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Il Cinquecento e il Barocco, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

SculturaMichelangeloStoria dell'arte antica

Riassunto con immagini de Il Cinquecento e il Barocco di John Pope-Hennessy Esame di Scultura in età moderna di Bacchi, UNIBO

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Il Cinquecento e il Barocco e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Il Cinquecento e il Barocco L’atteggiamento degli artisti italiani del Quattrocento verso l’arte a loro contemporanea si può ricavare dai Commentari di Ghiberti. L’atteggiamento degli artisti nel Cinquecento è ricavato da molte più fonti, prima fra tutte le Vite di Vasari. Per Vasari la storia dell’arte italiana si articola/articolò in tre fasi principali: - Una preistoria che termina con la fine del Trecento; - Il Primo Rinascimento che va dal famoso concorso del 1400 (porte Battistero di Firenze) al sorgere di Michelangelo come icona; - L’epoca moderna. Il Cinquecento e il Barocco tratta di quest’ultima fase. Ad ognuno dei tre periodi corrisponde uno scultore più dominante di altri: - Nicola Pisano, un maestro che migliorò la scultura; - Donatello, che gareggia ed è alla pari degli antichi; - Michelangelo, un superamento della scultura antica. (in seguito ci saranno le rivoluzioni – non previste da Vasari XD – di - Giambologna - Bernini) Questa teoria di un continuo miglioramento deriva già dalla Grecia Antica dove anche lì c’erano tre fasi dominate da Canaco (statue prive di vivacità), Mirone (opere con proporzioni eccellenti) e Policleto (assoluta perfezione). Vasari però si rende conto che un parallelismo simile può destare inganno dato che la scultura ellenistica non era stata anticipata da nessuna influenza importante; in Italia invece si assiste a un Rinascimento. - Nel primo periodo le sculture antiche erano sconosciute; - Nel secondo periodo si assistono a occasionali scoperte, per cui è la Natura che fa da ispirazione piuttosto che la classicità. (la meta è lontana…) - I ritrovamenti sono molto più frequenti, quindi per questo si raggiunse la perfezione a detta del Vasari, ma anche da molti altri artisti. (la meta è una certezza) Nel Cinquecento, il progresso tecnico permette ai pittori di produrre opere sempre più grandi e in maggior quantità: per gli scultori prevede anche un aumento della velocità di produzione e di scala più vasta (prova è il progetto colossale per la tomba di Giulio II). La crescente familiarità con la scultura antica condusse a un nuovo modo di scolpire: si individua in Michelangelo, che disegnava direttamente sul blocco cioè pensando a scalpellare la facciata come se fosse un bassorilievo, togliendo da parti più grandi a un togliere parti più piccole, quindi curando i dettagli che facevano della statua della stessa veracità e franchezza delle sculture antiche. Nel Cinquecento, gli scultori sono ossessionati dal fatto stilistico, la forma in cui la loro opera si presenta, al contrario dei loro predecessori. Dal Disegno si originano tutte altre ramificazioni come la teoria estetica, la pittura, la scultura. In questo interesse si riconoscerà senza precedenti la supremazia dell’innovatore stilistico: il grande maestro. Michelangelo è veramente un semi dio: uno degli epigrammi per le sue esequie lo descrive come uomo che ritorna a casa, in paradiso, dopo un suo soggiorno sulla terra; durante la sua vita, copie della pietà sono fatte a Genova e Firenze; non aveva ancora consegnato le statue della Cappella Medicea che il Tribolo ne fece già delle copie ridotte; calchi di sue opere furono vista da Vicenzo Dati (a Perugia) e Alessandro Vittoria (a Venezia); il Bacco, Mosè, Cristo alla Minerva sono stati copiati e diffusi in bronzetti. Il testo all’inizio doveva essere intitolato Scultura manieristica e barocca: con Manierismo si dovrebbe intendere uno stile omogeneo localizzato a Firenze, ma poi è stato esteso al di fuori della città. È erroneo inserire in un unico insieme artisti diversi tra loro, considerando poi che l’intervallo temporale va dalle formelle di Brunelleschi alla dissoluzione degli ideali “rinascimentali” del Bernini maturo. Michelangelo: le opere giovanili All’età di tredici anni entra nella bottega del Ghirlandaio. Nella sua biografia, Michelangelo minimizza l’importanza di questo evento (e di fatto ci rimane al massimo 1 anno). Lorenzo de’ Medici lo prende sotto di sé (dal 1488 al 1490) aveva fondato l’Accademia dei Medici (o Giardino di San Marco o anche giardino neoplatonico), dando un’occasione preziosa di studio, lontano dalla fatica della bottega, e per Michelangelo fu importante per due motivi: - Non essere educato fin dall’inizio attraverso uno stile convenzionale e affrontare fin dall’inizio la scultura in maniera empirica; - Già a quindici anni era entrato nell’ambiente mediceo, comprendendo che l’arte è un’attività esclusivamente intellettuale. La sola opera superstite di questi primi anni è la Battaglia dei Centauri. Viene scolpito prima dell’aprile 1492 – morte di Lorenzo il Magnifico – dato che il Poliziano “dandogli da far qualche cosa” gli propone di farsi ispirare dalla favola del ratto di Deianira e la zuffa dei Centauri. Il Poliziano era solito fare da consulente agli artisti e capitava spesso che questi usassero il suo sapere come incipit, per poi concentrarsi sulla realizzazione scultorea: il programma accademico è l’ultima delle preoccupazioni di Michelangelo. La Battaglia dei Centauri è la svolta della considerazione della morfologia classica. L’Accademia dei Medici era gestita da Bertoldo di Giovanni (1420-1491). Un altro allievo, il Torrigiano, stava ricreando una delle statue bronzee del maestro (da Vasari) e lo stesso fece Michelangelo. Nella Battaglia c’è una figura che riprende molto la posizione della statua di Bertoldo e un’altra girata di spalle che riprende la schiena della stessa statua di Bertoldo. Oltre a preoccuparsi della posa, Bertoldo è interessato anche alla composizione con più figure, ai gruppi di figure, che riprende da sarcofagi classici come nella Battaglia al Bargello. Gli scultori rinascimentali vedevano un solo difetto nei rilievi dei sarcofagi romani: non erano adeguatamente articolati. Qui nella Battaglia il difetto della “non sembrano arringare la folla. Michelangelo nel Bacco lo dota di una posa ebbra e vacillante, la bocca si apre in maniera molle: nessun convenzionalismo è presente, niente raggela la percezione di una forma umana. Il Bacco è libero da ogni schiavitù tecnica, sicuramente Michelangelo si era ormai appropriato di una profonda considerazione della figura umana a tutto tondo. Nella scultura classica il riferimento all’arte antica era meno necessario ma è comunque presente nel primo Michelangelo. Nel 1494 arriva a Bologna, dopo che Niccolò dall’Arca era morto qualche tempo prima mentre lavorava all’Arca di San Domenico. Niccolò dall’Arca derivava dall’ambiente ferrarese (da Francesco del Cossa e Ercole de Roberti): l’angelo portacandelabro di Niccolò è molto fragile e privo di tattilità, visto di fronte sembra piatto. Michelangelo invece non si adatta a Niccolò, ma trae spunto nuovamente dalla Battaglia dei Centauri: la gamba inginocchiata accenna una diagonale e le spalle arretrano in profondità, la testa è molto simile al Teseo, nella Battaglia del Bargello. L’Angelo di Michelangelo ha i punti di giuntura e l’attaccatura delle ali articolati con grande sicurezza. Quello che più colpisce è il peso specifico assegnato al candelabro. I santi: San Procolo e San Petronio sono meno anticipanti sviluppi futuri. Il San Petronio è ricopiato dal San Petronio di Jacopo della Quercia (Porta Magna, San Petronio, Bologna). 1498, Roma. Prima commissione importante per una importante scultura religiosa: la Pietà. Scultura ormai assodata, ma all’epoca è stata molto anormale per via del suo stile, soggetto e tipologia. Nel Quattrocento non esiste Niccolò dall’Arca, Angelo portacandelabro (1469 ca. - 1473 ca.) alcuna “Pietà” in marmo di grandi dimensioni. Dal 1490, a Firenze cominciamo a vedere il tema nelle pale d’altare. La differenza rispetto alle pale d’altare è che queste sono una commemorazione chiusa allo spettatore, la Pietà vaticana invece è una presentazione del corpo di Cristo. Noti sono i dubbi sul volto troppo giovane della Madonna, che all’epoca non trovò tutti d’accordo (quando venne copiata a Genova da Montorsoli il volto diviene invecchiato). La Pietà è un gruppo a forma piramidale e la testa di Gesù è ruotata in modo da non fuoriuscire dallo schema. Dato che nella scultura del Quattrocento non si sono trovati motivi simili, si sono cercate analogie nell’arte nordica, fra Vesperbilder tedeschi e Pietà francesi. Il cardinale che commissionò l’opera era Jean Villier de la Grolaie (un tempo abate di Sant Denis). Si può ipotizzare ma non confermare che il modello ispiratore per la Pietà vaticana derivi da un esemplare francese, diventando più rotonda, più plastica e sistematica. Ora Cristo non è più un pupazzo, ma un eroe ellenistico; il volto della Vergine l’emozione è costituita con suprema misura. Purtroppo non sappiamo molto dei tentativi fatti per poi arrivare alla Pietà vaticana. L’unico modo per indagare il metodo di Michelangelo in questo periodo è fare affidamento su un’altra statua, la Madonna di Bruges (1504- 1505), dato che ci rimangono alcuni disegni preparatori. Quattro schizzi preparatori, l’ultimo (qua in parte) è al British Museum. Il motivo quattrocentesco delle madonne materne, solitamente in sofferenza, viene abbandonato, facendo diventare la Madonna di Bruges sorella della Pietà nell’eliminazione dell’elemento narrativo, anche qui la vergine ha un viso raggelato e cosa importante è sempre in atto di presentare il figlio. I primi esempi di una personalissima iconografia religiosa nella storia dell’arte e che sarà sempre più evidente nel Michelangelo tardo. Nel 1501, Michelangelo (da Roma) ritorna a Firenze. Appena arrivato firma un contratto per quattro statue per l’Altare Piccolomini (Duomo di Siena), contratto voluto da Jacopo Galli. Nel 1504 le quattro statue Montorsoli, Pietà (), San Matteo (Genova) Madonna di Bruges (1504-1505) Disegno preparatorio (4°) per la Madonna di Bruges (1503-1505) erano pronte, ma era arrivato a fatica nel completarle, solo con l’aiuto di aiutanti. Dal 1496 al 1501, egli aveva eseguito tre opere a Roma molto importanti (un Cupido – per Jacopo Galli, simile a quelli per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici –, Bacco del Bargello, la Pietà vaticana); a Firenze dal 1501 al 1505 (a marzo 1505 ritorna a Roma) sembra che debba occuparsi di realizzare una serie di grandi statue (per Siena). Intorno al 1505 Michelangelo comincia a rallentare il ritmo di lavoro, il lavoro per Siena non lo faceva contento perché le statue erano per un programma architettonico già esistente, un’esperienza che aveva già fatto a Bologna con l’Arca di San Domenico e che si era ripromesso di non rifare. Il fatto è che adesso le sue esigenze stilistiche erano progredite, diventando difficili da appagare. Il cambiamento lo si individua se si mette a confronto il San Petronio di Bologna (con echi di Jacopo della Quercia e Niccolò dell’Arca) con il San Pietro di Siena. Il San Pietro è grande quasi il doppio e ogni piega è calcolata in relazione allo schema totale. Non era però angustiato nel realizzare i rilievi di Madonne. Due sono rimasti. Nel Quattrocento, molti sepolcri contenevano bassorilievi di Madonne. Questi rilievi sono quasi sempre circolari per ragioni architettoniche. Anche se ci sono state diverse soluzioni di inserire una Madonna con Bambino la “loro gamma emotiva” è relativamente ristretta: o Maria presenta Gesù in atto di benedire o di assolvere un defunto. In pittura esiste il tondo, ma non ha funzioni strutturali, erano figure rappresentate in uno spazio interno. I tondi di Michelangelo anche se non sono fatti di marmo, non sono progettati in rapporto a un complesso più vasto, ma concepiti come opere d’arte indipendenti. Quello più antico è la Madonna Taddei (1503 o 1504), scolpito probabilmente in contemporanea al Tondo Doni (1503-1505). San Paolo, San Pietro, San Pio, San Gregorio, Altare Piccolomini (Duomo di Siena) che dal 1873 tutti quelli che hanno scritto del David lo fanno fatto nel contesto dell’Accademia e non nel suo luogo originale, per cui bisogna tener conto del fascino che irradia oggi le sue “dimensioni”, quando Vasari ritiene che il suo maggior pregio siano le proporzioni. Viste le potenzialità del giovane Michelangelo, molti si preoccuparono ad assegnarli nuove commissioni. Soderini patrocinò un progetto ancora più grande: che Michelangelo scolpisse 12 apostoli più grandi del naturale per la navata del Duomo di Firenze, in 12 anni (dato che la pietà era stata fatta in poco più di un anno, il David in due e mezzo). Sembrava che il progetto andasse bene, e viene firmato un contratto nel 1503 (durante il David). Michelangelo comincia con alcuni schizzi. Al British Museum, c’è una figura che poggia il piede sinistro su un gradino. In base a questo ed altri disegni simili, furono ordinati nel 1504 a Carrara cinque pezzi di marmo ed arrivarono a Firenze, ma nel marzo 1505 Michelangelo era già partito per Roma. Papa Giulio II aveva ordinato a Michelangelo di lavorare alla sua tomba. Solo anni più tardi Michelangelo si pentì della sua decisione di accettare. Michelangelo all’epoca aveva già due commissioni importanti: i 12 apostoli e l’affresco della Battaglia di Cascina a Palazzo della Signoria. Riceve gli ordini papali (2 mesi per mettersi d’accordo sul progetto, tempi molto brevi), passa otto mesi a Carrara per i marmi e a dicembre 1506 ritorna a Roma. Il 18 aprile 1506 abbandona Roma in tutta fretta per via dello stress accumulato dal “complotto” contro di lui ordito da Bramante e altri invidiosi: Papa Giulio II infatti al suo rientro da Carrara non voleva riceverlo. Il contratto per i 12 apostoli di Firenze viene annullato, ma rimangono a Michelangelo i marmi: lui decide di procedere comunque a scolpire gli apostoli. È un periodo duro per l’artista, lo si vede dal suo San Matteo sbozzato, secondo lui il papa lo aveva trattato con disprezzo – l’aveva accantonato perché occupato con l’occupazione di Perugia e Bologna, e poi forse consigliato da Bramante e da altri a lasciar stare la tomba fatta da Michelangelo – e ciò gli aveva tolto una felice occasione di iniziare una carriera alla corte pontificia. La posa è invertita rispetto al disegno. Il ginocchio è fatto roteare all’interno per introdurre nel blocco un movimento continuato a spirale. Rispetto al disegno preparatorio al British (1503), la statua (1506) è caratterizzata da un dinamismo senza precedenti in alcuna opera anteriore dell’artista e ciò è dovuto al Due figure di Apostolo (a sx – senza tunica – e a dx – con la tunica), scena di battaglia. British Museum Foglio di studi per gli Apostoli, la Battaglia di Cascina, la Madonna di Bruges e un elemento architettonico. Uffizi Figura vestita in piedi. Louvre lungo pensare (3 anni) e diversi schizzi, ma anche al ritrovamento nel 1506 del Laocoonte. Prima del 1506 nelle opere di Michelangelo non assistiamo a nessun movimento così dinamico. Il Laocoonte fece scaturire non soltanto nuovi ritmi formali, ma anche una tattilità infinitamente più ricca: grazie a questo slancio intellettuale il San Matteo era probabilmente una proiezione dello stato d’animo di Michelangelo. In luglio 1506 il Papa promise a Michelangelo l’immunità se ritornava; il Soderini dovette accettarlo di perdere questo grande artista. In novembre, Michelangelo è a Bologna dove il Papa era arrivato. Michelangelo: la Cappella Medicea Come pegno alla riconciliazione, Michelangelo dovette fare il ritratto più grande dal vero in bronzo di Giulio II. Finita prima dell’estate 1507, venne fatta fondere e issata all’inizio del 1508 sulla facciata di San Petronio, solo allora Michelangelo poté partire. Nel 1511, i Bentivoglio rientrano a Bologna e distruggono la statua, che doveva essere simile al busto di Gregorio XIII sulla facciata di Palazzo D’Accursio. Michelangelo ritorna così a Firenze per lavorare agli Apostoli, ma dopo poche settimane viene richiamato dal Papa. Il 10 maggio 1508 Michelangelo firma il contratto per la volta della Cappella Sistina (finita nel 1512). Gli affreschi lo tennero occupato in maniera esclusiva per almeno 4 anni. In essi esplorò per la prima volta alle possibilità formali già iniziate con il San Matteo (il dinamismo, la figura non appiattita ma con vari livelli di profondità). La pittura è un mezzo espressivo più libero della scultura quindi! Nella Punizione di Aman (in alto) viene sviluppato quello già visto nel San Matteo. Giulio II muore nel 1513 e Michelangelo viene “liberato” dagli impegni da Papa Leone X (Giovanni di Lorenzo de' Medici) che non si interessa del suo talento. Per 3 anni Michelangelo si occupa solo del sepolcro di Giulio II. Nel 1515 Leone X è a Firenze e insieme a suo cugino Cardinale Giulio de’ Medici (papa Clemente VII) desidera che sia completata la chiesa medicea di San Lorenzo. Se il contratto viene firmato Conferma della regola, Cappella Sassetti. Da sx: Piero, Giovanni (papa Leone X), Giuliano (Giuliano de' Medici duca di Nemours). velocemente nel 1518 (da 10 a 24 statue) viene anche velocemente scisso nel 1520: ragione principale è il cambio di idea e la volontà di creare una cappella di famiglia. La chiesa di San Lorenzo è la chiesa dei Medici: nella Sagrestia Vecchia si trovano i genitori di Cosimo il Vecchio. Niente era stato fatto per Lorenzo il Magnifico, perché dopo la sua morte il “regime” mediceo cadde; Giuliano non aveva ancora un sepolcro dal 1478 (Congiura de’ Pazzi). Leone X era figlio di Lorenzo il Magnignico e (il futuro) Clemente VII avevano interesse a fare una tomba dei loro padri. Con l'elezione al soglio pontificio del fratello Giovanni/Leone X (11 marzo 1513), le sorti di Giuliano de’ Medici cambiarono ed egli ricevette numerosi onori ed incarichi prestigiosi: Capitano della Chiesa. Giuliano muore però nel 1516, venendo sostituito da Lorenzo figlio di Piero. Anche Lorenzo però se ne va presto, nel 1519. Leone X vedeva così improrogabile il progetto della cappella: - commemorare Lorenzo il Magnifico e Giuliano in un'unica tomba; - commemorare Giuliano, duca di Nemours; - commemorare Lorenzo de' Medici duca di Urbino; Vasari ci informa (poche notizie abbiamo della genesi della Cappella) che Michelangelo voleva farla a imitazione della Sagrestia Vecchia di Brunelleschi: ambedue a pianta quadrata, ambedue hanno piccola abside o presbiterio aggettante, ambedue si basano sul contrasto fra elementi strutturali in pietra serena e superfici bianche. Dal punto di vista strutturale sono molto simili. Di diverso Michelangelo introduce un’ornamentazione marmorea fra elementi in pietra serena, fodera di pietra serena la faccia interna dei pilastri, riempie i lunettoni di finestre, accentua il coronamento delle finestre, inserisce sotto di esse una fascia che le separa dalle articolazioni della parete sottostante. Dal punto di vista estetico, la differenza è grandissima. La Sagrestia Vecchia è un’unità architettonica statica; la Sagrestia Nuova fa di tutto per far salire l’occhio verso l’alto (dalla zona inferiore, a quella intermedia, ai lunettoni, alla cupola – basata sul modello del Pantheon). Tutto è teso verso un’ascensione e questo è stato molto considerato nella letteratura che voleva spiegare il significato simbolico delle tombe. Le informazioni più antiche sulle tombe nella Sagrestia Nuova deriva da brani di lettere e da pochi disegni in fase di progettazione: la difficoltà maggiore per gli studiosi è far concordare ciò che si vede con ciò che si legge. La caoticità deriva dal fatto che i progetti per realizzare le tombe non vanno consequenzialmente, ma simultaneamente, ad esempio al centro della Sagrestia Nuova era previsto un sepolcro isolato, ma venne La posa del Crepuscolo, Tomba di Lorenzo, si adatta alla curva del coperchio: il piede destro e l’incavo della gamba sinistra poggiano sullo spigolo; la posa del Giorno non sembra destinata a un coperchio simile, dato che le gambe non si reggono a niente. Le due statue sembrano non dover essere destinate a un sarcofago simile guardano anche il loro lato meno esposto: il Giorno ha un lato piatto non modellato, il Crepuscolo è invece modellato. Si è pensato che il Giorno e la Notte fossero destinate non alla tomba di Giuliano ma al monumento dei Magnifici perché in uno dei disegni si vedono sarcofagi di forma diversa. Le allegorie Notte – Giorno e Crepuscolo – Aurora sono complementari e non ha senso che si fronteggino come invece si fronteggiano oggi. Ma questo in origine. Michelangelo per cui deve aver pensato poi di dare la Notte e il Giorno un coperchio diverso. È vero che alcuni fra i primi disegni per la tomba di Giuliano (sx) mostrano un coperchio uguale a quello attuale, ma un disegno posteriore (dx) contiene un sarcofago con una copertura a piani inclinati. Sappiamo che i marmi per i coperchi furono difficili da realizzare e con Michelangelo finché non si aveva il marmo scolpito, i cambiamenti erano sempre possibili. Il Giorno è ricavato da un blocco più piccolo rispetto agli altri tre, la Notte è più pesante del Crepuscolo e dell’Aurora. - Il Crepuscolo e l’Aurora se sono stati fatti prima del Giorno e della Notte, bisognerà considerare lo stile di Michelangelo come più monumentale; - se invece sosteniamo che sono stati fatti prima il Giorno e la Notte allora bisognerà pensare che lo stile di Michelangelo sia divenuto meno monumentale. Per orientarsi sulla scelta, bisogna considerare due opere contemporanee alla Sagrestia Nuova (1520– 1534): il Cristo alla Minerva consegnato nel 1521 e la statuetta di Apollo nel 1530-31. Il Cristo per Michelangelo è un’opera un po’ debole, ma ha la qualità rigorosa di figura a sé indifferente all’ambiente come il Giorno. L’Apollo ha l’eleganza e la flessibilità del Crepuscolo e dell’Aurora. IL GIORNO È L’OPERA SCOLPITA PER PRIMA data la vicinanza con il Cristo alla Minerva. La conferma ci viene anche dalla prospettiva dell’altare, appare senza garbo ne grazia. L’inopportunità della sua posa è tale da far nascere il sospetto che Michelangelo lo concepisse come una citazione da inserire fra virgolette: il Torso del Belvedere. Il quarto blocco di marmo deriva dallo studio di Michelangelo in via Mozza ed è il Giorno, dato che gli altri tre blocchi sono più uniformi. Nel 1524 quando Michelangelo stava facendo il Giorno, la concezione armoniosa della statuaria sull’altra Tomba, di Lorenzo (con il Crepuscolo e l’Aurora), non esisteva nella mente di Michelangelo. All’epoca della creazione del Giorno le quattro allegorie erano quattro figure aggressive fedeli all’arte classica (sopra i sarcofagi dritti); le due figure virili (quelle sotto i sarcofagi) erano concepite come dei fluviali. La Notte anch’essa deriva dall’arte antica, da un sarcofago romano con una Leda, oggi scomparso ma documentato su un disegno cinquecentesco. (C’è una copia di Rosso Fiorentino tratto da un dipinto perduto di Michelangelo con lo stesso soggetto, https://en.wikipedia.org/wiki/Leda_and_the_Swan_(Michelangelo)) Michelangelo che possono aver fatto da parallelo è un rilievo alla base della Colonna di Antonino Pio (figura distesa in angolo in basso a sinistra). Le interpretazioni sul significato dell’Aurora si divide in due: - Gli ottimisti che ritengono sia lieta di salutare il sole - I pessimisti che la credono riluttante a destarsi Tutto il complesso era stato spiegato teologicamente come influenzato dagli inni ambrosiani, politicamente come allegoria antimedicea; nell’Ottocento si sviluppa un’interpretazione neoplatonica, con varie variazioni complesse: alla base di tutto starebbe la nozione di ascesa, dall’Averno-fiumi, attraverso una sfera terrena- allegorie, a una sfera celeste-troni. Tuttavia Vasari conosce le figure delle statue per le nicchie ai lati della statua di Giuliano: - la Terra: “coronata di cipresso, che dolente ed a capo chiuso piangesse con le braccia aperte la perdita del Duca Giuliano”; - il Cielo: con le braccia elevate, tutto ridente e festoso, mostrasse essere allegro dell’ornamento e splendore che gli recava l’anima e lo spirito di quel Signore. Michelangelo, in un pezzo di prosa parla di “Cielo” e “Terra”, “Cielo” e “Terra” ripetuto due volte, durante un lamento della Notte e del Giorno. Abbiamo “Cielo” scritto due volte a sinistra e “Terra” due volte a destra. Se in una delle tombe la Terra e il Cielo doveva apparire l’una accanto all’altra sullo stesso ripiano, allora la famosa interpretazione di ascensione non vale più. Non abbiamo alcuna prova certa che gli dei fluviali simboleggiano l’Averno, invece devono essere stati semplicemente due fiumi, ma specifici: Nelle Lezzioni (1590) di Benedetto Varchi, Gandolfo Porrini dice: <<O s’un giorno dapresso in qualche piaggia Miri i santi atti schivi il gran Scultore, Et lei conversa in dietro accorda e Spaggia Cir con quegl’occhi à ritorvargli il core, Perche sempre in honore il mondo l’haggia Spender° tutti in questa i giorni e l’hore: E i Magnanimi Re del Tebro e d’Arno, I gran sepolcri aspettaranno indarno.>> Questo accenno ai fiumi di Roma e Firenze è inutile senza la notizia che nel 1513 Giuliano de’ Medici ricevette il titolo di patrizio romano e la cerimonia si svolse su un palco adornato con due divinità fluviali (non fiumi dell’Averno!): il Tevere a destra e l’Arno a sinistra. Probabilmente è la stessa iconografia nelle tombe. Che siano i festoni o le brocche sacrificali sopra la tomba di Duca Giuliano o gli emblemi mortuari sulle testate del sarcofago, o il mascherino che gli adorna la corazza, o lo straordinario fregio di mascheroni dietro alle allegorie, o la testa di pipistrello sotto il gomito del Duca Lorenzo: l’effetto è molto personale che istintivamente ci si chiede “cosa significa?”. Non significa nulla in termini logici, sono semplicemente proiezioni intuitive dell’artista. Possiamo andare a vedere cosa pensassero i contemporanei di Michelangelo della Cappella. Condivi La Notte e il Giorno: il tempo che tutto rode e consuma Vasari Michelangelo pensava che la Terra non fosse bastante per dare ai Capitani l’onorata sepoltura che meritavano, “Ma molto piú fece stupire ciascuno che considerando nel far le sepolture del Duca Giuliano e del Duca Lorenzo de' Medici egli pensassi che non solo la terra fussi per la grandezza loro bastante a dar loro onorata sepoltura, ma volse che tutte le parti del mondo vi fossero, e che gli mettessero in mezzo e coprissero il lor sepolcro quattro statue: a uno pose la Notte et il Giorno, a l'altro l'Aurora et il Crepuscolo;”. Lo scultore volle porre sulle tombe le statue del Giorno e della Notte, del Crepuscolo e dell’Aurora. L’Aurora: “femmina ignuda e da fare uscire il maninconico dell'animo e smarrire lo stile alla scultura? Nella quale attitudine si conosce il suo sollecito levarsi sonnacchiosa, svilupparsi da le piume, perché par che, nel destarsi, ella abbia trovato serrati gl'occhi a quel gran duca [Lorenzo]. Onde si storce con amaritudine, dolendosi nella sua continovata bellezza in segno del gran dolore”. La Notte: “non solo la quiete di chi dorme, ma il dolore e la maninconia di chi perde cosa onorata e grande”. Per Vasari le statue in trono non sono altro che i Duchi e quindi poco interessa le loro caratteristiche iconografiche. Niccolò Martelli nel 1544 spiega che Michelangelo non li ritrasse “come la natura gli avea affigiati, ma dette loro una grandezza, una proporzione, un decoro, una grazia, uno splendore, quale gli parea, che più lodi loro arrecassero, e soggiugne, che lo scultore istesso dicesse, che di lì a mille anni nessuno non ne potea dar cognizione, che fossero altrimenti”. Benedetto Varchi Sostiene la stessa idea di vasari: terra-mondo Michelangelo, in un foglio al British Museum con uno schizzo per la Tomba dei Magnifici, dice: “La fama tiene gli epitafi a giacere[;] non va né inanzi né indietro, perché son morti e il loro operare è fermo”. Nel foglio della Casa Buonarrotti scrive: “El Dì e la Notte parlano, e dicono: Noi abbiàno col nostro veloce corso condotto alla morte el duca Giuliano; è ben giusto che e’ ne facci vendetta come fa. E la vendetta è questa: che avendo noi morto lui, lui così morto ha tolta la luce a noi e cogli occhi chiusi ha serrato e’ nostri, che non risplendon più sopra la terra. Che arrebbe di noi dunche fatto, mentre vivea?”. Molti studiosi parlano di “fasi della giornata” (Giorno, Notte, Aurora, Crepuscolo), ma questa denominazione non sta bene con statue di marmo: le parole di Michelangelo fanno pensare che egli sentiva piuttosto come esseri viventi trasformati in sasso. Marzo 1505: Michelangelo viene chiamata alla corte pontificia. Estate 1505: Michelangelo è a Carrara per i marmi, ma Condivi invece dice che ci vollero alcuni mesi per la preparazione (invece Michelangelo è già al lavoro). Se ne deduce che Michelangelo era già a conoscenza del progetto monumentale e mastodontico ancora prima di arrivare a marzo 1505 a Roma. Il primo contratto è andato perduto. Il costo di 10000 ducati si capisce dalle due ordinazioni fatte da Michelangelo a Carrara per una quantità di marmi senza precedenti. Gennaio 1506: Michelangelo ritorna a Roma, ma il papa non lo vuole ricevere probabilmente perché Bramante ha fatto cambiare idea al papa e lo istigava a interessarsi ad altro. Il resoconto del Condivi è l’unico modo che abbiamo per capire quale fosse il progetto del 1505. Le parti del monumento sono 3: - Sezione inferiore, ad altezza di persona. Nicchie con statue separate da erme, dove davanti alle erme sono poste figure in catene (prigioni), simboleggianti le Arti Liberali. - Piattaforma intermedia con statue sedute. Un cornicione unisce le nicchie, sopra di esso siedono quattro grandi statue agli angoli. - Coronamento. In cima, due Angeli sostengono un’arca: uno dei due angeli ride (felice che l’anima del papa fosse tra i beati, l’altro piange (perché il mondo ha perso il papa). Dentro al sepolcro, una stanzetta con in mezzo un sarcofago con il corpo del pontefice. Quando Papa Giulio II era cardinale (Giulio della Rovere) egli aveva occupato l’erezione dello zio papa Sisto IV. La tomba di Sisto IV era una tomba isolata, analogamente a quella di Giulio II, che deve aver preso la decisione di una tomba isolata per sé (Michelangelo non dovrebbe aver deciso il tipo di tomba). La Tomba avrebbe occupato 70 m², sarebbe stata parecchio alta e oltre a i rilievi bronzi con le storie della vita del pontefice, ci sarebbero state 40 statue. Il luogo su cui doveva erigersi sarebbe stato il presbiterio di San Pietro. Tale idea il Bramante doveva tenerne conto nel mega progetto della cupola di San Pietro, infatti: - Estate 1505: viene pensata la forma della tomba - Novembre 1505: Bramante delinea il modello a pianta centrale della Basilica che si dovrà fare. Tuttavia non è che la chiesa fosse concepita per accogliere la tomba, anzi i due progetti andarono a cozzare e il progetto del Bramante vinse sulla Tomba. Il disegno qui accanto corrisponde alla descrizione del Condivi, ma non si è certi che corrisponda alla versione del 1505 o del 1513 (probabilmente è del 1513 , come l’immagine accanto). Si è visto in questo schema l’influsso di certi sarcofagi classici con figure di prigionieri (il Sarcofago di Elena al Museo Pio Clementino). Alcuni anni dopo, su un disegno a Milano di Zanobi Lastricati si legge una frase misteriosa: che Michelangelo avrebbe ideato il primo progetto del sepolcro come un “catafalco quadrato in isola, alla forma del Settizonio di Severo alle Antoniane”. Nel disegno berlinese una statua di un Prigione ricorda una statua classica di Narciso. Condivi non precisa cosa raffigurassero le statue dentro le nicchie, Vasari ne parla in maniera confusa (i Prigioni sarebbero le province sottomesse al papa e non le Arti Liberali, ma questo non può essere perché nel 1505 Giulio II non aveva ancora conquistato alcuna provincia). Vasari menziona anche le Virtù: è quasi naturale le Virtù adornino un sepolcro papale, e le figure non possono essere che pensate come Virtù. Le Virtù devono essere state parzialmente iniziate, forse in bozzetti: nel 1540 Bartolomeo Ammannati scolpisce una figura che ricorda molto da vicino queste Virtù, si vede nel Monumento Nari (ora Bargello). Per la parte intermedia e superiore, per cui si possono fare solo congetture. Condivi dice che ai quattro angoli della piattaforma dovevano stare “quattro grandi statue” una delle quali è il Mosè. Vasari dice che oltre al Mosè ci sarebbero un San Paolo, una Vita Attiva, una Vita Contemplativa. Mosè – San Paolo è una coppia neoplatonica: Pico della Mirandola parla di cognizione intuitiva – cognizione intellettuale. A differenza della Tombe Medicee, la prima versione del sepolcro sarebbe neoplatonica od orientativamente neoplatonica. Non è detto che Michelangelo ne sia l’inventore. Nel punto più alto, le due figure di angelo ridente e dolente erano il Cielo e la Terra: è un punto in comune con la Tomba del Duca Giuliano, è risaputo che Michelangelo non era tanto interessato a questioni iconografiche, per cui è possibile che abbia trasferito l’idea da quella del Duca Giuliano alla Tomba di Giulio II. Né Condivi né Vasari parlando della statua del pontefice: defunto o vivente? Probabilmente la seconda. Nel 1508 uno scalpellino digrossava a Carrara il marmo per il ritratto del papa che rimane nello studio di Michelangelo; nel 1602, Niccolò Cordieri usa quel blocco per la statua di San Gregorio Magno nella chiesa di San Gregorio al Celio. La statua non conserva nessuna scalpellata di Michelangelo, ma la posa deve essere stata pressoché quella. Il 21 febbraio 1513 muore Giulio II e a maggio gli esecutori del suo testamento fanno un nuovo contratto con Michelangelo: altri 13000 ducati per essere completata nel 1520. Il nuovo contratto prevedeva un cambiamento da sepolcro isolato a monumento a sé stante (non ancora una tomba a parete), che si appoggiasse con un lato alla parete. La lunghezza del lato breve frontale era poco inferiore a quella del progetto del 1505. Anche i lati lunghi erano più corti del precedente progetto, ma anche così sporgevano dal muro (ai cui erano perpendicolari). Sia la faccia sia le facce laterali contenevano una coppia di nicchie (totale di 6 coppie): ogni nicchia conteneva un gruppo statuario – una figura che ne atterrava un’altra, come perché sul Prigioniero morente è rozzamente scolpita una scimmia. Una scimmia potrebbe essere stata creata anche per il Prigioniero ribelle. La scimmia è l’emblema dell’Arte, perché l’Arte è imitazione della natura. Il Prigioniero morente e il Prigioniero ribelle dovrebbero rappresentare la Pittura e la Scultura. Il punto è: fosse anche così, sì ma cosa stanno facendo? Bisogna pensare a una tomba postuma di Giulio II. Grimm parla del Prigione morente come al momento del sopraggiungere della morte, ma potrebbe benissimo fare l’esatto contrario: il risvegliarsi della vita. Ne consegue quindi: le statue impersonerebbero il rinascere delle Arti visive, grazie al grande mecenate Giulio II. Dal 1505 al 1513 Michelangelo aveva ripensato alle figure dei Prigioni. In un foglio dell’Ashmolean Museum si vedono sei rapidi schizzi (con un grande disegno di una Sibilla Libica sulla volta della Sistina): due figure angolari (con le gambe alzate, una guarda a sinistra e una a destra), quattro figure frontali per i pilastri interni. Anche le due statue del Louvre possono essere riassunte a queste due categorie: - Il Prigioniero ribelle, come statua angolare (destro). Doveva essere rivolto verso destra (anche se si penserebbe verso sinistra), doveva stare sotto il Mosè, all’angolo destro del monumento. - Il Prigioniero morente, come statua per una facciata, guardando il monumento al centro- sinistra; una parte del corpo è rifinita (molto più del Ribelle), i trapassi da un piano all’altro sono più graduali. Il braccio dietro la testa è un motivo già visto nella volta della Sistina. Doveva essere vista sullo sfondo piatto di un pilastro (criterio derivato dal David). Dato il blocco, Michelangelo era costretto a fare una figura chiusa, non come il David aperto. La linea falcata della gamba sinistra è bilanciata dal continuo contorno scendente del torso; la linea dritta della gamba destra è compensata dall’incavarsi della vita; i due avambracci si dispongono simmetricamente in diagonale. Vasari ci dice che per un lato del sepolcro, Michelangelo completò molti pezzi in ogni particolare. In uno schizzo del 1516-18 c’è una dichiarazione di Michelangelo dove afferma che tutte le sculture ornamentali indicate erano complete e si trovavano alcune a Firenze e altre a Roma. La sezione alla base del monumento completato nel 1545 è quasi identica a quella del progetto del 1513. Se guardiamo al monumento come oggi è a San Pietro in Vincoli, la base è praticamente uguale, tranne per le volute sotto le erme. Il Prigione ribelle dovrebbe stare davanti al pilastro dell’estrema destra (un’altra figura doveva stare nel pilastro dell’estrema sinistra che dialogasse con il Prigione ribelle), il Prigione morente e un’altra figura dialogante con questa dovevano stare davanti ai pilastri interni; sul registro superiore il Mosé (a destra) e San Paolo (a sinistra) dovevano stare sugli spigoli della piattaforma. Nel 1516 l’intero progetto viene rimesso in discussione: un nuovo contratto. - Papa Leone X sembra abbia obbligato Michelangelo a lavorare la facciata di San Lorenzo. - Una semplificazione doveva essere comoda a tutti, dato che solo 3 delle 38 erano state scolpite. - Michelangelo pensava male del concetto architettonico delle due versioni del sepolcro Ora doveva concludere il lavoro non per il 1520, ma per il 1525. Ora assumerà la forma di un vero e proprio monumento parietale. Adesso la base del monumento si staccherebbe non più della profondità della nicchia (tra due pilastri con Prigioni): la piattaforma in alto non era più possibile costruirla quindi. Parte alta e parte bassa ora erano allineate. Delle sei statue della piattaforma si arriva a due. Il sarcofago perpendicolare del pontefice non era neppure lui pensabile mantenere, quindi rimaneva solamente da fare una figura seduta del pontefice (forse quella abbozzata nel 1508 e poi trasformata in San Gregorio Magno). Le statue da 40 passarono a 20: invece del loro aggruppamento pittorico con sfondo architettonico, abbiamo una scultura integrata nell’inquadratura del sepolcro. Questo terzo progetto va comunque a sbalzi, motivi: - Lavoro per la facciata di San Lorenzo - Come nella Sagrestia Nuova le figure mutano forma, la concezione di Michelangelo cambia empiricamente e la stessa cosa sembra accadere per la Tomba di Giulio II. Dal 1516 al 1519 è a Pietrasanta e Carrara. Sicuramente anche là lo schema per la tomba cambia nuovamente, dato che sappiamo del temperamento e della creatività di Michelangelo come molto variabile: prova ne sono i quattro Prigioni incompiuti nell’Accademia di Firenze. Nel 1519, gli esecutori testamentari di Giulio II spingevano Michelangelo a concludere il progetto: si menzionano quattro statue che dovrebbero essere i Prigioni all’Accademia di Firenze. I Prigioni del Louvre sono alto 2,20 m, quelli di Firenze sono più alti di 2,50 m: sembrerebbe che Michelangelo ancora una volta volesse cambiare gran parte del progetto, dato che voleva Prigioni più grandi e massicci e intendeva abbandonare i Prigioni precedenti. C’è chi reputa queste sculture importantissime perché permettono di scandagliare le profondità del suo “oceano di vitalità creativa”, uno spirito romantico concreto. Dall’altra di crede che Michelangelo abbia dato il modello e poi aiuti avrebbero realizzato le statue. A riprova di questo fatto sta lo Schiavo che si desta il cui braccio sinistro non è solo rudimentale ma è anche vuoto e privo di funzionalità. Di Michelangelo sono probabilmente la zona del torso, della vita e della coscia destra. Quindi due delle quattro statue sono intese come varianti di quelle del Louvre: - Il Prigione giovane riprende il Prigione morente, ma con un’accentuazione plastica assai maggiore, sembra che debba reggere una struttura sovrastante. Un rilievo che vuole uscire dal fondo. Doveva sostituire il Prigione morente del pilastro centro-sinistro; - Al posto del Prigione ribelle ci sarebbe stato il Prigione-Atlante. Adesso Michelangelo si proponeva non soltanto di accrescere l’importanza dell’architettura nei confronti della scultura, ma di collegare architettura e scultura, quindi dette alle figure l’aspetto di cariatidi. Non si sa se queste quattro figure dovessero ancora rappresentare le Arti Liberali, forse neanche Michelangelo lo sapeva con certezza. Lo schema del 1513 prevedeva sei nicchie, quello del 1516 quattro nicchie, tutte e due contenevano gruppi plastici di due figure. Uno solo di questi gruppi venne scolpito: il Genio della Vittoria, alto quasi come i Prigioni dell’Accademia di Firenze. Il Genio venne scolpito ma venne completato per metà, un po’ come sono completi a metà a Prigioni fiorentini, quindi per la base modificata del 1516. La fattura del torso del Prigione che si ridesta, Prigione giovane, Prigione barbuto, Prigione-Atlante poteva pretendere di prendersele per sé. Ad un certo punto il Duca fu irremovibile: tre statue autografe di Michelangelo, una di queste deve essere il Mosè. Nel 1535 il programma neoplatonico della Tomba di Giulio II non aveva più molta importanza, rimaneva invece fisso il fatto che il pontificato di Giulio II fosse stato molto importante. La figura militante del Mosè (quando Giulio II regnava) venne adesso con il papa morto investito di un altro significato: un’allegoria del pontificato “storico” di Giulio II. Crescendo l’importanza della statua, l’effige del pontefice divenne meno importante e quindi piccola. Nel 1542 Michelangelo accetta l’accordo con il Duca di Urbino: tre statue sue (Mosè, Prigione ribelle, Prigione morente) e tre da Raffaello da Montelupo (Madonna, Profeta, Sibilla). Michelangelo però non considerava giusto avere nel sepolcro il Prigione morente e il Prigione ribelle, per cui diede altre due statue di sua mano: la Vita Attiva (Lia, già sbozzata) e la Vita Contemplativa (Rachele). Il registro inferiore del sepolcro del 1513 fu completato ed eretto al suo posto, sopra il registro inferiore viene collocato il registro del sepolcro del 1516. - I Prigioni del 1513 (morente e ribelle) furono dati a Ruperto Strozzi - Il Genio della Vittoria venne messo prima sulla tomba di Michelangelo e poi installato dal Vasari nel Salone del Cinquecento. - I Prigioni dell’Accademia di Firenze vennero presi da Cosimo I, in seguito usati dal Buontalenti per adornare una grotta nel Giardino dei Boboli (dove vennero tolto solo nel 1908). Il registro inferiore come è oggi non solo stride perché è una giustapposizione di statue risalenti a epoche diverse, ma perché è il punto d’incontro di due modi opposti di sentire la scultura. La Vita Contemplativa nega i postulati sui quali è costruita la statua del Mosè. Nel 1541 era ufficiale che non avrebbe preso altri lavori. 19 anni dopo morì, ma nel mentre era tormentato da un imperioso bisogno di creare un equivalente plastico dello stile pittorico del Giudizio e della Cappella Paolina. Prima del 1550 inizia un gruppo la Deposizione (Pietà Bandini): - Se la Pietà Bandini rappresenta il tema attivo della Deposizione - Il gruppo giovanile, la Pietà vaticana, rappresenta il tema passivo della Pietà Nella Pietà Bandini la maschera classica è stata gettata via, Madre e Figlio prendono parte a un evento reale: figure colte nel pieno dell’azione. La Madre cerca di sostenere il corpo di Cristo “ma vinta dal dolore non può reggere”, Nicodemo ben “fermato in piedi” aiuta con forza “entrandoli sotto”, Cristo “cascando con le membra abbandonate fa attitudini tutte differenti non solo degli altri [Cristi] suoi ma di quanti si facion mai”. Le figure sono colte in un istante, ma sono anche simboliche: la testa di Nicodemo esprime la pietà dell’umanità intera. Gli stessi contemporanei di Michelangelo riconobbero in questo gruppo plastico la somma delle sue liriche religiose e nel 1564 la testa di Nicodemo veniva già considerata un autoritratto ideale. La Deposizione è concepita come una preghiera tradotta in termini visuali. 1554, questo gruppo plastico venne colpito e spezzato da Michelangelo in un momento di disperazione, poi riaggiustato da uno scultore amico. Questo “restauro” riguarda soprattutto la figura a sinistra, più piccola della Vergine simmetrica dall’altra parte. È incompleta e risulta a prima vista incomprensibile. Condivi dice che è una figura che deve “far quell’uffizio che la Madre per lo estremo dolore prestar non può”: pulire il cadavere. Ai lati e da dietro, la Vergine è arrotondata in un modo che può solo significare la collocazione del gruppo in una nicchia e in uno spazio così delimitato come una nicchia il gruppo farebbe un effetto anche più pittorico di quanto non faccia oggi. Il gruppo della Deposizione proclama visivamente la supremazia della pittura: concatenare le tre figure principali in una singola unità visiva a forte sviluppo verticale è un accorgimento che Michelangelo usò ripetutamente nel Giudizio Universale. Nicodemo e la Vergine potrebbero essere due figure dell’affresco investite di una plasticità reale. D’ora in poi Michelangelo farà diversi disegni per una Crocifissione concepita nel medesimo stile degli affreschi della Cappella Paolina, ma disegni per gruppi marmorei: certe volte i gruppi sono intervallati (qui accanto, disegno del British Museum), altre volte sono un gruppo compatto. Dietro uno di questi disegni c’è un’indicazione per un Cristo marmoreo, ma tale schizzo era troppo antitetica alla resa plastica. Gli rimaneva un ultimo progetto: una Pietà. Lo si vede in un disegno di Oxford, molte prove per una Vergine che sostiene in piedi il Cristo morto. L’idea si concretizza in una patetica Pietà Rondanini, al Castello Sforzesco. Il rivestimento marmoreo a due colori del Battistero presentava sopra le porte un motivo ad arcatelle e l’altezza delle statue fu imposta da questo. Il rivestimento ornamentale non dava possibilità di erigere nicchie esterne che isolassero i gruppi, per il Battesimo si ricorse a un architrave ornamentale con due colonne per scandire lo sfondo. Rustici adotta lo stesso schema. Mettere a confronto il Battesimo con la Predica vuol dire mettere a confronto una grande artista di gusto classicheggiante e un artista interessato al problema espressivo, quindi incurante dell’arte antica. La Predica del Battista consiste in tre statue disposte simmetricamente. Benché siano allineate sul medesimo piano e ampiamente intervallate, formano un’indivisibile unità drammatica. Nessuna delle tre avrebbe senso senza le altre: un barbuto Fariseo, il Battista, un calvo Levita. Questo concetto di figure dipendenti l’un dall’altra non ha nessun precedente in scultura… ma ce l’ha in pittura. L’Ultima Cena di Leonardo riporta molte somiglianze e infatti una rosa di fonti lega il nome di Rustici con quello di Leonardo proprio negli anni in cui si lavora a questo gruppo. Il Battista ha la gamba sinistra arretrata e la spalla destra avanzante, il ginocchio destro in avanti e la gamba sinistra spostata all’indietro. Le implicazioni rotatorie della posa sono sottolineate dal mantello (spalla destra, fianco sinistro) e dalla testa (verso destra). La posa del Levita è più complessa: gomito sinistro in avanti, spalla destra arretrata, in basso il ritmo è invertito, in più il piede destro è accavallato su quello sinistro. Questo chiasmo tra spalle e ginocchia è ripetuto nel Fariseo. Vasari parla del gruppo sia nella vita del Rustici che di Leonardo, in cui dice che le figure furono progettate da Leonardo ma eseguite dal Rustici. Non ci sono prove dirette però, ma solo supposizioni (comunque che fanno ben pensare): - La testa del Levita, ricorda le teste caricaturali di Leonardo - Le gambe incrociate sfruttano un motivo studiato da Leonardo nei suoi schizzi giovanili per l’Adorazione dei Pastori - I bioccoli medusechi del vello del Battista Uno degli accorgimenti che vi contribuiscono, l’uso di forare le cavità fra i riccioli scompigliati del Battista o fra i bioccoli arriffati del suo vello, può essere attribuito anch’esso al gusto pittorico di Leonardo. Opposto a quello del Rustici è il Battesimo di Andrea Sansovino: opera severamente contenuta in una classica misura. Cristo ha le spalle parallele alla parete e le mani incrociate sul petto. Il Battista si presenta frontalmente con la testa voltata verso Gesù, il braccio destro è sollevato sopra la testa di Cristo. L’effetto è qui ottenuto non mediante bruschi cambiamenti di piani, bensì con blandi trapassi entro una profilatura unitaria e ininterrotta. Questi blandi trapassi con una composizione piramidale suggeriscono anche qui analogie con la pittura: non con Leonardo, ma con Raffaello che arrivò a Firenze nel 1504, quando le statue erano già a buon punto. Questo splendido gruppo venne purtroppo lasciato a metà e installato solo nel 1569: se fosse stato finito e installato prima avrebbe avuto un’influenza benefica nell’influenzare gli artisti. Andrea Sansovino si ambientò rapidamente a Roma alleandosi con Bramante e poi (nel 1508) con Raffaello (e non con Michelangelo come il gruppo del Battesimo poteva far prevedere). Da principio gli furono assegnati due monumenti parietali per il coro bramantesco di Santa Maria del Popolo; nel 1510-1511 gli venne affidata una statua a tutto tondo in connessione con un’opera di Raffaello. La statua è Sant’Anna con la Vergine e il Bambino, completata nel 1512 era stata data a un mecenate, Johan Goritz che amava circondarsi di umanisti. Il monumento doveva combinare pittura e scultura: in alto Raffaello affrescò Isaia, sotto il gruppo. Goritz era un mecenate esperto e con il suo consenso Raffaello modificò l’affresco rifacendosi ai Profeti della Cappella Sistina; Andrea Sansovino prese spunto da un’opera di Leonardo. Ancora bisognerà ricordare il cartone (perduto, Vergine e Sant’Anna) esposto da Leonardo nel 1501 La famosa sovrapposizione tra madre e figlia nel cartone della National Gallery, una figura incastrata l’una sull’altra, violava le tradizioni classiche quindi Andrea Sansovino decise di mettere le figure una accanto all’altra. Se nel cartone di Leonardo i piedi destri delle donne sono più bassi, qui indietreggiano e il piede sinistro della Sant’Anna è comunque tenuto alzato. Portando le due figure su pian diversi, presenta Sant’Anna nell’atto di contemplare il Bambino Gesù: viene cambiato l’asse centrale del gruppo rispetto al cartone leonardesco sia rispetto al dipinto del Louvre. Dato che né l’agnello né il San Giovannino sarebbero stati rappresentati, non aveva senso ritrarre Gesù come nei disegno/dipinto: la scelta quindi di farlo stare sul grembo materno. La maestria del gruppo di Andrea Sansovino la notiamo se mettiamo a confronto con la Vergine con Bambino e Sant'Anna di Francesco da Sangallo a Orsanmichele, fatta nel 1526 (14 anni dopo). Anche Sangallo conosceva bene la composizione di panneggi, ci sono ricche pieghe trasversali sui fianchi. La testa è resa con classico riserbo, non con intensità visionaria come nel San Matteo. Come punto di partenza Jacopo prese il Battista di Andrea Sansovino a Genova, ma altre influenze derivano da - Ghiberti (che nel Cinquecento i suoi Apostoli divengono più importanti che non nel Quattrocento) - Raffaello. Nel 1518, Jacopo Sansovino ritorna a Roma e inizia una Madonna in marmo per la Chiesa di Sant’Agostino, che già possedeva la Vergine con Bambino e Sant’Anna di Andrea Sansovino. La Madonna del Parto di Jacopo : Vergine con Bambino e Sant’Anna di Andrea = San Giacomo di Jacopo : Battista di Andrea Il gruppo della Vergine con Bambino e Sant’Anna mostra panni aderenti alle ginocchia e una certa ripetizione nelle pieghe; la Madonna del Parto è avvolta da pensati drappeggi. Il grembo della Madonna non è una normale “concavità” ma una piattaforma per la gambetta del Bambino. Le due braccia libere della Madonna seguono un movimento circolare, che dà maggiore ampiezza alle figure. Le due figure hanno una loro validità vitale e nella posa del Bambino Gesù si avverte un’illusione di moto, profondamente raffaellesca. La Madonna di Jacopo Sansovino è più raffaellesca dell’unica statua progettata da Raffaello stesso: il Giona della Cappella Chigi, il cui cartone (perduto) di Raffaello è stato poi infiacchito nell’esecuzione plastica del Lorenzetto. Nel 1527 il Sacco di Roma. Roma cede a Firenze il primato di centro scultoreo della penisola. Dal 1530 a Firenze si instaura un lungo periodo di stabile mecenatismo. Dal 1530 al 1534 Michelangelo domina l’ambiente artistico fiorentino, ma nel 1534 lascia Firenze per sempre: dopo di lui sarà il rivale Baccio Bandinelli a fare la parte del leone. La rivalità di Michelangelo-Bandinelli ha origine con il David: venne chiesto dopo la sua collocazione (1504) davanti a Palazzo Vecchio sempre a Michelangelo di scolpire un gruppo a due figure in dialogo (pendant) con il David. Il Gonfaloniere Piero Soderini ordina un blocco colossale ma nel 1525 la scultura non è stata ancora iniziata; papa Clemente VII così sfidando la Signoria affida il blocco colossale a Bandinelli. Bandinelli proclama che avrebbe superato Michelangelo scegliendo come soggetto lo stesso che aveva scelto Michelangelo per quel blocco: Ercole e Caco, Bandinelli fece due modelli. Nel 1527 Bandinelli comincia a sbozzare il marmo, ma nel 1528 i Medici furono espulsi e il governo popolare ritirò il blocco a Bandinelli per ridarlo a Michelangelo, che invece volle cambiare soggetto (più complesso, Sansone che atterra due Filistei). Michelangelo non continuò però il gruppo e si rimise al lavoro della Sagrestia Nuova; Bandinelli continuò l’Ercole e Caco terminandolo nel 1534. Il 1 maggio 1534 venne scoperto al pubblico e fin da subito venne colpito da diverse critiche: Alessandro de’ Medici fece incarcerare gli autori di alcune fra le “pasquinate” (componimenti, generalmente satirici, in cui veniva data parola a una statua, proprio come accadeva per il famoso torso romano. Spesso questi testi contenevano sottintesi politici (non necessariamente eversivi), ancora più spesso – evidentemente per la “contiguità” genetica con la scultura – esibivano intenti di critica d’arte.) che in realtà erano anche forti critiche politiche, dato che il gruppo era la prima solenne affermazione del gusto mediceo nel Rinascimento maturo. L’Ercole e Caco è il risultato della stessa mentalità accademica e classicistica che aveva concepito l’Apostolo Pietro al Duomo (sempre di Bandinelli). Bandinelli aveva progettato in un primo momento un gruppo in azione (Ercole chiude la testa di Caco con un ginocchio con molta forza, Caco patisce e mostra la sofferenza inferitagli da Ercole), e ciò si vede nel bozzetto conservato a Berlino. Si sapeva fin dall’inizio che il gruppo avrebbe occupato una posizione ad angolo sui gradini del Palazzo della Signoria, questa sistemazione determinò lo schema compositivo. La base è parallela alla facciata del Palazzo, ma il gruppo venne disposto di traverso. La veduta principale corrisponde allo spigolo e non della fronte del piedistallo, precisata dalle spalle di Ercole e dalla parallela che unisce il ginocchio destro di Ercole alla spalla sinistra di Caco. Il gruppo ha meriti pregevoli ma solo per quanto riguarda la struttura, purtroppo l’opera non spicca intellettualmente in nessun punto. Su vasta scala Bandinelli era uno scultore timido e allora lo comprendiamo quando sappiamo che dopo che il gruppo venne installato Bandinelli cercò di irrobustire quel fiacco modellato scavando ancora più a fondo. Dal ritorno nel 1545 del Cellini la competitività tra i due ci fu una tesa competizione, e quindi seguono le famose frecciate tra i due. La differenza tra i due era che il Cellini era uno scultore artigiano completo, mentre Bandinelli era un artista nella cui composizione l’elemento artigianale era rimasto escluso. Cellini a quarantadue anni si era intrufolato nel campo degli scultori: Bandinelli quini aveva un certo disprezzo per l’orefice intruso; Cellini d’altro canto avvertiva che il sistema “confezionato” di forme geometriche (vedi la schiena di Ercole) con cui Bandinelli componeva artificiosamente i suoi gruppi era un’eresia condannata da tutta la scultura fiorentina. Nell’agosto 1545 Cosimo I affida a Cellini un Perseo da aggiungere al gruppo di statue scelte davanti a Palazzo Vecchio, un immenso onore. Su una piattaforma sorgeva il Marzocco di Donatello, poi smantellata per far posto alla Fontana di Ammannati; seguono il David e Ercole e Caco davanti all’ingresso di Palazzo Vecchio; sotto alla Loggia al posto del Ratto di Giambologna c’era la Giuditta di Donatello. Cellini deve essersi sentito stimolato e allo stesso tempo anche sotto pressione: il Perseo doveva tenere testa al David e doveva canzonare Ercole e Caco. C’è una incomprensione nel Perseo di Cellini, perché si è sempre detto che ha infiniti punti di vista, una concezione “cinetica” della scultura: perché in un poema Cellini sembra affermare che le statue hanno mille punti di vista. Tuttavia in una lettera del 1549, in una lettera inclusa nelle Lezzioni di Varchi si esprime in maniera differente: “una statua di scultura de’ avere otto vedute e conviene che le sieno tutte di egual bontà”; in un altro passo parla di Cosimo I mentre gira attorno al modello per la fontana del Nettuno “fermandosi alle quattro vedute” cosa che avrebbe fatto chiunque “peritissimo” in arte. Ne conviene che le teorie di Cellini siano poco più complesse di quelle del tardo Quattrocento (ossia della Giuditta di Donatello). Il Perseo infatti rimarca tale constatazione, perché Cellini deve aver avuto in mente la Giuditta: - La base della statua è rettangolare - Quel rettangolo è un cuscino, dal quale penzola il braccio di Medusa Questa citazione del cuscino non è presente nel modello in cera al Bargello, dove Perseo si erge su una base a tamburo: questo tamburo era una ingegnosa soluzione da orafo che però non si prestava per la scala monumentale. Soltanto in un secondo bozzetto in bronzo (sempre al Bargello) c’è la prima presenza di un cuscino, più piccolo e gonfio rispetto a quello di Donatello. Da qui poi il passo è stato breve a ridimensionare il cuscino, facendolo più basso e largo. Nel modello in cera, Perseo è una figura agile, elegante e bilanciata con leggerezza nell’atto di scavalcare il cadavere, piega infatti il viso di lato e per slanciarsi tiene la testa mozzata fuori verso sinistra. Nel modello in bronzo, la testa di Medusa è meno spinta in fuori (a sinistra precedentemente), il ginocchio piegato di Perseo fa un angolo più netto e il suo torso è trattato con un rilievo pronunciato. Queste modifiche sembrano essere derivate da uno dei pochi nudi bronzei: il David di Donatello Nel 1548 Pierino amplia la sua conoscenza delle sculture di Michelangelo, al suo ritorno in Toscana si accinse a un’opera ispirata da schizzi di Michelangelo, un Sansone che ammazza un Filisteo. Al contrario di Bandinelli, Pierino da Vinci era conscio dei propri limiti e perciò volle concepire il gruppo non come un poliedrico gruppo in azione, ma come un eccezionale bassorilievo: presenta una sola veduta allo spettatore e può essere letto da quell’unico punto di vista. Motore primo del suo schema è il bozzetto di Michelangelo di Ercole e Caco, ma senza quell’effetto rotatorio proprio delle opere di Michelangelo. La posa del Filisteo di Pierino ripete quella di Caco di Michelangelo, ma il braccio sinistro del Filisteo è nascosto e la gamba destra è allineata al lato posteriore della base. Il Sansone di Pierino ha il corpo frontale e la testa di profilo a destra, differisce grandemente nella gamba sinistra che appoggia sulla nuca del Filisteo. Malgrado queste modifiche rispetto al bozzetto di Michelangelo, il gruppo di Pierino conserva molto del loro vigore; il linguaggio è più o meno naturalistico e uno splendido presagio d’azione anima il torso scattante della figura in piedi. Fatto importante è che la testa fatta da Pierino è costruita con appassionata gravità, proprio all’opposto della meccanica smorfia che definisce le maschere facciali di Bandinelli. Fatto ancora più importante è che Pierino da Vinci con questo gruppo inaugura una lunga serie di gruppi a due figure in movimento. Quando Vicenzo Danti decise nel 1561 di scolpire una scultura in marmo sceglie come soggetto il Trionfo dell’Onore sulla Falsità. Bartolomeo Ammanati inserisce una Vittoria in uno dei suoi primi lavori fiorentini, il Monumento Nari (SS. Annunziata). Infine Firenze vittoriosa su Pisa del Giambologna gli ha dato una grande notorietà a Firenze. La moda tocca il suo apice con il Catafalco per il funerale di Michelangelo (1564) costituito da quattro gruppi statuari ognuno di due figure. Cellini nel 1554 posizionava il suo Perseo, sempre quell’anno viene a mancare Pierino e tutto fa credere a Cellini di poter diventare un grande scultore a cui potrebbero essere affidate serie di opere importanti. Tuttavia non ricevette più alcuna commissione importante. Probabilmente ciò è dovuto al suo carattere arrogante, ma nella Firenze degli anni ’60 del Cinquecento ci instaura una forte competizione nel campo della scultura. Nel 1555 muore Giulio III e Ammannati si trasferisce da Roma a Firenze: a Roma aveva collaborato con Vasari per i monumenti di casa Del Monte (San Pietro in Montorio): Religione, Antonio del Monte, putti, stemmi-ritratti, putti, Fabiano del Monte, Giustizia. Nel 1557 arriva a Firenze Vincenzo Danti (che si era reso famoso con la statua di Giulio III in piazza a Perugia). Nel 1560 arriva Vincenzo de’ Rossi, scultore grossolano-proiezione dello stile di Bandinelli: fece una serie di grandi sculture raffiguranti le Fatiche di Ercole (per Palazzo Vecchio): cercò in vano di conciliare un gusto per l’azione violenta con una snaturata specie di perizia formale. L’importanza di Ammannati è più evidente nel campo del monumento funebre che della scultura. Danti invece era più preoccupato ai problemi della statuaria con la stessa serietà di Pierino, entrambi infatti erano fedeli a Michelangelo. Il postulato di Michelangelo superò tutti gli artisti moderni e forse tutti gli antichi: scultura—pittura- architettura in Michelangelo era premessa iniziale del Trattato delle perfette proporzioni che Vincenzo Danti pubblicò nel 1527. La sua devozione a Michelangelo era diluita da tendenze anti-michelangiolesche, ne è prova il gruppo al Bargello: Trionfo di Onore sulla Falsità. Oppure deriva da un perduto disegno o modello di Michelangelo per un gruppo che bilanciasse il Genio della Vittoria in una nicchia simmetrica del sepolcro di Giulio II. A favore di questa seconda ipotesi è la struttura del gruppo: un’invenzione del Genio della Vittoria. Mentre Pierino da Vinci nel suo Sansone che atterra un Filisteo mostra familiarità con la tecnica michelangiolesca, Vincenzo Danti tratta il marmo in modo asciutto e incisivo e le sue forme sono lineari e prive di plasticità. Il senso di sviluppo organico che Michelangelo inserisce nel suo gruppo era al di là delle sue capacità; nella Falsità di Danti sebbene il suo intento nel dorso e nel braccio esposto fosse più o meno realistico, Danti non possedeva i mezzi per tradurlo dalla teoria nella pratica. Danti percepiva la forma come contorno: il Trionfo dell’Onore va giudicato non già in rapporto all’opera di Michelangelo, ma con gli schemi basati su Michelangelo che il Bronzino inserì nei suoi affreschi di Palazzo Vecchio: Cappella di Eleonora. Tuttavia a Firenze il successo non venne colto da Vincenzo Danti, né Ammannati, né a Vincenzo de’ Rossi, ma da un giovane fiammingo detto Giambologna. Nato a Mons nel 1529, fa apprendistato in patria e giunge a Roma per studiare: per due anni copiò in cera e creta le statue famose. Nel 1556 voleva fare ritorno in casa e con i suoi modelletti giunse a Firenze e la fortuna fu che Bernardo Vecchietti rimase sorpreso dalla sua bravura. Vecchietti, collezionista e intenditore, si offre di mantenere il giovane Jean de Boulogne a Firenze per proseguire i suoi studi. Rimase a Firenze per 50 anni e divenne il massimo scultore del suo tempo e il suo linguaggio si irradiò fino a Vienna-Parigi-Madrid e anche nel Settecento. Nei primi tempi Giambologna si affermò lentamente: 1560, il concorso della Fontana in Piazza della Signoria a Firenze viene vinto da Ammannati e non da Giambologna. Leone Leoni lascia intendere che se Giambologna avesse avuto più importanti contatti probabilmente avrebbe vinto. Con la vincita del concorso della Fontana del Nettuno di Bologna, Giambologna riuscì ad avere molta più notorietà a Firenze. Per la Fontana del Nettuno di Bologna, Giambologna ha riutilizzato i suoi progetti per la Fontana di Firenze. Altri elementi che hanno portato alla fama sono la morte del Bandinelli (1560) e quella di Michelangelo (1564). Se con la morte del Bandinelli, Firenze si libera di un grande impedimento, ma con la morte di Michelangelo questa liberazione si trasforma in rimorso: se a Firenze Bandinelli aveva numerose statue completate, quelle di Michelangelo erano ancora a uno stato “da completare”. Nel 1565 il futuro Granduca Francesco de’ Medici volle affidare a Giambologna le due commissioni che segnano l’inizio della carriera grandiosa a Firenze: due gruppi marmorei, due figure ciascuno: uno doveva bilanciare il Genio della Vittoria di Michelangelo, l’altro doveva interpretare di nuovo il tema di Sansone che atterra il Filisteo. Per le nozze di Francesco de’ Medici viene chiesto a Giambologna un gruppo che facesse pendant con il Genio della Vittoria: un Trionfo di Firenze su Pisa, si voleva una composizione invertita rispetto all’asse del gruppo michelangiolesco e una figura femminile dominatrice, questo si vede nel bozzetto in cera, l’unico superstite. Il modello del Giambologna esclude e nega il senso integrale del blocco, tutto lo schema è punteggiato di vuoti; diciamo all’opposto del Genio della Vittoria che proclama apertamente la massa del blocco marmoreo da cui è stato scolpito. Questa tecnica dei “vuoti” è derivata dalla scultura ellenistica forse dal Toro Farnese scavato nel 1546 nelle Terme di Caracalla, poco prima che il Giambologna arrivasse a Roma. La seconda fase del Trionfo di Firenze su Pisa è attestata dal grande modello in gesso, modifiche in questa versione derivano da ragioni pratiche (figure ravvicinate per avere maggior stabilità), altre sono d’ordine stilistico. La gamba sinistra del prigioniero gira attorno alla caviglia della donna della vincitrice, sicché la sua figura rannicchiata si presenta come iscritta in un triangolo; la rigorosa verticale della versione in cera è adesso sostituita da curve sinuose. La versione in marmo (1570) ha avuto qualche ritardo per via della difficoltà del progetto: sono ritornati i vuoti della versione in cera. - La testa del Vecchio sembra rifarsi al Laocoonte. Giambologna voleva emulare, sorpassare gli antichi. Nel repertorio classico a lui noto non esistevano gruppi con figure sollevate da terra, esistevano: Ercole e Anteo, piccolo Dioniso sulla spalla di un satiro, Ganimede afferrato da un’aquila, una figura in piedi che sosteneva il peso inerte di un’altra a terra. Plinio non cita gruppi di una sola figura sollevata sopra la testa di un’altra. Il Ratto della Sabina era un’estensione dei criteri della scultura ellenistica. Plinio loda la perizia tecnica di alcuni gruppi classici: “ex codem lapide” (dallo stesso blocco) dice del Toro Farnese, “ex uno lapide” dice del Laocoonte. Tecnicamente il Ratto è superiore ai gruppi classici conosciuti dal Giambologna, infatti sapeva che né il Toro né il Laocoonte erano stati scavati da un unico blocco di marmo. Il Ratto presentava un’aspirazione degli antichi che gli antichi non erano stati in grado di operare: un gruppo di tre figure da un unico blocco. Il primo accenno al gruppo del Ratto lo abbiamo in una lettera del 1579 dove Giambologna nomina a Ottavio Farnese “due figure in bronzo… che possono inferire il rapto dell’Elena et forse di Proserpina e d’una delle Sabine” e precisa di aver scelto quel soggetto “per dar campo alla saggezza et studio dell’arte”. Il gruppo bronzeo si trova a Napoli. Questa lettera è un documento che sta a provare l’estrema difficoltà del soggetto auto-prepostosi dallo scultore. Per tradurre un gruppo simile in marmo le pose andavano consolidate: - La prima fase di questo consolidamento è illustrata da un bozzetto in cera per i torsi del giovane e della fanciulla. Qui la fanciulla è spostata dalla destra del giovane alla sinistra del giovane. Il peso di lei sta sulla spalla sinistra, il braccio di lui la tiene in posizione tagliandole diagonalmente il corpo e stringendole il fianco sinistro con la mano. Questo schema viene scartato forse perché risultava troppo piatto, ossia vedendole di lato si vedevano di profilo (banale); in aggiunta le teste venivano a trovarsi su due piani separati, quindi il giovane doveva piegare la testa all’indietro per guardare la testa della fanciulla che era più in alto. - Nel secondo bozzetto superstite, un giovane e la fanciulla sono rappresentati con i corpi perpendicolari l’uno all’altro e una terza figura è infilata in basso. Una serie di accorgimenti banali serve a introdurre nel gruppo un movimento a spirale, mentre le teste sono concatenate con maggiore semplicità e naturalezza. Come nel Trionfo di Firenze su Pisa non restava che affrontare una versione del gruppo in gesso, e quindi in base a questo scolpire il blocco di marmo. Come il Sansone anche il Ratto di Giambologna ha una base rettangolare: ma il Sansone ha un numero di vedute organizzate in un “davanti” e in un “dietro” chiaramente definiti; il Ratto invece ha uno sviluppo serpentino dell’azione. IL RATTO DELLE SABINE È IL PRIMO GRUPPO EUROPEO A PIÙ FIGURE DELLA SCULTURA EUROPEA CHE SIA STATO CONCEPITO SENZA UNA VEDUTA PREPONDERANTE. Il neo-ellenismo di Giambologna si differenza dal neo-ellenismo di Bernini considerando il principio classico di veduta frontale usato da Bernini. C’è poi un altro aspetto della scultura ellenistica che Bernini sente in modo importante e che Giambologna non rileva: la dovizia della tecnica illusionistica della scultura ellenistica. Il sepolcro nel pieno Rinascimento Il Cardinale Ascanio Sforza (1455 – 1505) era stato per tutta la vita un rivale di Giulio II, ma durante il finire della sua vita aveva avuto diverse disavventure e Giulio II si era riconciliato con lui a tal punto da ordinare che avesse un degno sepolcro. Il Bramante sta rifacendo proprio in quel momento il coro di Santa Maria del Popolo al quale la tomba era destinata. Giulio II si era interessato alla tomba ma non poteva avere completo controllo proprio perché Bramante aveva un progetto tutto suo, fondato su solidi principi estetici: il Monumento Sforza doveva costituire un cardine del progetto decorativo che comprendeva affreschi del Pinturicchio e finestre con vetrate di Guglielmo di Marcillat. Per la parete destra, di fronte alla Tomba di Ascanio Sforza, Giulio II ordina un monumento gemello in onore del Cardinale Girolamo Basso Della Rovere (1434 – 1507). I due sepolcri sono armonizzati con l’architettura del coro: vi sono buone ragioni per credere che sia lo stesso architetto che abbia progettato l’uno e l’altro monumento, e anche se su di essi c’è scritto “Andrea Sansovino” si pensa sia Bramante l’autore. Abbiamo un arco trionfale, assai slanciato; ai lati due nicchie chiuse da semicolonne scolpite con motivi ornamentali; in basso un basamento che aggetta ai lati più che al centro, dove è inserito l’epitaffio. Il defunto è dormiente con la testa sorretta sulla mano (motivo poi imitato nelle tombe cinquecentesche). Nelle nicchie ci sono statue di Virtù in piedi; sopra alle nicchie, sedute stanno la Fede e la Speranza; in cima all’arco trionfale è posto Dio Padre benedicente con due accoliti. Gli accoliti è l’unico elemento che possiamo ricondurre ad Andrea Sansovino giovanile a Firenze: li troviamo sull’altare Corbinelli. Dobbiamo comunque considerare che sia Andrea Sansovino e non Bramante il progettista… i sepolcri offrono la prova della velocità e con cui Andrea Sansovino adotta i criteri prevalenti nel suo nuovo ambiente di lavoro. A Roma il lombardo Andrea Bregno aveva fondato una tradizione plastica classicheggiante: Sansovino si rifà molto a questo nelle sue parti ornamentali (e non alla tradizione fiorentina). A Roma le figure destinate alle nicchie dei monumenti sepolcrali assumevano abitualmente un aspetto fortemente classicheggiante. A Roma, le figure destinate alle nicchie dei monumenti sepolcrali assumevano abitualmente un aspetto fortemente classicheggiante, per esempio la Temperanza d’Isaia da Pisa sul monumento Chiaves in Laterano: seno scoperto e col resto del corpo in un panneggio trasparente. Lo stesso stile è adottato da Andrea Sansovino per la sua Temperanza sulla tomba del Cardinale Girolamo Basso, pur interpretando posa e panneggi con sottigliezza assai maggiore; potrebbero derivare da un prototipo comune. Ad ogni modo il linguaggio delle Virtù del Sansovino è più coerente e più succoso rispetto a quello delle sculture romane precedenti. La figura seduta della Speranza sulla tomba del Cardinale Ascanio Sforza richiama a un disegno preparatorio di Raffaello per la Poesia e i valori impliciti nelle Stanze sono impliciti anche nelle Tombe di Andrea Sansovino. rilievo con Pan, Marsia, Euterpe, Nettuno a Anfitrite, fra le figure sedute di Apollo e di Minerva. In cima, un busto di Sammazzaro cinto d’alloro, fra due putti a cavalcioni sul coperchio del sarcofago. Solo Jacopo Sansovino può aver progettato questo programma iconografico data l’adeguata liricità: Montorsoli era piuttosto prosaico, Ammannati era ancora immaturo. Sia Montorsoli che Ammannati si dimostrano soggiogati dal fascino di Michelangelo, nel monumento Sammazzaro infatti: - Ammannati si rifà al Duca Giuliano di Michelangelo per l’Apollo seduto (sinistra) - Montorsoli per i genietti in cima risale a un’idea di Michelangelo. Il busto che è di Montorsoli si servì del calco del volto del poeta. Nel 1524 in una lettera di Summonte (a Marcantonio Michiel) si nominano gli artisti che a Napoli lavoravano, tra cui Giovanni da Nola. Questi è molto ricco di sensibilità e talento (più interessato a far piacere che a glorificare) e si salva da una certa facilità grazie a una vena classicista, molto evidente nel suo sepolcro più tardo: il cenotafio del Viceré Don Pedro da Toledo in San Giacomo degli Spagnoli. Dal punto di vista della tradizione sepolcrale romana, quel cenotafio rompe tutte le regole dell’ortodossia. È una piattaforma quadrata con un podio anch’esso quadrato sui cui stanno le figure genuflesse del Viceré e della Viceregina in atto di preghiera. Le quattro facce del podio comprendono: epitaffio e tre rilievi con i Fatti del Viceré. La base più grande ha agli angoli mensole occupate da Virtù. Non c’è nessun dubbio sul fatto che questo cenotafio sia di ispirazione spagnola. Giovanni da Nola deve aver filtrato un modello convenzionale spagnolo; all’opposto di quello che fecero molti artisti spagnoli a Napoli che durante il primo quarto del Cinquecento dove il frutto principale della loro attività fu l’Altare nella Cappella Caracciolo di Vico, che è una variazione spagnola da un modello italiano. Quando la Sagrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze era ancora agli inizi, il Cardinale Giulio de’ Medici aveva espresso il desiderio di esservi sepolto, e appena divenuto papa (Clemente VII) venne studiato un modo per inserire lui e l’altro papa mediceo (Leone X): o sempre nella Sagrestia Nuova o in un ambiente attaccato alla Sagrestia Vecchia. Nel 1526 si facevano pressioni a Michelangelo per il completamento della Cappella perché così avrebbe potuto mettersi al lavoro sulle tombe papali. Clemente VII tuttavia negli ultimi anni di vita vuole che la Sagrestia Nuova fosse completata ed è costretto a cercare un altro artista per i due monumenti: di Andrea Sansovino ci è rimasto un disegno superstite; anche Bandinelli fa dei progetti prima che Clemente VII muoia. Dopo che Clemente VII morì, il Cardinale Ippolito de’ Medici voleva che i due monumenti fossero eretti a Santa Maria sopra Minerva dallo scultore emiliano Alfonso Lombardi. Tuttavia Ippolito muore e la commissione viene rubata da Bandinelli (grazia a Donna Lucrezia Salviati, sorella di Leone X). Vasari dice che Bandinelli avrà la commissione grazie a intrighi; Bandinelli nella sua autobiografia ne parla diversamente. Quando Clemente VII era ancora vivo aveva ricevuto da Michelangelo un appunto con delle idee e Baccio Bandinelli dichiara idee “non lontane dalle mie”. In realtà non era abbastanza affidabile per gli esecutori testamentari del papa che decisero di commissionare lo schema architettonico a Antonio da Sangallo. Sangallo le concepisce tradizionalmente con: - Un arco trionfale, - (due tombe) - Al centro, una statua seduta del pontefice - Nicchie laterali con due statue di santi in piedi La fascia dell’attico è spartita in tre rilievi: - Al centro, una scena di vita del papa - Ai lati, storie dei santi, santi delle nicchie sottostanti Vasari dice che le due statue dei pontefici facevano apparire meschine le statue dei santi; i rilievi con i Fatti dei Pontefici erano larghi il doppio delle storie religiose: per Vasari questa è iconografia profana e sicofantica. Bisogna ammettere che un rilievo di Bandinelli a soggetto storico era già stato unito nel sepolcro di Papa Adriano VI e lo schema del Sangallo (con la grande nicchia centrale e le piccole nicchie laterali) era eccezionalmente ostico. Anche per un artista più valevole di Bandinelli sarebbe stato difficile escogitare una statua che riempisse tutta la nicchia centrale e di scolpire rilievi per l’attico che fossero leggibili dal basso. Le sole parti del monumento interessanti per la storia della scultura sono i Santi laterali. In due di questi Santi, Bandinelli ritenta la posa diagonale già sperimentata nell’Ercole e Caco di qualche anno prima. Bandinelli viene coinvolto in un altro monumento sepolcrale: il suo. Suo figlio Clemente prima di morire stava lavorando a un Cristo morto sorretto da Nicodemo (il cui volto era il ritratto ideale di Baccio), il gruppo doveva derivare da un modello di Baccio. Lo schema è cerebrale e voluto, ma la concezione è nobile e seria e la fattura è coerente e precisa. Il gruppo va a urtarsi a sua volta con i progetti tombali di Benvenuto Cellini. Nel 1539 Cellini ebbe una visione, cercò di disegnare e modellare un gruppo da questa per la sua tomba. La tomba doveva adornarsi di un Crocifisso marmoreo e un rilievo marmoreo raffigurante la Madonna in trono con un Cristo in croce a sinistra, più sotto un Angelo e a destra un San Pietro che intercedeva presso il Cristo. Il rilievo marmoreo doveva essere circondato da raggi d’oro. Tutti gli elementi della tomba derivano dalla visione del 1539. Il solo elemento che viene eseguito è il Crocifisso. In origine Cellini pensava di La presenza di Vasari si avverte soprattutto nelle statue della Giustizia e della Religione, a coronamento delle tombe. Nella Sala Paolina (Cappella Paolina?, la volta della Cappella Paolina?) i vasti affreschi vasariani sono punteggiati da figure allegoriche entro nicchie rettangolari: le statue in San Pietro in Montorio derivano da quelle. Sia la Giustizia, sia la Religione si presentano come verità esenti da quella sciatta retorica che è la rovina del loro analogo in pittura. Pochi anni dopo, l’influenza di Michelangelo si allungò nuovamente sulla composizione di un monumento sepolcrale. Nel 1563, il Granduca Cosimo I aveva accettato la proposta di Vasari di creare un’Accademia del Disegno: istituzione un po’ fondata sul pregiudizio e dal vincolo che univa i suoi membri… perciò durante la venerazione per Michelangelo durante il suo funerale, da parte dell’Accademia che organizzò un servizio funebre in San Lorenzo, nascondeva un latente antagonismo verso i valori estetici ch’egli esemplificava. Non un solo artista di second’ordine venne dimenticato di coinvolgere nel costruire il catafalco. Poi venne il problema di un monumento permanente… le proposte: - La prima viene dal nipote di Michelangelo, Lionardo Buonarroti e da parte dell’allievo di Michelangelo, Daniele da Volterra. Vasari era per un’altra proposta. - Tuttavia Cosimo I pensò che fosse meglio utilizzare la Deposizione michelangiolesca nel monumento, anche se venne danneggiata dall’autore stesso. La Deposizione però era di proprietà di Pierantonio Bandini che non voleva separarsene. Lionardo Buonarroti rinuncia al Genio della Vittoria e ai Prigioni che furono offerti a Cosimo I… quindi non si parlò più di usare opere di mano di Michelangelo. - Vincenzo Borghini propose che Vasari disegnasse il sepolcro e che, per evitare favoritismi, vengano assegnate le sculture a diversi artisti giovani: Battista Lorenzi (allievo di Bandinelli), Giovanni Bandini (allievo di Bandinelli), Battista (allievo di Ammannati). Ammannati rifiuta di cedere il proprio allievo e la terza statua viene assegnata a Valerio Cioli. Il sarcofago disegnato da Vasari è una parodia dei sarcofagi michelangioleschi della Sagrestia Nuova: quando si vedono la Pittura, la Scultura e l’Architettura sotto di esso bisogna tener presente che per via delle clausole nel contratto mani più capaci ed esperte sono state escluse. È ironico ma anche triste vedere come in patria Michelangelo sia commemorato meschinamente dagli eredi spirituali di Bandinelli. Il monumento fu terminato in un clima più salubre di quello in cui era iniziato. Nel 1578 Giambologna stava lavorando alla sua grande opera sacra: l’altare della Libertà nel Duomo di Lucca. Nel registro inferiore si vede un Cristo Risorto con affianco San Pietro e San Paolino: iconografia da Controriforma. Nel 1565, Danese Cattaneo a Verona aveva eseguito un altare di questo genere per Sant’Anastasia a Verona. Altre due opere di Cristi su altare erano note a Giambologna: quello al centro del monumento Buoncompagni in Camposanto di Pisa ad opera di Ammannati (1572); un altro Cristo al centro dell’Altare Maggiore a Santa Maria dei Servi a Bologna ad opera di Montorsoli (1558). Il Cristo di Montorsoli è penosamente stolido e incomprensivo, ma è stato lo spunto iniziale che dette l’avvio a Giambologna. Proprio adesso Giambologna stava elaborando il Ratto; il suo Cristo è rappresentato in movimento, la testa in alto e il braccio dx alzato. L’espressione del Cristo sotto rapimento estatico è ottenuta precisamente allo stesso modo, mentre le gambe danno una meravigliosa illusione di levità incorporea. nasconde la cornice del rilievo introducendo un elemento di ambiguità spaziale; il secondo è una fila di angeli che taglia il bordo superiore della scena. - Annunciazione, più interessante: composizione prospettica diagonale arretrante da dx verso sx. L’Angelo Gabriele si dirige verso la Vergine, ed è seguito da due Angeli, uno dei quali ha appena toccato terra; Dio Padre invia una colomba. La testa della Vergine è il solo elemento classicheggiante. I documenti ci informano che i rilievi sono stati scolpiti uno dopo l’altro. Gli accorgimenti spaziali usati sono molto affini con le contemporanee pitture di Giulio Romano. - Sposalizio: completato solo nella destra da parte di Andrea Sansovino e portato a termine da Tribolo che imita con fedeltà lo stile di Sansovino nelle figure a sinistra. Tuttavia a destra cinque delle sei figure hanno pose michelangiolesche. Il problema del rilievo d’ispirazione classica fu affrontato anche a Roma dove Raffaello segnò due medaglioni bronzei per la Cappella Chigi. La volta della Cappella Sistina era naturale che gli scultori della metà del Cinquecento si assumessero il compito evitato da Michelangelo di tradurre nel rilievo lo stile dei suoi affreschi. Questo è stato il proposito di Pierino da Vinci nel rilievo marmoreo di Cosimo I. È stato l’unico scultore del suo tempo a usare il basso e bassissimo rilievo. Pur basando la sua tecnica sullo studio dei rilievi quattrocenteschi la applicava a fini diversi. Sua unica preoccupazione era la forma umana, la distanza fra le figure è indicata soltanto dalla loro rispettiva grandezza. In questo rilievo non c’è altra illusione spaziale se non quella creata dalla nave lontana e dalle figure demoniache agli angoli superiori. Vasari ci informa che a Roma, Pierino da Vinci fece un modelletto in cera del Mosè: la volta della Sistina gli aveva fornito una visione della bellezza della figura umana che egli ritradusse in pittura. Bandinelli conosceva bene i rilievi del Quattrocento, ma nei rilievi narrativi si perde in un intaglio rozzamente classicheggiante che ha ben pochi meriti. Ma Bandinelli è un artista che ha fatto importanti commissioni: nuovo altare del Duomo di Firenze: ogni pannello ha una singola figura, molto accademico, ma le figure e specialmente nei nudi virili si vede un’influenza michelangiolesca che non è lontana dai nudi di rilievo di Pierino da Vinci. Pierino crea forme serrate e superfici levigate che nel Bandinelli non ci sono. Come in Pierino da Vinci così in Vincenzo Danti la concezione del corpo umano è derivata da Michelangelo anche se nel Serpente di Bronzo, Danti si ispira non ai primi affreschi della volta Sistina ma all’affresco più tardo su una vela angolare. In un ambiente in cui i risultati artistici venivano ottenuti razionalmente, il modo di Danti di forzare lo stile del rilievo non logicamente ma attraverso il sentimento, è inquietante. Giambologna dopo aver deciso il soggetto del Ratto doveva comunicarlo con più chiarezza e quindi fece un rilievo da mettere sotto al gruppo, analogamente a come ce n’era uno sotto il Perseo. Una composizione movimentata alla Danti non doveva essere adeguata al successo secondo Giambologna. L’evitò con due espedienti: accentuando la profondità prospettica e raggruppando le figure in lucide unità indipendenti. Le figure in primo piano sono modellate quasi a tutto tondo e ognuno dei grappoli di figure è articolato con straordinaria freschezza. … La fontana fiorentina Nella scultura gotica e del primo Rinascimento si trovano alcune fontane come la Fontana Maggiore di Nicola Pisano a Perugia e la Fonte Gaia di Jacopo della Quercia a Siena sono le più importanti. Tuttavia solo nel Cinquecento si giunse a considerare la fontana come una forma d’arte valida per sé stessa. La più famosa è la Giuditta di Donatello nel cortile del Palazzo Medici, dai cui angoli del cuscino sgorgava l’acqua; nel giardino della Villa di Lorenzo de’ Medici a Carreggi, Verrocchio aveva fuso in bronzo un Putto col Delfino. La cacciata dei Medici nel 1494 aveva bloccato la produzione di fontane, ma al loro ritorno nel 1512 si ricomincia. La prima notizia dopo il loro ritorno di una fontana viene dalla commissione del Cardinale Giulio de’ Medici (futuro Clemente VII): un Mercurio nudo sopra una palla ad opera di Rustici, allievo di Verrocchio. Rustici aveva già compiuto il grande gruppo bronzeo del Battistero con al Predica del Battista; il Mercurio è modellato con la stessa vivacità. Dopo che Alessandro de’ Medici venne assassinato nel 1537, la Signoria passa in mano al cugino Cosimo I. dato il nuovo ruolo venne riallestito il giardino della sua Villa Medicea di Castello. In un dipinto di Giusto Utens si vede com’era nel 1599. Le fontane sembrano essere un genere di scultura stabile perché installate in un luogo: tuttavia nel Cinque-Seicento viene di moda spostarle. Tribolo applica molte predilezioni classicheggianti, del suo maestro Jacopo Sansovino, nella fontana della Villa Castello: sulla sommità una figura eseguita da Giambologna si sta strizzando i capelli, dai quali esce acqua. La seconda e più importante fontana di Tribolo è quella dell’Ercole e Anteo nel giardino di Castello: l’acqua esce dalla bocca di Anteo. Questa segna un passo avanti perché se nella prima fontana il marmo veniva usato solo per i rilievi; nella Fontana dell’Ercole è usato per figure a tutto tondo. Tribolo qui evolve un rapporto animato fra i getti d’acqua e le figure scolpite, che aprirà la via alle fontane del Bernini. Dalle fontane private, Cosimo I passa a una fontana pubblica. In tutto il Quattrocento non si era costruita a Firenze una sola fontana pubblica monumentale. Nel ‘500 altre città ergono fontane pubbliche, le più importanti a Messina, che dà il via alla moda della fontana pubblica a Firenze. Lo stimolo a Firenze viene da Montorsoli che aveva fatto proprio una fontana a Messina: la Fontana di Orione. Nelle fontane di Castello la statuaria era subordinata al disegno complessivo, a Messina invece Montorsoli crea rapporti e tensioni visuali che fanno della scultura cosa indipendente dal resto: Montorsoli aveva assorbito l’insegnamento di Michelangelo che aveva dato alla statuaria una vita indipendente, come lo è nelle Tombe Medicee. Bandinelli nel 1550 aveva scritto al segretario di Cosimo I di voler fare al Duca una fontana come mai prima se ne erano viste: la conduttura idraulica era stata commemorata con una medaglia su cui un lato c’era un Nettuno, abbiamo allora la prima testimonianza della scelta del tema della fontana. Nel 1557 Montorsoli stava completando una seconda fontana a Messina con un Nettuno. Descrizioni di questa seconda fontana di Montorsoli devono essere giunte a Bandinelli. Nel 1558 si scavò a Carrara un enorme blocco, una fortuna particolare. Sembrava che Bandinelli avesse esclusivamente il blocco, ma la notizia di questo blocco eccezionale si sparse e Cellini e Ammannati chiesero al Duca di fare un concorso. Il Duca pensò che la competizione avrebbe favorito una creazione più sbalorditiva. Bandinelli quando seppe del concorso reagì Sansovino era un convinto oppositore di Michelangelo: è confermato già nel San Jacopo al Duomo di Firenze; Sansovino era un convinto sostenitore di Raffaello e lo si vede quando scolpì la Madonna del Parto a Sant’Agostino a Roma. Le quattro statue come sono fatte ci comunicano che erano destinate a nicchie, e il primo pensiero di Sansovino era l’integrità delle quattro silhouettes; importante era anche scegliere quale nicchia doveva essere occupata dalla statua più opportuna. Le quattro statue furono pensate come elementi di un fregio plastico continuo: Apollo e Mercurio sull’asse d’ingresso; Pallade e Pace sono rivolte in fuori. La Tomba Venier è si tratta dalla Tomba Vendramin di Tullio Lombardo, ma anche i principi della Loggetta vengono inseriti nella Tomba Venier. Ci sono due statue marmoree: Speranza e Carità. Nella Speranza, Sansovino comunica un’interiorità e una commozione, un’armonia spirituale che fa pensare a Tiziano. Lo stile della Speranza e della Carità è il punto di partenza dei due colossi, per la scala del Palazzo Ducale. Allogati nel 1554, un Nettuno e un Marte; nel 1567 vennero collocati in cima alle scale. Adesso a causa delle intemperie si sono patinati e hanno preso un colore rosa. Visti così e in aggiunta allo sfondo indeterminato dell’architettura che fa da sfondo la drammaticità dei loro profili è affievolita. Per immaginare quali statue avesse ideato Sansovino bisogna guardare il retro del Marte o basarci sui rilievi, con un vecchio barbuto, più tardi che Sansovino scolpì per la Cappella di Sant’Antonio a Padova. Marte e Nettuno pur essendo visibili da diversi punti di vista dovrebbero avere un punto di vista unico, come se fossero dentro una nicchia. Tintoretto giudicava queste statue le più belle di Venezia. La sintesi classica nella Loggetta e nella Tomba Venier è una qualità unica del Sansovino, e durante la sua carriera a Venezia non veniva messo in dubbio la sua supremazia. Nel tardo Cinquecento però la scultura veneziana tende a reagire contro i suoi princìpi e contro la sua personalità. A Venezia, Sansovino dedicava anche gran parte delle sue capacità plastiche ai rilievi: - sei rilievi bronzei per le tribune della Basilica di San Marco - i rilievi bronzei sulla Loggetta - la porta bronzea della Sagrestia di San Marco Intimi furono i suoi legami con la pittura, rapporti con: Lorenzo Lotto, Tiziano, Tintoretto a Venezia; Perugino e Raffaello a Roma. Non disdegnava imparare dalla pittura e a volte trascrisse motivi pittorici nei suoi rilievi, ma attraverso di questi esercitò una certa influenza sui pittori. Nei sei rilievi di San Marco c’è la stessa forza e passione che Donatello aveva espresso a Padova per la Leggenda di Sant’Antonio. In questi rilievi Sansovino aveva creato composizioni che si reggono su forti accenti diagonali in profondità che Sansovino deve aver appreso a Roma dagli arazzi di Raffaello. La seconda commissione è la porta bronzea della sagrestia. È basata dalla Porta del Paradiso di Ghiberti, anzi è una critica cinquecentesca alla Porta del Paradiso. Si è sostenuto che la Porta del Paradiso è inferiore alla prima porta del Ghiberti perché questa porta del Giberti sacrifica la struttura all’ornamentazione figurata. Nella porta del Sansovino le figure non solo sono modellate con un aggetto maggiore rispetto ai rilievi narrativi, ma si guardano dall’uno all’altro lato della porta quasi commentando le due scene: Seppellimento e Resurrezione. … La scultura lombarda del pieno Rinascimento In Lombardia, lo scultore principale del Rinascimento maturo fu un intruso: Leone Leoni era un orafo e medaglista, a Milano giunse nel 1542 come incisore della zecca imperiale. A Roma si era scontrato con Cellini, durante il suo periodo alla zecca pontificia. In comune con Cellini aveva l’ambizione di oltrepassare i limiti della medaglia affrontando la scultura in grande. Crea una statua per Carlo V e per la figura del vinto si rifà a un motivo donatelliano: il gruppo è poco chiaro, sembra un ornamento da tavola ingrandito. Con più successo fra il 1556-1564 crea un’opera per Ferrante Gonzaga e per il vinto qui si rifà certamente al corpo della Medusa di Cellini. … Il principale centro di attività degli scultori lombardi nel tardo Cinquecento non fu Milano, ma Roma. Dopo la supremazia fiorentina di Ammannati con i sepolcri Del Monte, dalla metà del secolo in poi fu dettato da artisti lombardi. L’avvento del nuovo stile coincise con la comparsa di Guglielmo della Porta. Nel 1549, gli verrà affidata la più importante commissione funebre dal sepolcro di Giulio II, la tomba di Paolo III. A Genova, Guglielmo conobbe Pierino del Vaga e a lui si appoggiò quando arrivò a Roma. A Roma il contatto con Michelangelo è stato un catalizzatore determinante nella sua carriera. Guglielmo della Porta confesserà di essere in debito con Michelangelo, di carattere: - personale: Michelangelo aveva incoraggiato il suo successo - stilistico: la tomba di Paolo III comprendeva otto figure caricate, ispirate dalle allegorie della Cappella Medicea - tecnico: scolpiva le statue al modo di Michelangelo Prima di morire, Paolo III scelse il modello della tomba. Guglielmo riprese un’idea che aveva studiato Michelangelo nelle prime fasi della tomba di Giulio II: ne venne fuori una struttura sollevata su otto erme, adornata tutt’intorno con otto statue coricate. Causa prima delle vicissitudini di questo progetto poi modificato era stato proprio Michelangelo che consigliò di abbandonare l’idea di una tomba isolata, perché avrebbe rovinato la simmetria della nuova chiesa, e di installare la statua del papa in una nicchia. Giulio III era d’accordo e venne deciso di ridisegnare la tomba. La morte di Michelangelo rimosse l’ostacolo al compimento della tomba. Guglielmo della Porta grazie a papa Gregorio XIII la fece installare nella navata destra della chiesa. Questa tomba viene sempre più semplificata (niente cappella funebre, ne otto erme, metà delle allegorie. L’effetto non è comunque pienamente soddisfacente perché la statua del Papa era stata pensata in piatto, una silhouette. Nel 1587 il sepolcro viene smontato e rimontato come monumento parietale come aveva consigliato Michelangelo. Quarant’anni dopo venne spostato nella tribuna dove si trova ora. Le allegorie del frontone furono trasferite nel Palazzo Farnese. La nostra conoscenza del sepolcro si riduce alle sculture che gli erano destinate. Sia la tomba di Paolo III, sia in due monumenti posteriori eseguiti per la Cappella Cesi, Guglielmo della Porta tradisce la predilezione per la policromia che distingue gli artisti italiani del nord. Questa policromia viene ripresa da Domenico Fontana per la Tomba di Niccolò IV in Santa Maria Maggiore: qui la scultura ha una parte secondaria rispetto all’architettura, infatti Fontana è architetto. Niccolò IV apparteneva all’ordine francescano e il suo sepolcro era la prima importante allogazione del cardinale francescano Felice Peretti, che diviene Sisto V. Prima di essere eletto papa, Peretti commissiona a Fontana un secondo lavoro più importante: la Cappella del Presepio (detta poi Sistina) sempre in Santa Maria Maggiore. Qui i sepolcri papali sono molto più grandi e più splendidi della tomba di Niccolò IV.
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