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Il Cinquecento in Italia, Dispense di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto dedicato al Cinquecento nella storia dell'arte in Italia, discorsivo e scandito per argomenti.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 27/08/2023

Dollina86
Dollina86 🇮🇹

5

(4)

25 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il Cinquecento in Italia e più Dispense in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Il nuovo linguaggio e il primato italiano Difficile scandire cesure cronologiche nette nel panorama dell’arte del Cinquecento. Si potrebbe concordare con lo storico Giuliano Briganti nel ritenere che gli avvenimenti artistici più importanti del secolo si siano “manifestati tutti nei suoi primi e nei suoi ultimi quindici anni”. I risultati raggiunti dalla ricerca artistica negli anni che vanno dal Tondo Doni di Michelangelo (1504) alla volta della Cappella Sistina (1508-1512) e dalle opere fiorentine di Raffaello alla conclusione delle Stanze Vaticane (1514 ca.) sono di tale portata, infatti, da condizionare e quasi esaurire gli sviluppi futuri dell’arte italiana e, in parte, di quella europea almeno fino alla metà degli anni Ottanta, quando i Carracci a Bologna e Caravaggio a Roma gettano le basi per la svolta moderna verso il naturalismo seicentesco. Nei primi vent’anni del secolo, tra Firenze e Roma, giunge a maturazione un nuovo linguaggio artistico, aulico e classico, di tale dignità da imporsi sulle parlate artistiche locali come nuova lingua nazionale. Stimolato dall’ansia sperimentale di Leonardo e dal confronto con l’arte antica, il nuovo linguaggio è portato a piena definizione da Raffaello e Michelangelo, in testi figurativi destinati a diventare punto di riferimento per le generazioni successive, oltreché l’asse portante della tradizione classica italiana. Dell’importanza di quei primi quindici anni per gli esiti futuri dell’arte si ha piena consapevolezza già nel Cinquecento. Nel celebre Proemio alla parte terza delle Vite, Giorgio Vasari, fondatore della storiografia artistica, vede nei fatti intercorsi durante il pontificato di Giulio II e Leone X, tra Roma e Firenze, l’apice di un processo di evoluzione nella quale l’arte italiana avrebbe raggiunto l’estrema perfezione, superiore persino a quella degli antichi. Nello schema storiografico di Vasari questo apice viene a coincidere con la "terza età": la "Maniera moderna", lo "stile sublime" di Michelangelo e Raffaello vede la definizione di un nuovo codice formale, teso a esaltare – sia in pittura che in scultura – la perfezione ideale delle proporzioni umane, riproposte – sul fondamento del disegno – nell’infinita gamma delle loro possibili articolazioni. Le nuove forme classiche, modellate sugli esempi della statuaria antica, fissano i canoni di una bellezza ideale che diviene specchio della dignità e della grandezza dell’uomo al centro dell’universo e della storia. "Abitare all’antica": la ripresa degli ideali classici nella progettazione architettonica In campo architettonico la ripresa dei modelli classici si alimenta di quel mito della renovatio urbis che intende restituire alla città dei papi la grandezza monumentale della Roma imperiale, quale presupposto per la sua rinascita anche politica. Il confronto con la grandezza degli antichi avvia lo studio sistematico delle rovine, la rilettura dei trattati (in particolare Vitruvio, e la lettura appassionata delle fonti letterarie. Si tratta tuttavia di un rapporto articolato e dialettico che lascia largo spazio all’invenzione, e che si esprime soprattutto nel tema del palazzo e della villa, uno dei più creativi dell’architettura romana di quegli anni. Soprattutto la tipologia della villa diviene “un momento nodale nel più ampio dibattito sulla conformazione dei nuovi edifici d’abitazione all’antica”. Le soluzioni spaziali e le suggestioni antiquarie proposte in quegli anni da Bramante (villa di Genazzano e cortile del Belvedere), Peruzzi (Villa Chigi) e Raffaello (Villa Madama) fissano dei prototipi che diventano paradigma di riferimento per i grandi architetti del Cinquecento, da Giulio Romano a Gerolamo Genga, da Vignola a Sansovino, a Palladio. Esemplare il caso di Villa Madama, dove le esigenze di rappresentanza espresse dal committente, il cardinale Giulio de’ Medici, offrono a Raffaello l’occasione di realizzare in piena libertà l’ideale di un suburbanum all’antica, con logge, ippodromo, teatro, ninfeo, terme, peschiera e ampi giardini terrazzati. Nella loggia, che funge da diaframma tra architettura e natura, Giovanni da Udine realizza il più straordinario esempio di decorazione a grottesche, un genere che la passione antiquaria di Raffaello ha rivitalizzato in una felice sintesi di citazioni archeologiche, invenzioni estrose e spunti naturalistici. Venezia: una via autonoma al Cinquecento Vasari privilegia l’asse tosco-romano e la componente del disegno, considerato fondamento di tutte le arti. Ma esistono aree in cui la Maniera moderna si manifesta per altre vie che presuppongono una diversa condizione culturale e, per così dire, sentimentale. Nell’Italia del Nord, ad esempio, il corso autonomo dell’arte veneziana è determinato in parte dal suo isolamento geografico, in parte dai più stretti rapporti con l’arte nordica, presente a Venezia nei quadri dei pittori fiamminghi e nelle stampe dei maestri tedeschi, in parte da una cultura più incline alle divagazioni poetiche e letterarie che alla speculazione filosofica. Questi fattori incidono sull’orientamento degli artisti, favorendo un rapporto meno intellettualistico con la natura e quindi il superamento del sistema geometrico-prospettico di matrice quattrocentesca a vantaggio di una spazialità nuova, più fusa e avvolgente, basata sull’unità tonale delle variazioni cromatiche e luminose. Ciò che contraddistingue le opere di Giorgione, che inaugurano la splendida stagione della pittura veneziana, è un nuovo sentimento della bellezza, nato dalla contemplazione dello spettacolo naturale percepito nei suoi valori di colore, luce e atmosfera. Un sentimento vitale che si esprime nella calma assorta di paesaggi colmi di magia, e nella fragrante carnalità di corpi modellati non più attraverso una definizione plastico-disegnativa delle forme, ma direttamente con il colore, sfumando dolcemente i contorni. Dal punto di vista tecnico, la prassi di dipingere senza disegno, “usando nondimeno di cacciarsi avanti le cose vive e naturali, e di contrafarle quanto sapeva il meglio con i colori” (Vasari), costituisce il lascito più fecondo di Giorgione alla tradizione veneziana che fonda su di esso il segreto della sua floridezza cromatica, della morbidezza delle sue superfici, della sostanza materica dei suoi impasti. Su queste premesse si sviluppa l’arte di Tiziano, che saprà coniugare le nuove forme della Maniera moderna con le suggestioni del colore, indagato in tutte le sue valenze luminose ed espressive. La sua pittura basata su effetti cromatici farà scuola ai più grandi artisti italiani e stranieri, dai Carracci a Rubens, da Delacroix a Renoir. accuse di oscenità e di scarsa ortodossia iconografica rivolte in questa occasione a Michelangelo dalla Curia romana segnano l’inizio di un dibattito che rivela l’impegno della Chiesa a esercitare un controllo più diretto sulle immagini sacre. In questo tormentato clima spirituale e religioso, che coincide con la convocazione del concilio di Trento da parte del papa Paolo III, si colgono i primi germi di dissoluzione della Maniera e sarà proprio "la questione delle immagini sacre" a provocarne il lento, ma inesorabile esaurimento. L’offensiva della restaurazione cattolica nell’età della Controriforma ha immediate ripercussioni sul mondo artistico: per le sue caratteristiche intrinseche, la Maniera rappresenta uno stile profano, concettoso e sofisticato, inadeguato a soddisfare le esigenze di un’arte religiosa, nuovamente intesa come instrumentum fidei. Le generiche disposizioni contenute nel celebre decreto sulle immagini sacre, redatto nell’ultima seduta del concilio di Trento (dicembre 1563), pur senza tradursi in una normativa vincolante, finiscono per orientare gli artisti verso un’arte didascalica e popolare, accessibile e comunicativa, senza eccessi e senza stravaganze, in grado d’interpretare le esigenze di rinnovamento spirituale dell’epoca. Almeno fino agli anni Ottanta, la convivenza tra Maniera e Controriforma si rivela difficile, per la resistenza degli artisti a rinunciare a modelli e schemi compositivi già collaudati.Il loro superamento si attua tra compromessi e risultati contradditori. Solo quando le attese dei committenti (ordini religiosi, congregazioni, confraternite, laici) coincidono con le aspirazioni degli artisti, le istanze avanzate dalla Controriforma (sincerità, verosimiglianza e decoro) si traducono in un’arte nuova che si esprime in una pluralità di accenti, tra severità iconica, acceso spiritualismo e racconto popolare. "Scavalcato il cadavere del manierismo ", una nuova consapevolezza del reale aprirà la strada all’affettuoso naturalismo dei Carracci e a quello, ben più radicale e programmatico, di Caravaggio. L’altro Rinascimento: arte tedesca e arte fiamminga Nonostante la forza di attrazione esercitata in Europa dall’arte e dalle teorie artistiche italiane, in area nordica il superamento della tradizione tardogotica si attua all’interno di una concezione del mondo sostanzialmente antiumanistica, in netta contrapposizione con l’antropocentrismo della cultura classica.Come ha osservato Giuliano Briganti, gli umori e le propensioni della cultura nordica, ricca di straordinari fermenti espressivi, si manifestano "in un realismo estraneo a ogni misurazione razionale dello spazio, sordo a ogni richiamo del classicismo, nemico di ogni idealizzazione della figura umana. Un realismo nato piuttosto da un rapporto vivissimo tra l’immaginazione più favolosa e l’attenta osservazione del mondo attraverso i sensi". La rinascita dell’arte tedesca passa per le ricche città imperiali (Norimberga, Augusta, Basilea), i centri di vita spirituale (Wittenberg), le città danubiane (Vienna, Ratisbona e Passau), punti nevralgici di una produzione artistica che trova nell’illustrazione grafica, nell’arte sacra e nella pittura di paesaggio gli ambiti più congeniali a esprimere una diversa concezione estetica che solo nell’opera di Dürer si attua in una continua e consapevole dialettica con l’arte italiana e, attraverso questa, perfino con l’antico. Già presso i contemporanei la fama e il prestigio di Albrecht Dürer, pittore, incisore e trattatista, si legano alla sua attività nel campo della grafica che, grazie alle sue innovazioni tecniche e iconografiche, raggiunge una dignità artistica pari a quella della pittura. Le stampe di Dürer, caratterizzate ora da un grafismo teso e vibrante, ora da un delicato pittoricismo, riflettono la molteplicità dei suoi interessi, inferiore solo a quella di Leonardo, la vastità della sua cultura, maturata a contatto con i cenacoli umanisti di Norimberga, e l’alta tensione spirituale di una ricerca a tutto campo sull’uomo e sulla natura. L’aggiornamento di Dürer sulle novità dell’arte italiana – ampiamente documentato dagli studi sulle proporzioni umane e sulla prospettiva – non giunge mai ad alterare le radici nordiche del suo stile, saldamente ancorate a un realismo narrativo ed espressionistico di straordinaria forza e suggestione. Ma il vertice dell’espressionismo tedesco è raggiunto da Mathias Grünewald, artista grandissimo e solitario, che nell’altare di Isenheim, in Alsazia, realizza "una fra le più atroci e crude rappresentazioni dell’arte occidentale", condensando nel dramma cupo e folgorante della Crocifissione tutto il travaglio spirituale di un’epoca e di un popolo. Uno degli aspetti più tipici dell’arte tedesca del Cinquecento è rappresentato dall’interesse per la pittura di paesaggio, di cui si rintracciano le origini nelle opere giovanili di Lucas Cranach, ma che solo la vena mirabilmente fantastica di Albrecht Altdorfer saprà elevare a livello di forma artistica autonoma, capovolgendo il tradizionale rapporto tra uomo e natura, e rendendo quest’ultima protagonista assoluta della rappresentazione. Nella nuova pittura di paesaggio, nata a contatto con gli straordinari scenari delle foreste danubiane, ogni rigore prospettico si scioglie per dar luogo a un sentimento della natura che sommerge l’uomo e quasi ne annulla la presenza. La stretta aderenza al vero, riflessa nella moltiplicazione dei particolari, si salda miracolosamente con lo slancio visionario di una fantasia fervidissima che dilata gli spazi oltre ogni limite e accende i colori d’improvvisi bagliori e misteriose luminescenze. Ne discende una visione favolosa e inquietante della natura, di timbro già romantico, che troverà ampio seguito negli artisti della scuola danubiana. La tradizione nordica del paesaggio si afferma anche nei Paesi Bassi, dove opera Bruegel, il più grande pittore di paesaggio del Cinquecento. Nelle sue vedute a volo d’uccello, la rappresentazione della natura, indagata e descritta con precisione topografica, assume una dimensione epica e una vastità cosmica al di fuori da ogni logica spaziale. La maestà della natura diviene teatro della commedia umana, del vano affacendarsi di un microcosmo popolare e contadino vittima della propria stoltezza e della propria follia e incapace di costruirsi il proprio destino, sottomesso alle leggi della natura. Bruegel rappresenta l’altra faccia del Rinascimento, la sfiducia, il pessimismo di chi osserva il mondo con disincanto e rassegnazione. Un destino segnato Visto in prospettiva, il Cinquecento risulta fatale per le sorti dell’Italia, dove l’arte ufficiale, quella al servizio del potere, rimane legata al linguaggio aulico e illustre del classicismo almeno fino alla metà dell’Ottocento. L’eredità rinascimentale, accolta e gelosamente custodita, continuerà ad alimentare anche nel Seicento il mito di una bellezza antica e ideale, garantendo all’arte italiana un assoluto prestigio artistico e culturale. Tuttavia la dittatura del classicismo, e parallelamente del barocco, impedirà all’Italia di percorrere le strade più "moderne" del naturalismo che, dopo la parentesi caravaggesca, troveranno straordinari sviluppi nell’Olanda borghese e calvinista di Rembrandt e Vermeer. SFUMATO LEONARDESCO E TONALISMO Mentre la pittura del Quattrocento tende a preferire le linee nette, ombre precise e colori smaltati, all’inizio del Cinquecento si manifesta in Italia settentrionale una tendenza opposta, La scelta dei colori privilegia timbri smorzati, l’atmosfera naturale circola liberamente in tutto il quadro. Può sembrare paradossale, ma questa affermazione dei valori caratteristici della pittura e del colore viene avviata da Leonardo, uno dei più grandi disegnatori di tutti i tempi. Egli introduce il concetto di “sfumato”, cominciando dal fondo paesaggistico, dove foschia, nuvole e umidità rendono vaghi i contorni. Le indicazioni di Leonardo vengono raccolte dal gruppo dei lombardi chiamati ”leonardeschi”, ma anche da altri pittori come Correggio e, soprattutto, i veneti. Seguendo un percorso parallelo a quello di Leonardo, infatti, le opere tarde di Giovanni Bellini e la produzione di Giorgione aprono la strada al ”tonalismo”, la tecnica di stesura a velature sovrapposte che fanno emergere l’immagine attraverso un graduale scalarsi di toni smorzati della luce e dei colori. Questa tecnica pone in risalto l’effetto di impasto cromatico, e dà al disegno un ruolo non primario. La pittura veneziana sceglie un’alternativa pratica e poetica rispetto alla scuola fiorentina, tradizionalmente incentrata sullo studio del disegno, dalla quale anche leonardo aveva preso le distanze. Sculture in bronzo Mentre la scultura in marmo presuppone una base larga e solida con un “appoggio” molto robusto, il bronzo permette una maggiore leggerezza, e stimola soluzioni di equilibrio ardite e virtuosistiche, applicabili a soggetti di dimensioni variatissime. Inoltre, durante l’arco del Rinascimento la simbologia del materiale tende sottolineare la valenza celebrativa del bronzo per le statue dei sovrani e degli uomini illustri nelle piazze (esemplare è il caso dei monumenti equestri dalla metà del Quattrocento in poi) o per il valore “civico” di fontane e altri arredi urbani. Una delle più evidenti conseguenze del recupero e dello studio formale di modelli classici è lo sviluppo di un genere raffinato, quello del bronzetto. Destinato a un collezionismo esigente e preparato, il bronzetto diventa un campo peculiare di ricerca, sempre in equilibrio fra i precedenti classici e il gusto del manierismo, anzi confrontandosi, su un piano di sostanziale parità inventiva e tecnica, con i bronzi monumentali realizzati. Proprio il fatto di riferirsi a una cerchia di amatori intellettuali stimola gli artisti a una ricerca di preziose novità iconografiche, tecniche e formali, che fanno del bronzetto un fondamentale laboratorio di idee e di proposte nella scultura del pieno e del tardo Rinascimento, coinvolgendo prassi esecutive, competenze tecniche e capacità espressive che fanno capo all'oreficeria quanto alla scultura monumentale. Dalla metà del Cinquecento il bronzo è il materiale prediletto anche per le grandi opere pubbliche, grazie alla sua capacità di resistere senza troppe difficoltà all’aperto: si moltiplicano in tutta Europa le statue celebrative, complessi ornamentali, fontane ricche di figure.
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