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Il Cinquecento e il Barocco, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto del manuale il Cinquecento e il Barocco II

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 19/08/2023

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Scarica Il Cinquecento e il Barocco e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! IL CINQUECENTO E IL BAROCCO 2 – JOHN POPE-HENNESSY MICHELANGELO BUONARROTI (1475-1564)  6 marzo 1475 nasce a Caprese, dove suo padre, Lodovico, era Podestà. Veniva da famiglia impoverita ma di nobilissima stirpe.  Poco dopo la sua nascita il padre tornò a Settignano vicino a Firenze  nel 1488 il fanciullo fu messo come apprendista per 3 anni presso i pittori Domenico e Davide del Ghirlandaio. Si è tentato d’isolare la mano di Michelangelo in alcune figure degli affreschi superiori nella parete destra del coro di Santa Maria Novella a Firenze, alle quali lavorava allora il Ghirlandaio. Secondo il Vasari, Michelangelo dipinse anche un Sant’Antonio Abate da un’incisione di Schongauer, ed eseguì “copie perfette di diversi maestri antichi”. Sono tra queste alcuni disegni da affreschi di Giotto e di Masaccio.  Nel 1489 Michelangelo lasciò la bottega del Ghirlandaio per lavorare sotto la guida di Bertoldo nel Casino Mediceo, dove attirò l’attenzione di Lorendo de’ Medici.  Dal 1490 fino alla morte di Lorenzo de’ Medici nel 1492 visse a Palazzo Medici. Il bassorilievo della battaglia dei Centauri è di quel periodo. Dopo la morte di Lorenzo, eseguì un Ercole in marmo che fu in seguito mandato in Francia (perduto) e un crocifisso in legno per Santo Spirito.  Nella prima metà dell’ottobre 1494 lasciò Firenze per Venezia e da lì si recò a Bologna dove per i buoni uffici di Gianfrancesco Aldrovandi gli fu dato l’incarico di completare l’Arca di San Domenico.  Di ritorno a Firenze verso la fine del 1495, scolpì un Battista per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (perduto) e un Cupido dormiente (perduto) che fu acquistato dal cardinale Riario come pezzo antico.  Fra il 1496 e il 1501 fu a Roma, dove scolpì il Bacco e la Pietà in S. Pietro. L’unica sua pittura menzionata in questo periodo è un cartone per le Stigmate di San Francesco, poi colorato da un’altra mano e conservato a San Pietro in Montorio (perduto).  Gli anni dal 1501 al 1505, trascorsi di nuovo a Firenze, furono tra i più ricchi di ispirazione e tra i più fecondi nella vita dell’artista. In quegli anni scolpì il David in marmo, la Madonna di Bruges, le statue dell’altare piccolo mini nella Cattedrale di Siena e le Madonne Pitti e Taddei; e preparò (1504) il cartone per l’affresco della Battaglia di Cascina nel Palazzo della Signoria.  Nel marzo 1505 fu chiamato a Roma e gli fu dato l’incarico di eseguire la tomba di Giulio II. Dopo i drammatici inizi di quell’impresa, fuggì a Firenze, dove lavorò al San Matteo; poi raggiunse la corte papale a Bologna dove preparò una statua del Papa in bronzo per la facciata di San Petronio (completata nel 1508, distrutta).  Prima del 10 maggio 1508 gli fu dato l’incarico di dipingere la volta della Cappella Sistina, dove lavorò fino all’ottobre del 1512. Il bassorilievo noto come la Madonna della Scala, nella Casa Buonarroti a Firenze, potrebbe risalire a questo periodo.  Dopo la morte del Papa, riprese a lavorare alla sepoltura ed eseguì il Mosè e le figure note come Prigione morente e Prigione ribelle. Dal nuovo Papa, Leone X, ricevette il titolo di Conte Palatino; il primo lavoro affidatogli dal nuovo Papa fu la facciata di San Lorenzo a Firenze (1516, annullato nel 1520).  Tra il 1516 e il 1519 fu per lungo tempo a Carrara e a Pietrasanta per procurarsi il marmo.  Nel 1520 o prima, dovè affrontare un nuovo progetto, quello della Cappella Medicea.  Nell’aprile 1520 moriva, con Raffaello, l’unico suo rivale alla corte papale ma, occupato alle sculture che gli erano state ordinate, egli rimase a Firenze.  Sotto il papato di Adriano VI (1522-23) le pressioni dei Della Rovere sembra l’abbiano costretto a riprendere in mano per breve tempo le sculture del sepolcro papale, ma dopo l’elezione del Cardinale Giulio de’ Medici a Papa Clemente VII (1523) riebbero il sopravvento i progetti medicei della Cappella e della Biblioteca in San Lorenzo.  Dopo il sacco di Roma (maggio 1527), fu insediato a Firenze un governo popolare, e Michelangelo ebbe l’incarico di preparare le fortificazioni di Firenze, per le quali restano alcuni disegni. È di questo periodo (1528) il progetto per un gruppo di Sansone che uccide un Filisteo.  Dopo una temporanea rottura con le autorità repubblicane (autunno 1529), Michelangelo tornò a Firenze prima della capitolazione della città alle forze papali,  Nel novembre 1530 ebbe il perdono di papa Clemente VII.  Le pressioni cui Michelangelo era sottoposto in questo periodo furono esacerbate nel 1532 dall’incontro con Tommaso Cavalieri. Esso contribuì a fargli abbandonare nel 1534 la Cappella Medicea inducendolo a stabilirsi a Roma.  Il clima diverso del pontificato di Paolo III (eletto nel 1534) si riflette direttamente nello stile di Michelangelo e trova espressione definitiva nell’affresco nella primavera del 1536, completato nell’autunno 1541). Come negli anni dedicati alla volta della Cappella Sistina, così durante l’esecuzione di quell’affresco scolpì poco.  Michelangelo aveva iniziato da poco il Giudizio Universale, quando conobbe Vittoria Colonna; questa amicizia, descritta nei Dialoghi di Francisco de Hollanda, esaltata in molte poesie e ispiratrice di molte opere minori di soggetto religioso, fu importante per lo sviluppo spirituale dell’artista.  Nel 1547 Michelangelo divenne capo architetto di San Pietro e circa a quel tempo risale il completamento di Palazzo Farnese e la sistemazione del Campidoglio.  Nella sua estrema vecchiaia Michelangelo si dedicò in misura sempre crescente a progetti architettonici. Un modello in creta per la cupola di S. Pietro fu completato nel 1557 e uno in legno tra il 1558 e il 1561; nel 1561 si mise a studiare per l’inserzione di Santa Maria Maggiore; e nel 1561 disegnò la Porta Pia. Questa attività fa da sfondo al grande gruppo della Deposizione nel Duomo di Firenze e alla Pietà Rondanini nel Museo del Castello Sforzesco di Milano che sembra sia stata iniziata nel 1552-53 circa, modificata nel 1555-56 e ancora rimaneggiata nel 1563-64. La Pietà Rondanini è certamente quella stessa Pietà che Michelangelo legò ad Antonio del Francese in un testamento del 21 agosto 1561, e che Daniele da Volterra descrive in una lettera dell’11 giugno 1564 al nipote di Michelangelo, Lionardo Buonarroti, come l’ultima scultura alla quale l’artista abbia lavorato.  Michelangelo morì a Roma il 18 febbraio 1564 e fu sepolto a Firenze nella chiesa di Santa Croce.  Le principali opere non di Michelangelo, per cui taluni hanno erroneamente sostenuto l’attribuzione al maestro, sono il bassorilievo con la Crocifissione di Sant’Andrea nel Museo del Bargello e la Pietà di Palestina nell’Accademia di Firenze. TAVOLA 1: L’ARCA DI SAN DOMENICO – BOLOGNA, SAN DOMENICO MAGGIORE Il fondo è scavato integralmente solo in alto. Tecnicamente, le parti lavorate (limitate per lo più alla testa, al collo e al vestito della Vergine) non si differenziano da quelle del tondo Taddei. TAVOLA 6: PIETA’ – ROMA, SAN PIETRO Questo gruppo è firmato sul nastro che attraversa il petto della Vergine: MICHAELAGELUS, BONAROTUS. FIORENTIN. FACIEBAT. L’opera fu allogata a Michelangelo dal cardinale Jean Villier de la Grolaie (abate di Saint Denis nel 1474; cardinale di Santa Sabina nel 1493; morto il 6 agosto 1499), e il Condivi la descrive come una Vergine giovane perché priva di peccato. Il Vasari spiega la presenza della firma di Michelangelo nel gruppo con il fatto che l’artista aveva sentito alcune persone che osservavano l’opera, attribuirla allo scultore milanese Cristoforo Solari. La prima menzione del gruppo si legge in una lettera del cardinale agli Anziani di Lucca, datata 18 novembre 1497 con la richiesta di “ogni aiuto e favore” a Michelangelo in occasione della sua prossima visita a Carrara per scegliere il marmo per il gruppo (“una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccia”). Il 10 marzo 1498 Michelangelo era ancora a Roma, ma alla fine dello stesso mese si era recato a Carrara. In una lettera del 7 aprile 1498 il cardinale chiedeva alla Signoria di Firenze di raccomandare Michelangelo al Marchese ALberico Malaspina, signore di Carrara. Dopo l’acquisto del blocco di marmo, fu firmato un contratto tra il cardinale e lo scultore. La data di compimento del gruppo non è documentata; si pensa generalmente che esso sia stato terminato nel 1499 (Tolnay) o nel 1500 (Kriegbaum). Quattro dita della mano sx della Vergine furono restaurate nel 1736 da Giuseppe Lirioni. Il gruppo fu messo in un primo tempo nella Cappella dei re di Francia,scelta e decorata dal cardinale come sua cappella funeraria, successivamente nella Cappella della Madonna della Febbre, dove la videro il Vasari e il Condivi, fu trasferita sotto Gregorio XIII alla Cappella di Sisto IV, e nel 1749 fu portata dov’è oggi, nella prima cappella sul lato nord della chiesa. TAVOLA 7: LA VERGINE COL BAMBINO – BRUGES, NOTRE DAME Il gruppo non è menzionato nell’edizione del 1550 delle Vite del Vasari, ed è descritto erroneamente dal Condivi come un bronzo. Questo passo è fondamentale dell’erronea aggiunta nell’edizione del 1568 delle Vite del Vasari: “fece ancora di bronzo una Nostra Donna in un tondo”. Il gruppo è stato erroneamente identificato con una Vergine con Bambino menzionata da Michelangelo in una lettera al padre del 31 gennaio 1506. La scultura di cui parla questa lettera era evidentemente di piccole dimensioni e il Milanesi ritiene che possa trattarsi della Madonna della Scala. L’unica indicazione sicura sulla data della Madonna di Bruges è in una lettera del 13 agosto 1506 scritta da Giovanni Balducci a Michelangelo. Il contesto per cui il gruppo fu progettato è chiarito: 1) Da un documento negli Archivi di Bruges (Alessandro Mouscron ha ordinato un nuovo altare e anche la erezione di uno splendido tabernacolo con una magnifica statua della Vergine, molto bella e preziosa, che non dovrà essere spostata in futuro) 2) Da un passo di Marcus van Waernewyck (1560) citato dal Thode, che asserisce che la statua costa 4000 fiorini. L’incorniciatura in marmo bianco e nero fu completata nel 1571. La statua fu vista e descritta dal Durer, durante la sua visita nei Paesi Bassi il 7 aprile 1521. Nessuna testimonianza scritta ci dice a quale data fu iniziata la statua; si ritiene che essa sia stata scolpita contemporaneamente alla Pietà (Thode), o nella primavera o nell’estate del 1501 prima del David (Wolfflin). Due fogli nel British Museum (nn. 4 e 5) contengono studi per la Madonna di Bruges, uno dei quali è annotato “chose di bruges ch.” Da una mano che non è quella di Michelangelo. Dato che il n.5 comprende anche studi per l’affresco della Battaglia di Cascina, si desume (Wilde) che i disegni risalgano al 1503-4 e che la statua sia stata cominciata nel 1504-5, cosa molto probabile. TAVOLA 9: L’ALTARE PICCOLOMINI – SIENA, DUOMO La prima notizia sull’Altare Piccolomini nella Cattedrale di Siena si legge in una lettera del Platina a Lorenzo de’ Medici datata 15 maggio 1481. L’altare fu costruito entro il 1485 ed è menzionato il 30 aprile 1503 nel testamento del Cardinale Francesco Todeschini-Piccolomini. Vi si dice che la cappella era stata allogata in onore dello stesso Cardinale e di suo zio Papa Pio II, e che, nel caso il Cardinale fosse morto a Siena, sarebbe diventato il luogo della sua sepoltura. Il Cardinale fu eletto papa col nome di Pio III il 22 settembre 1503, e morì a Roma il 18 ottobre dello stesso anno. Il 22 maggio 1501 ebbero inizio le trattative con Michelangelo per le sculture nelle nicchie dell’altare. Il contratto impegnava Michelangelo a scolpire 15 statue nel termine di 3 anni. Le figure comprendevano un Cristo in alto, grazie 2 braccia e mezzo, un Cristo nella tribuna centrale, figure di San Tommaso e di San Giovanni, ognuno alto due braccia, due angeli e altre figure ancora da stabilire. Michelangelo doveva inoltre finire un San Francesco cominciato dal Torrigiani. Dopo la morte del papa, il contratto fu confermato dai suoi eredi in un documento del settembre 1504, secondo il quale già 4 statue erano state fornite da Michelangelo. A questo punto Michelangelo abbandonò il lavoro. Nel 1537 Antonmaria Piccolomini chiese a Michelangelo i disegni per il completamento dell’altare. Secondo un inventario del 1511 le 4 figure scolpite da Michelangelo rappresentano i santi Pietro, Paolo, Pio e Gregorio. Nonostante questo cumulo di prove, il Tolnay e molti altri studiosi prima di lui, eccetto il Thode e lo Schmarsow, ne rigettano la paternità michelangiolesca. La loro restituzione al corpus dell’artista si deve al Kriegbaum. Michelangelo attese a iniziare le statue senesi per scolpire prima il David. TAVOLA 10: BACCO – FIRENZE, MUSEO NAZIONALE La statua fu scolpita per Jacopo Galli ed è descritta nel giardino del Galli nel libro dell’Aldrovandi Delle statue antiche (scritto nel 1550, pubblicato nel 1556). La figura è così descritta nella prima edizione delle Vite del Vasari (1550): “un Bacco di marmo, maggior ch’el vivo, con un satiro attorno”. Nella seconda edizione delle Vite la descrizione è più lunga, evidentemente in seguito a un passo dal Condivi pubblicato nel frattempo (1553). Il Condivi dice: “La faccia lieta e gli occhi biechi e lascivi, quali sogliono essere quelli di coloro che soverchiamente dall’amor del vino son presi. Ha nella destra una tazza, in guisa d’un che voglia bere. Nel sinistro braccio ha una pelle di tigre, animale ad esso dedicato. Colla mano di questo braccio tiene un grappolo d’uva, qual un satiretto, che a piè di lui è posto, furtivamente si mangia allegro e snello, che mostra circa 7 anni, come il Bacco 18”. In un disegno di Heemskerck che rappresenta il giardino del Galli, databile intorno al 1532-35, si vede la statua senza coppa e senza mano dx. E’ una prova che allora la mano dx mancava. Essa è però descritta dal Condivi nel 1553 e presumibilmente era stata rimessa a posto prima di quell’anno. Nel 1572 Francesco de’ Medici comprò il Bacco dalla famiglia Galli per 240 ducati e nel 1873 la scultura venne trasferita al Bargello. La statua fu scolpita dopo l’arrivo di Michelangelo a Roma il 25 giugno 1496 e prima del suo ritorno a Firenze nella primavera del 1501. Entro questo arco di tempo, c’è disaccordo nello stabilire una data esatta, particolarmente in rapporto alla Pietà (allogata il 27 agosto 1498). È probabile che la statua sia stata cominciata dopo il 18 agosto 1497 e finita prima dell’inizio della Pietà nell’anno seguente. Non si può tuttavia scartare completamente l’idea che il Bacco si identifichi con “una figura per mio piacere” menzionata da Michelangelo in una lettera del 19 agosto 1497. Non è stato appurato a quale figura classica di Bacco si ispiri questa scultura. Come nota il Tolnay, il corpo effeminato di Bacco si ispira a fonti letterarie. TAVOLA 12: DAVID – FIRENZE, ACCADEMIA Secondo il Milanesi questo blocco fu sciupato non da Agostino di Duccio, ma da Bartolommeo di Pietro detto Baccellino, il quale era stato incaricato di sbozzare la statua a Carrara. Il 6 maggio 1476 il marmo già sbozzato fu assegnato a Antonio Rossellino, il quale poco dopo moriva. Dal documento della riunione degli Operai del Duomo il 2 luglio 1501 sappiamo che il marmo doveva rappresentare un David fin dall’inizio. La descrizione del Condivi lascia capire che la posa del David fu determinata dalla cavità già scolpita fra le gambe e che anche la sommità della testa era stata lavorata. L’allogazione a Michelangelo avvenne il 16 agosto 1501. Il 25 gennaio 1504 fu annunciato che la statua era “quasi finita” e fu chiesto il parere di molti artisti fiorentini sul luogo dove doveva essere collocata. 1) Una minoranza – collocazione nella Cattedrale o nelle vicinanze di essa 2) Sostituirla alla Giuditta di Donatello davanti al Palazzo della Signoria o al David di Donatello nel cortile 3) Una maggioranza (campeggiata da Giuliano da San Gallo e appoggiata da Leonardo da Vinci, Michelangelo Bandinelli e Piero di Cosimo) consigliava una sistemazione al coperto nella Loggia dei Lanzi Giuliano da San Gallo propose che in quest’ultima eventualità il David fosse posto in una nicchia nera. Due artisti, uno dei quali era Filippino Lippi, suggerirono di consultare l’artista. Il Borghini e il Panofsky ritengono che la figura fu concepita per una nicchia. Il fatto che la parte posteriore sia meno perfettamente lesene in basso. Nella parte bassa vi erano dunque 12 figure in tutto. Le figure sedute nella parte alta furono ridotte a 2, incornicianti la figura del papa che aveva dietro una Vergine col Bambino. Nel settembre 1516 Michelangelo si recò a Carrara per scegliere i nuovi blocchi di marmo per le statue. Una lettera del 9 agosto dal suo rappresentante a Roma, Leonardo Sellaio, lo sollecitava a completare il lavoro, e un anno dopo il Sellaio riferiva di aver informato il Cardinale Aginensis che il monumento sarebbe stato completato in 2 anni. Nel febbraio del 1518 i blocchi furono mandati a Firenze. Il 23 ottobre 1518 il Cardinale Aginensis ricordò a Michelangelo che si aspettava di vedere 2 figure alla data stabilita, e una settimana dopo (31 ottobre 1518) il Sellaio insistette con Michelangelo sull’importanza di completare per lo meno una figura entro la scadenza. In dicembre il Cardinale Aginensis fu informato da Jacopo Sansovino che Michelangelo non lavorava. Le 4 figure sonno identificate dal Justi e dal Kriegbaum con i Prigioni incompiuti che sono ora all’Accademia. Il 31 marzo 1519 Pallavicini, che rappresentava Aginensis, informò il Cardinale di aver visitato lo studio di Michelangelo e di aver visto “figure bozzate e tutti i marmi”. Durante tutto questo periodo Michelangelo era stato impegnato a lavorare alla facciata di San Lorenzo, il cui contratto fu annullato il 10 marzo 1520. Questa fase della storia della sepoltura termina con la morte del Cardinale Aginensis il 27 settembre 1520, e con l’inizio, nel novembre del 1520, dei progetti per le tombe dei Medici. Progetto del 1525-26 La morte di Leone X, il 6 dicembre 1521, apre un nuovo periodo nella storia del monumento. Il suo successore, Adriano VI, restituì a Francesco Maria della Rovere il ducato di Urbino, che Leone X gli aveva tolto, e insistè che Michelangelo assolvesse all’impegno preso. Adriano VI moriva nell’autunno di quello stesso anno e gli succedeva al soglio pontificio Clemente VII. Nel dicembre 1523 gli eredi Della Rovere fecero nuove pressioni affinchè la tomba fosse condotta a termine. Nel gennaio 1524 lo scultore abbozzò 2 lettere di auto giustificazione per aver interrotto il lavoro, nelle quali sosteneva che il completamento della tomba avrebbe richiesto altri 8000 ducati. Egli accenna alla possibilità di ridurre ancor più drasticamente la mole del monumento. Il 16 ottobre 1526, il Fattucci riceveva uno schizzo della tomba in formato ridotto. Gli esecutori testamentari lo bocciarono. Il Sacco di Roma del 1527 interruppe ulteriori discussioni. A questo progetto ridotto il Tolnay collega dubitativamente 2 disegni, l’uno nel British Museum e l’altro nella Casa Buonarroti: essi mostrano una tomba parietale con una facciata piatta, senza risvolti ai lati. Progetto del 1532 Il Sacco di Roma apre una lacuna nella storia del sepolcro che perdura fino al 29 aprile 1531, allorchè Sebastiano del Piombo ripetè a Michelangelo una conversazione avuta col pittore Genga, secondo il quale Francesco Maria della Rovere era contrario ad affrontare altre spese per la tomba. Frattanto il papa favoriva la ripresa del progetto del 1516. Nell’agosto del 1531 Michelangelo era incerto se abbandonare ad altri i blocchi di marmo e compensare con 2000 ducati gli scultori che avrebbero condotto a termine il lavoro. Nel novembre di quell’anno Francesco Maria della Rovere rinunciò al progetto del 1516, ma pretese che la tomba, in proporzioni ridotte, fosse terminata entro 3 anni, che le statue custodite a Firenze venissero trasportate a Roma e che la casa di Roma fosse venduta, così da usarne il ricavato per il completamento del sepolcro. Anche il papa insistè che il monumento dovesse essere portato a compimento. Il 1° dicembre 1531 Michelangelo si dichiarò disposto a progettare il monumento ma non a dirigerne l’esecuzione. Michelangelo si impegnava a dedicare all’opera circa 2 mesi di lavoro all’anno, stando a Roma. La scultura figurata doveva comprendere 6 statue di marmo del Buonarroti e 5 statue scolpite da altri. I rilievi bronzei erano aboliti. Si è pensato che le 6 statue autografe fossero il Mosè, i 2 Prigioni del Louvre, la Vergine, un Profeta e una Sibilla. Ma nel novero del gruppo autografo può esser stata anche la statua incompiuta del papa seduto, risalente al progetto del 1505. Dopo aver firmato questo contratto, Michelangelo divise il suo tempo fra Roma e Firenze. Il 25 settembre 1534 moriva Clemente VII. Fin dalla primavera del 1532 era stato deciso di erigere il sepolcro monumentale di papa Giulio non in San Pietro, ma in San Pietro in Vincoli. All’erezione del monumento in San Pietro in Vincoli fu dato mano nell’estate del 1533. Progetto del 1542 La morte di Clemente VII introdusse nella “tragedia della sepoltura” un personaggio nuovo, ossia il pontefice Paolo III, il quale nominò Michelangelo, il 1° settembre 1535, supremo architetto, scultore e pittore della corte pontificia. Per il nuovo papa la tomba di Giulio II non era che un impedimento alla realizzazione di altre opere, la prima delle quali, progettata da Clemente VII, era l’affresco del Giudizio Universale sulla parete di fondo della Cappella Sistina. Secondo il Condivi Michelangelo continuò dapprima a lavorare segretamente al monumento. I fatti adombrati nel sommario raccolto del Condivi sono questi: il 17 novembre 1536 il papa emise un motu proprio che liberava Michelangelo da ogni obbligo verso gli eredi Della Rovere. Francesco Maria della Rovere morì nell’ottobre del 1538 e il 7 settembre del 1539 Guidobaldo, che gli era succeduto come Duca di Urbino, scrisse a Michelangelo consentendo alla necessità che portasse a termine il Giudizio Universale. Nel 1541, tuttavia, appena terminato il Giudizio, Michelangelo fu subito dirottato dal papa che gli allogò la decorazione della Cappella Paolina. Il 20 luglio 1542 Michelangelo presentò al papa una petizione per esser disimpegnato dall’obbligo di eseguire anche solo 3 statue interamente di sua mano. Concludendo la petizione, Michelangelo chiese il permesso di affidare il completamento delle 2 statue rimanenti a Raffaello da Montelupo e precisa che il compimento della tomba avrebbe richiesto una somma di 1100-1200 scudi. Il 27 febbraio 1542 Michelangelo e Raffaello da Montelupo avevano firmato un accordo che impegnava il secondo a finire “tre figure di marmo maggiore che ‘l naturale, bozzate di mia mano”. Quel contratto prevedeva ancora che Michelangelo avrebbe condotto a termine di sua mano la Vita attiva e la Vita contemplativa. Le statue di Raffaello da Montelupo furono installate sul monumento il 25 gennaio 1545 e quelle di Michelangelo nel febbraio di quell’anno. Le sculture eseguite per la tomba di papa Giulio sono le seguenti: (A) MOSE’ – ROMA, SAN PIETRO IN VINCOLI Si è supposto (Thode, Brinckmann) che sia stata scolpita per la prima versione della tomba e risalga perfino al 1506; ma è più probabile che sia stata cominciata per il progetto del 1513, e il suo stile sarebbe inesplicabile a qualsiasi data anteriore. Nel 1516 fu lasciata a mezzo. Prima del 1816 era piazzata più in dentro nella nicchia di quanto non sia adesso. (B) IL PRIGIONE MORENTE – PARIGI, LOUVRE (C) IL PRIGIONE RIBELLE – PARIGI, LOUVRE Ambedue queste figure pare che furono iniziate nel 1513, (B) era destinato davanti alla lesena a sx dell’asse centrale della tomba, e (C) a una delle lesene angolari, quella sx secondo il Tolnay, quella dx secondo il Wilde. In seguito (1532) si vollero sistemare le due statue entro le nicchie sulla facciata del monumento ma l’idea fu scartata nel 1542 a causa della loro eccessiva grandezza. Intorno al 1546, dopo il completamento della tomba, i due prigioni furono dati da Michelangelo a Roberto Strozzi, che ne fece dopo a Francesco I re di Francia. Passarono poi al Connestabile Anne de Montmorency, e quindi a Richelieu. Alla metà del ‘600 ornavano il portale dello Chateau de Richelieu donde furono trasportati a Parigi prima del 1749, e nel 1794 furono acquistati per lo stato francese. Per il Vasari le statue sono prigionieri e lo Justi le interpretò come Provincie sottomesse, alludenti ai progetti militari di papa Giulio. Questo genere di interpretazione è insostenibile, perché figure simili sono già previste dal progetto sepolcrale del 1505, quando le avventure belliche di Giulio II erano di là da venire. Il Prigione morente (B) è accompagnato da una scimmia e il Kriegbaum e il Janson i riconoscono una personificazione della Pittura. Il Panofsky segnalò il fatto che una scimmia accompagna anche il Prigione ribelle (C); esclude la possibilità di interpretare (C) come simbolo dell’Architettura invece che della Scultura. Non è chiaro quale significato abbiano i gesti di queste figure. Secondo il Condivi, le Arti Liberali dovevano apparire in catene per indicare che anch’esse, come il pontefice, erano prigioniere della morte. È possibile che lo scultore intendesse significare che le Arti Liberali erano state liberate dal pontefice. In tal caso (B) rappresenterebbe non un Prigione morente, bensì il suo ridestarsi alla libertà. (D) IL GENIO DELLA VITTORIA – FIRENZE, PALAZZO VECCHIO Nei progetti iniziali per la tomba di papa Giulio, le nicchie dell’ordine inferiore avrebbero dovuto essere riempite con statue femminili di Vittorie. In un secondo tempo questo progetto fu modificato e si pensò di svolgere il tema della Vittoria con 2 gruppi di figure maschili. Kriegbaum suppone che Michelangelo lo abbia iniziato intorno al 1506. Lo stile esclude una datazione così giovanile. Altre datazioni sono: ca. 1519, ca. 1524, 1527, post 1530, ca. 1532-34. Le foglie di quercia che adornano le chiome del giovane vittorioso stanno a indicare che il gruppo va interpretato come un’allegoria politica (Justi) e non come un “autoritratto spirituale” (Tolnay) o una “allegoria di Eros” (Brinckmann). Esso fu scolpito a Firenze e Lionardo Buonarroti ne fece dono al Granduca Cosimo I. fu allora sistemato dal Vasari al centro del Regio Salone (Salone dei ‘500). Nel 1860 il gruppo fu trasferito nel Museo del Bargello e nel 1920 fu collocato sulla base attuale contro alla testata del Salone dei ‘500. Secondo il progetto tombale del 1532, questo gruppo doveva essere accompagnato da un altro gruppo simmetrico. (E) IL PRIGIONE GIOVANE – FIRENZE, ACCADEMIA (F) IL PRIGIONE BARBUTO – FIRENZE, ACCADEMIA (G) L’ATLANTE INCATENATO – FIRENZE, ACCADEMIA (H) IL PRIGIONE RIDESTO – FIRENZE, ACCADEMIA Il 13 gennaio 1520 segue una lettera più severa, avendo Metello Vari inteso da Leonardo Sellaio che la statua era quasi terminata. Nel marzo seguente un allievo di Michelangelo, Federigo Frizzi, cercava già di apprestare il tabernacolo che contenesse la statua nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva. Nell’aprile Leonardo Sellaio informò Metello Vari che la statua era pronta e che Michelangelo desiderava ricevere il resto della somma pattuita. Il Vari però, con lettera del 24 aprile 1520, ricusò l’invio del denaro prima che la statua fosse giunta a Roma. Michelangelo però trattenne l’opera, e il 25 ottobre 1520 Metello Vari acconsentì al pagamento richiesto. La somma fu spedita a Firenze il 30 gennaio 1521 e il 31 marzo 1521 Pietro Urbano, l’allievo di Michelangelo, riferiva da Roma che la statua era arrivata a Santa Severa e che era stata ormai concordata la forma del tabernacolo affidato al Frizzi. La statua giunse a destinazione nel giugno o nel luglio 1521. Pare che alcuni particolari fossero ancora da rifinire e che Pietro Urbano si assumesse il compito di rifinirli. Il lavoro di rifinitura fu allora affidato al Frizzi e il 29 dicembre la statua fu svelata. Il Cristo della Minerva piacque al di là di ogni previsione: la sua fama giunse in Francia, ove Francesco I, nel 1546, ordinò al Primaticcio di procurargliene un calco. La figura è sostanzialmente autografa: la croce e i simboli della Passione rivelano la mano di un aiuto e i capelli sono di fattura piuttosto debole. Sebastiano del Piombo era specialmente ammirato del modo come erano scolpiti i ginocchi. TAVOLE 22-33: LA CAPPELLA MEDICEA – FIRENZE, SAN LORENZO Notizie generali In seguito alla morte di Giuliano de’ Medici Duca di Nermours (fratello di papa Leone X) nel 1516 e di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino (nipote del papa) nel 1519, fu deciso di erigere sul lato settentrionale della basilica di San Lorenzo una cappella funebre, che corrispondesse alla Sagrestia Vecchia eretta dal Brunelleschi al limite meridionale del transetto. L’iniziativa partì dal cardinale Giulio de’ Medici. Lo stile dell’architettura interna dimostra come la partecipazione di Michelangelo architetto sia cominciata solo all’altezza delle vele. L’architettura interna La forma dell’interno si appoggia al modello della Sagrestia Vecchia del Brunelleschi. Un allontanamento dalla tradizione è segnato: in primo luogo dall’uso di lesene in pietra serena sulla facciata interna dei pilastrini mediani, per incorniciare saldamente i monumenti sepolcrali; in secondo luogo, dall’originale disegno delle finestre iscritte nei lunettoni. Negli ordini inferiori fu introdotta una novità architettonica di primaria importanza, ossia la giustapposizione di una decorazione parietale marmorea accanto all’articolazione spaziale in pietra serena. L’idea di riempire gli angoli di tutte e quattro le pareti con porte sormontate da edicole sembra ispirata dall’abbinamento di edicole e porte che adorna la parete dell’altare della Sagrestia Vecchia. Sappiamo inoltre che la cupola fu affrescata da Giovanni da Udine. Si è affermato che ai lunettoni erano destinati affreschi raffiguranti la Resurrezione, la Storia di Giuditta e la Storia del Serpente di bronzo; ma è difficile dimostrarlo. Le tombe Medicee Per quanto riguarda le fonti, la fase di progettazione preliminare è documentata essenzialmente da 3 lettere. Da queste 3 lettere apprendiamo che: 1) Nel novembre del 1520 Michelangelo studiava contemporaneamente 2 progetti, quello di un sepolcro unico a 4 facce da erigersi al centro della cappella, e l’altro di 4 monumenti da applicarsi alle pareti 2) Per piacere al cardinale il sepolcro unico doveva avere maggiori dimensioni 3) Il cardinale avvertì la proposizione fra il grande sepolcro isolato e l’area limitata in cui veniva a trovarsi 4) Il cardinale propose, di conseguenza, un monumento centrale a forma di due archi incrociati. Questi progetti sono documentati visivamente da vari disegni. Storia dell’opera Secondo il Tolnay, papa Leone X iniziò trattative con Michelangelo, riguardo alla Cappella, il 6 settembre 1520; e l’artista accettò il compito fra il 27 ottobre e il 6 novembre di quell’anno. Tuttavia non mancano buone ragioni per supporre che Michelangelo abbia diretto l’intero progetto fin dall’inizio. Il 28 dicembre 1520 Michelangelo aveva già completato un modelletto dell’interno della cappella. Se ne è dedotto (Tolnay) che l’aspetto definitivo delle tombe fosse stato stabilito prima del 14 dicembre 1520, perché a quella data stavano già murando i pezzi di pietra serena alla base delle pareti. Il 10 aprile 1521 Michelangelo era andato a Carrara e il 22 e il 23 del mese vi firmò 2 contratti con i cavatori di marmo. Alla data di questi contratti la forma delle tombe dei Capitani e di quelle dei Magnifici doveva ormai essere stata decisa. I primi blocchi marmorei destinati alle statue furono imbarcati da Carrara per Firenze nel giugno 1521. Il 25 marzo 1524 giunge la notizia da Carrara che il marmo destinato a uno dei coperchi era stato danneggiato. Verso la fine di aprile il marmo per i coperchi non era ancora stato trovato. Si è pensato (Popp) che una delle Allegorie, l’Aurora fu cominciata nel 1521. I documenti, tuttavia, appoggiano la conclusione (Tolnay) che nessuna delle allegorie fu cominciata prima del finir dell’estate del 1524. Il 10 marzo 1526 Leonardo Sellaio, rappresentante di Michelangelo a Roma, avvertiva lo scultore di avere assicurato il papa sul buon procedere dei lavori. Durante quell’estate (17 giugno 1526) Michelangelo inviò al Fattucci un rapporto della situazione. La interpretazione di queste lettere è d’importanza fondamentale per stabilire la sequenza delle sculture; è ragionevole dedurne che le 4 figure date per quasi finite nel marzo 1526 comprendessero un Capitano e due allegorie e che le 6 figure menzionate nella lettera del giugno 1526 includessero le altre due allegorie. Intanto il papa cominciò a inquietarsi per la lentezza con cui procedeva il lavoro nella Cappella e il 12 settembre 1526 Michelangelo ricevette da Roma esortazioni pressanti di installare al più presto la seconda tomba. Ai primi di maggio del 1527 avvenne il Sacco di Roma e alla fine del mese fu istituito a Firenze il regime repubblicano. Nell’agosto del 1528 Michelangelo fu incaricato di scolpire un gruppo marmoreo da porre davanti al Palazzo della Signoria e poco dopo fu coinvolto nelle fortificazioni cittadine. Il 21 settembre 1529 fuggì da Firenze, ma vi ritornò il 20 novembre. Nell’agosto 1530 la città si arrese a Clemente VII e ricominciò il lavoro alla Cappella Medicea. Una lettera di Giovanbattista di Paolo Mini a Bartolomeo Valori in data 29 settembre 1531 informa sulle condizioni fisiche di Michelangelo dove si dice che mangia poco, dorme male, soffre di mal di testa e di giramenti di testa e non vivrà se non si prendono provvedimenti per la sua salute. Raccomanda anzitutto di proscioglierlo dagli obblighi per il sepolcro di papa Giulio e secondariamente che gli si impedisca di lavorare d’inverno nella Cappella Medicea. Da allora in poi i lavori alla Cappella furono perseguitati da interruzioni continue. Nell’aprile del 1532 Michelangelo visitò Roma, torna a Firenze, ritornò a Roma nell’agosto di quell’anno e ci sta fino alla prossima estate. Nel giugno del 1533 tornò a Firenze per 4 mesi; dall’ottobre del 1533 al maggio del 1534 venne per poco a Firenze, e la lasciò, nel settembre di quell’anno, per non farvi più ritorno. La morte del papa, il 25 settembre 1534, mise temporaneamente il fermo ai lavori della cappella. Per sua istigazione, negli ultimi tempi, si era fatto largo uso di aiuti, specialmente ricorrendo al Tribolo, a Raffello da Montelupo e al Montorsoli. Secondo Vasari il Tribolo si ammalò. Il Tribolo ricevette l’ordine di recarsi a Firenze il 26 luglio 1533 e nell’agosto c’era già. In una lettera del 15 ottobre 1533 Michelangelo parla di modelletti per le 2 statue del Tribolo. Il San Damiano di Raffaello da Montelupo fu scolpito fra l’agosto del 1533 e il settembre del 1534 da un modello grande di Michelangelo. Si è supposto (Popp) che il modelletto per il San Cosma sia stato fatto da Michelangelo a Roma nel 1532-33. Il 17 luglio 1533 il Montorsoli stava lavorando a un modello grande di quella statua nello studio di Michelangelo, che modellò lui stesso la testa e le braccia della figura. Anche questa figura fu lasciata a mezzo alla morte del papa e condotta a termine soltanto nel 1536-37. Una lettera di Sebastiano del Piombo in data 25 luglio 1533 parla di voci diffuse a Roma che Michelangelo aveva affidato al Montorsoli la rifinitura della statua di Giuliano de’ Medici. Alla morte di Clemente VII il Tribolo e Raffaello da Montelupo furono impegnati da Alessandro de’ Medici in altri lavori. Assassinato Alessandro de’ Medici il 5 gennaio 1537, il suo successore Cosimo I, decise che la Cappella doveva essere portata a termine e che il duca ucciso e Lorenzo de’ Medici dovevano essere seppelliti nello stesso sarcofago. Ripetuti tentativi di indurre Michelangelo a tornare a Firenze ebbero sempre esito negativo. Le Allegorie furono piazzate sui coperchi dei sarcofagi nel 1546. Non è possibile stabilire con certezza in quale ordine furono eseguite le sculture della Cappella Medicea, perché alcune statue furono portate avanti simultaneamente e tutte, fuorchè il duca Giuliano, furono lasciate incompiute. Parrebbe che Michelangelo abbia messo mano alle Allegorie nell’aprile del 1524. GIULIANO DE’ MEDICI DUCA DI NEMOURS Come la statua compagna di Lorenzo de’ Medici, quella del duca Giuliano (morto nel 1516) è descritta da Niccolò Martelli come un ritratto idealizzato. La testa scolpita da Michelangelo differisce dal ritratto barbuto attribuito a Raffaello e databile intorno al 1515 nel Metropolitan Museum di New York e dall’altro ritratto barbuto su una medaglia datata di quell’anno. Però concorda con il ritratto sbarbato di Giuliano su 2 medaglie del 1513. Michelangelo lo presenta in armatura classica, col bastone di comando di Capitano della Chiesa, in una posa che è stata messa in rapporto con un rilievo bizantino di San Giorgio a San Marco di Venezia. Le monete ch’egli tiene nella mano sx sono state interpretate alternativamente come un emblema di magnanimità o come gli oboli delle anime defunte. Il Tolnay suppone che le mani, i ginocchi e il volto siano di Michelangelo e che la superficie del marmo fu lustrata dal Montorsoli al quale spetterebbero anche in parte la corazza e la mascherina. Il Kriegbaum la considera un’opera autografa di Michelangelo. Fu installata nella sua edicola, come la statua compagna del duca Lorenzo, prima del settembre 1534. LORENZO DE’ MEDICI DUCA DI URBINO assegna all’Ammannati. Una lettura di Michelangelo al Fattucci in data 24 ottobre 1525 spiega che i Fiumi non erano stati ancora cominciati “perché non ci sono e’ marmi”. Wilde ha osservato che nel 1525 Michelangelo può aver deciso di aumentare le dimensioni degli dei fluviali, il che necessitava l’ordinazione di nuovi blocchi. In tal caso, il modello dell’Accademia risalirebbe al 1524. TAVOLE 36,37: DEPOSIZIONE – FIRENZE, DUOMO Il Compianto sul Cristo morto nel Duomo di Firenze è menzionato nella prima edizione delle Vite del Vasari (1550), e perciò deve essere stato iniziato prima di quell’anno. Una lettera del Vasari a Lionardo Buonarroti in data 18 marzo 1564 attesta che il gruppo era stato progettato da Michelangelo per il suo monumento in Santa Maria Maggiore. Secondo il Vasari: 1) Michelangelo aveva inteso il gruppo per la sua tomba 2) Se per la tomba si usava quella Pietà a Cosimo I sarebbero toccate tutte le statue rimaste nello studio fiorentino di Michelangelo Pierantonio Bandini rifiutò di accedere a questa richiesta, tanto che nel 1652 il gruppo si trovava ancora nella sua villa. Fra quella data e il 1674 il gruppo venne portato a Firenze su richiesta di Cosimo III, il quale però non lo volle nella Cappella Medicea e lo fece collocare nella cripta di San Lorenzo. Nel 1721 fu sistemato dietro l’altar maggiore del Duomo al posto dell’Adamo e Eva del Bandinelli e nel 4° decennio di questo secolo fu su un altare nel transetto nord della Cattedrale dove si trova tuttora. L’affermazione del Kriegbaum che l’opera si trovava nello studio di Michelangelo alla sua morte è dunque errata. Le due braccia sembrano originali. Il petto del Cristo e un dito della mano sx della Madonna presentano tracce di riparazione (forse fatta dal Calcagni). La mano sx del Cristo è pure stata attribuita al Calcagni. Il Tolnay pensa che la gamba sx del Cristo, mancante, fosse scolpita da un diverso blocco di marmo, il che però non sarebbe consono alle abitudini del maestro. Il gruppo è stato largamente modificato sul lato sx e l’intera figura della Maddalena è del Calcagni. GIOVANNI FRANCESCO RUSTICI (1474-1554) G.F.Rustici nacque il 13 novembre 1474 e il Vasari lo dice allievo del Verrocchio. Più tardi fu in stretto rapporto con Leonardo da Vinci. Alla cacciata dei Medici da Firenze (1528) lasciò la città per recarsi in Francia con una raccomandazione per Francesco I da parte di Giovanni Battista della Palla. TAVOLE 38,39: S. GIOVANNI BATTISTA PREDICA A UN LEVITA E A UN FARISEO – FIRENZE, BATTISTERO Il gruppo bronzeo del Rustici si trova tuttora nella sua collocazione originaria sopra la porta del Battistero. Il gruppo mostra (al centro) San Giovanni Battista sotto un tabernacolo, con (a sx) un Fariseo e (a dx) un Levita. Le tre figure si ergono su piedistalli bronzei a tamburo. Un contratto per le figure fu firmato il 10 dicembre 1506. Il 9 marzo 1509, quando il termine di consegna era ormai scaduto, venne concessa una proroga per completare le statue. I modelli in terracotta erano pronti il 18 settembre 1509. Il gruppo fu installato e scoperto il 24 giugno 1511. Il pagamento, per un totale di 1200 fiorini, fu espletato soltanto il 21 gennaio 1523. La parte avuta da Leonardo nel progetto e nell’esecuzione delle statue non è stata definita in modo soddisfacente. Una nota del Codice Arundel testimonia la presenza di Leonardo a Firenze durante la prima metà del 1508; e siccome i modelli non furono pronti per la fusione che nel settembre del 1509, è possibile che Leonardo, nel 1508 avesse una parte decisiva nello stabilire la loro forma. TAVOLA 40: MERCURIO – COLLEZIONE PRIVATA Secondo il Vasari, il Cardinale Giulio de’ Medici commissionò nel 1515 al Rustici una piccola figura di Mercurio per la fontana nel cortile di Palazzo Medici. A provocare questa allogazione furono le statue eseguite dal Rustici per l’ingresso a Firenze di papa Leone X. L’identificazione dell’opera qui riprodotta con il Mercurio del Rustici è dovuta al precedente proprietario, Henry Harris. La bocca è forata per emettere acqua. LORENZO LOTTI (LORENZETTO) (1490-1541) Nato a Firenze nel 1490. Ritornato a Firenze dopo la elezione di papa Adriano VI, nel 1523 lo troviamo di nuovo a Roma a scolpire, con l’aiuto di Raffaello da Montelupo, l’Elia per la Cappella Chigi e una Madonna in piedi per la tomba di Raffaello nel Pantheon. Come scultore, Lorenzetto interessa unicamente in quanto è legato a Raffaello. Il Vasari descrive l’attività di Lorenzetto a Roma come decoratore, architetto e restauratore di cose antiche e ricorda che il giardino del Cardinale della Valle, progettato da Lorenzetto e decorato con figure antiche e rilievi, ebbe un influsso formativo sul gusto a Roma. TAVOLA 41: LA CAPPELLA CHIGI – ROMA, S. MARIA DEL POPOLO La cappella funebre disegnata da Raffaello per Agostino Chigi in S. Maria del Popolo è descritta dal Vasari nella Vita di Raffaello. Il primo accenno alla Cappella risale al 28 agosto 1519 ed è l’ingiunzione espressa da Agostino Chigi nel suo testamento che dopo la sua morte la Cappella venisse terminata secondo il progetto noto a Raffaello e all’orefice Antonio da San Marino. Dopo la morte di Raffaello (6 aprile 1520) e di Agostino Chigi (10 aprile 1520) Sigismondo Chigi stipulò un contratto con Lorenzetto per la costruzione della tomba di suo fratello Agostino. Il contratto originale non è stato trovato, ma sappiamo che il 10 febbraio 1521 Lorenzetto s’impegnò a costruire la tomba. Fra il 10 luglio 1520 e l’8 aprile 1522 fu concordato che Lorenzetto avrebbe eseguito un secondo monumento sulla parete dx della Cappella in onore di Sigismondo Chigi. Alla seconda data Lorenzetto aveva lasciato Roma per Firenze perché i due monumenti erano virtualmente completi e il poco che mancava ancora da fare era stato affidato dagli eredi del Chigi a Bernardino da Viterbo. Le sculture progettate per la Cappella comprendevano, oltre alle due tombe, 4 statue, delle quali solo due furono eseguite, il Giona e l’Elia. L’Elia fu ultimato nella bottega di Lorenzetto dal Montelupo nei primi anni del pontificato di Clemente VII. Il completamento delle pitture fu affidato al Salviati e la Cappella venne aperta nel 1573. Fra la morte di Lorenzo Chigi, figlio di Agostino, avvenuta nel 1573 e l’arrivo a Roma di Fabio Chigi (divenuto poi papa Alessandro VII) nel 1626, l’interesse dei Chigi per la Cappella cessò del tutto. Una descrizione di Fabio Chigi nel 1626 precisa che le statue di Giona e di Elia erano collocate in nicchie sulla parete d’ingresso, che le nicchie accanto all’altare erano vuote e che la parete sx della Cappella era occupata dalla tomba di Agostino Chigi. Nel 1652 Fabio Chigi divenne cardinale ed affidò il completamento della Cappella in Santa Maria del Popolo al Bernini il quale trasferì la statua di Giona nella nicchia a sx dell’altare e fornì per le due nicchie vuote due statue di Daniele e Abacuc. Un ritratto in rilievo fu scolpito allora per il medaglione sul monumento di Agostino Chigi, lo spazio destinato all’iscrizione fu riempito con una nuova iscrizione e i due rilievi in bronzo alla base vennero rimossi e sostituiti con lastre di marmo colorato. Il più piccolo dei due rilievi è sparito, ma quello più grande, raffigurante Cristo e l’Adultera, venne murato nell’altare della Cappella. La tomba così modificata venne per lungo tempo considerata come opera originale del Bernini. ANDREA SANSOVINO (ca. 1467-1529) Secondo il Vasari (1568) Andrea Sansovino nacque verso il 1460, era figlio di un operaio, Domenico Contucci di Monte San Savino, e si formò sotto Antonio Pollajuolo. Tuttavia è stato provato che il padre di Andrea si chiamava Niccolò di Menco de’ Mucci, che i suoi genitori si erano sposati nel giugno del 1465 e che egli aveva un fratello maggiore chiamato Piero; la sua nascita deve quindi essere avvenuta verso il 1467-70. Il Vasari (1550) dà come data di nascita il 1471. Nel 1491 il nome di Andrea fgura fra gli iscritti all’Arte dei Maestri della Pietra e Legname. Non esiste alcuna evidenza per sostenere il supposto tirocinio di Andrea sotto il Pollajuolo ed è improbabile che egli sia stato nella bottega di uno scultore in bronzo. Durante il 1505 si trasferì da Firenze a Roma. Viene nominato Capo e maestro generale della fabbrica loretana (decretata da Leone X il 22 giugno 1513). Nel 1523 e 1524 fu attivo a Monte San Savino, e vi tornò quando lasciò Loreto il 29 giugno 1527. La morte di Andrea Sansovino avvenne fra il 30 marzo e l’11 aprile 1529. TAVOLA 42: MADONNA COL BAMBINO, SAN GIOVANNI BATTISTA – GENOVA, DUOMO Le due figure occupano due nicchie sulla parete di fondo e a sx dell’altare della Cappella e sono iscritte sui piedistalli. La commissione per la Cappella di San Giovanni fu assegnata il 4 maggio 1448 a Domenico Gaggini e si lavorò alla sua costruzione fino al 1465. Nel 1494 Giovanni d’Aria da Como Domenico Aimo, dal tribolo e da Francesco da Sangallo; (in basso) Traslazione della Santa Casa. Un quadro scolpito dal Tribolo (1533), l’altro da Francesco da Sangallo (1533). Il disegno della Santa Casa è dovuto al Bramante. Nel 1510 Antonio Peregrini preparò, da un disegno del Bramante, un modello per la Santa Casa. La direzione dei lavori fu affidata allo scultore Gian Cristoforo Romano; e si intendeva allora che egli fosse responsabile anche dell’esecuzione dei rilievi. Gian Cristoforo Romano morì il 31 maggio 1512 e gli successe Pietro Amoroso. Il 22 giugno 1513 Leone X emise un breve che impegnava Andrea Sansovino non soltanto per le sculture della Santa Casa, ma come vero e proprio successore dell’Amoroso. Si è desunto dai termini della nomina che Andrea Sansovino non fosse obbligato a seguire il disegno del Bramante per la Santa Casa, ma questo è ipotetico. I documenti attestano la sua permanenza a Loreto a partire dal 6 febbraio 1514. Alla fine del 1514, tuttavia, il progresso dei lavori non fu considerato soddisfacente e l’8 dicembre dello stesso anno fu nominato Cardinale Protettore il Cardinale Babbiena. Da questo momento le responsabilità amministrative del Sansovino sembrano declinare. Il 18 gennaio 1517 Antonio da Sangallo fu incaricato da papa Leone X di ispezionare e riferire sui lavori a Loreto e in seguito a questa visita Andrea Sansovino venne deposto dalla carica di Capomaestro e sostituito da Cristoforo Resse conservando il solo controllo sulle sculture. In seguito a questo cambiamento amministrativo il suo salario fu ridotto a 1/3. La decorazione della Santa Casa può essere iniziata già nel 1513, quando fu ottenuto da Carrara il marmo, ma il lavoro ebbe inizio solo nel 1517-18. Probabilmente in questo periodo Domenico Aimo da Varignana raggiunse il Sansovino a Loreto. Anche Baccio Bandinelli andò a Loreto più o meno allo stesso tempo. Loreto non piaceva troppo agli artisti obbligati a lavorarvi e dopo un certo tempo sia Domenico Aimo sia Baccio Bandinelli si trasferirono ad Ancona con le sculture alle quali erano impegnati. Il Bandinelli lasciò il suo rilievo ad Ancona, senza terminarlo. Dopo la morte di papa Leone X e l’elezione di papa Adriano VI, i fondi per il Santuario furono richiesti a Roma e ciò significò la sospensione dei lavori alla Santa Casa e al Duomo. Con l’elezione di Clemente VII, Giuliano Ridolfi venne rinominato Protettore del Santuario e Andrea Sansovino venne riconfermato Capomaestro delle sculture, ma con poteri più estesi che gli assicuravano in effetti il pieno controllo dei lavori. Nel 1523-24, il Sansovino iniziò trattative, poi fallite, con Michelangelo, offrendosi di lavorare come aiuto a Firenze. L’ultima testimonianza della sua presenza a Loreto è del 29 giugno 1527. Al tempo del Sacco di Roma l’attività a Loreto fu temporaneamente sospesa. Fu ripresa non appesa fu ristabilita la sovranità papale, ma Andrea Sansovino era già morto. Dal punto di vista scultoreo, la parte più importante del monumento sono le storie della Vergine. Di queste, l’Annuncio ai Pastori e l’Adorazione dei Pastori sono autografe di Andrea Sansovino. La metà sx dello Sposalizio della Vergine venne terminata da Andrea Sansovino, ad eccezione della figura del San Giuseppe che è del Tribolo. Gli schemi della Nascita della Vergine e della Dormizione sono originali del Sansovino. TAVOLA 48: MADONNA COL BAMBINO E S. ANNA – ROMA, SANT’AGOSTINO Il gruppo era originariamente addossato al 3° pilastro a sx della navata centrale della chiesa, sotto l’Isaia affrescato da Raffaello. Johann Goritz, protonorato apostolico, che aveva commissionato questa scultura e l’Isaia di Raffaello, era nativo del Lussemburgo e raccoglieva intorno a sé umanisti come il Sadoleto, Giambattista Castiglione, Paolo Giovio, Erasmo e altre importanti figure del tempo. La commissione a Raffaello per l’Isaia e quella al Sansovino per questa scultura, manifestano la devozione del Goritz a Sant’Anna. Secondo il Vasari, Raffaello, nell’atteggiare il suo Profeta, s’ispirò agli affreschi di Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina. La prima metà della volta fu scoperta nell’agosto del 1510, ma è possibile che il riferimento sia ai Profeti più tardi. Si presume che il gruppo marmoreo del Sansovino e l’affresco di Raffaello fossero commissionati simultaneamente. Goritz era solito dare una festa nella sua Vigna sopra il Foro Traiano il giorno di Sant’Anna (26 luglio) e in quell’occasione i suoi amici umanisti portavano i loro versi sia alla villa sia nella chiesa di Sant’Agostino. JACOPO SANSOVINO (1486-1570) Jacopo Tatti nacque a Firenze e fu battezzato il 3 luglio 1486. Nel 1502 entrò nella bottega di Andrea Contucci detto il Sansovino, del quale assunse il nomignolo e nel 1505-6 seguì Andrea a Roma dove fu principalmente occupato nel restauro di statue antiche, eseguì una copia del Laocoonte e forse aiutò Andrea Sansovino nei monumenti sepolcrali di Santa Maria del Popolo. A Roma attirò l’attenzione di Bramante e Raffaello. Nel 1511 tornò a Firenze. Si trasferì da Roma e Venezia dove forse era già stato nel 1523, prima della morte del cardinale Grimani (27 agosto 1523). Morì il 27 novembre 1570. TAVOLA 49: LA MADONNA DEL PARTO – ROMA, SANT’AGOSTINO Jacopo Sansovino è menzionato per l’ultima volta a Firenze nel maggio 1518 e giunse a Roma prima del 15 dicembre dello stesso anno. Possiamo situare l’allogazione della Madonna nel 1518-19. È probabile che il lavoro a questo gruppo si protrasse per tutto il 1520. Il prototipo classico, forse un’Agrippa, su cui è basata la figura della Vergine non è stato identificato. La nicchia nella quale è collocata la figura fu disegnata dallo stesso Jacopo Sansovino. TAVOLA 50: BACCO – FIRENZE, MUSEO DEL BARGELLO La statua fu grandemente danneggiata dall’incendio nel 1762, ma fu poi rimessa insieme come è adesso, e nel 1880 fu trasferita dagli Uffizi al Museo del Bargello. E’ chiaro dal racconto del Vasari che il Bacco fu fatto dopo il rientro di Jacopo Sansovino a Firenze (1511) e prima della sua seconda partenza per Roma (1518); il Lorenzetti e il Planiscig suppongono una datazione fra il 1511 e il 1514, il Weihrauch fra il 1513 e il 1518. Tuttavia la statua può essere assegnata agli anni 1511-12, dal momento che il pagamento venne fatto in quest’ultimo anno. Il Bacco fu collocato nel cortile su un basamento di marmo rosso e bianco di Benedetto da Rovezzano. TAVOLA 51: SAN GIACOMO MAGGIORE – FIRENZE, DUOMO Il contratto fra l’Opera del Duomo e Michelangelo per 12 statue di Apostoli più grandi del vero venne abrogato il 18 dicembre 1505. Per 6 anni l’intero progetto rimase in sospeso; fu ripreso tuttavia nel 1511, secondo il Vasari su istanza del Cardinale Giulio de’ Medici, e il 2 giugno 1511 venne allogata a Jacopo Sansovino una statua di San Giacomo Maggiore. Un anno più tardi, il 28 dicembre 1512, venivano allogati ad Andrea Sansovino, che lavorava allora a Roma, i Santi Matteo e Taddeo; né l’una né l’altra statua venne eseguita. Il 28 settembre 1512 venne commissionata a Benedetto da Rovezzano una 4° figura, il San Giovanni Evangelista. Poco dopo, il 15 ottobre 1512, fu allogato ad Andrea Ferrucci un Sant’Andrea, e nel 1515 si cercò di ottenere da lui un’altra statua. Il 25 gennaio 1515 venne allogato un San Pietro al Bandinelli. A questo punto le allogazioni furono lasciate cadere e le statue già eseguite furono lasciate cadere e le statue già eseguite rimasero nell’Opera del Duomo fino a che, nel 1565, Cosimo I fece imbiancare l’interno della cattedrale e vi fece installare temporaneamente le 4 statue, in occasione delle nozze di Giovanna d’Austria e di Francesco de’ Medici. I tabernacoli di marmo colorato che oggi contengono gli Apostoli furono disegnati nel 1563-65 dall’Ammannati. Lettere scritte dall’Ammannati al Granduca nel 1563 rivelano che gli Accademici fiorentini accolsero con molta esitazione la proposta del Granduca di installare le 4 figure terminate nella Cattedraòe. In una lettera dell’8 ottobre 1563 l’Ammannati esprime l’opinione che solo due delle figure, cioè il San Giacomo del Sansovino e il San Pietro del Bandinelli, meritavano di essere collocate nella Cattedrale; questo punto di vista venne espresso anche dal pittore Bronzino. Nella stessa lettera egli attira l’attenzione sulle difficoltà di progettare tabernacoli che si adattino all’architettura della chiesa. Sembra che Francesco da Sangallo proponesse di collocare in Duomo anche il San Matteo non finito di Michelangelo. Dall’inizio si considerava il San Giacomo del Sansovino superiore alle altre statue. Il San Giacomo del Sansovino fu rimosso il 26 maggio 1513 dallo Spedale di Sant’Onofrio, dove era stato scolpito, all’Opera del Duomo, e venne terminato nel 1518. GIOVANNI DA NOLA (ca. 1488-1558) Giovanni da Nola o Giovanni da Mirigliano (dal nome del suo luogo di nascita, Marigliano, cittadina nella provincia di Caserta, non lontano da Nola) fu avviato all’arte dallo scultore in legno Pietro Belverte (morto nel 1513). Dal testamento di Tommaso Malvito (2 luglio 1508) sappiamo che a quella data Giovanni da Nola lavorava già il marmo. L’ultimo pagamento a Giovanni da Nola citato nei documenti concerne l’altar maggiore di San Patrizio e risale al 1551. TAVOLA 52: MONUMENTO DI DON PEDRO DA TOLEDO – NAPOLI, SAN GIACOMO DEGLI SPAGNUOLI Il monumento ha la forma di una piattaforma con 4 virtù agli angoli (Giustizia, Prudenza, Temperanza, Fortezza). Al centro, su un plinto sopraelevato, sono le figure inginocchiate di Don Pedro da Toledo e di sua moglie, Maria Osorio Pimentel. Sotto di loro, la testata della piattaforma contiene l’iscrizione. Sui fianchi e a tergo, la piattaforma è decorata con 3 rilievi che rappresentano: 1) La spedizione di Don Pedro da Toledo contro i turchi nel 1538 2) Un’operazione navale nelle acque di Baia contro il pirata Barbarossa nel 1544 3) Don Pedro da Toledo in attesa dell’imperatore Carlo V a Porta Capuana nel 1535 Don Pedro, suocero del Granduca Cosimo I, morì a Firenze e fu sepolto i Duomo dove è tuttora la sua tomba. La fontana dell’Ercole è ancora in situ. La base e la vasca sono ottagonali; fra la base e la prima tazza vi sono 7 putti seduti sugli artigli. Sull’orlo della tazza giuocano 4 putti in bronzo. 4 putti marmorei, in piedi, spremono acqua dal collo di oche intorno all’elemento centrale, che sostiene una seconda tazza più piccola. In alto questa si adorna di maschere caprine e in cima, sotto al gruppo con Ercole ed Anteo che corona la fontana, vi è ancora un piedistallo con 4 piccoli putti seduti. Per quanto riguarda la paternità delle singole parti della fontana, si deve notare che 1) Il Vasari asserisce che i 4 putti di bronzo sull’orlo della tazza furono modellati da Pierino da Vinci e gettati in bronzo da Zanobi Lastricati 2) Che gli 8 putti sotto la tazza furono considerati dal Borghini (1584) come opera autografa del Tribolo 3) Che, dopo la morte del Tribolo, Antonio e Stoldo Lorenzi, fra il 19 novembre 1552 e il 28 febbraio 1555, ricevettero, a intervalli, dei pagamenti per lavori eseguiti sulla fontana. U. Middeldorf attribuisce i 4 putti con le oche a Pierino da Vinci; nessun documento giustifica questa attribuzione e i putti sono di nuovo restituiti al Tribolo da C. Gamba. Il gruppo con Ercole e Anteo in cima alla fontana è dell’Ammannati (fuso in bronzo nel 1559.60). Secondo il Vasari, il progetto iniziale prevedeva figure marmoree di mano del Montorsoli. Una lettera non datata del Montorsoli a Cosimo I conferma ch’egli scolpì quel gruppo e rivela che il Bandinelli lo trovò in San Lorenzo e lo distrusse. Non vi è ragione di dubitare dell’affermazione del Vasari che l’attuale Ercole e Anteo dell’Ammannati si basa su un modello del Tribolo. TAVOLA 60: L’ASSUNZIONE DELLA VERGINE – BOLOGNA, SAN PETRONIO Il bassorilievo con l’Assunzione della Vergine che si trova nella Cappella delle Reliquie in San Petronio fu scolpito dal Tribolo per la chiesa della Madonna di Galliera. Il bassorilievo venne trasferito dalla chiesa della Madonna di Galliera nella Cappella Zambeccari a San Petronio nel 1746 ed in quell’anno vi fu aggiunta a stucco una gloria di Angeli in alto. PIERINO DA VINCI (morto nel 1554) La data di nascita di Pierino da Vinci è variamente situata nel 1520-21 e nel 1531. Secondo il Vasari egli morì nel 1554 all’età di 23 anni (cifra che il Milanesi suppone si debba leggere 33). All’età di 12 anni venne messo nella bottega del Bandinelli, ma fu presto trasferito in quella del Tribolo. Nel 1548 fu a Roma dove si familiarizzò con le opere e con la tecnica scultorea di Michelangelo; torna a Pisa nel 1549. TAVOLA 61: COSIMO I PATRONO DI PISA – MUSEO VATICANO Il rilievo è menzionato dal Vasari dopo la statua della Dovizia in Piazza Cairoli a Pisa, e fu perciò eseguita probabilmente dopo il ritorno dello scultore da Roma nel 1549. Una data post-romana è accettata da W. Gramberg. Non si hanno notizie sull’ubicazione del rilievo fra il 1568 e il 1772 quando apparteneva al Cavaceppi, l’amico del Wickelmann, che lo riprodusse nelle sue Raccolte d’antiche statue come opera di Michelangelo. Dal 1792 si trova nel Museo Pio Clementino in Vaticano. TAVOLA 62: SANSONE CHE UCCIDE UN FILISTEO – FIRENZE, PALAZZO VECCHIO Il Vasari asserisce che il gruppo fu scolpito da Pierino da Vinci per Luca Martini, al suo ritorno da Roma. TAVOLA 63: DIO FLUVIALE – PARIGI, LOUVRE La statua fu identificata da U. Middeldorf con quel dio fluviale che il Vasari afferma scolpito da Pierino da Vinci per Luca Martini. Le principali risonanze fra la descrizione del Vasari e la figura del Louvre sono: 1) Che il dio fluviale non è in posizione reclinata 2) Che la statua del Louvre mostra 2 putti e non 3 Tuttavia, come nota U. Middeldorf, il Vasari dice che in origine il blocco di marmo era alto 3 braccia, mentre l’altezza della nostra figura è approssimativamente di 2 braccia. Dal momento che la statua fu inviata a Napoli, non vi è ragione di supporre che il Vasari la conoscesse molto bene. La statua entrò al Louvre con la collezione Schlichting, e Schlichting l’aveva acquistata dal Palazzo Balzo di Napoli. L’attribuzione a Pierino da Vinci e una datazione intorno al 1548 sono accettate da W. Gramberg e da A. Venturi, il quale però riproduce altrove la statua come Tribolo. È probabile che la statua sia stata donata a Don Garcia da Toledo nel 1551. BACCIO BANDINELLI (1493-1560) Nato a Firenze nel 1493, Baccio Bandinelli fu avviato all’arte dal padre, Michelangelo di Viviani de’ Bandini, un orefice protetto dai Medici, e più tardi entrò nella bottega del Rustici. Avvenuta la cacciata dei Medici (1527), il Bandinelli si trasferì prima a Lucca e poi a Genova. Prima del 1529 Giovanni Battista della Palla comprò per Francesco I di Francia una statua del Bandinelli rappresentante Mercurio giovane (perduta). In questo periodo il Bandinelli fu fatto cavaliere di S. Iago. Nel 1531 lavorò a Loreto. Tre anni più tardi terminò, in gara con Michelangelo, la sua opera maggiore, ossia il controverso gruppo di Ercole e Caco. Lo scultore morì il 7 febbraio 1560. TAVOLA 64: ERCOLE E CACO – FIRENZE, PIAZZA DELLA SIGNORIA La storia dell’Ercole e Caco del Bandinelli risale al 1508, quando Piero Soderini ordinò per Michelangelo un blocco di marmo alto 9 braccia e mezzo e largo 5. Il blocco era destinato fin dall’inizio a Piazza della Signoria, per la quale Michelangelo doveva scolpire un gruppo di Ercole e Caco come pendant del David. Ma il marmo fu pronto soltanto nel 1525 quando, per ordine di papa Clemente VII, fu assegnato al Bandinelli. Secondo il Vasari, causa prima del trasferimento del marmo da uno scultore all’altro fu Domenico Buonisegni, che era stato offeso da Michelangelo e aveva persuaso il papa a stimolare la rivalità fra i due scultori. Il Vasari dice che Michelangelo tentò senza successo di dissuadere il papa dalla decisione presa, mentre il Bandinelli, da parte sua, si vantava di voler superare il David. Dopo una serie di difficoltà d’ordine pratico, il blocco di marmo venne trasportato a Firenze, e allora le sue dimensioni risultarono inadatte al modello del Bandinelli (che fu tuttavia conservato nel 1568 nel guardaroba di Cosimo I). Perciò il Bandinelli fece qualche altro modello e “uno più degli altri ne piacque al papa”. Secondo il Vasari esso mostrava meno vigoria e vivacità del progetto scartato. Fra questa data e il 1527 il Bandinelli cominciò a lavorare al blocco di marmo. Tuttavia nel 1528 il blocco di marmo appena sbozzato fu mostrato a Michelangelo, allora impegnato alle fortificazioni di Firenze durante il governo popolare, per sapere se la sbozzatura subita ne precludeva l’uso per un nuovo gruppo di 2 o 3 figure. Sembra che la risposta fosse negativa e Michelangelo, di conseguenza, cominciò a preparare modelli per un gruppo di Sansone con 2 Filistei. Tuttavia, dopo il ritorno dei Medici, Michelangelo dovette riprendere il lavoro nella Cappella Medici e al Bandinelli si ingiunse di finire il suo Ercole e Caco. Il gruppo fu terminato nel 1534 ed è firmato alla base. Il 1° maggio 1534 fu rimosso all’Opera del Duomo dove era stato scolpito, e fu collocato da Baccio d’Agnolo e da Antonio da Sangallo il Vecchio sul suo piedistallo in Piazza della Signoria. Vedendo il gruppo all’aperto, il Bandinelli giudicò i muscoli “troppo dolci” e “ridusse le figure più crude che prima non erano”. Quando fu scoperto, il gruppo suscitò critiche e motteggi, tanto che Alessandro de’ Medici ci fece imprigionare alcuni fra gli autori delle satire per por fine allo scandalo (così il Vasari). TAVOLA 65: CRISTO MORTO SORRETTO DA NICODEMO – FIRENZE, SS. ANNUNZIATA Il gruppo adorna l’altare della prima cappella a dx della tribuna. Il Cristo morto appare sorretto sul ginocchio sx da Nicodemo e siede su un blocco rettangolare iscritto. In primo piano sono ammucchiate la lancia, la spugna, il martello, le tenaglie, i chiodi. Sulla base, anch’essa di marmo, sono scolpiti festoni e stemmi; 4 teschi ne sottolineano gli angoli e a tergo sono i ritratti a rilievo dello scultore e della moglie. La base poggia su un alto plinto dal quale sporge l’altare e sul quale è inciso l’epitaffio. La cappella dove è situato il gruppo apparteneva alla famiglia Pazzi ed era dedicata a San Giacomo. Tuttavia, nel 1559, fu concessa al Bandinelli e dedicata alla Pietà. Il gruppo fu iniziato, pare, nel 1554 e il Vasari dice che fu tirato innanzi da Clemente, figlio del Bandinelli: la testa di Nicodemo è un ritratto idealizzato del Bandinelli. Clemente Bandinelli deve aver sbozzato le figure seguendo un modello del padre. Il Bandinelli fu sepolto nella cappella il 7 febbraio 1560. Sembra che a un certo momento lo scultore pensasse di affiancare il Cristo sorretto da Nicodemo con statue di San Girolamo e di Santa Caterina da Siena. Nella sua Vita il Cellini cita questo busto come un’opera fatta per acquistare esperienza di fusione prima di gettare in bronzo il Perseo. Siccome il Perseo fu allogato a Benvenuto nel 1545, il busto deve esser stato modellato e fuso poco dopo il ritorno del Cellini a Firenze. Era terminato il 17 febbraio 1547, quando fu pagato allo scultore 500 scudi d’oro. Il busto è descritto in un inventario del guardaroba di Cosimo I dell’ottobre 1553 come “tocco d’oro” e sembra che gli occhi, in origine, fossero argentati o smaltati e che l’armatura fosse parzialmente dorata. Il 5 febbraio 1557 Benvenuto Cellini pretese che il compenso fosse portato alla somma totale di 800 scudi d’oro e nel novembre di quell’anno il bronzo fu inviato all’Isola d’Elba per essere piazzato sopra l’ingresso della fortezza di Portoferraio, ove rimase fino al 1781. TAVOLE 70,71: PERSEO – FIRENZE, LOGGIA DEI LANZI L’allogazione del Perseo, nel 1545, è descritta dal Cellini nella sua Vita e nel suo Trattato della Scultura. Secondo la prima versione, lo scultore, appena tornato dalla Francia, andò a visitare Cosimo I a Poggio a Caiano, che subito lo invitò a lavorare con lui. A dire del Cellini, il Duca, quando vide il modello pronto, fu scettico sulla riuscita della fusione e specialmente dubitò che potesse venir bene la testa mozza, in alto, della Medusa. Famoso è il racconto, nella Vita, della fusione del Perseo in un sol pezzo, riuscita in tutto salvo che nella punta del piede dx. nel 1554 il gruppo era pronto e il 28 aprile fu scoperto nella Loggia dei Lanzi riscuotendo l’ammirazione popolare. TAVOLA 72: CROCIFISSO – EL ESCORIAL La figura fu scolpita fra il 1556 e il 1562. Esso è menzionato anche nel Trattato della Scultura, dove il Cellini accenna alla difficoltà di lavorare il marmo nero di Carrara di cui è fatta la croce e dichiara di averlo scolpito per la propria tomba. Il marmo nero per la croce fu acquistato il 27 novembre 1557 dall’Opera di San Giovanni. Le intenzioni dello scultore sono chiarite anche in un testamento del 1555, ove si parla di un modello in cera di Cristo in croce, che doveva essere tradotto in marmo per adornare la tomba dello scultore. Il Crocifisso era destinato a Santa Maria Novella, e vi doveva essere appeso davanti alla Cappella Grondi. Doveva essere completato da un rilevo raffigurante la Madonna, col Crocifisso volto verso di Lei, e un Angelo e San Pietro in funzione di intercessore. Tale figurazione corrispondeva a una visione avuta dal Cellini nel 1539, quando era incarcerato a Castel Sant’Angelo. L’intento di installare il Crocifisso sopra la sua tomba aveva cominciato a oscillare fin dal dicembre 1557, quando Benvenuto aveva offerto di appenderlo in Santa Maria Novella o in qualsiasi altra chiesa il duca volesse; e nell’agosto 1565 il Crocifisso fu venduto a Cosimo I e installato in Palazzo Pitti. Nel 1576 Francesco I de’ Medici inviò il Crocifisso in dopo a Filippo II re di Spagna, il quale lo appese nel retro-coro dell’Escorial. Le braccia furono tagliate durante la guerra per l’indipendenza spagnola; in origine la figura era tutta d’un pezzo. BARTOLOMEO AMMANNATI (1511-1592) Benchè nato a Settignano nel 1511, l’Ammannati pare studiasse nella bottega pisana di Stagio Stagi e nel Duomo di Pisa si trova la sua prima opera nota, una lunetta d’altare, eseguita nel 1536. Intorno al 1540 fece ritorno a Firenze per eseguire il monumento Nari alla SS. Annunziata. Deluso per il cattivo esito di quell’allogazione, se ne andò a Venezia, dove lavorò con Jacopo Sansovino, il quale ebbe un forte influsso formativo sul suo stile. Centro della sua attività, tuttavia, fu Padova e non Venezia. Nel 1550 sposò la poetessa Laura Battiferri a Loreto e in seguito all’elezione di papa Giulio III andò a Roma. Alla morte di Giulio III si stabilì a Firenze (1555). Disegnò molti edifici a Firenze e a Lucca. Verso la fine della sua vita subì fortemente l’influsso della Controriforma, pare per opera dei Gesuiti costruì la sua cappella funeraria. Quel mutamento d’animo è rispecchiato in una lettera ch’egli indirizzò nel 1582 agli Accademici del Disegno inveendo contro la rappresentazione del nudo. Bartolomeo Ammannati morì il 22 aprile 1592. TAVOLA 73: VITTORIA – FIRENZE, MUSEO DEL BARGELLO Il gruppo della Vittoria (che fu installato in una nicchia nell’angolo sud-orientale del chiostro e poi trasferito nel Giardino dei Semplici) e l’effige sepolcrale di Mario Nari sono entrambi nel Museo del Bargello, mentre i Fanciulli sono scomparsi. L’allogazione del Monumento Nari risale probabilmente al 1540 e la partenza dell’Ammannati per Venezia può essere stata provocata dalla visita di Jacopo Sansovino a Firenze, in quell’anno. TAVOLA 74: LA FONTANA DI NETTUNO – FIRENZE, PIAZZA DELLA SIGNORIA Il progetto di una fontana in Piazza della Signoria è menzionato per la prima volta in una lettera del Bandinelli a Jacopo Guidi, datata 15 marzo 1550. Il testo più ricco di notizie sul procedere della fontana è il Vasari. Egli riferisce che a Carrara fu scavato un blocco di marmo alto 10 braccia e mezzo e largo 5 braccia, che il Bandinelli andò subito a vederlo (probabilmente nel 1558) e lo riservò per sé pagando un deposito di 50 scudi. Nel 1559 il proprietario del marmo chiese il pagamento a saldo e il blocco fu allora acquistato da Giorgio Vasari per Cosimo I. A questo punto sia il Cellini sia l’Ammannati si risentirono per il trattamento di favore riservato al Bandinelli e chiesero il permesso di preparare modelli in concorrenza con quelli suoi. Il duca acconsentì, non perché intendesse indire un concorso per la fontana, ma perché gli pareva che lo stimolo del gareggiare con gli altri sarebbe stato benefico per il Bandinelli. Il 5 marzo fu spostato il Marzocco di Donatello, che sorgeva sulla ringhiera al limite sx di Palazzo Vecchio, per poter cominciare i lavori della Fontana e il 4 maggio 1565 ne furono poste le fondamenta. La Fontana fu scoperta nel giugno del 1575. - Lato verso nord-est  Dio marino barbuto (Nereo?) (Ammannati)  Cartiglio sottostante (aiuto dell’Ammannati)  Satiro a sx (Vincenzo de’ Rossi)  Fauno a dx (Guglielmo Fiammingo) - Lato verso sud-est  Dori con la conchiglia (Calamech da un modello dell’Ammannati)  Cartiglio sottostante (aiuto dell’Ammannati)  Fauno a sx (Ammannati)  Satito a dx (Vincenzo de’ Rossi) - Lato verso sud-est  Teti con lo scudo di Achille (Ammannati)  Cartiglio sottostante (Ammannati)  Satiro a sx (non attribuito)  Satiro a dx (descritto dal Baldinucci come mancante; la figura attuale fu eseguita da Francesco Pozzi nel 1831) - Lato verso nord-est  Giovane dio marino con cornucopia (Vincenzo Danti)  Cartiglio sottostante (aiuto dell’Ammannati)  Fauno a sx (Guglielmo Fiammingo)  Fauno a dx (Guglielmo Fiammingo) I documenti non confermano la partecipazione di Vincenzo Danti alla Fontana e anche le attribuzioni a Vincenzo de’ Rossi sono puramente ipotetiche. TAVOLA 75: I SEPOLCRI DI ANTONIO E FABIANO DEL MONTE – ROMA, SAN PIETRO IN MONTORIO Alla morte del Cardinale Antonio del Monte (20 settembre 1533) i suoi due nipoti, il Cardinale Giovanmaria e Balduino Del Monte, si trovarono obbligati dalle clausole del testamento dello zio a erigergli un sepolcro marmoreo in San Pietro in Montorio. L’elezione del Cardinale Giovanmaria a papa Giulio III (8 febbraio 1550) fece sì che quell’obbligo si trasformò nel progetto di erigere in San Pietro in Montorio una Cappella funeraria contenente sia il sepolcro del Cardinale Antonio Del Monte sia quello di Fabiano Del Monte (morto nel 1498 e sepolto nella Chiesa della Misericordia a Monte San Savino). La struttura architettonica della Cappella fu affidata al Vasari e la decorazione plastica all’Ammannati. Il 3 giugno 1550 fu firmato un contratto col quale il Vasari s’impegnava a costruire la cappella e i sepolcri entro 30 mesi, attenendosi a un modello ligneo, su scala, approvato dal Papa. Il contratto nomina l’Ammannati come scultore incaricato di eseguire una effige e una figura allegorica e riserva al Vasari e a Michelangelo la scelta di chi avrebbe scolpito la seconda effige e figura allegorica. Da alcune lettere di Michelangelo si ricava che nacquero delle difficoltà perché il 1° agosto 1550 il papa pensò di trasferire il progetto della Cappella funeraria da San Pietro in Montorio a San Giovanni dei Fiorentini. Il 13 ottobre successivo, tuttavia, quell’idea fu abbandonata e San Pietro in Montorio fu riconfermata come sede per i sepolcri. bronzo nell’agosto del 1566 e fu issato sulla fontana il 16 dicembre successivo. L’opera risulta terminata il 30 gennaio 1567, quando le autorità bolognesi inviarono una lettera a Francesco de’ Medici per ringraziarlo di aver loro largito i servigi dello scultore. TAVOLA 82: SANSONE ATTERRA UN FILISTEO – LONDRA, VICTORIA AND ALBERT MUSEUM La fontana del Giambologna fu spedita in Spagna nel 1601. Nel 1623 il gruppo di Sansone che atterra il Filisteo fu donato da Filippo IV di Spagna a Carlo principe di Galles, che a sua volta ne fece dono al duca di Buckingham. Quando Buckingham House fu acquistato dal re Giorgio III per farne il proprio palazzo (1762), il re offrì il gruppo a Thomas Worsley, e prima del 1778 esso fu installato a Hovingham. La tazza e la base della fontana si trovano oggi a Aranjuez. Se esso era quasi finito nel 1568, non può essere stato allogato più tardi del 1565, e fu dunque iniziato prima del compimento della fontana del Nettuno a Bologna. Non è certo che il gruppo fosse inteso fin dall’origine come ornamento della fontana. TAVOLA 83: LA FONTANA DELL’OCEANO – FIRENZE, GIARDINO DI BOBOLI Il blocco di granito fu cavato, come narra il Vasari, per conto del Tribolo nel 1550. Quel granito giunse a Firenze soltanto nel 1567 e a quell’anno risale il disegno del Giambologna per la fontana. Nel maggio del 1576 la fontana fu installata al completo in vista del palazzo. Nel 1618 fu smontata e rimontata al centro dell’isolotto nella cosiddetta Vasca dei Cigni, ove tuttora si trova. Oggi la figura dell’Oceano è nel Museo del Bargello, sostituita in situ da una copia. TAVOLA 84: L’ALTARE DELLA LIBERTA’ – LUCCA, DUOMO Il cosiddetto Altare della Libertà a sx dell’Altal maggiore del Duomo di Lucca, fu consacrato nel 1369 per celebrare la libertà riconquistata dalla Città in quell’anno. Nel 1577 fu deliberato di sostituirlo con un altare del Giambologna. I documenti rivelano che la decisione di affidare l’altare di Giambologna fu presa il 23 gennaio 1577. Il 19 marzo 1577 il Giambologna presentava un modello dell’altare agli Operai del Duomo, che l’approvarono, con la clausola che il prezzo non eccedesse i 2000 scudi. L’altare era pronto il 19 febbraio 1579. A quella data anche le statue erano già sull’altare. Esse comprendevano una figura del Redentore (al centro), le figure di San Pietro (a sx) e di san Paolino (a dx), due Angeli (in alto) e (in basso) una predella con un panorama della città di Lucca. L’iconografia della statua centrale è stata spiegata dall’iscrizione in alto. Sulla mensola sotto il Cristo è inciso il nome dell’artista e l’anno in cui fu compiuto il lavoro. Il Redentore è un’opera autografa d’alta qualità; invece le figure laterali sembrano di mano del Francavilla. TAVOLE 85,86: IL RATTO DELLE SABINE – FIRENZE, LOGGIA DEI LANZI La più antica menzione del gruppo noto come il Ratto delle Sabine si legge in una lettera scritta dal Giambologna a Ottavio Farnese Duca di Parma il 13 giugno 1579. Quel bronzo è adesso a Napoli. Una seconda versione è nel Kunsthistoriches Museum di Vienna. Nel Diario del Settimani si legge che il 30 luglio 1582 la Giuditta di Donatello fu tolta dalla Loggia dei Lanzi per far posto alla nuova statua del Giambologna che vi fu installata il 28 agosto successivo. Il gruppo fu inaugurato il 14 gennaio 1583. Vi è iscritta la firma e la data. Il rilievo bronzeo nel piedistallo pare che fu eseguito nel 1582-83. TAVOLE 87,88: SCULTURE DELLA CAPPELLA GRIMALDI – GENOVA, UNIVERSITA’ Le sculture bronzee del Giambologna e della sua bottega, oggi conservate nell’Aula Magna e nella Cappella dell’Università di Genova, comprendono: 1) 6 statue di Virtù (Fede, Speranza, Carità, Fortezza, Prudenza, Giustizia) 2) 6 Angeli in riposo 3) 6 scene della Passione (Cristo davanti a Pilato, Flagellazione, Cristo deriso, Ecce homo, Pilato che si lava le mani, Andata al Calvario) e un rilievo un po’ più grande col seppellimento di Cristo Queste sculture costituivano la decorazione plastica della Cappella Grimaldi in San Francesco di Castelletto a Genova. Al tempo della Rivoluzione francese la chiesa e il convento di San Francesco furono soppressi e la chiesa venduta nel 1802, fu demolita nel 1806. La Cappella del Giambologna fu distrutta insieme alla chiesa e in un momento imprecisato fra il 1806 e il 1820 le sculture furono trasferite nell’Università di Genova. Le varie tappe di quell’allogazione sono ben documentate. Il 20 aprile 1579 Luca Grimaldi indirizzò una lettera a Francesco I de’ Medici pregandolo che concedesse al Giambologna di visitare Genova. Il Granduca sanzionò la visita in una lettera al Grimaldi datata 26 maggio 1579 a condizione che l’artista finisse prima alcuni lavori per lui. Il 10 giugno 1579 il Granduca avvisò il Grimaldi dell’imminente partenza del Giambologna e il 13 giugno 1579 lo stesso Giambologna menziona la prossima visita a Genova in una lettera a Ottavio Farnese Duca di Parma. Un contratto fu firmato dal Grimaldi e dal Giambologna a Genova il 24 luglio 1579. Il 27 luglio 1579 Luca Grimaldi scrisse al Granduca per comunicargli l’esito soddisfacente delle sue consultazioni col Giambologna. Non abbiamo una data sicura per il compimento della Cappella Grimaldi, ma è probabile che ciò avvenisse nel 1585. Il Baldinucci afferma che le sculture del Giambologna a Genova furono eseguite con l’aiuto del Francavilla. TAVOLE 89, 92: LA CAPPELLA SALVIATI – FIRENZE, SAN MARCO La prima notizia di una cappella in onore di Sant’Antonino (canonizzato nel 1523) nella chiesa di S. Marco si legge in una lettera dell’11 marzo 1526 in cui il Cardinale Pucci notifica a Fra Roberto da Gagliano di San Marco la decisione presa da papa Clemente VII di abbellire la tomba del suo concittadino e predecessore come arcivescovo di Firenze. La mancanza di fondi impedì l’immediata attuazione del progetto; ma esso fu ripreso a una data assai più tarda da Filippo Salviati la cui famiglia era imparentata con Sant’Antonino, in primo luogo attraverso Bernardo Salviati e in secondo luogo attraverso Francesco Salviati. Dopo la morte di Filippo Salviati, il progetto di una cappella in onore di Sant’Antonino fu realizzato dai suoi figli Averardo e Antonio. La costruzione e decorazione della cappella furono intraprese fra l’8 gennaio 1579 e il 9 maggio 1589. La decorazione plastica della Cappella Salviati comprende: 1) 6 statue marmoree entro le nicchie 2) 6 rilievi narrativi in bronzo 3) (sopra l’altare) un Angelo e due Putti, in bronzo 4) (altare) un Crocifisso in bronzo dorato 5) (sotto l’altare, in origine; dal 1710 in sagrestia) il sarcofago marmoreo e l’effige bronzea di Sant’Antonino 6) (sopra l’ingresso alla Cappella) una statua marmorea di Sant’Antonino Per quanto riguarda la paternità delle singole sculture, va notato che Filippo Baldinucci afferma che tutte e 6 le figure marmoree furono scolpite dal Francavilla da modelli del Giambologna. I 6 rilievi bronzei pare fossero eseguiti con l’aiuto di Antonio Susini, ma sono stati assegnati anch’essi al Francavilla. Per l’Angelo e i Putti di bronzo che coronano l’altare è stato stipulato l’intervento di Adrien de Vries come pure quello di Hans Reichel. Il Crocifisso, l’effige di Sant’Antonino e l’Angelo in alto sopra l’altare sono opere autografe del Giambologna. TAVOLA 90: IL MONUMENTO EQUESTRE DI COSIMO I – FIRENZE, PIAZZA DELLA SIGNORIA La storia del monumento è documentata soltanto a partire dal 1587. Il Baldinucci dichiara che Giambologna si servì largamente di Antonio Susini per questo lavoro. I 3 rilievi (sotto) rappresentano: - (Sul lato nord) l’Incoronazione di Cosimo I a Granduca - (Sul lato sud) Cosimo I trionfante su Siena - (sul lato orientale) Cosimo I riconosciuto Duca di Toscana dal Senato. Questo terzo rilievo è un’opera autografa del Giambologna Una statuetta bronzea di Cosimo I a cavallo, nel Museo del Bargello, è stata accettata come un modello del Giambologna per il monumento. Il Dhanens la collega ipoteticamente col progetto del 1581. Il suo rapporto col monumento e con l’arte del Giambologna è assai vago e sembra piuttosto un bronzetto prodotto da un artista dell’ambiente di Baccio Bandinelli. Un cavallo anatomico, in bronzo, oggi esposto in Palazzo Vecchio, è stato identificato dal Dhanens come uno studio preliminare per il monumento. TAVOLA 91: ERCOLE E IL CENTAURO – FIRENZE, LOGGIA DEI LANZI TAVOLA 99, 100: IL SEPOLCRO DI PAPA PAOLO III – ROMA, SAN PIETRO Il sepolcro di papa Paolo III fu allogato a Guglielmo della Porta dopo la morte del papa, il 17 novembre 1549. Alcuni elementi del sepolcro erano prestabiliti, perché il pontefice, prima di morire, aveva scelto un antico sarcofago perché vi fosse collocata la sua salma e aveva acquistato da Guglielmo della Porta una base marmorea con ornamenti bronzei e rilievi, destinata alla tomba del Vescovo di Solis a Salamanca, perché venisse usata nel proprio sepolcro. Questo fu eretto soltanto nel 1575, a spese del pronipote del papa, Cardinale Alessandro Farnese. Il Cardinale nominò responsabili per il buon esito dell’opera Annibal Caro e Antonio da Capodistria vescovo di Pola. Il 25 novembre 1553 Annibal Caro riferiva che la statua del papa, gettata in bronzo nell’autunno del 1552, era ormai pronta. Nella forma approvata da Annibal Caro (che nel 1551 bocciò la proposta avanzata da Guglielmo della Porta d’incorporare nel sepolcro le statue delle quattro Stagioni) il monumento consisteva di una statua del papa sopra una base bronzea decorata con quattro putti angolari e rilievi raffiguranti (a sx) la Sapienza e la Carità e (a dx) la Temperanza e la Fortezza; quattro allegorie marmoree dovevano apparire su mensole, due davanti e due a tergo; il Vasari menziona anche un rilievo di divinità fluviali, che non si trova citato nei documenti. Michelangelo disapprovò sia le dimensioni sia la struttura del sepolcro. Dopo la morte di Michelangelo (1564) e di Annibal Caro (1566), il papa Gregorio XIII autorizzò l’erezine del sepolcro in forma di monumento isolato, nella navata dx della nuova basilica. In seguito la tomba fu smontata e ricomposta appoggiandola al pilone sotto la cupola dove oggi si vede il Sant’Andrea del Duquesnoy. Infine, nel 1628, la tomba fu spostata nell’abside di San Pietro. Due delle quattro Allegorie, ossia la Pace e l’Abbondanza, furono tolte e oggi si trovano nel Palazzo Farnese. Fu ridotta la base del monumento. I rilievi raffiguranti la Fede e la Fortezza e due dei quattro putti sono scomparsi. TAVOLA 101: BUSTO DI PAPA PAOLO III – NAPOLI, MUSEO NAZIONALE DI CAPODIMONTE Eseguito in marmo bianco e in giallo antico, questo busto sembra sia stato scolpito nel 1546-47. È probabilmente da identificarsi con “un ritratto del papa” pagato il 23 dicembre 1546 e con un busto di proprietà del cardinale Farnese nel 1568 di qualità inferiore ed eseguito nella bottega. ANNIBALE FONTANA (1540? – 1587) Milanese di origine, Annibale Fontana cominciò la sua carriera come incisore di gemme. Apprese la scultura a Roma e nel 1570 lavorava a Palermo in società con lo scultore siciliano Vincenzo Gaggini. Ritornato a Milano dopo il 1574, qui fu molto apprezzato come bronzista. TAVOLA 102: L’ASSUNZIONE DELLA VERGINE – MILANO, SANTA MARIA SOPRA SAN CELSO La facciata disegnata dall’Alessi per Santa Maria sopra San Celso a Milano fu compiuta nel 1572 e l’anno dopo Stoldo Lorenzi fu incaricato di eseguirne la decorazione plastica. Nel 1575 Stoldo Lorenzi aveva completato due statue: un Adamo e una Eva, ambedue destinati a nicchie nella base della facciata. Contemporaneamente Annibale Fontana (che era stato ingaggiato dalla Fabbrica nel 1574, un anno dopo Stoldo Lorenzi) eseguiva anch’egli sculture per la facciata e per l’interno della chiesa. La quarta nicchia (a sx) è bloccata dall’Altare della Vergine, che è perpendicolare al presbiterio. Per questo altare Annibale Fontana s’impegnò a scolpire un’Assunta con due Angeli (finita nel 1586), cui Giulio Cesare Procaccini aggiunse poi altri due Angeli, che reggono una corona sopra la testa della Vergine. LEONE LEONI (ca. 1509-1590) Nato intorno al 1509 da famiglia aretina, nel 1537, quando lavora a Padova, Leone Leoni è ormai un artista affermato, in contatto sia con Pietro Aretino sia con Tiziano, del quale coniava medaglie in quel medesimo anno. Ma alla fine del 1537 si trasferì a Roma. Condannato alle galere nel 1540, per aver preso parte a una congiura contro Pellegrino di Lenti gioielliere del papa, fu liberato nella primavera del 1541 per intercessione di Andrea Doria. Dal 1542 al 1545 e di nuovo dal 1550 al 1589 fu maestro della zecca imperiale a Milano. Alla fine del 1548 lasciò Milano per Bruxelles, da cui fece ritorno quasi un anno dopo. Seguirono altre due visite alla corte imperiale, ad Augsburg nel 1551 e a Bruxelles nel 1556, durante le quali il Leoni fece schizzi e modelli per alcune fra le sue opere più famose. Leone Leoni morì il 22 luglio 1590. TAVOLA 103: MONUMENTO DI GIAN GIACOMO DE’ MEDICI MARCHESE DI MARIGNANO – MILANO, DUOMO Gian Giacomo de’ Medici, Marchese di Marignano, morì il 5 novembre 1555. Nel 1559 suo fratello Gian Angelo de’ Medici vescovo di Ragusa fu eletto papa Pio IV e il 12 settembre 1560 il cardinale Morone e Gabriele Serbellone stipularono in nome del pontefice un contratto con Leone Leoni, che s’impegnava a erigere il monumento di Gian Giacomo de’ Medici nella Cappella Medici, situata nel transetto di dx del Duomo di Milano. Il contratto obbligava il Leoni a terminare il monumento entro 2 anni e mezzo. Gian Giacomo Rainoldo e Alessandro Olocato furono incaricati di sorvegliare il lavoro affinchè risultasse fedele al modello approvato dal Papa. Il contratto prevedeva 16 elementi in bronzo. Sul monumento ne rimangono 12. Il contratto menziona anche le 4 colonne di marmo nero venato di bianco sulla fronte del monumento che il papa fece spedire da Roma, e le 2 colonne di marmo rosso ai lati, che si trovavano nel suo palazzo milanese. Il sarcofago, che doveva essere fatto dello stesso marmo rosso delle colonne laterali, o non fu terminato o fu tolto poco dopo il compimento del sepolcro in seguito alla deliberata del Concilio tridentino (1565) che si poteva seppellire soltanto sotto il pavimento delle chiese e non in sarcofagi facenti parte di un monumento sepolcrale. Nel gennaio del 1563 fu ultimata. Nella Vita di Michelangelo, Giorgio Vasari afferma che il disegno del monumento Medici a Milano risale al Buonarroti. L’attribuzione dello schema del monumento a Michelangelo è ripetuta dal Vasari nella Vita di Leone Leoni. Il Malespini pubblica una variante di questa storia, secondo la quale Michelangelo ricusò l’invito a eseguire il monumento e suggerì di allogarlo a Leone Leoni. Una lettera indirizzata dal Leoni a Michelangelo il 26 agosto 1562 fa presumere che Michelangelo s’interessasse personalmente del modo come procedeva il lavoro di quel sepolcro. La maggior parte degli studiosi di Michelangelo negano il suo intervento nel sepolcro o vi riconoscono (Tolnay) una semplice eco del suo stile. TAVOLE 104,105: CASA DEGLI OMENONI – MILANO, VIA DEGLI OMENONI Nel 1565, o forse prima, il senato di Milano concedette a Leone Leoni l’usufrutto a vita di una casa in via Moroni. In una lettera indirizzata al senato il 24 luglio 1565, lo scultore lamenta lo stato pericolante della casa e prega che sia riparata prima che il denaro aumenti e il costo per ripararla divenga proibitivo. In seguito la casa fu ricostruita nella sua forma attuale, con un portale fiancheggiato da due cariatidi maschili a mezza figura e una facciata scandita da 6 cariatidi barbute visibili fino ai ginocchi; sopra la finestra centrale un rilievo raffigurante un satiro divorato da die leoni e in alto corre un fregio di leoni e d’aquile. Nel cortile interno le colonne sul lato sx sono sormontate da un fregio contenente 10 rilievi con gli attributi della Scultura, dell’Oreficeria, dell’Architettura, della Musica e, fra altri soggetti, di un leone che fa girare la ruota della Fortuna. Il leone fu adottato dallo scultore come un emblema personale e il satiro attaccato da leoni sarebbe a simboleggiare la sconfitta dell’Invidia o del Vizio. TAVOLA 106: MARIA D’UNGHERIA – MADRID, PRADO Il ritratto bronzeo di Maria d’Ungheria (1505-58) è iscritto sullo zoccolo. Una lettera scritta dal Leoni a Ferrante Gonzaga il 10 novembre 1553 lascia intendere che a quella data la figura della regina Maria non era stata ancora gettata in bronzo. Il Leoni lasciò Milano l’11 febbraio 1556 o poco dopo, e a quanto pare, la statua di Maria d’Ungheria fu trasportata a Bruxelles in quel viaggio. Più tardi fu posta sulla facciata di una casa nel giardino di San Pablo de Buen Retiro, così da fiancheggiare il gruppo di Carlo V e il Furore, oggi anch’esso nel Museo del Prado a Madrid. POMPEO LEONI (ca. 1533-1608) Nato intorno al 1533 e avviato all’arte da suo padre Leone Leoni, nel 1551 Pompeo Leoni entrò al servizio del Granvella a Innsbruck. Nel 1556 visitò Bruxelles insieme al padre e in seguito accompagnò in Spagna le sculture paterne. Vi arrivò poco dopo l’abdicazione dell’Imperatore Carlo V e la reggente, Giovanna d’Austria, lo assunse al proprio servizio affidandogli il compito di condurre a perfezione le statue del padre, alcune delle quali portano la firma di ambedue gli artisti. Dopo una breve prigionia per essere caduto in sospetto dell’Inquisizione, Pompeo Leoni si stabilì a Madrid. Nel 1579 fu incaricato di erigere l’altar maggiore dell’Escorial e nel 1582 andò a Milano, per eseguire le sculture di quell’altare insieme al padre. Nel 1589 fece ritorno in Spagna per completare l’altare (1591). Pompeo Leoni morì il 13 ottobre 1608. Destinato all’altare del Sacramento in San Marco, questo rilievo è menzionato da Francesco Sansovino e fu condotto a termine prima del 1565, quando lo scultore ne reclamò il pagamento. B.Berenson suppone che la composizione del rilievo derivi da quella del dipinto del Lotto e che il Lotto s’incaricò di far gettare in bronzo il rilievo. La parte bassa del dipinto, tuttavia, fa pensare a un ampliamento di una composizione più piccola ed è quindi probabile che sia il dipinto a derivare da uno dei rilievi. TAVOLA 116: MONUMENTO A TOMMASO RANGONE – VENEZIA, SAN GIULIANO Il monumento in onore di Tommaso Rangone si trova sulla facciata della chiesa di San Giuliano. Il materiale raccolto da R.Gallo rivela che in un primo momento il Rangone aveva sperato di avere il suo monumento sulla facciata di San Geminiano in Piazza San Marco, ma che ciò era stato vietato adducendo il motivo che i privati cittadini non potevano essere glorificati in un luogo così tanto eminente. Nel 1553 fu presentata al Doge e alla Signoria una supplica in cui il Rangone offriva di ricostruire la chiesa rovinata di San Giuliano e di darle una nuova facciata. L’accordo per l’erezione della nuova facciata fu firmato il 20 settembre 1553. Un documento riassunto dal Lorenzetti ci informa che il modello in cera per il ritratto del Rangone sulla facciata fu consegnato da Jacopo Sansovino al bronzista Giulio Alberghetti il 27 agosto 1554. La corrispondenza successiva dimostra che il ritratto non era ancora stato gettato in bronzo nell’estate del 1555, perché il Rangone scrisse allora all’Alberghetti lamentando che il danno arrecato al modello in cera aveva costretto il Sansovino a rimetterci le mani. La statua fu consegnata il 1° febbraio 1557. Se la confrontiamo col busto del Rangone scolpito da Alessandro Vittoria, non resta alcun dubbio che la testa è interamente del Sansovino. DANESE CATTANEO (ca. 1509-1573) Nato a Carrara, Danese Cattaneo divenne allievo di Jacopo Sansovino a Roma prima del 1527 e dopo il Sacco lo seguì a Venezia. Danese Cattaneo fu poeta oltre che scultore e il suo poema Dell’Amor di Marfisa fu pubblicato nel 1562. TAVOLE 117,118: IL MONUMENTO A LEONARDO LOREDANO – VENEZIA, SS. GIOVANNI E PAOLO Il monumento del Doge Leonardo Loredano (morto nel 1521) sulla parete dx del coro in SS. Giovanni e Paolo fu allogato all’architetto Girolamo Grapiglia. Le sculture per la tomba furono eseguite da Danese Cattaneo con l’aiuto di Girolamo Campagna, al quale spetta l’effige del Doge al centro del sepolcro. La storia del sepolcro risale al 1527, quando, vivo il Doge, suo figlio Lorenzo ottenne la concessione di erigergli un sepolcro in SS. Giovanni e Paolo. Nel 1533 il progetto fu interrotto dalla morte di Lorenzo Loredano, ma tre anni dopo la famiglia Loredano rese disponibile una somma per un nuovo altar maggiore che avrebbe incorporato la tomba e, in alto, tre statue. L’attuazione di quel progetto fu rimandata di nuovo, e il sepolcro odierno fu compiuto soltanto nel 1572. L’effige del Doge, al centro, è firmata alla base IERONIMUS CANPAG. F. La Pace non è firmata e l’Abbondanza è firmata per disteso DANESIUS KATANEUS. Il rilievo marmoreo in mezzo al coronamento parrebbe del Campagna, ma i 4 piccoli rilievi bronzei sopra e sotto le figure allegoriche ai lati sono opere autografe del Cattaneo, e sono molto superiori per qualità alle sculture marmoree del monumento. TAVOLA 119: LA FORTUNA – FIRENZE, MUSEO DEL BARGELLO Questa figura appartiene a un gruppetto di bronzi di Danese Cattaneo, che comprende un’altra Fortuna nel Kunsthistoriches Museum di Vienna, la Venere Negra (erroneamente attribuita ad Alessandro Vittoria) e una statuetta della Luna, anch’essa a Vienna. TAVOLA 121: L’ALTARE FREGOSO – VERONA, SANT’ANASTASIA L’altare Fregoso, che è situato sul lato dx della navata di Sant’Anastasia a Verona, è descritto dal Vasari. La descrizione del Vasari ha una certa importanza per il programma iconografico dell’altare, che mostra (al centro) il Cristo pietoso con due angeli reggenti i simboli della passione nei pennacchi, (a sx) Jano Fregoso con sopra Minerva, (a dx) la Virtù Militare con sopra la Vittoria, (in alto a sx) la Fama in atto di elevarsi in volo, (in alto a dx) l’Eternità. L’effetto coloristico dell’altare deriva in parte dall’uso della nera pietra di paragone notato dal Vasari, e in parte dal contrasto fra il marmo bianco usato per le sculture figurate e le colonne, e il marmo veronese, biondo- rosato, che ne sottolinea il candore. Il Planiscig suppone addirittura che il Sanmicheli possa essere intervenuto nella progettazione dell’altare. Non è possibile stabilire in quale anno l’Altare sia stato allogato. Colui che incoraggiò anzitutto lo scultore a pubblicare il suo poema Dell’Amor di Marfisa (stampato a Venezia nel 1562) e quindi ottenne che gli venisse allogato l’altare Fregoso, è, secondo il Tamanza, il Marchese Almerigo Malaspina, che il Cattaneo conobbe a Carrara nel 1559. L’affermazione vasariana che l’altare fu eretto per incarico di Ercole Fregoso trova conferma nell’iscrizione incisa sulla lapide centrale, alla sommità. GIROLAMO CAMPAGNA (1549-50 – 1626?) Nato a Verona, Girolamo Campagna fece il suo apprendistato presso Danese Cattaneo. Artista eccezionalmente prolifico, Girolamo Campagna fu attivo a Venezia nell’ultimo ventennio del ‘500. L’ultima notizia del Campagna a Venezia è del 1623 e la sua morte dev’essere avvenuta nel 1626 o intorno a quell’anno. TAVOLA 122: L’ANNUNCIAZIONE – VERONA, CASTELVECCHIO Il gruppo dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine Annunziata, un tempo sulla facciata del Palazzo del Consiglio e oggi nel Castelvecchio a Verona fu allogato allo scultore in seguito a una deliberata del Consiglio comunale (25 gennaio 1606) di istituire una cerimonia notturna in onore della Vergine, davanti a una statua sulla Domus nova attigua al Palazzo del Consiglio e di ordinare perciò una nuova immagine che servisse da punto focale per questo culto. I due rilievi, che parrebbero eseguiti nel 1609-10, furono sistemati ai lati dell’ingresso del Palazzo soltanto alla metà dell’800. TAVOLA 123: ALTAR MAGGIORE – VENEZIA, SAN GIORGIO MAGGIORE Le sculture eseguite dal Campagna per l’altar maggiore della chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia comprendono il gruppo centrale dei quattro Evangelisti che reggono un globo sul quale si erge un Eterno benedicente; sulla faccia del globo si libra la Colomba dello Spirito Santo e sotto ad essa è posto un Crocifisso. Ai lati di questo gruppo si trovano due Angeli bronzei di Pietro Boselli (1644). Lo sviluppo piramidale del gruppo, che si adatta così bene alle colonne del Coro, e le figure affaticate a sostenere il peso illusorio del globo, sono un’idea del Vassillacchi e non del Campagna. La firma è iscritta nel libro tenuto da San Marco. ALESSANDRO VITTORIA (1525-1608) Nato a Trento nel 1525, Alessandro Vittoria si trasferì nel 1543 a Venezia, dove entrò nella bottega di Jacopo Sansovino. A Trento pare che fece il suo apprendistato presso Vincenzo e Giovanni Gerolamo Grandi, e il suo stile esercitò una certa influenza sulle sue opere giovanili. Nel 1547, sembra in seguito a una rottura col Sansovino, Alessandro Vittoria lasciò Venezia per Vicenza. Fra il 1555 e il 1558 lavorò a Padova. Avendo lasciato Venezia con la sua famiglia nel 1576 a causa della peste, il Vittoria lavorò a Brescia e a Vicenza, e al suo ritorno a Venezia (1577), dopo l’incendio nel Palazzo Ducale, scolpì per la facciata le statue di Justitia e Venetia (compiute nel 1579). Il Vittoria morì il 27 maggio 1608. TAVOLA 124: BUSTO DI TOMMASO RANGONE – VENEZIA, ATENEO VENETO Il busto marmoreo di Tommaso Rangone (morto nel 1577) fu eseguito, sembra, nel 1571 o intorno a quell’anno, allorchè al Rangone fu concesso d’installare il proprio ritratto, con una lapide dedicatoria, in un corridorio attiguo alla sagrestia di San Geminiano a Venezia. In seguito il busto fu portato nella Sala Superiore dell’Ateneo Veneto, dove ancora si trova. TAVOLE 125,127: ALTARE – VENEZIA, SAN SALVATORE L’altare della Scuola dei Luganegheri sul lato sinistro della navata di San Salvatore fu disegnato da Alessandro Vittoria. L’arcata centrale, insolitamente alta, contiene una pala dipinta da Palma il Giovane, che è affiancata da lesene e coppie di colonne. L’altare è una delle ultime opere di grande impegno del Vittoria. TAVOLA 126: ALTARE – VENEZIA, SAN FRANCESCO DELLA VIGNA
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