche che si vengono a creare negli universi familiari e piccolo-borghesi. CAPITOLO 13 - IL CINEMA DI HONG KONG: DALLA NASCITA DELLA NEW WAVE (1980) AD OGGI 13.1 - Arti marziali e dintorni: il cinema di Hong Kong verso la nuova era Nel corso degli anni ‘60, il tradizionale cinema di arti marziali di Hong Kong è costretto a confrontarsi con una serie di film provenienti dall'Occidente e dal Giappone: questi ultimi sono accolti con entusiasmo da un pubblico, stanco del tradizionale wuxiapian. La Shaw Brothers tenta di reagire lanciando un nuovo wuxiapian di King Hu, “Drink with Me”, che fonde mirabilmente la tradizione dell'Opera di Pechino con le più sofisticate tecniche del linguaggio cinematografico, e di Chang Chen, “The One Armed Swordsman”, che opta invece per un approccio più crudo e violento. Nonostante questi tentativi, il wuxiapian lascia presto spazio al gongfupian, cinema di kung-fu, che si caratterizza per la rinuncia a componenti fantastiche e per il maggior realismo dei combattimenti a mani nude che prendono il posto di quelli con la spada. Il cinema di kung-fu fa conoscere Hong Kong nel mondo Occidentale, scatenando un vero e proprio fenomeno di culto da cui deriverà anche la cattiva reputazione dello stesso cinema. Il cinema di kung-fu, in tutte le sue varianti, prepara a suo modo la strada al sopraggiungere della New Wave attraverso la rottura con realismo del melodramma cantonese, l’introduzione di elementi vernacolari come il dialogo volgare, la presenza di componenti dinamiche che riflettono l'energia del boom economico del periodo e la capacità di rivolgersi ad un pubblico popolare e di lavoratori che vi si riconosce. 13.2 - Ascesa e caduta di un’industria Gli anni ‘70 del cinema di Hong Kong sono dominati da due grandi majors: la Shaw Brothers e la Golden Harvest. Il successo delle due compagnie nei mercati del Sud-est asiatico era dovuto anche al disinteresse che Hollywood nutriva in quel periodo per quegli stessi mercati a causa del basso prezzo dei biglietti, del numero modesto di sale e delle misure di proiezione adottate dai diversi paesi. Allo stesso tempo, i milioni di cinesi che vivevano in altri paesi erano più in sintonia con il tipo di cinema che ri- evocava le forme del mito e dei fasti del passato della loro terra madre. Ed è proprio pensando a questo pubblico che la Shaw Brothers puntò sulla realizzazione di film in mandarino piuttosto che nel classico cantonese. Con il sopraggiungere degli anni ‘80, la Shaw Brothers, vede l’approfondirsi della sua fase di decadenza. Gli anni ‘80 segneranno la fine del duopolio ed, in grande misura, anche della politica dei grandi studi, favorendo così affermarsi di una serie di compagnie indipendenti. Tra queste un ruolo di primo piano è occupato dalla Cinema City che darà vita a quello che sarà chiamato il “Cinema City Style”, una formula fatta di commedie cantonesi di intrattenimento con cascatori, effetti speciali e apparizioni di grandi nomi dello Star System, oltre che alla pratica di stendere le sceneggiature collettivamente, attraverso riunioni a cui partecipavano anche produttori, registi e attori. La stessa Cinema City diede un enorme contributo alla nascita del nuovo cinema d'azione. Il lavoro della Cinema City è ripreso anche dalla Film Workshop di Tsui Hark. Quest'ultimo, infatti, diede vita ad una propria casa di produzione decisa a migliorare gli standard del cinema di Hong Kong attraverso accurati effetti speciali, sofisticate tecniche espressive e tecniche di sceneggiatura. Gli anni che vanno dal 1986 al 1983 sono considerati l'ultima “Età dell'oro” del cinema di Hong Kong. Si tratta di un periodo che si poteva permettere di lanciare registi e produrre film piuttosto rischiosi, sia nel mercato interno che in quello esterno. Tuttavia, nel 1993, ci fu’ una grande crisi. Dopo il successo di “Jurassic Park” di Steven Spielberg nei mercati del Sud-est asiatico, la classifica degli incassi vede, nei primi 25 nomi, solo film americani. Non solo il cinema di Hong Kong frana nei mercati del Sud-est asiatico ma anche nella stessa colonia si registra un terribile calo di presenze ed un sensibile aumento del successo dei film hollywoodiani che porterà ad un drastico calo della produzione e dei budget. Un'altra ragione della crisi è indubbiamente il fenomeno della pirateria. La tecnologia del VCD si diffonde rapidamente in Cina e ad Hong Kong, grazie alla sua economicità e facilità di produzione, riproduzione, consumo e scambio: tutte caratteristiche che facilitano la diffusione di copie illegali. Il fenomeno si allargò talmente tanto da far perdere incassi al cinema, motivo per cui, il 17 marzo 1999, duemila persone scesero in piazza per protestare contro la pirateria. Con il passaggio di Tsui Hank alla Cinema City si ha l'inizio di quella che sarà la fine della New Wave e, allo stesso tempo, la fondazione della Film Workshop dello stesso regista che, nel 1984, segna un momento capitale nel determinare quel salto di qualità del cinema di Hong Kong che gli consentirà una nuova affermazione in Occidente. Il nuovo cinema che si affermerà sarà un film di genere, un nuovo mondo super ibridato, dove comicità demenziale, drama, horror, azione, fantasy e sentimento possono convivere in un unico testo. 13.5 - Il nero Abbiamo già visto come il cinema nero avesse già segnato la storia dell'ultimo cinema di Hong Kong. E’ tuttavia indubbio che la svolta fondamentale nella storia del genere fosse avvenuta, nel 1986, con “A Better Tomorrow”, diretto da John Woo. Il film nasce come remake del film “Story of a Discharger Prisoner”. “A Better Tomorrow” diventa il modello di un cinema nero che riprende in un contesto contemporaneo i miti e le strutture del ‘vecchio’ cinema di arti marziali. Il regista, con i suoi successivi film, attua un aggiornamento con pistole e impermeabili del classico wuxiapian attraverso delle coreografie iper-stilizzate delle sparatorie dove resta comunque il codice d'onore e morale. I suoi personaggi esprimono un’inadeguatezza radicale del gangster rispetto alle leggi del suo tempo; il suo eroe è un individuo solitario e tragico, votato alla distruzione e al fallimento. Il cinema di John Woo è un cinema fatto di personaggi legati ad un ferreo coice d'onore simile a quello degli antichi cavalieri cinesi, pronti ad affrontare il proprio destino anche se esso comporta un sacrificio. Questa visione degli eroi di Woo dà vita ad una vera e propria esplosione del genere noir. Molti si cimentano con il genere, ma in particolare ricordiamo Ringo Lam che con “City on Fire” sfrutta abilmente la popolarità del film “A Better Tomorrow” vincendo un Hong Kong Film Awards che gli permetterà anche di lavorare in televisione. Al contrario del suo predecessore, Ringo Lam fa uso di personaggi sospesi tra il bene e il male, in contrapposizione agli eroi cavallereschi di John Woo. 13.6 - Ghost Story Il cinema fantastico e le ghost story hanno, ad Hong Kong, una lunga storia. Negli anni cinquanta, con classici come “The Enchanting Shadow”, il fantastico si ispira perlopiù a testi del passato, avvalendosi di tutta la ricercatezza ed eleganza tipica delle scenografie, dei costumi e dei colori dei film della Shaw Brothers. Il modello dominante ruota intorno alla presenza di una donna fantasma che ritorna nel mondo dei vivi per cercare quell’amore che non ha mai trovato in vita, modello che continuerà a perpetuarsi. Negli anni ‘70, il successo de “L’esorcista” favorisce uno sviluppo del genere che darà un contributo importante al cinema della New Wave. Il cinema fantastico, nelle sue varie accezioni, gioca un ruolo chiave nel decennio che si è appena aperto. Il primo vero successo commerciale del genere è “Encounter of the Spooky Kind” che fonde con efficacia horror, kung- fu e commedia. Caratteristiche simili si ritrovano anche in altri successi del periodo. Per la sua eleganza e la sua capacità di mediare tra riferimenti orientali ed occidentali si impone “A Chinese Ghost Story”, film in cui l'evidente cura di ogni aspetto del processo creativo filmico, dalle scenografie agli effetti speciali, dalle coreografie ai costumi, dalla fotografia ai colori, si mescola in una moltitudine di referenze e temporalità che vanno dai classici a questioni più contemporanee. Ma ciò che colpì del film furono, in particolare, la capacità di tenere in equilibrio generi diversi e la vivacità di un uso del linguaggio cinematografico molto interessante. 13.7 - Il ritorno delle arti marziali Tsui Hark è stato anche il protagonista del grande ritorno del cinema di arti marziali. Già nei suoi primi film, di questo genere, emerge il suo nazionalismo che passa attraverso l'esaltazione della mitologia delle arti marziali e la convinzione che ‘perché la pace si raggiunga e la nazione possa ritrovare la sua prosperità deve essere, innanzitutto, ottenuta l'unione delle diverse forze’. “Zu: Warriors from the Magic Mountain” è un esplicito tentativo di aggiornare la mitologia cinese e le sue tradizioni. Il film ricorre a nuovi effetti speciali che, da una parte, aggiornano il genere e, dall'altra, daranno responsabili dei grandi progressi tecnologici del cinema di Hong Kong degli anni ‘80. Realizza poi “The Swordman” il cui successo determinerà una vera e propria nuova voga del wuxiapian. Il film è tratto da un romanzo di Jin Young e fu firmato a due mani. Ebbe così tanto successo da generare ben due seguiti che porteranno alla nascita di un nuovo personaggio. Il protagonista infatti è accompagnato da un transessuale interpretato da un’attrice donna ma doppiato da un uomo. Si afferma quindi un nuovo tipo di personaggio che non solo mescola e confonde i sessi ma anche i tipi con una figura di cattivo che allo stesso tempo è anche un protagonista buono che cerca di conquistare la simpatia del pubblico. Il film è sospeso tra azione, commedia e melodramma, dove ognuna di queste tre componenti assume il ruolo di protagonista al pari delle altre: ciò contribuisce l'affermazione della dimensione post-moderna del cinema di Hong kong. Alla rinascita del genere di arti marziali contribuirà il regista Tsui Hark con una saga: si tratta della serie “Once Upon a Time in China”, il cui protagonista diventa, nelle mani del regista, la figura metonimica dell'incontro della Cina con la modernità e con l'occidente, che se da una parte rivendica il calore della tradizione dall'altra è consapevole della necessità di amalgamarla con la razionalità e la nuova tecnologia. “Once Upon a Time in China” assurge al ruolo di vero e proprio manifesto del nazionalismo di Tsui e, allo stesso tempo, di una implicita rappresentazione della posizione culturale di Hong Kong come un bastione di valori occidentali e orientali. Il regista tornerà molte altre volte al mondo delle arti marziali ed, in particolare, con i film “The Blade” e “Seven Sword”, quest’ultimo, un omaggio al film “One Armed Swordsmen” di Chang Chen che si impone per il ritmo sostenutissimo, la rappresentazione della natura animale dell'essere umano e della violenza nel suo legame con gli impulsi sessuali, lo stravolgimento delle convenzioni delle scene di combattimento grazie ad un'inedita velocità. 13.8 - La commedia Anche nell'ambito della commedia, Tsui Hank dà il suo contributo per storia del cinema di Hong Kong. Possiamo ricordare “All the Wrong Clues…for the the Right Solution”, “Shanghai Blues” e “Peking Opera Blues”, film segnati da molti riferimenti metaforici alla Hong Kong contemporanea e ricchi di rimandi ai vecchi classici del cinema di Shanghai e dell'opera di Pechino. Tuttavia, il ruolo di grande mattatore della commedia di Hong Kong degli anni ‘90 e degli anni ‘00, spetta a Stephen Chow che realizza film dal carattere demenziale, con comicità nonsense e gag, senza rinunciare alla verosimiglianza delle vicende. 13.9 - La seconda New Wave Il successo del cinema popolare e di genere della seconda metà degli anni ‘80 permette anche la rinascita di un cinema più tradizionalmente d'autore. Alcuni dei registi della cosiddetta seconda New Wave hanno studiato all'estero, hanno accumulato esperienza televisiva e lavorato, in vesti di assistenti, sceneggiatori o scenografi, con i registi della prima New Wave. Ciò che differenzia i registi della prima New Wave da quelli della seconda sono solo un pugno di anni nella quale, tuttavia, viene promulgato l'accordo tra Gran Bretagna e Cina Popolare sul rientro di Hong Kong alla madrepatria: ciò li porterà a realizzare film che riflettono sulla labile e contraddittoria l'identità di una città senza passato e senza futuro. Questa seconda New Wave ha portato con sé, grazie ad una sperimentazione più matura, importanti riconoscimenti internazionali che hanno contribuito a stabilire una nuova immagine di Hong Kong. Di questo periodo, in particolare, ricordiamo Wong Kar-Wai che, già con i suoi primi film, si era conquistato l'attenzione del pubblico e della critica. Con i successivi film, il regista diventa anche un autore di fama e di prestigio internazionale considerato ovunque il regista più autorevole del cinema di Hong Kong. Il punto di partenza di Wong Kar-Wai è il cinema di genere come testimoniano i legami che i suoi film instaurano con gli universi del noir e del melodramma. I suoi rapporti con la cultura popolare sono evidenziati anche dall'importanza che nei suoi soggetti rivestono le storie d'amore e dall'uso insistito di canzoni pop. Il tutto è condito da un notevole tasso di emozionalità che viene elevato su un piano estetico grazie alla dimensione letteraria del suo cinema e alla pregnanza di uno stile che fa di queste opere delle opere non commerciali. La dimensione letteraria di Wong si basa, in particolare, attraverso la voce over e i monologhi usati come meccanismo narrativo che rafforza e spinge la natura episodica del suo cinema in un reame poetico e psicologico. Le narrazioni di Wong si impongono per il loro carattere spezzato e frammentario, tenute insieme perlopiù dall'uso della voce over, delle incrociarsi degli intrecci, degli evidenti parallelismi tra caratteri e situazione, le strutture ad anello dove personaggi ritornano nello stesso luogo, ripetono le stesse parole o fanno cose già fatte. Per quanto riguarda il piano dello stile, Wong si caratterizza per la grande varietà di soluzioni usate e le tecniche adottate che vanno dal piano sequenza fatto con la macchina da presa a mano a quello realizzato con la steadycam, dalle inquadrature fisse con grandangolo a l realismo del cinema veritè. Wong ricorre spesso all'uso di effetti ottici realizzati in fase di post-produzione. Sempre in post-produzione vengono anche realizzate quelle caratteristiche immagini in cui le azioni che si svolgono in diverse aree delle inquadrature si muovono a velocità diverse. Si tratta di immagini che risentono dell'influsso di quello che oggi comunemente definito lo stile MTV o lo stile dei video musicali. Il tema dominante del cinema di Wong è il tempo, evidenziato dalle inquadrature di orologi e dall'ossessione per le scadenze. Il tempo assume forme diverse: i misteri del cambiamento, la dimensione effimera del presente, le segrete affinità tra eventi simultanei, i desideri creati dai ricordi e dalla nostalgia, per quanto riguarda la durata, il flusso incontrollabile, il sogno ad occhi aperti e ricordo non svanito. L'altro grande tema del cinema di Wong è la città di Hong Kong. Il regista si ispira spesso ai ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza, di una città di cui in qualche modo prova a ricordare la cultura e l'eredità. Come wong, anche Stanley Kwan è cresciuto all'ombra della New Wave della fine degli anni ‘70. Anche lui è passato attraverso l'esperienza della TVB, si occupa di film di genere e possiede una dimensione esplicitamente autoriale. Kwan pone al centro dell'attenzione il personaggio femminile privilegiando, quasi sempre un amore che deve essere visto da una certa distanza con personaggi che non dimenticano mai che stanno interpretando dei ruoli. Si crea quindi un’atmosfera dal carattere estraniato ed identità divisa. 13.10 - Dopo il 1997 L’arrivo del primo luglio 1997 ha determinato il ritorno di Hong Kong alla madrepatria ma, nonostante i grandi cambiamenti, il cinema ha proseguito lungo la strada iniziata all'inizio degli anni ‘90. Nonostante ciò la produzione di film comincia a calare. La vera novità del dopo 1997 è rappresentata, infatti, dalla possibilità di co-produzione con la Cina e dal desiderio di sostituire col grande mercato cinese i fasti che un tempo erano rappresentati dalla distribuzione nei paesi del Sud-est asiatico. Dopo il 1997 la CEPA permette ai film di Hong Kong co-prodotti con la Cina di non essere più considerati film esteri e di essere così distribuiti liberamente senza più limiti di quantità. Tali co-produzioni, tuttavia, devono sottostare a regole come la presenza di un certo numero di attori e maestranze cinesi ed avere un certo numero minimo di scene girate in Cina. Ci sono poi i problemi di tipo politico e di morale: vengono evitate le scene di nudo, si favorisce la vittoria dei buoni e non si fa ricorso al soprannaturale. Nonostante tutti i problemi sopracitati, quello più importante rimane la differenza dei gusti della popolazione di Hong Kong e di quella cinese: si decide, quindi, di produrre due versioni di ogni film, una per Hong Kong e l'altra per la Cina popolare. Il fenomeno delle co-produzioni ha ottenuto i suoi risultati più efficaci, almeno sul piano economico e in altri, rari casi, anche su quello estetico. Nonostante la crisi complessiva, il cinema di Hong Kong ha proseguito in questi ultimi 10 anni il suo cammino, non senza risultati significativi. Il cinema di Hong Kong è presto conosciuto ed affermato anche all'estero, il monopolio delle majors è definitivamente scomparso, il genere di maggior successo è la commedia con un grande rilancio dei film di arti marziali che faranno grande successo. Si tratta di Xiao Ye e Wu Nien-jen, due giovani e promettenti scrittori che chiamano a raccolta alcune promettenti nuove leve e giovani registi in ascesa affidando loro sceneggiature o adattamenti scritti di loro pugno in produzioni low budget protette e gestite in maniera quasi comunitaria. Un terzo aspetto riguarda i primi lavori della nuova onda. “In Our Time” e “The Sandwich Man” sono dei veri e propri banchi di prova per i cineasti alle prime armi ma, allo stesso tempo, pellicole decisive per il periodo. “In Our Time” si propone di narrare l'evoluzione dei rapporti tra gli uomini e tra i due sessi attraverso quattro segmenti che intrattengono una reciproca relazione di omogeneità, il cui filo conduttore si avvolge attorno all'esperienza del fallimento. La rinuncia agli attori professionisti, l'inedita attenzione alle psicologie dei personaggi, una disponibilità verso gli episodi sciocchi del quotidiano e verso certi pensieri inesprimibili, sono ulteriori caratteristiche che ci dicono quanto il ‘banco di prova’ sia in realtà già un ‘tavolo da lavoro’ già pienamente funzionante. “The Sandwich Man” uscito un anno dopo rispetto “In Our Time” compie un passo avanti e delinea i caratteri e le coloriture del Nuovo Cinema. Il film, strutturato in tre episodi, si ispira ad un romanzo. L’episodio “The Taste of the Apple” fa emergere un desolante ritratto di servilismo, povertà e soprattutto di ignoranza generalizzata. Il segmento “Songs Big Doll” è il più cupo ed amaro dei tre perché usa l'ironia per veicolare un vero e proprio dramma in costume. La metafora è chiara: la società capitalista chiede al singolo di diventare un uomo-merce al soldo del mercato, disinteressandosi alle ripercussioni nefaste che si riservano sulla sua condizione esistenziale. Fino al 1987, anno della crisi del Nuovo Cinema, verranno prodotti essenzialmente quattro tipi di film: • Bildungsroman pensati come pretesto per riflettere sulle lacerazioni identitarie prodotte dalla situazione storico-politica dell'isola e sul suo passato rurale • Drammi al femminile per sottolineare il cambiamento dei costumi familiari • Urban Movie a vivisezionare gli stili di vita delle nuove generazioni e a mettere in caricatura le illusioni di ricchezza • Adattamenti dei romanzi ritenuti testi chiave per monitorare le mutazioni e lo sradicamento culturale delle comunità indigene Questo ampio e coeso manipolo di pellicole non permetterà ai suoi membri di guadagnare una posizione di forza all'interno della società. Al contrario, i nuovi registi verranno additati come principali responsabili della crisi del comparto a causa di una radicalità di temi e stili che avrebbe causato l'allontanamento degli spettatori dal cinema. Le vere ragioni, tuttavia, devono essere cercate altrove: in primis nell'organizzazione industriale a dir poco carente, nell'assenza di investimenti tecnologici e in un cinema popolare di bassissima qualità. Questo portò alla stesura di un manifesto del cinema taiwanese che diede la spinta ai nuovi registi per abbandonare i vecchi temi e i propri luoghi sicuri per una nuova sperimentazione. 17.2 - Eredità e metodo La New Wave, nonostante tutto, lascia molto in eredità. In primo luogo è importante ricordare il modo di rappresentazione ovvero quell’insieme di principi, norme e orientamenti stilistici che costituiscono la forma di un testo filmico. Di questo si ricordi non solo l’imporsi di un urgenza realistica ma di un'idea scientifica di racconto, il quale inizia a sottostare ad un rigore metodologico nella ricerca delle fonti, sia dirette che indirette, ad una comunità che detta e stabilisce modelli e metodi a cui attenersi è una serie di regole che devono sorreggere l'esposizione oggettiva di tesi e ipotesi. In secondo luogo, dopo il processo di democratizzazione del paese, possiamo vedere che i nuovi cineasti decidono di uscire dal guscio della memoria individuale per creare nuovi affreschi mai rappresentati sul grande schermo. In questo periodo Wang Tong realizza una trilogia ancora oggi poco conosciuta ma che tramite una serie di temi apparentemente innocui mette in luce un insieme doloroso e divertente, tragico e necessario. Hou Hsiao-hsien realizza la cosiddetta ‘trilogia della memoria’ composta da “Città dolente”, “Il maestro burattinaio” e “Good Man, Good Woman”, di maggiore forza espressiva. “Città dolente” racconta per la prima volta un incidente, del 28 febbraio 1947, durante una soppressione da parte dell'esercito e s affida ad un racconto asciutto, temporaneamente disarticolato da abbondanti ellissi e non detti con l'obiettivo di catturare lo spirito e sentimenti del tempo piuttosto che documentare. Anche con gli altri due film viene mantenuto lo stesso approccio. 17.3 - Crisi e nuovi esordi Il tema dell'identità in prestito sarà il leitmotiv che accomunerà quasi tutti i lavori realizzati nel corso degli anni ‘90. Il quadro di riferimento però è mutato lentamente, fino al suo picco, quando l'industria cinematografica, al cambio di decennio, conosce una crisi quasi irreversibile. La crisi dell'industria cinematografica non è un disastro totale. Qualche regista della vecchia guardia, come Wang Tong, riesce ancora a farsi finanziare nuovi progetti. Altri fortunati riescono anche ad esordire, in particolare, tre nuovi esponenti meritano l’attenzione: Stan Lai, Ang Lee Tsai Ming-liang. Stan Lai è un drammaturgo che per il suo esordio cinematografico adatta per il grande e schermo lo spettacolo “Secret love of Peach blossoms Land”, la storia di una troupe teatrale deve dividere il palco con altra. Le due compagnie, nel corso della vicenda, si mescoleranno sempre di più così come accade per il concetto di teatro che si vede nel film e quello che è il cinema stesso. Ang Lee esordisce con “Pushing Hands” nel 1992. Attraverso questa piccola vicenda, il regista riflette su come un sistema etico di comportamento possa scoprirsi inadeguato agli stili di vita odierne. Il film presenta la crisi del valore della pietra filiale, la dimensione internazionale e transnazionale delle nuove società, le identità sessuali dell'individuo e la fragilità della coppia. “Mangiare, bere, uomo, donna” è la prima opera del regista ambientata interamente a Taiwan. Il film capovolge ben presto i presupposti di partenza, tutto comunque ruota intorno al cibo, alla metafora di vita e delle disabilità delle tradizioni al nuovo contesto sociale. Tsai Ming-liang fin dal suo primo film tratta soggetti non così distanti da quelli di Ang Lee ma con assunti e modalità irriverenti e iconoclaste che sono proprie del regista. “Rebels of the Neon God” mostra i classici archetipi della gioventù moderna che vengono raccontati attraverso un'operazione di sfibramento della narrazione e dei nessi di causa-effetto che il regista adotterà in maniera sempre più estrema. Una presenza costante nei film del regista è quella di Hsiao-kang ovvero il suo l'alter ego che in ogni suo film avrà il compito di assorbire le contraddizioni delle società: omofobia repressa, l'inquietudine, il disorientamento, eccetera, eccetera. 17.4 - La seconda (e più debole) onda del Nuovo Cinema Nonostante la crisi nascerà presto un'altra New Wave. Con il passare degli anni anche i rappresentanti più vigorosi del Nuovo Cinema abbandonano i temi nativisti e gli approcci auto-biografici. In particolare, Hou Hsiao-hsien comincerà ad abbracciare soggetti più contemporanei e accoglierà nella sua poetica vagabondi e divagazioni, luci acide e legami deboli, montaggio fluido e musica ipnotica. Anche Edward Young ritorna alla ambientazioni del presente perfezionando la capacità di raccontare storie corali. Tutto ciò porterà alla nascita e alla formazione di una nuova onda di giovani registi composta da personalità comunque già mature. Lin Cheng-sheng è una delle personalità più importanti di questo periodo. Autodidatta, una giovinezza difficile, gira pellicole sporche che risentono dei propri vissuti sia sul piano tematico sia su quello stilistico. Nel suo primo film, i temi scelti e lo stile adottato sono quelli del Nuovo Cinema anche se il registro narrativo non tende mai verso una compiacente nostalgia ed è il presente dei personaggi, non i ricordi ed il loro passato, ad interessare il cineasta. Chang Tso-chi debutta come regista con “Ah Chung” nella quale è possibile notare la sua rinnovata consapevolezza di una dimensione magica dell'esistenza, una sorta di strada invisibile delle cose e la macchina da presa cerca continuamente di evincere. Hsu Hsiao-ming realizza tre pellicole di taglio analogo ovvero “Dust of Angel”, “Heartbreak Island” e “Homesick Eyes”. Chen Kou-fu noto principalmente per il blockbuster “Double Vision” è in realtà uno dei protagonisti della seconda New Wave, importante per la sua prima parte di carriera tutta dedicata alla sperimentazione. In “Treasure Island” architetta un meccanismo narrativo inedito fondato su una serie di coincidenze che generano eventi casualmente giustapposti tra loro. Il cinema di Chen è un'esperienza di fiducia perseguita e poi interrotta anche per i personaggi che per gli spettatori. “The Personal” viene realizzato non partendo da una sceneggiatura scritta da una serie di interviste filmate e realizzate con la moltitudine di uomini che cerca l'anima gemella attraverso le inserzioni di giornale. 17.5 - Una faticosa sopravvivenza La scelta stilistica di Chen Kou-fu di rivolgere la propria attenzione verso una rimodulazione dei generi e dei ritmi narrativi rappresenta il primo indizio di un generale mutamento dei presupposti della cinematografia, in cerca di una maggiore sintonizzazione con gusti sensibilità del pubblico. Uno dei primi tentativi di esplorare il registro della commedia lo compie Wang Shau-di. La regista ha un tocco leggero, esordisce dietro la macchina da presa al fianco di Chen Yu-hsun. La pellicola ottiene grande accoglienza in quanto trasmette un'idea semplice ed originale. Sylvia Chang è una figura carismatica del panorama di Taiwan ed Hong Kong che sotto molti punti di vista può essere ritenuta la migliore portavoce di un cinema al femminile lieve, attenta ai microeventi e alla sensibilità dei personaggi, basato su scritti robusti e ovviamente, vista la sua formazione professionale, sulle abilità recitative degli attori. “La tigre e il dragone” di Ang Lee, è il primo wuxiapian pensato per un pubblico quasi esclusivamente occidentale, ripulito delle spigolosità tipiche del cinema di Hong Kong e bagnato di una filosofia new age comprensibile a ogni latitudine e grado. “Double Vision” di Chen Kou-fu, è un thriller soprannaturale con strati taoisti e venature horror ed un ticket interrazziale di protagonisti utile per esterni circuito sia nei mercati asiatici che in quelli americani. In questo lungo periodo, piuttosto che i sopracitati, sono le opere indipendenti, leggere ed innocue ad avere più successo. Questi tipi di film hanno spesso come protagonisti adolescenti e giovani, come era avvenuto per il film del Nuovo Cinema, ma non più usati come pretesto per ragionare sul senso di disorientamento identitario del paese, ma più semplicemente impegnati come specchio di un intimità fragile, specie nelle relazioni sentimentali e nel controverso processo della scoperta di se. Vengono inseriti in contesti urbani non forzatamente alienanti. Meno visibilità, ma altrettanto importantI, sono i cineasti che si dedicano al documentario e che approfittano dell'economia del digitale ed i canali di distribuzione alternativi per ottenere qualche forma di distribuzione. Il problema più grande del documentario di questo periodo che spesso non si riesce ad evitare una sorta di dialogismo con l'esperienza di nuovo cinema seguendo piste già tracciate e abbracciando sensibilità già espresse. Troviamo, tuttavia, numerosi documentari etnografici ed altri progetti di ricostruzione storica a partire dalla memoria delle vecchie generazioni. CAPITOLO 19 - DI UN VEDERE CONFUSO: EDWARD YANG E ‘A BRIGHTER SUMMER DAY’ 19.0 - Introduzione Edward Yang è un autore di un cinema algido e geometrico, i cui protagonisti, spesso esponenti della borghesia di Taipei, mancano di qualsiasi pregio personale che potrebbero incoraggiare la nostra complicità; essi non sono né gradevoli né drammaticamente diabolici ma piuttosto relativamente e intimamente repulsivi. Yang privilegia nel suo cinema la cultura urbana della Taiwan contemporanea creando un suo universo metropolitano e registrando il vuoto che si stabilisce tra i suoi personaggi e fra lo spazio che li circonda. Il suo film di più grande successo e “A Brighter Summer Day” che narra, con le sue quattro ore, un episodio di cronaca nera che ha per protagonista un adolescente reo di aver assassinato una sua coetanea.
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