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Il cinema dell'Estremo Oriente, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Riassunto libro per storia del cinema asiatico DAMS Torino.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 01/08/2019

Aeiduo
Aeiduo 🇮🇹

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Scarica Il cinema dell'Estremo Oriente e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Il cinema Dell’Estremo Oriente 1 – Il cinema cinese dagli anni '80 ad oggi Il termine rivoluzione culturale indica il decennio di recrudescenze condotto da Mao e dalla Banda dei Quattro tra il '65 e il '75; oggi si può considerare che la vera rivoluzione culturale è quella social-capitalista messa in atto dal Piccolo Timoniere: una rivoluzione dove il cinema ha un ruolo fondamentale. Nei primi anni '80 il cinema ha due profili: uno di propaganda per gli scopi politici, l'altro di esplorazione dei cambiamenti di mentalità e di organizzazione socioeconomica. Si sviluppano nuovi soggetti, nuovi studi che impostano politiche di co-produzione e di distribuzione, riapre l'Accademia del Cinema di Pechino: in poco tempo raddoppia il numero di film e aumentano i tecnici. Iniziano a cadere gli impianti didattici tipici del realismo socialista per formule narrative più complesse, esplorando l'ambito familiare o le minoranze, il paesaggio urbano e le relazioni interpersonali. Il decennio è segnato dall'emergere della Quinta generazione: Chen Kaige, Tian Zhuangzhuang, Zhang Yimou. Coincidenze di fattori consente a loro una certa visibilità industriale: • Assegnazione a stabilimenti periferici, approdando alla regia senza fare da gavetta; • Formazione basata sullo studio di film e testi tradizionali e occidentali; • Affiorare della New Wave degli altri paesi orientali; disinteresse verso temi contemporanei. Il primo film della nuova generazione è “One and Eight” di Zhang Junzhao del '84, che mostra nouvi metodi di rappresentazione e stile, e anche avendo problemi con la censura, riesce a mantenere il proprio spirito di rinnovo. Tian realizza due shaoshu minzu, film sulle minoranze etniche, dove per la prima volta culti e tradizioni sono raccontati senza intendo didascalico. A Huang crea una delle prime commedie sarcastiche della storia del cinema cinese, “Black Cannon Incidente”, tanto da essere inserito nella black comedy. Si tratta di cineasti che rivisitano e reinventano i canoni di genere, ampliando gli standard spettacolari e portando soggetti inediti. Chen Kaige sembra essere la guida spirituale dei nuovi autori: i suoi film del periodo conservano uno stile astratto, fondato sulla contemplazione narrativa e sul marcato simbolismo. Anche se etichettati come cineasti della Quinta generazione, queste figure non si riconoscono come in un movimento coeso, ma a unirli è la comune esperienza della Rivoluzione culturale: appartenenza ad una generazione perdutà. L'uso ambiguo e stratificato del linguaggio audiovisivo lega le loro produzioni che, attraverso lavori diversificati affermano: il mostrare sul raccontare, il visibile sul narrabile e l'immagine sulla sua interpretazione. Un'altra tendenza è la delegittimazione delle figure istituzionali, attraverso figure chiaro/scure di soldati e capi di villaggio: nel cinema Realista socialista erano figure da seguire e imitare, ma negli anni '80, gli eroi del popolo, subiscono un processo di sfibramento psicologico. I loro film seguono un doppio criterio narrativo: smontare l'eroismo solitario associato agli uomini in uniforme, lavorare sulla sfera psicologica in cui sono inseriti senza possibilità di scelta. La Quinta generazione determina anche la tendenza alla raffigurazione della Cina medievale, mitizzata, spesso criticata per le pratiche barbarie, ma che sfoggiano una sorta di esibizionismo culturale. Si punta ad affascinare lo spettatore manipolando la realtà. Il cinema postmaoista consiste dell'attivazione di un processo di demitizzazione dell'universo liturgico socialista e di re-mitizzazione di un universo archetipo dentro il quale si cala l'individuo secondo nuovi/vecchi compiti. Con la soppressione delle proteste studentesche in Piazza Tiananmen, '89, rappresenta un punto di non ritorno sul versante mediatico-finzionale: relativo all'immaginari, racconto e paradigmi di rappresentazione. La fotografia di un giovane studente che si contrappone a quattro tank segna l'ingrasso della Cina nel sistema globale dei network, incidendo una determinata idea di regime. I contraccolpi in ambito cinematografico si sono fatti sentire dopo pochissimo tempo: quella foto ha spinto il pubblico straniero a richiedere la reiterazione di quell'immaginario di ribellione, modificandosi le modalità di produzione e facendo emergere una nuova generazione di registi dovevano camminare insieme a quei registi. Il funzionamento industriale cinematografico cinese si trasforma in un ricalco di quella fotografia, anche se il cinema degli anni '90 è complesso: da un lato la censura, dall'altro si rievoca il film storico-rivoluzionario. Tra biografie sui principali leader del partito e cronache delle più importanti battaglie rivoluzionarie, sviluppandosi 35 leitmotif film 1 ricorrenti. Queste pellicole dovevano consentire agli stabilimenti di guadagnare i fondi necessari per variare l'offerta e aumentare la quantità delle loro produzioni: calcolo strategico disastroso perché solo 5 titoli riescono a recuperare il budget investito. Il disinteresse da parte della pubblica verso questo cinema spinge la Cina ad aprirsi verso il cinema americano, con fortissimi cali di produzione interni. Un'altra conseguenza dell'avvenimento della piazza è la dispersione della Quinta generazione: il loro eclettismo consente loro di continuare a girare film, senza addossarsi etichette troppo scomode, ma anche senza trovare spesso il bandolo della matassa dandosi al film di genere e al mainstream. Un ultimo loro momento di congiunzione lo si ha tra il '92-'94 con film come “Addio mia concubina” di Chen, “The blue Kite” di Tian, “Vivere!” di Zhang, “Blush” di Li, tutti film che portano le fasi più contradditorie del maoismo. Una sfida lanciata alle autorità, opere di personalità che vantano una fama internazionale e che possono osare film dai tagli revisionisti: usciranno sconfitti dalla disputa, venendo allontanati dal cinema. A riaprire la sfida con il regime sarà la Sesta generazione: Zhang Yuan, Wang Xiaoshuai, He Jianju, Wu Wenguang, Ning Dai e gli SWYC. Il primo cineasta che lavora fuori dal sistema pubblico è Zhang Yuan; il suo film d'esordio “Mama” del '92 mescola fiction e documentario, narrando l'amore di una madre verso il figlio disabile. Il successivo non ha più alcun logo statale, dato che le sovvenzioni arrivano da Rotterdam; da li a pochi mesi inizia a realizzare film al di fuori dal circuito ufficiale. Errore è, comunque, considerare la dimensione mainstream e quella indipendente opposti: molti compagni di corso di Zhang lavorano all'interno degli stabilimenti statali, con una distribuzione ufficiale. Parallelamente si sviluppa il movimento di documentaristi indipendenti: si sfruttava l'impianto del documentario propagandistico per descrivere fenomeni sociali e culturali del paese. La figura più importante è Wu Wenguang che realizza nel '90 “Bumming in Beijing – The Last Dreamer” che parla di giovani immigrati che tentano di avere fortuna: opera amara, solitaria e pessimistica. Questo documentario venne considerato il primo vero documentario cinese, dato che assorbe appieno il mood del tempo raccontando come l'urbanizzazione incide sulla vita delle persone. Tali film conservano un'omogeneità tematica: cerchi concentrici che partono da un unico centro gravitazionale rappresentato dall'occhio del regista. Attorno a lui ruotano artisti, successivamente altre figure socialmente marginali e non aderenti al mondo dello spettacolo come anziani e malati, successivamente la non rappresentazione dei fatti di piazza Tiananmen. Tale status si rispecchia su oggetti e ambienti, tanto che la Sesta generazione sarà considerata la Generazione urbana per ribadire la centralità assoluta del contesto metropolitano. In questo contesto Ning Ying si ritaglia un ruolo decisivo: con la trilogia pechinese, “For Fun” '93, “On the Beat” '95, “I love Beijing” '00, il percorso sintetizza l'evoluzione del panorama cinematografico tra la metà degli anni '90 e la fine del 2000. Progressiva estensione dell'abbraccio figurativo e spaziale, accentuazione ripartizione del tempo lavorativo, alterazione della modalità di abitazione del reale, concetto di trasformazione che crea personaggi immobili e narcisisti. La città non è più un anfiteatro, ma rovina e non luogo di spettacolo. Negli ultimi dieci anni il cinema cinese è radicalmente cambiato: aumento straordinario di produzioni e profitti, concorrenza spietata interna ed esterna, investimenti in tecnologie, ampliamento domanda e offerta. La riorganizzazione del settore ha dato i suoi frutti e anche la censura governativa si è attenuata. L'avvento del digitale e la diffusione delle grandi e piccole produzioni offrono appigli per tracciare la storia del cinema. I primi sperimentatori nell'abbandonare la pellicola per abbracciare il digitale sono Wu Wenguang, Yang Tianyi, Zhu Chuanming, Wang Fen. È ancora il documentario l'avanguardia delle nuove tendenze artistiche, in più con il digitale è possibile lavorare con equipe ridotte e con tecnologie tascabili. Il digitale ha consentito in Cina la formazione di immaginari collettivi dal basso e una circolazione di idee artistiche di rara intensità. Insieme al digitale si erge una nuova generazione di cineasti indipendenti, si assiste a una proliferazione di debutti cinematografici che testimoniano il pensiero e che raccontano una piccola fetta di pensiero: molti non vanno oltre al primo film, altri riescono ad entrare nel sistema statale. Uno di questi è Wang Chao e Liu Bingjian. Fra loro si distingua anche Jia Zhang-ke per carisma e lucidità: il suo primo film è “Xiao Wu” del '97, girato in uno sporco 16mm su di un borseggiatore che, insieme al regista libero professionista, è incapace di arricchirsi e 2 con il reale, tra esperienza singola e ripercussione collettiva. Jia Zhang-ke è partecipe di un settore industriale dominato da processi di automatizzazione, cercando di essiccare le immagini nella terra, non per raggiungere un realismo, ma per condividere le responsabilità del disegno significante, sfruttando i materiali di scarto dell'industria cinematografica. La sintassi non deve essere considerata originale, perché già utilizzata da altri produttori di immagini, ma innovativa nella dimensione del riuso e riciclo: ciò richiede flessibilità e rischio. Alcune convenzioni estetiche sono: l'equilibrio tra sforzo astrattivo e immersione nel reale, attraverso inquadrature trasversali, attivando un campo di tensioni dove sia percepibile il sentimento di inadeguatezza; concezione del film come composizione sinfonica, scolpendo il tempo e sciogliendo il tempo, sono i rumori delle attività umane a scandire la battuta; scolorimento delle principali modalità enunciative di una narrazione. Si sono individuati tre soggetti: il potere, l'individuo e l'artista. 5 – Il cinema sudcoreano dagli anni '90 ad oggi La storia della Corea del sud degli ultimi cent'anni può essere divisa in tre grandi periodi: l'occupazione giapponese del 1907 fino alla fine della SGM; l'inizio della guerra con la Corea dle Nord del 1948 e la successiva divisione del paese del 1952; periodo della democrazia con l'elezione di Kim Young-san del 1992. Gli anni '70 furono il periodo peggiore nella storia della Corea. Nonostante tutto ciò, il cinema coreano aveva già vissuto due età dell'oro: fra il '26 e il '38 e tra il 5 '55 e il '69. Tuttavia, la legge sul cinema del '62 imponeva alle case di produzione di dover ottenere una licenza governativa, fatto che bandiva le produzioni indipendenti, in più era presente una forte censura. Negli anni '70 la situazione si aggrava: una fortissima diminuzione degli spettatori e dei prodotti, la legge imponeva che una casa di produzione potesse distribuire un film straniero solo dopo aver realizzato un certo numero di film nazionali. La revisione della legge sul cinema ha diverse revisioni: nell'84 attenua il sistema di controllo statale; nel '86 le compagnie di produzioni estere possono operare direttamente sul suono coreano senza dover affidarsi a compagnie coreane, in questo modo la Corea divenne terreno di caccia delle majors hollywoodiane, con netto aumento delle pellicole importate. A causa di ciò, il cinema dell'epoca nazionale sembrava sull'orlo del precipizio, ma in realtà questo fatto permise una crescita del cinema coreano che gli permise di entrare in concorrenza. Negli anni '90 il pubblico è indifferente rispetto al cinema nazionale. Tuttavia, in questi anni si registra l'ingresso del mondo della produzione cinematografica deli grandi conglomerati industriali, Samsung, LG, Hyundai, che risolvono la mancanza di capitali per le produzioni cinematografiche. Il governo democratico inizia a prendere una direzione di promozione del cinema, con una legge di sostegno del '95 e con una sostituzione della censura nel '99 con il Korean Rating Board. Si inserisce la Korean Film Commission, associazione non governativa che promuove e distribuisce film nazionali di alta qualità anche all'estero e sostenendo le produzioni. La crisi economica del '97 sarà influente sul cinema. Dal '96 al 2000 è la prima fase del boom del nuovo cinema coreano, stava prendendosi il testimone lasciato dal cinema hongkonghese e riappropriandosi un gusto popolare. Si considera l'inizio del successo con l'uscita di “Shiri” nel '99, realizzato con un budget doppio rispetto alla normalità, racconta di un gruppo di terroristi nordcoreani che tentano di uccidere il presidente del sud: il film scala la classifica degli incassi, superando “Titanic”. Le ragioni del successo stanno nella forma di spettacolarità e di nazional-popolare dato dal tema del conflitto delle due Coree. Con il successo del film nasce l'epoca dei blockbuster: grazie a questi film, non tutti di successo, dal 2000 in poi la percentuale d'incasso salirà moltissimo. A partire dal 2001, a causa dell'enorme successo del cinema coreano, nasce un interesse internazionale facendo si che i diritti di film e remake vengano acquistati da distributori esteri, in particolare in Giappone dove si sviluppa una moda sulla cultura popolare coreana. I dati negativi sono: numero elevato di blockbuster fallimentari; la ricerca del successo ha spinto a una produzione mainstream e stringendo lo spazio per altre forme di cinema; enormi costi di produzione dei film e degli attori, aumentati dalla maggior produzione; il crollo del successo estero del 2006, facendo cadere molte piccole case coreane; la grave perdita spinge il governo a diminuire lo Screen Quota System, con un progressivo calare di incassi con il passare degli anni, fino ad arrivare al giorno d'oggi dove il cinema coreano si trova ad un bivio. I registi degli anni '80 sono spinti da un profondo impegno sociale: analizzano i conflitti di classe, considerandolo il problema principale a partire dagli anni '80, ma il governo impose una censura severa. Nell'88 si stabilisce l'era del realismo sociale, caratterizzando il punto di partenza dei registi che iniziano in quegli anni: la realtà. I nomi più rappresentativi sono Park Kwang-su, emblema del cinema politico e militante non commerciale, e Jang Sun-woo, cinema di storia recente e delle condizioni sociali dando attenzione sia alla realtà dell'esperienza religiosa sia a quella del desiderio sessuale. Tematiche ricorrenti sono: proteste studentesche, movimento democratico, lavoro operaio, oppressione femminile, conflitti di classe, Chang-san kotmae che è un movimento cinematografico nazionale di film militanti. Nella generazione successiva debuttano, fra il '96 e il '98, Hong Sans-soo; Kim Ki-duk; Kang Je- gyu; Kim Sung-soo; Lee Chang-dong: quasi tutti registi che rappresentano il cinema di oggi coreano, un periodo di felice convivenza tra cinema d'autore e popolare. Il boom di esordi dà vita a una rivoluzione generazionale, creando problemi ai registi del passato: i giovani esprimono la delusione all'adempimento degli ideali nel periodo successivo alla trasformazione del paese in senso democratico, insieme alle frustrazioni nelle nuove élite al potere. Con “Shiri” il cinema coreano entra nell'età dell'oro. La grande produzione di blockbuster ha schiacciato una forma sperimentale e di ricerca del cinema coreano. Il cinema coreano si caratterizza per essere di genere, ma la 6 mescolanza di generi è un altro tratto peculiare: più marcato rispetto all'occidente e riprendendo il cinema di Hong Kong. Anche con l'esaltazione dei blockbuster, si sono riusciti ad affermare registi con lo statuto di autori: Kim Ki-duk, Hong Sang-soo e Lee Chang-dong. Il primo esordisce alla regia nel mondo delle produzioni indipendenti; con “The Crocodile”, '96, firma il primo film divisi fra violenza e sentimento, concentrandosi su personaggi emarginati, orchestrando un mondo che agisce attraverso le pulsioni sessuali e di morte. “L'isola” è il primo successo internazionale; l'acqua è un componente fondamentale nel suo cinema come spazio materno di riparo. L'opera più emblematica dell'autore è “Real Fiction”. Dopo “Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera” raggiunge il grande pubblico, attenuando la violenza dei primi lavori, spostandola su di un piano morale. Hong Sang-soo si oppone con un cinema minimalista; i suoi eroi senza qualità, intellettuali e artisti raramente sono mostrati al lavoro, occupati dalle vicende sentimentali. I suoi film hanno una struttura aneddotica, si scandiscono in parti divise in giochi di ripetizione e di ellissi, in ambienti quotidiani e spogli. Sembra rifarsi ai modelli della Nouvelle Vague taiwanese al cinema di Hou Hsiao.hsien e Edward Yang come composizione dell'immagine e di articolazione della narrazione. Più vicino al cinema di genere e pulp è Park Chanwook, che con “Old Boy” ha ottenuto il premio al festival di Cannes; Park è stato a lungo un critico cinematografico d'assalto con amore verso il B- movie americano. Con “JSA” dimostra le sue potenzialità commerciali riprendendo il tema del rapporto fra le due Coree, rovesciando la tradizionale e negativa rappresentazione del nordcoreano, imponendo una struttura narrativa costruita da flashback menzogneri, che Park riprende da Hitchcock. Altre figure più legate alla tradizionale nozione di cinema d'autore troviamo Im Sang- soo, vena ribelle e franchezza sul tema della sessualità, Hur Jin-ho, riprende il genere per eccellenza cioè il melodramma adattandolo alle condizioni dell'uomo moderno e privandolo delle sue tradizionali componenti a tinte grazie al minimalismo e uno stile pacato, e Lee Yoon-Ki, anche lui ha uno stile pacato capace di sondare in profondità l'animo umano delle protagoniste femminili. Legati al cinema di genere sono: Bong Joon-ho, con “The Host” crea il film di maggior incassi della storia del cinema coreano, Jang Jin, e Ryo Seung-wan, è il cineasta coreano più vicino al cinema hongkonghese in particolare per il peso delle scene d'azione e di combattimento. 8 – Ritratto d'autore – Senza famiglia: il cinema di Lee Chang-dong Con solo quattro film, Lee Chang-dong è una delle figure chiave del cinema coreano: esordisce nel '97 a 43 anni con “Green fish”. Il film riceve buoni riconoscimenti critici senza agitare le acque del cinema coreano, ma con il successivo “Peppermint Candy” segna un momento nella storia del cinema del paese: narra la storia degli ultimi vent'anni della Corea del sud ripercorrendo i momenti salienti attraverso le vicissitudini di un uomo. Crudele, violento e surreale è il successivo “Oasis”, storia dell'amore impossibile fra un giovane con problemi mentali e una ragazza tetraplegica. L'ultimo film è “Secret Sunshine”. Sin dalle battute iniziali, i suoi film danno vita a una poetica dell'intruso, con l'arrivo del 7 '92. I suoi temi sono: il rapporto alienante tra uomo e metropoli, l'esistenza come parte tra dolore e morte. I suoi protagonisti sono ordinari uomini sotto pressione, accade qualcosa che manda all'aria il loro sistema di vita, gettandoli nel caos e rifacendoli pensare la propria esistenza cambiandoli in meglio, anche se irriconoscibili. Gli anni '80 si chiudono con l'esordio di Kitano, il cineasta che conquisterà il prestigio a livello internazionale, divenendo l'emblema di un Giappone che è diventato il paese degli anime e manga. Si afferma negli anni '70 come attore comico e polemico televisivo, arrivando alla regia con un percorso differente da quello tradizionale. Con “Violent Cop”, '89, esordisce alla regia, con la storia di un poliziotto che lotta contro una banda e un killer: è il primo di una serie di pellicole sulla yakuza interpretate dallo stesso kitano. Questi film riscrivono il genere yakuza, allontanandosi sia dalla forma classica dei ninkyo eiga, sia al realismo documentaristico di kinji. Insieme ad altri film non legati alla yakuza, Kitano si dimostra un punto di riferimento per gli autori giapponesi; tutti i suoi film sono coesi: fondati su una dialettica di violenza e gioco, crudeltà e dolcezza, montaggio sregolato, recitazione essenziale e afasica: intensità espressiva della tradizione giapponese con la libertà inventiva dei manga. Viene criticato di essere alla ricerca del gusto occidentale, e per allontanarsi dall'occidente mette in scena sé stesso in due film: “Getting Any?”, '95, e “Glory to the Filmmaker”, 2007, film ricchi di situazioni comiche no-sense e sketch di tipo televisivo tipico giapponese, ma il tutto con una cornice drammatica. L'ultimo film di Kitano è “Achilles and the Tortoise” del 2008, un'opera più compatta, creando una fusione tra dramma e commedia. Il cinema giapponese contemporaneo è fitto e frammentato: i principali autori giapponesi contemporanei sono Ichikawa, Koreeda e Kawase. Ichikawa esordisce nel cinema di finzione con “BuSu” nell'87: stile calmo e controllato, narrazione distesa, approfondimento interiore dei personaggi, attenzione al singolo gesto, tanto che la critica ha giudicato il suo stile come Jimi, cioè calmo. È l'allievo spirituale di Ozu. I suoi film si radicalizzano bene nella realtà giapponese contemporanea, soprattutto per la sua capacità di esprimere bene sentimenti e paure. Hirokazu è principalmente un documentarista. È un cinema di osservazione e di rapporti interpersonali, si basa sul ricordo e la memoria per definire l'identità dei personaggi. I primi tre film “Maboroshi”, '95, “After Life”, '98, e “Distance”, '2001 sono acuminati tra loro per il desiderio di abbattere il divario tra fiction e documentario: il materiale di fiction si incastra con quello del documentario. Con “Still Walking”, 2008, si avvicina alla sua aspirazione originaria, omaggiando Ozu: racconta 24 ore di una famiglia che commemora il primogenito scomparso: legame tra memoria e perdita presente nei suoi primi film. Kawase Naomi, anch'essa documentarista, segnata profondamente dalla dimensione autobiografica e attenta al sociale. “Sukazu”, '97, è a metà tra fiction e documentario, raccontando di un villaggio che abbandona le tradizioni per la crisi economica. I suoi documentari riprendono caratteri familiari e i film mescolano elementi di documentario e finzione. La filmografia si dimostra coesa in cui domina un approccio documentaristico, paesaggio naturale e attenzione al dato quotidiano. Un'altra figura chiave è Aoyama Shinji; i suoi primi film sono legati al cinema di genere narrando storie di yakuza, il suo interesse verte di più sui personaggi e lo stile piuttosto che sulle dinamiche dell'azione. Figure marginali che faticano a instaurare legami, il trauma con cui bisogna fare i conti per ridefinire la propria identità, tempi morti in cui non accade nulla. E' soprattutto con “Eureka”, 2000, che il regista si conquista la fama internazionale: il film è la summa del suo cinema nel riproporre personaggi costretti dagli eventi a una vita marginale e a confrontarsi con i traumi. I suoi film successivi non raggiungeranno più tale intensità. Importante è la frequenza ai corsi di Kurosawa insieme ad altri futuri cineasti come Shiota, si caratterizza per la rappresentazione della complessità dell'adolescenza. Importante anche Hashiguci, formatosi con l'8mm come gli altri registi. Il suo primo lungometraggio è “Touch of Fever” del '93, storia di due adolescenti che si prostituiscono in un locale gay: il film fissa la principale tematica del regista, l'omosessualità e i suoi rapporti con la società, ma anche una stilistica ben precisa con piani lunghi e fissi. Con “All Around Us”, 2008, esce dalla tematica dell'omosessualità per mettere in scena un dramma di una coppia che vuole ristabilire il proprio rapporto dopo la morte del figlio. Miike Takashi si è formato nell'ambito del cinema OV, esordendo nel '91, per poi passare a 10 realizzare film in pellicola. L'aspetto più evidente nel suo cinema è la violenza oltraggiosa e l'intensità espressiva generando situazioni puramente audiovisive, ispirate dai manga. Si ha un vero e proprio percorso tematico che unisce le sue opere: prima di tutto l'assenza di radici che accomuna i suoi personaggi, che ne fanno degli emarginati, ciò spinge la ricerca della felicità con atteggiamenti di nostalgia e tentando di costruire un'unità familiare. È il loro fallimento a generare la violenza che caratterizza il regista. Toyoda Toshiaki esordisce con “Pornstar”, '98; il suo più grande successo è “Blue Spring”, '2002, basato sul manga di Matsumoto, mostrando un mondo gerarchico e spietato di studenti, metafora delle rigide strutture gerarchiche dell'intera società. I suoi personaggi sono complessi. Il genere che ha contribuito al successo commerciale e al prestigio del Nuovo Cinema è l'horror. Il J-Horror non fa più splatter, ma lavora sulle colpe delle persone che riaffiorano in forme mostruose, con inquietanti atmosfere psicologiche che riprendono gli stilemi del kaidan eiga, film di fantasmi giapponese, talvolta perpetrati tramite forme di comunicazioni, tipo vhs per “The Ring”, come distopico sguardo alla società in cui la morte è segnata dallo sviluppo tecnologico. Nakata entra nel cinema erotico della Nikkatsu come assistente di Konuma Masaru. Va a Londra dopo aver girato degli episodi di una serie Tv horror; nel lungometraggio “Ghost Actress”, '96, mostra la sua predilezione per l'horror, finché non gli viene commissionato l'adattamento cinematografico del romanzo "The Ring" di cui farà anche i sequel. Centrale è il tema dei fantasmi vendicativi, dell'alienazione tecnologica e la frantumazione dell'unità familiare; il regista sarà considerato il maestro del J-Horror. Tornato in patria, dopo il sequel del 2005, gira “Kaidan” che onora la tradizione dei film di fantasmi giapponesi. Shimizu, allievo di Kurosawa, firma la serie “Ju-on: The Grudge”, 2000 per il mercato OV, su due spiriti di madre e figlio che si vogliono vendicare, entrambi subiscono violenze dal padre. Gli eventi narrati non sono cronologici, mettendo in luce il problema della crisi economica degli anni Novanta, la volenza domestica e le incontrollate reazioni alla perdita di autorità della figura maschile. Un altro genere che caratterizza il Nuovo Cinema giapponese è il cinema nero: il noir. Hayashi, autore postmoderno, fa una rilettura del cinema giapponese passato e del noir. “To Sleep So as To Dream”, '86, stravagante e visionario, ha una forte componente surreale. “The Most Terrible Time in my Life”, '94, è un film in bianco e nero richiama il pop-noir della Nikkatsu degli anni '60 e il detective-movie americano, anche nell'uso dell'illuminazione. Alcune caratteristiche principali sono: un andamento ironico, sfondamento della quarta parete, tematiche di malavita e immigrazione. Tenta di farsi strada in America, ma fallisce; dopo aver fatto il produttore torna alla regia con “The Code” del 2008. Ishii Takashi affiancò il noir postmoderno e ironico a Hayashi, personale e referenziale, è profondamente drammatica. Si afferma con “Original Sin”, '92, su una donna stuprata, anticipando i suoi prossimi noir. Il film più apprezzato è “Gonin”,'95, su uomini che decidono di rapinare una banda yakuza, che poi li rintraccerà. Cupo e pessimista, il film è il ritratto dell'insicurezza della società giapponese negli anni della crisi. Forma di violenza estetizzata, in piani sequenza e obbiettivi grandangolari, con una grande maestria tecnica ed espressiva. Una terza via del neo-noir giapponese è percorsa da Sabu, che parte come musicista, poi attore ed esordisce alla regia con “Dangan Runner”, '96. I suoi film sono ciniche commedie d'azione in cui i personaggi sono in balia del destino. Dirige altri film oltre le stravaganti e scatenate commedie noir, film più drammatici come “The Blessing Bell”, 2002, e kanikosen, 2009. Ultima fra le grandi cinematografie a insistere ancora sul cinema erotico in pellicola, anche se il predominio è quello diretto alla home video. Il Giappone ha visto molti dei protagonisti del Nuovo Cinema formarsi proprio nell'ambito della produzione erotica, in particolare Zeze Takahisa. Zeze è l'esponente di spicco sul cinema erotico, sopravvivendo nonostante l'invasione dell'home video. Il Pink è il settore più attivo della produzione indipendente che continua ad essere una palestra per giovani cineasti. In quegli anni nasce il gruppo Shitenno, i quattro imperatori, del quale fanno parte quattro film maker che usano il cinema Pink come un modo per esprimere sé stessi e la propria visione del mondo e del cinema. Zeze il cineasta che si è conquistato più di tutti il favore della critica. Viene tentato anche dall'horror, che viene, però, contaminato dal Pink, e viceversa. I suoi film sono tristi e brutali, con personaggi disperati, omogenei nell'uso del paesaggio e dalle forti valenze espressionistiche, tempi morti, inquadrature fisse, piani vuoti, mondo minimalista in cui si 11 comunica solo tramite il sesso fine a sé stesso e violenza. In questi anni il Giappone ha visto emergere per la prima volta una generazione di cineaste donne: si tratta di registe nate negli anni '70 e che esordiscono nel nuovo millennio, caratterizzandosi per la sensibilità con cui mettono a nudo diversi aspetti e contraddizioni della società giapponese contemporanea. Nishikawa esordisce nel 2003 con “Wild Berries” sul crollo di una famiglia borghese a causa della perdita di lavoro del padre. Si concentra sul rapporto tra i figli e il contrasto tra le apparenze e la verità, entrambi argomenti che riprende in “Sway”, 2006, e “Dear Doctor”, 2009. Naoto Ogigai vince il PiaFF con “Yoshino's Barber Shop” nel 2004, un film su un bambino trasferito che non vuole tagliarsi i capelli come i suoi coetanei del suo nuovo luogo di residenza: individuo vs gruppo. Tanada Yuki, anche lei vince al PiaFF nel 2001 e esordisce con il lungometraggio “Moon and Cherry” nel 2004 in cui narra in modo anticonvenzionale e dissacrante di una giovane scrittrice di racconti erotici. La sessualità è il tema anche di “Sakuran”, 2006. Il cinema giovanilistico è molto rilevante in Giappone, il seishun eiga ha conquistato una dignità artistica coi film dei registi della Nouvelle Vague degli anni '60, come con Oshima con "Racconti crudeli di gioventù",'60, per poi diffondersi grazie all'abbassamento dell'età media del pubblico cinematografico giapponese. Principalmente si sviluppano due filoni principali: il primo tratta il tema della prostituzione adolescenziale, enjo kosai, che durante il decennio perduto ha fatto delle scolarette, consapevoli del loro potere sessuale e del loro bisogno di denaro, un feticcio dei quaranta/cinquantenni. Il fenomeno incrocia due realtà: da una parte i rori kon, complesso di Lolita, degli adulti che cercano nel sesso l'evasione dagli obblighi della società, dall'altra i giovani che si danno al consumismo sfrenato. Dopo il romanzo “Love and Pop” di Murakami, Hideaki Anno, nel ’98, fa un adattamento con la sua solita regia (inquadrature brevi, montaggio frastagliato, cambi di prospettiva, immagini grandangolare). “Bounce Ko gals”, ’97, è più un documentario utilizzando una MdP a mano. “Scoutman”, invece, tratta dei bassi yakuza che reclutano giovani ragazze per introdurle al porno e la prostituzione; entrambi i film mostrano un consumismo sessuale, al livello delle mutande usate. Al centro dell’attenzione è la figura della shojo, adolescente di sesso femminile, marginando la figura maschile dell'otaku o del hikikomori, entrambi soggetti di film come “Perfect Blue”, sia animato di Satoshi Kon che di live action di Toshiki. Questo cinema mostra la rabbia che, al posto di venir sfogata, viene introiettata. Si parla di bande giovanili e bullismo. Shunji Iwai si forma nell'ambito dei video musicali e della musica, acquista fama in serie televisive di mediometraggi sulle inquietudini del mondo giovanile come “Undo”, ’94, e “April Story, ‘98. Il successo nel ‘95 di “Love Letter” rende Shunji un idol delle nuove generazioni e progetta “Swallowtail Butterfly”, sui sogni di immigrati cinesi raccontati da un adolescente cinese, utilizzando un montaggio rapido. Venne accusato di superficialità, ma egli non cede alle lusinghe del grande cinema, non si appiattisce alle modalità dominanti e scrive di sentimenti senza diventare melenso. 10 – Ai margini: storie di outsider del nuovo millennio Il cinema giapponese del nuovo millennio ha dimostrato una notevole vitalità nel riuscire a imporre una nuova generazione di cineasti che ha saputo degnamente proseguire il lavoro di quella degli anni Novanta. Sono quattro gli autori più rappresentativi: Sion Sono, Hiroki Ryuichi, Kibayashi Mashiro e Yamashita Nobuhiro. Questi registi hanno in comune il fatto di aver realizzato i loro film più importanti nel corso del 2000; i loro personaggi si muovono ai margini della società e rappresentano le inquietudini del Giappone dopo gli anni di crisi. Sono tutti autori che si muovono al di fuori del cinema mainstream. Poeta, scrittore, attore e musicista oltre che regista, Sion Sono è una delle personalità più originali e inquieta del Giappone. Esordisce con “I am Sion Sono” nel '85, si tratta di una lettura delle sue poesie; con la vittoria al PiaFF con il corto “A Man's Hanamichi”, Sono esordisce con il suo primo lungometraggio “Bicycle Sighs”, '90. Anche vincendo diversi premi con i film successivi, l'attività cinematografica del regista negli anni '90 non è la principale, dedicandosi principalmente ad altre attività artistiche, ma nel nuovo millennio il suo rapporto con il cinema cambia divenendo in suo 12 sparsi nel mondo; negli anni '80 inizierà ad essere surclassata dai successi della Golden Harvest, smettendo momentaneamente la produzione nel '83. Da ciò emergono nuove case di produzione indipendenti, chiave sarà il ruolo della Cinema City, dando vita al Cinema City Style: formula fatta di commedie cantonesi di intrattenimento con effetti speciali e grandi nomi dello star system. Si dedica a film di ambiente moderno e contemporanea, trascurando le arti marziali. Tsui Hark, nella sua Film Workshop, vuole migliorare lo standard del cinema di Hong Kong attraverso accurati effetti speciali e sofisticate tecniche espressive, ricche di sceneggiature. Saranno i film diretti da lui a determinare in occidente un nuovo interesse per il cinema di Hong Kong. L'ultima età dell'oro è tra l'86 e il '93. La crisi arriva nel '93, con il successo dei film americani in oriente e della pirateria. È in questo contesto che bisogna considerare la fuga di molti cineasti hongkonghesi verso Hollywood. Nel '70 nasce Radio Television Hong Kong, lanciando la serie “Below the Lion Rock”: l'intento principale è quello di illustrare le scelte del governo locale e di propagandare gli obiettivi, ma quando la dirigono i nuovi esponenti, Ann Hui e Allen Fong, gli episodi arrivano a mettere in discussioni le scelte dello stesso governo, offrendo uno spaccato approfondito della realtà sociale della colonia. La popolarità della trasmissione spinge altre emittenti a trattare più attentamente la società. Nel '77 nasce l'Hong Kong Film Festival, affermandosi come il più prestigioso dei festival asiatici. La caduta del cinema di arti marziali degli anni '70 spinge alla ricerca di nuovi talenti tra gli autori televisivi, che esordiranno tra il '78/'80, molti dei quali sono nati in una Hong Kong economicamente al passo, studiano in occidente e tornano in patria pronti a mettere le mani in pasta senza apprendistato. Non sono più emigrati della Cina continentale permeati dalla nostalgia di casa, bensì si trovano legati alla realtà di Hong Kong sospesa tra Oriente e Occidente con l'imminente ritorno in madrepatria, sviluppando enormi crisi d'identità. A livello tecnico, i registi televisivi come Patrick Tam, Ann Hiu e Allen Fong preferiscono uno stile televisivo con piccoli gruppi con location, improvvisazione e sfruttamento del paesaggio hongkonghese. Sperimentazione stilistica e interesse per le contraddizioni giovanili. Forte legame con il cinema di genere a differenza delle altre New Wave, ma gli autori più radicali spariscono o vanno dalle major già durante la prima metà degli anni '80. Ann Hui, esordisce nel '79 con “The Secret”, thriller psicologico vicino a Bergman o Hitchcock, ma diviene famoso per la trilogia vietnamita, televisiva, che parte da “The Boy From Vietnam” del '78, prosegue con “The Story of Woo Viet” e “Boat People”. Il secondo, su un giovane che vuole andare in America ma finisce nella malavita, è un melodramma dai toni cupi ma non si arena nelle banalità umanitarie; questa trilogia denuncia la fuga dei sino-vietnamiti come una tragedia, come metafora della diaspora cinese, con le sue ansie collettive. Patrick Tam è ritenuto il formalista. All'inizio si ispira apertamente a Godard; filma “The Sword” con la Shaw Brothers, creando un eroe di wuxiapian passivo e autodistruttivo. Si radicalizza con “Love Massacre”, '81, e “Nomad”,'82: il primo è la storia d'amore e morte di una coppia a San Francisco, un thriller/melodramma con riferimenti occidentali a Godard, taglio inquadrature, uso del colore e contrasti. “Nomad” è spostato verso il Giappone: storia di quattro ragazzi e un terrorista giapponese. Tono straniato, colori primari insistiti, la trama prosegue per segmenti autonomi con riferimenti alla cultura europea. Entrambe sono storie di massacri, facendo da specchio a una Hong Kong in clima di tensione, ma con un carattere sperimentale e una vocazione al formalismo d'autore di difficile vita nel mondo ipercommercializzato del cinema. Allen Fong ha utilizza, invece, modelli del melodramma cantonese, neorealismi e Truffaut. Esordisce con “Father and Son” nell'81, storia di un ragazzo che si appassiona di cinema nella povera Hong Kong degli anni '50. Stessi temi ripresi in “Ah Ying”. Neorealismo più Nouvelle Vague francese, mondo proletario e riferimenti culturali al cinema hongkongese. Tsui Hark, formatosi nella televisione con la serie wuxiapian “Golden Dagger Romance” del '78, evidenzia una propensione agli orizzonti del grande immaginario anziché del tema sociale. “The Butterfly Murders” è ispirato al film di arti marziali classico; la commedia invece ispira “We Are Going to Eat You”, un tizio che si imbatte in cannibali, metafora del consumismo onnivoro della nuova Hong Kong. Con “Dangerous Encounter”, '80, dal suo contributo maggiore alla New Wave: ambientato negli anni anticoloniali di Hong Kong, dei ragazzi, per caso, fanno un attentato in un cinema: specchio del disorientamento dei giovani, un teatro della crudeltà che non lascia spazio ad 15 atteggiamenti empatici. Il fallimento di questi primi tre film lo dirotterà verso il mainstream, chiudendo il periodo della New Wave hongkonghese. Ma nell'84 fonda la Film Workshop che fa fare un salto di qualità al cinema locale, facendolo affermare in occidente. I suoi successi da regista/ produttore e i suoi fallimenti sono successi e fallimenti del cinema hongkonghese. Tsui Hark costituisce il cinema di Hong Kong negli anni '80 e '90: personaggio chiave di tutto ciò che si è prodotto. Per quanto riguarda il genere del noir, si ha una svolta di genere con “A Better Tomorrow”, '86, di John Woo. Nasce come remake, diventando il modello di un cinema noir indipendente che riprende i miti e le strutture del wuxapian modernizzandolo. Eroi tragici, moralmente cavalieri cinesi, eroi che affrontano il proprio destino. Ralenti per accentuare la violenza, amicizia virile, tutto ripreso dal cinema di Kung fu di Chang Cheh. Da un lato riprende i maestri occidentali, dall’altro i valori tradizionali cinesi del cinema autoctono. I suoi eroi romantici fanno esplodere il noir hongkonghese. Ringo Lam, riprende attori di John Woo come Chow Yun-fat, preannuncia successi di Woo e influenza, con “City on Fire”, '87, Tarantino nel finale de “Le Iene”. Poeta della violenza e demistificatore della spietatezza sociale; personaggi sospesi tra bene e male che si contrappongono agli eroi cavallereschi di Woo, soprattutto nei film successivi. Quando la Film Workshop produce “A Chinese Ghost Story” di Tsui Hark, girerà il film che diventerà il suo araldo nel mondo, oltre “A Better Tomorrow”. Il modello dominante ruota attorno a una donna fantasma che torna per cercare l’amore che non ha mai trovato in vita. Con “Encounter of the Spooky Kind”, ’80, si ha il primo vero successo commerciale con un’ibridazione tra horror, kung fu e commedia e altri film reputati stupidi in occidente perché ignorante delle tradizioni di fantasmi cinesi. “A Chinese Ghost Story” mischia: la tradizione del cinema cinese wuxia, cultura Pop, horror giapponese, rifermenti a “Star Wars” e “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Tsui Hark dimostra il suo amore per il wuxiapian già in “Butterfly Murders” e “Zu Warriors from the Magic Mountain” dell’83. Nazionalista, crede che bisogni unire le forze differenti per vincere, esaltando la mitologia delle arti marziali. “Zu Warriors from the Magic Mountain” è un esplicito tentativo di far tornare alla mitologia cinese, buddhista e taoista alla sensibilità contemporanea. Si rifà al wuxiapian, aggiungendo effetti speciali e producendo immagini con una sensibilità da fumetto. Con “The Swordsman”, ’90, determina una nuova voga del wuxiapian. Il nemico è un transessuale (una tipa doppiata con la voce da uomo) che funge da cattivo che è anche un protagonista romantico che accalappia le simpatie dell’eroe. Mischia perfettamente arti marziali, melodramma e commedia. “Once Upon a Time in China”, ’91-’94, saga dedicata al personaggio storico di Wong Fei-hung, divenendo una figura d’incontro tra Cina e Occidente. Nazionalismo di Tsui. Tornerà al mondo delle arti marziali con “The Blade”, omaggio a Cheh, ha un ritmo sostenuto, una natura animale dell’essere umano e della violenza nel suo legame con gli impulsi sessuale, stravolgimento delle convenzioni di combattimento con l’inedita velocità e l’inserimento di un punto di vista femminile. Anche nell’ambito della commedia Tsui Hark ha dato un contributo essenziale con “All The Wrong Clues for The Right Solution”, prototipo della high concept comedy degli anni ‘80, integrando l’estetica di uno stile d’avanguardia pop all’istinto commerciale del cinema di genere. Il grande mattatore degli anni ’90 e 2000 è Stephen Chow con la sua comicità nonsense. Il successo del cinema hongkonghese popolare e di genere permette la rinascita di un cinema d’autore, così nella seconda metà degli anni ’80, il cinema hongkonghese si riprende e spinge il cinema indipendente: molti dei registi studiano all’estero e accumulano esperienza televisiva o come assistenti per registi della prima New Wave. Pochi anni bastano per vivere l’accordo cina- Inghilterra, che a fine ’97 cambierà le sorti di Hong Kong e li porterà a realizzare film sulla città senza passato, contradditoria e labile. Wong Kar Wai è considerato un autore di fama e prestigio internazionali, considerato il regista più autorevole del cinema di Hong Kong e uno dei più importanti su scala mondiale. Parte dal cinema di genere, noir e melodramma con frequenti rapporti con la cultura popolare con love stories e musica pop in stile videoclip musicale. Grande importanza alla letteratura: narrazione frammentata tenuta insieme dal voice over, strutture ad anelli, intrecci incrociati. Eclettismo con varie soluzioni e tecniche adottate, come piani sequenza con macchina a mano, inquadrature fisse con grandangolo e realismo. Immagini barocche, immagini con effetti ottici create in postproduzione come quelle striate e a scatti, velocità differenti 16 come lo stile MTV. Il tema dominante del suo cinema è il tempo, gli amori impossibili e la città di Hong Kong, personaggio in ogni suo film. Stanley Kwan, con la stessa esperienza di Won Kar Wai, estrae il melodramma a proprio genere di riferimento, facendolo d’autore. Al centro dei suoi film si ha sempre un personaggio femminile che oscilla tra oggetto e soggetto del desiderio. I suoi personaggi seguono di più il secondo tipo e non dimenticano mai di recitare ruoli. Omosessuale, gira “Yang Yin: Gender in Chinese Cinema” del ‘95 sulla sessualità. Dopo il ’97 la produzione dei film cala e l’incasso nazionale scende. La più grande novità e la possibilità di coproduzione con la Cina, dopo il 2005 i film coprodotti con la Cina non vengono più considerati stranieri e vengono liberamente distribuiti, ma ci sono differenze di gusti tra Cina e Hong Kong: doppie versioni dei film ma che costituiscono sempre una grossa fetta sempre più importante del cinema di Hong Kong. Il monopolio della Major è finito, tantoché l’industria cinematografica è composta principalmente da case indipendenti. Il genere più in voga è la commedia, insieme al rilancio dei film d’ arti marziali, talvolta coniugati tra loro come “Shaolin soccer”. Trilogia più famosa è “Infernal Affairs I-II-III”, sull’infiltrato, metafora dei rapporti tra occidente e oriente, entrambi di Lau e Mark, nel secondo si concentrano molto sui personaggi. Dopo questo periodo, il cinema si sposta su un gruppo di registi di indubbio valore. Fruit Chan, considerato regista dell’handover, ovvero dal passaggio di Hong Kong alla Cina popolare. Trilogia sul ’97, creandolo come un documentario della vita quotidiana di piccole persone emarginate, criminali, immigrati, disoccupati ecc. Tratta questi personaggi anche in “Durian Durian” e “Public Toilet”, esalta le contraddizioni della società e la riunificazione con la madrepatria cinese. Johnnie To inizia alla TVB negli anni ’70, esordisce nell’80 con “The Enigmatic Case”, wuxiapian. L’anno di svolta della sua carriera è il ‘96, quando all’apice della crisi economica che porta il cinema hongkonghese vicino al baratro, fonda una casa con Wa Kai-fai, continuando il tentativo della Film Workshop di Hark per tenere alta la qualità con film quasi sempre in testa ai box office. Si afferma come regista di eccellenza, producendo molti film noir famosissimi. È molto attento al lato estetico, vuole dare un’atmosfera, scene di violenza efficaci, ottima capacità di resa visiva. Ha radici nel cinema americano anni ‘40/’50. Pang Ho Cheung si muove sul versante della black comedy, con l’invenzione di scene formali di grande impatto visivo. “Men Suddenly in Black”, 2003, “You Shoot, I Shoot”, 2001, e “Exodus”, 2007: usa più riprese tipiche di più stili diversi. L’ilarità lascia spazio all’amarezza: “Beyong Our Ken”, 2004, misoginia che nasconde ansia sociale; “Men Suddenly in Black”, realtà giovanile che perde gli ideali dei padri. Le sue produzioni sono con budget ridotto, indipendenti utilizzando una macchina a spalla con uno stile ricercato pieno d’inventiva versa ad un intrattenimento in grado di denunciare. 16 – Senza respiro: il cinema di Wong Kar-wai Una scena e un'inquadratura rappresentano al meglio la radicalità della strutturazione dello spazio come oppressione nel cinema di Wong Kar-wai: il primo è l'epilogo di "Days of Being Wild", scena girata in piano sequenza che introduce il personaggio, interessante è l'uso dello spazio, sia per la costruzione dell'ambiente, sia per l'angolazione della MdP che fa assumere allo spazio una dimensione claustrofobica. I personaggi del regista sono caratterizzati da una dimensione soffocante, prigionieri dei propri sentimenti e delle proprie contraddizioni amorose. Al contrario, il personaggio di Murong in "Ashes of Time" è più determinato sul piano narrativo: un personaggio doppio interpretato da un'attrice transgender; rispondendo alla domanda del suo interlocutore, viene mostrata un'immagine notevolmente bassa, tanto da costringerlo a parlare in una posizione molto chinata: il personaggio deve cercare lo spazio in uno spazio che sembra escluderlo. Wong descrive l'amore come una malattia, mostrando le condizioni dei personaggi alle prese in ambienti angusti, spazi stretti. In "In The Mood for Love" i due non riescono ad amarsi perché non vogliono comportarsi come i rispettivi coniugi, sia perché una riescono ad assumere il ruolo. Per mostrare il vicolo cieco dei loro sentimenti, Wong utilizza gli spazi angusti: il campo lungo della donna di spalle e immobile, stretta fra due pareti rappresenta la dimensione claustrofobica in cui i due amanti si ritrovano vivere. Wong ricorre con frequenza all'uso di inquadrature di personaggi che si ritrovano di là da vani di porte e finestre, generando un effetto cornice\riquadro, esaltando 17 Kuo-fu. Lin Cheng-sheng è il più complesso da classificare: autodidatta, ex galeotto, gira pellicole sporche e in due anni firma “A Drifting Life”, '96, “Murmur of Youth”, '97, e “Sweet Degeneration”, '97. I temi scelti e lo stile adottato sono quelli del Nuovo Cinema, anche se non si esalta la nostalgia ed è il presente dei personaggi ad interessare al cineasta. Chang Tso-chi debutta con “Ah Chung”, '96, con dei debiti evidenti a Hou Hsiao-hsien, il regista esalta anche un'attenzione verso le minoranze etniche, l'età adolescenziale e i riti di passaggio per una messinscena fredda e pacificata, raggiungendo una consapevolezza dell'esistere. Chen Kuo-fu è principalmente conosciuto per il blockbuster “Double Vision” del 2002, ma la sua carriera è pervasa da diverse sperimentazioni. La scelta registica di Cheng Kuo-fu di rivolgere la propria attenzione verso una rimodulazione dei generi e dei ritmi narrativi rappresenta il primo indizio di un generale mutamento dei presupposti prodotti della cinematografia, in cerca di maggior sintonizzazione con gusti e sensibilità del pubblico. Anche se si guardano i numeri ci si accorge che il settore è in perenne crisi, incapace di produrre più di venti film all'anno. I generi che più si fanno largo sono commedie sentimentali, con Wang Shau-di, film d'animazione, con Chen Yu-hsun, thriller, horror e teen-movie. “La tigre e il dragone” di Ang Lee e “Duoble Vision” di Chen Kuo-fu sono due pellicole supportati da alti budget, effetti speciali d'avanguardia. Il primo è un wuxiapian pensato per il pubblico occidentale; il secondo è un thriller soprannaturale con venature horror. I due progetti non sono stati capaci di ingenerare un circolo virtuoso di cinema spettacolare e realmente popolare. Nel periodo successivo sono ad emergere opere indipendenti leggere ed innocue come “Better Than Sex”, 2002, di Su Chao-pin e altri film che eleggono come protagonisti adolescenti e giovani, non più usati per ragionare sul senso di disorientamento identitario del paese, ma per impiegarli come specchi di un'intimità fragile nelle relazioni sentimentali. Meno visibili sono i cineasti che si dedicano al documentario, approfittando dell'economia del digitale e di canali di distribuzioni alternativi per ottenere qualche forma di distribuzione. Presupposti di radicalizzazione stilistica, tendenza al lavoro di prossimità e critica diretta al capitalismo. Il movimento taiwanese si distingue da quello continentale perchè riesce ad accedere alle sale del paese e ottenere più entrare di molte fiction. Si ha una sorta di dialogismo con l'esperienza del Nuovo Cinema, con documentari etnografici dei riti e minoranze, ricostruzioni storiche a partire delle memorie delle vecchie generazioni. Negli ultimi decenni si possono rinvenire dinamiche analoghe a quelle della Cina con documentari low budget di ricerca sociale e di blockbuster con capitali transnazionali. 19 – Di un vedere confuso: Edward Yahng e “A Brighter Summer Day” Il protagonista del Nuovo Cinema taiwanese degli anni '80, Edward Yang è un autore di un cinema algido e geometrico, i cui protagonisti mancano di qualsiasi pregio personale che potrebbe incoraggiare la nostra complicità: non sono né gradevoli, né diabolici, ma repulsivi. Yang privilegia nel suo cinema la cultura urbana della Taiwan contemporanea, registrando del metropolitano il vuoto fra questi spazi e i personaggi. Il film più ambizioso del regista è “A Brighter Summer Day”: affronta il problema dei rapporti tra i nativi dell'isola di Taiwan e i continentali, arrivati dalla Cina Popolare; il film narra un episodio di cronaca nera di un adolescente che ha assassinato una coetanea. Con una struttura corale, il film si concentra sullo scontro fra due bande giovanili. Paradossale è che un film con un titolo del genere sia ambientato per lo più nell'oscurità, tanto da elevare tale oscurità a personaggio: il buio è rinviato alla soggettività del protagonista che suo tentativo di far luce nell'oscurità dentro di lui. Fondamentale sarà il furto della torcia elettrica, elemento che ritornerà in continuazione nelle molte sequenze del film per illuminare il buio. Tuttavia, si esalta la dimensione d'intermittenza nell'uso della torcia, con un effetto vedere e non vedere, tutt'uno con la sua confusione e incertezza. Il vedere parziale non è solo attestato dall'oscurità che circonda il film, ma anche dalla scena più discussa del film. Un'altra strategia usata da Yang è quella di far entrare e uscire i protagonisti dall'inquadratura, riprendendoli in maniera intermittente fuori campo. All'interno della casa di Sir si può trovare il caso più eclatante di associazione fra il restringimento di campo e la parzialità del vedere, tanto dei personaggi, quanto dello spettatore, in quell'immagine in cui frammenti di vita familiare sono mostrati in un'inquadratura ripresa di là dalla porta scorrevole che copre quasi interamente il piano, lasciando intravedere quel che accade solo per una minima parte. Effetti di restringimento di campo e claustrofobia visiva, campi vuoti che aprono e chiudono la scena. Yang genera anche degli attenti 20 giochi tra i movimenti di macchina e quelli coreografici dei personaggi. Le incertezze della coppia e dei loro sentimenti sono in realtà lo specchio della stessa Taiwan: un paese dall'identità confusa, che per sostenere il proprio anticomunismo, è costretta a cercare il sostegno dei paesi occidentali. Il film è denso di riferimenti all'invasività della cultura americana nel paese: la presenza costante di ragazzi che giocano a basket, presenza di mazze da baseball, tavoli da biliardo, cinema western e soprattutto la musica rock con Elvis Presley. Si genera un parallelo tra Yang e “Gioventù bruciata”, spingendo verso una politica governativa che mirava a un'alleanza con gli Stati Uniti. A fianco della cultura americana c'è quella giapponese che rappresenta il desiderio di emulare il paese orientale che più di tutti ha stretto un'alleanza con gli Stati Uniti. La cultura giapponese coinvolge principalmente la generazione adulta. La Taiwan di Yang sembra senza identità, gli unici elementi del paese sono l'anticomunismo e il militarismo che ne consegue. 21
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