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Il Cinquecento europeo, Schemi e mappe concettuali di Storia

Il documento presenta una sintesi degli avvenimenti più rilevanti nella panoramica del Cinquecento in Europa.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 26/05/2023

edoardo-benigni
edoardo-benigni 🇮🇹

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Scarica Il Cinquecento europeo e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! Enrico VIll da "Defensor fidei" a capo della Chiesa d'Inghilterra In un primo momento Enrico VIII aveva parteggiato per il papa contro Lutero, tanto da guadagnarsi da Leone X il titolo di Defensor fidei, "difensore della fede”. In seguito però il sovrano decise di sottrarre il culto inglese dal potere papale, ricercando due obiettivi strettamente politici: il primo era rafforzare il potere della corona sul clero locale (e sui suoi beni), il secondo consisteva nel risolvere il problema aperto della successione al trono inglese. Poiché il re non aveva avuto figli maschi, aveva chiesto al papa l'annullamento del suo matrimonio con Caterina d'Aragona per poter sposare Anna Bolena, una dama di corte. Il papa, non volendosi inimicare l'imperatore Carlo V, non acconsentì al divorzio e di fronte alla celebrazione delle nuove nozze lanciò la scomunica su Enrico VIII; per tutta risposta, nel 1534, con un solenne documento approvato dal parlamento, l’"Atto di supremazia", il re inglese si distaccò dalla Chiesa cattolica, ne incamerò i beni e si proclamò capo di una nuova costruzione ecclesiale, la Chiesa anglicana, il che lo sciolse dall'obbedienza al papa. L'iniziativa del sovrano incontrò l’opposizione di due personaggi illustri quali John Fisher e l’umanista Thomas More, cancelliere del regno e in passato amico di Enrico VIII, che furono entrambi accusati di tradimento e condannati a morte nel 1535. La nascita della Chiesa anglicana permise al sovrano di perseguire i suoi obiettivi politici: la soppressione dei monasteri e la confisca dei ricchi possedimenti religiosi contribuì infatti a rafforzare economicamente e politicamente la monarchia inglese. Fra Protestantesimo e Cattolicesimo Nel corso del secolo l'indipendenza della Chiesa anglicana dal papato le permise di "ibridarsi" e fare propri alcuni elementi delle Chiese riformate: la lingua inglese sostituì il latino nei riti religiosi, agli ecclesiastici fu consentito di sposarsi, furono aboliti l'uso e il culto delle immagini sacre. Questo percorso portò, nel 1549, all'adozione del Book of Common Prayer ("libro della preghiera comune"), avvenuta sotto Edoardo VI 1547-1553, il figlio maschio che Enrico VIII ebbe da Jane Seymour. Dopo la morte precoce di Edoardo VI, l'Inghilterra visse un breve periodo di "restaurazione" cattolica con Maria I 1553-1558, figlia che Enrico VIII aveva avuto con Caterina d'Aragona, fervente seguace, come la madre, della dottrina cattolica. La politica religiosa di Maria I divise i suoi contemporanei: dai cattolici fu ricordata come "Maria la Cattolica" e dai protestanti come Bloody Mary, per l'accanimento con cui perseguitò e mandò al patibolo i seguaci del Protestantesimo. Ma anche Maria morì senza lasciare eredi e nel 1558 divenne regina la giovane Elisabetta I (1533-1603), figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena. Elisabetta I riuscì anche a consolidare la Chiesa anglicana, che riteneva un elemento di unità del regno; per farlo non esitò a reprimere tutte le altre confessioni, da quella cattolica a quella calvinista più radicale, il cosiddetto Puritanesimo Controriforma o "Riforma cattolica"? Prese così avvio un movimento di rinnovamento della Chiesa cattolica che si estese alla Francia, all'Austria, alla Germania meridionale, ad alcuni cantoni della Svizzera e al Belgio: tale movimento è conosciuto generalmente con il nome di Controriforma. Questo tradizionale termine storiografico intende mettere in evidenza come il processo riformatore della Chiesa cattolica si sia affermato in reazione alla Riforma protestante. Tuttavia alcuni storici preferiscono invece parlare di Riforma cattolica per indicare tanto la contrapposizione reazionaria cattolica alla Riforma luterana, quanto il ruolo di catalizzatore per i fermenti riformatori che già esistevano all'interno del cattolicesimo. Già Giulio Il aveva convocato il Concilio Lateranense V (1512-1517) per cercare di riformare il clero e limitarne i caratteri mondani, ma i suoi risultati erano stati nulli perché si concluse con l'affermazione della superiorità del pontefice sul concilio stesso. Il concilio di Trento A chiedere la convocazione di un concilio era anche l’imperatore Carlo V, che voleva fortemente mettere pace nei suoi domini. Due obiettivi del Concilio di Trento: - arginare il protestantesimo; - riformare il clero (lo scopo era moralizzare la Chiesa e riguadagnare la fiducia dei fedeli). Fasi del Concilio di Trento (1545-1563): • I° fase: 1545-47, il Concilio è convocato a Trento da Paolo III Farnese. Dal 1547- 49, il Concilio è trasferito a Bologna a causa di una epidemia scoppiata a Trento. • II° fase: 1551-52, il Concilio è riconvocato a Trento da Giulio III. Interruzione del Concilio dal 1552 al 1562 per opera di Paolo IV che definì il Concilio uno strumento poco efficace. Sotto il suo pontificato l’Inquisizione fu attivissima e venne pubblicato l’Indice dei libri proibiti (1559). Più tardi nel 1571 venne creata la Congregazione dell’Indice. • III° fase: 1562-63, Pio IV riconvoca il Concilio a Trento. I lavori del concilio Nella prima fase del concilio (1545-1547) si discussero le questioni teologiche DECRETI DOTTRINALI: • Ribadita la validità dei 7 Sacramenti (tra cui l’ordine sacerdotale). • Riaffermata la separazione tra Clero e laici. • Ribadito il ruolo della Chiesa come unica interprete delle S. Scritture: Dio dà alla Chiesa il compito della corretta interpretazione. • Riaffermato il valore delle opere. • Riaffermata la venerazione dei Santi e della Madonna. • Ribadita l’esistenza del Purgatorio e validità delle indulgenze. • Dottrina della transustanziazione. La seconda fase (1551-1552) si svolse, di nuovo a Trento, sotto il papa Giulio III (1550-1555) e vide l'arrivo dei rappresentanti delle Chiese protestanti, i quali contestarono la validità dei decreti già approvati in loro assenza. III° fase: approvazione dei DECRETI DI RIFORMA (Iniziative sul piano disciplinare, cioè dell’organizzazione della Chiesa) Questioni disciplinari • Obbligo di avere cura delle anime. • Obbligo del celibato e della residenza degli ecclesiastici nelle località (diocesi) a cui erano stati assegnati (al fine di evitare il cumulo di più incarichi e dunque di più rendite). • Visite pastorali (visita annuale delle parrocchie della propria diocesi) per favorire il contatto con i fedeli e il loro controllo. • Uso del Latino come lingua universale della Chiesa e spiegazione in volgare dei contenuti delle S. Scritture e dei riti. • Creazione di seminari per assicurare la buona istruzione dei futuri sacerdoti. • Esame della vocazione sacerdotale • Provvedimenti contro nepotismo, simonia, concubinato (moralizzazione della vita religiosa). Dopo il Concilio: • Redazione della Professio Fidei Tridentina (Professione di fede di Trento, 1565), cioè il credo ufficiale della Chiesa Cattolica. monarchia universalis. Carlo V era profondamente devoto ai valori evangelici del cristianesimo, considerava la religione cattolica come una dottrina fondata sulla giustizia e sulla compassione per le altrui sofferenze: una religione della pietà, dunque. Al tempo stesso, alla corte di Borgogna dove era cresciuto, Carlo V aveva ricevuto la consueta educazione aristocratico tardomedievale, basata sull'arte della guerra e la cultura cortese, dalla quale aveva sviluppato la passione per la cavalleria e l'ambizione della gloria militare. In linea con questa somma di ideali tradizionali, religiosi e profani, Carlo era convinto che la sua missione fosse quella di dare vita a un Impero esteso a tutta o quasi tutta la Terra, in cui tutte le comunità che ne facevano parte sarebbero state unite sotto l'egida della religione cristiana e governate nella pace dettata dall’imperatore. Tuttavia, questo disegno ideale, basato sulla pace, sull'omogeneità religiosa e sulla superiorità dell'imperatore rispetto a qualsiasi altra autorità politica, si dovette scontrare con la realtà che era completamente cambiata rispetto ai tempi di Carlo Magno. Fu così che Carlo V, per tutti gli anni del suo regno, si trovò coinvolto in imprese belliche, in un'Europa divisa in tanti Stati nazionali, che non avevano alcuna intenzione di delegare la loro autorità all'imperatore, e per di più lacerata dai conflitti religiosi scatenati dalla Riforma protestante. I "nemici" dell'unità imperiale L'imperatore dominò per quasi quarant’anni, dal 1519 al 1556, e in questo periodo fu impegnato principalmente su tre fronti di scontro politico e militare, ma anche religioso: - contro il re di Francia, che gli contendeva il dominio sull'Italia e sulla Borgogna; - contro il sultano dell'Impero ottomano Solimano I il Magnifico, in lotta con le flotte europee per il predominio nel Mediterraneo; - contro i principi tedeschi che avevano aderito alla Riforma protestante e che contestavano l'universalità della Chiesa e dell'imperatore. La rivolta dei comuneros Carlo, cresciuto ed educato nelle Fiandre, era infatti distante dalle consuetudini politiche spagnole; le sue continue assenze e la scelta di affidare buona parte della gestione del regno a funzionari a lui vicini di origine borgognona, avevano poi reso ancora più delicati i rapporti con i sudditi. Pertanto, quando nel 1520 Carlo partì alla volta della Germania per l'incoronazione imperiale, le città (comunidad) della Castiglia e dell'Aragona colsero l’occasione per insorgere. Le richieste dei comuneros comprendevano l'allontanamento della corte straniera, un più equo sistema di imposizione fiscale e il ripristino delle tradizionali autonomie locali che Carlo aveva abolito. Nonostante l'assenza del sovrano, entro il 1522 la rivolta fu sedata con l'appoggio della nobiltà terriera locale. Carlo però non sottovalutò l’insofferenza degli spagnoli, con i quali cercò di ridurre le distanze stabilendosi in Spagna dal 1522 al 1529 e sposando, nel 1526, la principessa del Portogallo, Isabella. La vittoria di Carlo V Approfittando della debolezza del Papato e dunque del partito cittadino fedele ai Medici, a Firenze si riaprì lo scontro interno per il governo della città e per la seconda volta in pochi anni fu proclamata una nuova Repubblica. Il papa, che dovette cedere parte dei territori pontifici e che vedeva sgretolarsi attorno a sé la sua rete di alleanze, cercò una soluzione riavvicinandosi a Carlo V, con il quale firmò, nel 1529, il trattato di Barcellona: in cambio dell'appoggio di Clemente VII, Carlo V si impegnava a restituire al papa le terre sottratte e a riportare i Medici a Firenze. Anche Francesco I fu costretto a scendere a patti con Carlo V e sempre nel 1529 firmò la pace di Cambrai, che fu il frutto della mediazione diplomatica di due donne, la madre di Francesco I e della zia di Carlo V e fu detta perciò "pace delle due dame". In segno di riconciliazione, il trattato prevedeva anche le nozze fra il re francese ed Eleonora d'Asburgo, sorella di Carlo. Ma soprattutto, l'imperatore otteneva definitivamente il ducato di Milano e la rinuncia di ogni pretesa di Francesco I sul regno di Napoli; in cambio Carlo V rinunciava alla Borgogna, da sempre altro pomo della discordia tra i due sovrani. Nel 1530 Carlo fu infine incoronato re d'Italia a Bologna da Clemente VII divenendo ufficialmente il padrone incontrastato della penisola. La pace di Cateau-Cambrésis Lo scontro tra gli Asburgo e i Valois per la supremazia in Europa non si esaurì con la pace di Cambrai, ma proseguì negli anni a seguire in Italia e fuori dall'Italia. Per raggiungere la tanto agognata conclusione, Francesco I si alleò con i principi tedeschi protestanti da un lato e gli Ottomani dall'altro. La contesa si rivelò talmente lunga che tanto Francesco I quanto Carlo V non poterono vederne la conclusione: Francesco I morì nel 1547, mentre Carlo V deluso per il fallimento dei suoi progetti di dominio universale, abdicò nel 1556, dopo avere diviso il suo Impero. Al fratello Ferdinando lasciò il titolo imperiale e i possedimenti d'Austria e Boemia, e al figlio Filippo II (1556-1598) la corona spagnola, i territori americani, i Paesi Bassi e i possedimenti in Italia. La divisione dell'Impero pose termine all'accerchiamento della Francia, cosicché la guerra proseguì sempre più stancamente tra Enrico II (1547-1559), successore di Francesco I, e Filippo II. L'ultimo scontro significativo si svolse nel 1557 a San Quintino, dove la Spagna riportò una vittoria decisiva grazie all’aiuto del duca di Savoia. Si poté così giungere a una nuova pace, che venne firmata a Cateau-Cambrésis nel 1559. Secondo gli accordi presi, i territori della penisola italiana rimasero largamente sotto la sovranità degli Asburgo di Spagna, che ebbero il possesso del ducato di Milano, del regno di Napoli e dello Stato dei Presidi formato da una serie di fortezze sulle coste della Toscana. La corona spagnola poteva contare inoltre sull'alleanza del granducato di Toscana, della Repubblica di Genova, che a sua volta aveva ottenuto il possesso della Corsica, e del ducato di Savoia. A livello europeo, tuttavia, la monarchia francese non poté dirsi sconfitta, perché mantenne quasi intatti i suoi confini e anzi li ampliò verso il Reno. Da Carlo V a Filippo Il Nel 1556 l'imperatore Carlo V d'Asburgo aveva abdicato e diviso l'Impero fra i due eredi legittimi: il fratello minore Ferdinando I e suo figlio Filippo II. Questa scelta, giunta non a caso a un anno di distanza dalla firma della pace di Augusta (1555), sanciva di fatto il fallimento del grande progetto di Carlo V di riunificare l’Europa nel segno della tradizione imperiale; l'espansione ottomana nel Mediterraneo era stata fermata, ma il nuovo Impero cristiano non aveva retto alla deflagrazione della Riforma protestante e al tumultuoso rapporto tra l’imperatore e i principi tedeschi. Filippo II (1556-1598) fu sempre devoto alla figura paterna, ma non ereditò dal padre la visione "universale" dell'Impero; nato a Valladolid e profondamente legato alla cultura spagnola, una volta al potere egli incentrò il proprio governo sulla Spagna e più precisamente sulla Castiglia, sua regione d'origine. Stabilì la capitale del regno a Madrid, a 40 chilometri dalla quale fece costruire una reggia maestosa e inaccessibile, l'Escorial. Da questo severo e isolato palazzo, simile a un monastero, Filippo II governò il suo immenso regno: con scrupolo burocratico e un'indefessa capacità di lavoro, egli regnò sulla Spagna, sui domini italiani, sulle Fiandre e sulle colonie americane. Filippo II si presentò sulla scena europea come campione del Cattolicesimo. Fervente cristiano e convinto che il suo compito di governare fosse una missione divina, utilizzò la religione come strumento di potere: internamente per reprimere le minoranze scomode e, in ambito internazionale, per consolidare la posizione di predominio della Spagna. Una nuova organizzazione del regno Filippo II operò una riorganizzazione del regno, mirata ad accentrare il potere nelle sue mani e a ridimensionare il ruolo delle autonomie locali, in particolare delle cortes, le tradizionali assemblee rappresentative che riunivano i ceti sociali delle varie province spagnole. Per portare a compimento il suo disegno, il sovrano predispose un articolato apparato burocratico, che sottopose al proprio, personale e meticoloso controllo. Il governo fu strutturato in otto consigli dipartimentali, simili agli odierni ministeri, con competenze specifiche su determinati settori della vita pubblica, come la politica estera, la religione, le finanze, la guerra e le opere pubbliche. Per la gestione del vastissimo territorio imperiale furono invece istituiti sei consigli territoriali, che esercitavano la loro autorità sulle diverse province del regno: Castiglia (Castiglia e sue dipendenze); Aragona (Aragona, Catalogna, Valencia, Sardegna, Baleari); Portogallo (regno del Portogallo, dal 1581); Italia (Napoli, Sicilia e Milano, Stato dei Presìdi); Fiandre (Paesi Bassi); Indie (Impero coloniale). Le Cortes mantennero il diritto di approvare o respingere le imposte proposte dal sovrano. Per aggiudicarsene l'appoggio, Filippo II non esitò a elargire titoli e privilegi ai gruppi più abbienti. Mentre le Cortes castigliane accettarono di buon grado il suo operato, altre tentarono una ribellione: fu il caso dell'Aragona nel 1590, la cui rivolta fu repressa nel sangue. La persecuzione contro marranos e moriscos L'integralismo cattolico del sovrano spagnolo lo indusse a riprendere le persecuzioni contro marranos e moriscos, cioè gli ebrei e i musulmani convertiti. L'inquisizione spagnola si accanì particolarmente contro di loro: condotte sulla base del principio della limpieza de sangre ("purezza di sangue"), le persecuzioni arrivavano a colpire chiunque avesse dei discendenti di origine ebraica o musulmana. Fu così che, nel giro di pochissimi anni, queste minoranze furono costrette a lasciare la Spagna, con conseguenze molto negative per il regno. Ebrei e musulmani, al contrario dell'aristocrazia, rappresentavano una parte molto dinamica della società spagnola: si dedicavano al commercio e alle attività finanziarie, fondamentali per la buona salute dello Stato. Il loro esodo determinò dunque, oltre che un impoverimento culturale, anche un grave danno economico. L'intolleranza religiosa, insomma, marginalizzò i gruppi sociali legati al successo mercantile e finanziario e bloccò di conseguenza la diffusione di una mentalità rivolta all'innovazione imprenditoriale nel settore agricolo e manifatturiero. Questo fu uno dei motivi per cui la Spagna e i territori sotto il suo controllo furono incapaci di competere con i paesi in crescita economica del Nord Europa come l'Inghilterra e i Paesi Bassi, dove un gran numero di moriscos e marranos trovarono una nuova patria. Una spirale di debiti Nell'immediato, il venir meno delle tasse che moriscos e marranos versavano alla corona e dei prestiti che potevano elargire aggravano i problemi economici e fiscali del regno. I costi per la gestione dell'Impero e per il finanziamento delle frequenti campagne militari erano infatti sempre più ingenti e, in breve tempo, l'amministrazione di Filippo II entrò in una spirale di indebitamento dalla quale non riuscì a uscire, se non imponendo nuove tasse o contraendo nuovi debiti con le grandi famiglie di banchieri tedeschi come i Fugger, storici finanziatori degli Asburgo. Per risanare le finanze spagnole non erano sufficienti neppure le immense quantità di metalli preziosi (soprattutto l'argento) provenienti dalle colonie americane, utilizzate per ripagare i debiti o per acquistare merci da altri paesi. Questo meccanismo era insostenibile e già nel 1557 Filippo II fu costretto a dichiarare bancarotta; i confessioni diverse dall'Anglicanesimo. Oltre ai cattolici, furono attaccati i calvinisti più radicali, chiamati ›puritani: questa repressione in dusse molti puritani a lasciare l'Inghilterra e a emigrare nelle colonie d'oltre-mare, per poter praticare liberamente la propria religione. Fu così che, agli inizi del XVII secolo, alcuni gruppi di calvinisti inglesi furono tra i primi promotori di una stabile colonizzazione del Nord America. Contro la Spagna Sul piano internazionale, la regina si opponeva all’egemonia della cattolicissima Spagna e si presentò come protettrice dei Paesi protestanti, tanto da intervenire nel 1585 in difesa delle prerogative indipendentiste olandesi. Inoltre, nel 1587, Elisabetta fece giustiziare la cugina Maria Stuart (1542-1587), regina di Scozia e fervente cattolica, accusandola di aver complottato contro la corona. Del resto, Elisabetta aveva motivo di temere la sovrana scozzese: quest'ultima aveva il sostegno di Filippo II e dei cattolici inglesi, speranzosi che sarebbe riuscita, prima o poi, a impossessarsi della corona di Inghilterra e a ripristinare il Cattolicesimo nel paese. Filippo II reagì dichiarando guerra aperta a Elisabetta; lo scontro si concluse però con la sconfitta dell'Invincibile Armata spagnola nel 1588 e la conseguente accelerazione dell'espansionismo inglese. L'esecuzione di Maria Stuart non fu l'unico motivo di scontro fra Inghilterra e Spagna, Elisabetta aveva iniziato a proteggere e ad autorizzare l'attività dei corsari. Questi a differenza dei pirati, erano capitani dotati di una lettera di "corsa", ovvero di un'autorizzazione a depredare e affondare navi di uno Stato nemico, al fine di danneggiare i suoi commerci. Elisabetta li autorizzò ad ostacolare i commerci della Spagna nell'Atlantico e a razziare i galeoni spagnoli e il loro carico di metalli preziosi dall’America. L'economia agraria inglese Durante l'età elisabettiana, l'Inghilterra vide accrescere il proprio prestigio politico e fiorire la propria economia, innanzitutto grazie a una rilevante espansione commerciale. Un sostanziale input partì dai cambiamenti socio-economici legati alla produzione agricola. La vendita delle terre confiscate alla Chiesa cattolica permise la ripartizione dei terreni tra un nuovo ceto di proprietari agricoli grandi e piccoli, di origine nobiliare (la cosiddetta gentry) e borghese. Questi si prodigarono per aumentare la produttività delle terre, migliorando le tecniche di coltivazione, e investirono anche cospicui capitali nell'allevamento degli ovini, per sfruttare la crescente domanda internazionale di panni lana inglesi. Rispetto al passato, in cui l’Inghilterra si limitava a esportare la materia prima, si verificò un salto di qualità poiché la lana pregiata iniziò anche a essere lavorata e trasformata in tessuti di ogni genere, prima di essere esportata. In quest'ottica di sfruttamento "capitalistico" dei terreni, ebbe inizio il fenomeno delle enclosures, ovvero il processo di appropriazione privata tramite recinzioni di terre che prima erano di proprietà comune e garantivano il sostentamento anche dei piccoli agricoltori. Il successo economico inglese, destinato a crescere esponenzialmente nei secoli successivi, non fu però privo di contraddizioni. Questi cambiamenti si fecero sentire anche sull'organizzazione delle tradizionali comunità rurali. I contadini meno ricchi, che non potevano più contare sullo sfruttamento delle terre comuni ora destinate all'allevamento, si trovavano spesso costretti a lasciare la campagna per cercare di sopravvivere in città, ingrossando le fila dei lavoratori salariati. Le continue variazioni dei prezzi dei beni di consumo, inoltre rendevano difficile ai ceti più umili mantenere un tenore di vita adeguato. Aumentarono così la povertà e il vagabondaggio, tanto in città quanto in campagna. Nel corso del Cinquecento e nei secoli successivi la corona inglese tentò di trovare una soluzione al problema con la promulgazione di sempre nuove Poor Laws, un corpo di leggi finalizzato, attraverso le istituzioni parrocchiali locali, a garantire assistenza ai ceti più colpiti dai grandi stravolgimenti economici e sociali. Commercianti, corsari, esploratori Grazie alla grande disponibilità di materia prima, i commercianti inglesi vendevano panni di lana in tutta Europa, dalla Scandinavia alla Russia. Per incoraggiare ulteriormente le attività mercantili dei suoi sudditi, Elisabetta I promosse strategicamente la creazione di associazioni commerciali internazionali che godevano di diritti esclusivi di commercio: ad esempio, la Compagnia della Moscovia (1555) deteneva il commercio esclusivo con la Russia, la Compagnia delle Indie Orientali (1600) venne affidato invece lo sviluppo dei traffici con le Americhe e con l'Oriente. Grazie a queste compagnie che operavano tra il pubblico e il privato, non solo aumentò complessivamente la ricchezza del paese, ma la corona inglese poté mantenere in salute le proprie finanze, poiché deteneva il diritto a una percentuale di profitto sui loro commerci. Inoltre, soprattutto dopo la vittoria militare contro l'Invincibile Armata, gli Inglesi ebbero la possibilità di espandere le loro reti nell'oceano Atlantico, sfidando apertamente gli Spagnoli nel controllo delle rotte oceaniche. I corsari inglesi, oltre che depredare i vascelli spagnoli per la regina, divennero anche i protagonisti dell'esplorazione delle coste americane e asiatiche. Tra il 1577 e il 1580 Francis Drake compì una circumnavigazione del globo; nel 1584 Walter Raleigh iniziò la conquista del primo insediamento inglese in America, divenuto colonia solamente nel 1607, dopo la morte di Elisabetta, con il nome di Virginia, in onore della "Regina Vergine”. Le fazioni in lotta e la corona L'aristocrazia francese finì per polarizzarsi politicamente intorno a due fazioni: al casato dei Borbone, che aveva aderito al protestantesimo, si opponeva la famiglia dei Guisa, che vantava rapporti matrimoniali con la corona e difendeva con intransigenza la fede cattolica. Sia i Borbone, ferventi protestanti, sia i Guisa, campioni del cattolicesimo, intendevano sfruttare la debolezza dei Valois per imporre la propria influenza sulla corona. Più che i giovani figli di Enrico II, Francesco II (1559-1560), Carlo IX (1560- 1574) ed Enrico III (1574-1589), fu la loro madre, la fiorentina Caterina de' Medici, a tenere le redini del potere. Decisa a conservare la stabilità del regno e lo scettro nelle mani dei Valois, la regina cercò di spegnere i contrasti religiosi che stavano diventando sempre più accesi attraverso azioni conciliatrici: a tale scopo emanò nel 1562 l'editto di Saint-Germain, con il quale veniva garantita la libertà di culto agli ugonotti, seppure con alcune restrizioni. Tuttavia le fazioni aristocratiche non erano intenzionate a lasciarsi disciplinare da questi tentativi di mediazione regia; per i cattolici le concessioni di Caterina erano un segno di debolezza, per gli ugonotti erano invece insufficienti: così, nel 1562 Enrico di Guisa vanificò l'accordo uccidendo a tradimento un folto gruppo di ugonotti. Guerre tra cristiani: la strage di San Bartolomeo Il conflitto assunse subito una rilevanza internazionale coinvolgendo anche gli altri stati europei: il re di Spagna Filippo II e il papato appoggiarono la fazione cattolica mentre l'Inghilterra, la Germania luterana e i cantoni svizzeri calvinisti sostennero gli ugonotti. La prima fase di scontri si concluse nel 1570 con la pace di Saint-Germain, in cui si cercò di trovare un valido compromesso per pacificare le due fazioni. Dopo la pace di Saint-Germain, tuttavia, l'influenza degli ugonotti a corte aumentò grazie anche all'ammiraglio Gaspard de Coligny, che entrò nel Consiglio della Corona e riuscì a esercitare un forte ascendente su Carlo IX. Con l'intenzione di porre fine agli odi e alle rivalità, nel 1572 Caterina de’ Medici diede in sposa sua figlia Margherita di Valois a Enrico di Borbone. Tuttavia durante la notte delle nozze, fra il 23 e il 24 agosto 1572, i principi cattolici convinsero la popolazione di Parigi a chiudere le porte della città e a dare la caccia, casa per casa, ai numerosissimi ugonotti al seguito di Enrico di Borbone accorsi per festeggiare il suo matrimonio. L'evento, passato alla storia come la strage di san Bartolomeo, diede il via a inauditi massacri che provocarono migliaia di morti a Parigi e nelle province. La prima vittima della strage di San Bartolomeo fu l'ammiraglio Coligny: ogni sforzo diplomatico compiuto fino a quel momento dalla corona per appianare i contrasti si rivelò, dunque, del tutto inutile. La "guerra dei tre Enrichi" Gli scontri si placarono solo nel 1580 ma ripresero con vigore otto anni dopo, quando in Francia si aprì una nuova crisi dinastica. Alla morte di Carlo IX nel 1574, la corona era passata nelle mani del fratello Enrico III di Valois, il quale però non aveva avuto figli maschi. Per questo gli contendevano la successione il cattolico Enrico di Guisa e l'ugonotto Enrico di Borbone, marito di Margherita. Il conflitto, chiamato "guerra dei tre Enrichi", si risolse con la scomparsa dei primi due contendenti: Enrico III nel 1588 aveva fatto uccidere Enrico di Guisa; l'anno successivo morì egli stesso per mano di un monaco fanatico. In quanto marito della sorella del re, Enrico di Borbone rimase dunque l'unico erede al trono. Egli si trovò subito a dover affrontare una situazione di stallo: Parigi era in mano ai cattolici, che continuavano ad essere in maggioranza nel regno. Avendo intuito che soltanto in quel modo sarebbe riuscito a governare un paese la cui popolazione era rimasta in gran parte cattolica, con un audace atto da fine stratega politico, Enrico di Borbone abiurò la fede protestante e abbracciò il Cattolicesimo, divenendo così il primo re di Francia della dinastia dei Borbone con il nome di Enrico IV. Nel 1598 fu Enrico IV a mettere fine alle guerre di religione promulgando l'editto di Nantes.
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