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Il cinquecento le fonti per la storia dell'arte, Sintesi del corso di Arte

riassunto dettagliato per capitoli

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 06/11/2019

MatildeCasalini
MatildeCasalini 🇮🇹

4.6

(22)

5 documenti

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Scarica Il cinquecento le fonti per la storia dell'arte e più Sintesi del corso in PDF di Arte solo su Docsity! IL CINQUECENTO Le fon� per la storia dell’arte Il libro esamina le problema�che principali della cultura ar�s�ca del 500 a�raverso tes�, tra cui scri� d’arte da Leonardo a Zuccari e documen� con lo scopo di illustrare quel momento che porta allo sviluppo dell’editoria e del mercato d’arte. Momento in cui spicca l’evoluzione dell’ar�sta che ha come tema principale la difesa della dignità della professione. Il libro affronta anche il fenomeno del collezionismo, della cultura an�quaria, della passione per l’an�co, la nascita della scri�ura d’arte e della conseguente nascita della storia e della cri�ca d’arte, nuovi strumen� per promuovere l’ar�sta e l’opera stessa come mezzo di iden�tà culturale. Presentazione La fonte primaria della storia dell’arte sono le opere stesse che con la loro espressività sono capaci di suscitare emozioni, me�endo in moto l’immaginazione e risvegliare la mente, ma anche di s�molare domande ed esigenze di approfondimento che però le sole immagini si rivelano insufficien�. Occorre a�ngere alle fon� secondarie, ossia fon� scri�e. “Le fon� per la storia dell’arte” è cos�tuito da un’ampia antologia commentata di brani significa�vi, organizzata per temi e scandita in ordine cronologico. Le fon� esaminate includono la storia dell’arte occidentale. Accanto a queste fon� di cara�ere le�erario sono state prese in considerazione anche altre �pologie di materiale come: contra�, arbitra�, inventari e documen� di cara�ere notarile che consentono di indagare l’universo ar�s�co nei rappor� con il mercato, la commi�enza e il pubblico. Il volume è diviso in due par�: i percorsi di le�ura e l’antologia delle fon�. Avvertenze Questo libro propone un’ampia mappa di scri� e documen� sull’arte del 500 divisa in due sezioni: una serie di saggi e una raccolta di tes� che illustrano in de�aglio le problema�che cinquecentesche. CAPITOLO 1. LA FIGURA DELL’ARTISTA Gli scri� di Leon Ba�sta Alber� cos�tuiscono un punto di partenza dell’evoluzione della figura dell’ar�sta, nei quali egli formulava il piano dell’ascesa sociale e del riconoscimento della professione dell’ar�sta, con l’idea che il pi�ore dovesse essere un “uomo buono e do�o in buone le�ere”, dando una posizione nella scala sociale all’ar�sta. La figura dell’archite�o aveva già acquisito una notevole importanza, emancipandosi dal sistema corpora�vo, di conseguenza il pi�ore e lo scultore si mossero allo stesso modo, cominciando ad assumere un ruolo di rilievo nella scala sociale. La riscoperta e lo studio delle fon� an�che, sopra�u�o di Plinio il Vecchio e Vitruvio, che vennero diffuse e volgarizzate grazie allo sviluppo del se�ore dell’editoria, ormai in pieno sviluppo, ebbero un impa�o fondamentale per il rilancio della figura dell’ar�sta, creando una rivalorizzazione della dignità della figura dell’ar�sta; così come nel 400, con Leon Ba�sta Alber�, gli ar�s� iniziano a evidenziare la nuova posizione sociale dell’ar�sta. Da essi presero spunto gli autori cinquecenteschi per formare un nuovo modello culturale e comportamentale dell’ar�sta. Tra le ques�oni più ricorren� del periodo: dimostrare, rivendicare e difendere la dignità della professione ar�s�ca, una grande ba�aglia del 500. 1. L’ar�sta divino Gli ar�s�, anche durante il Medioevo, gode�ero sempre di cer� privilegi e furono spesso colloca� all’apice della stru�ura gerarchica dei mes�eri, grazie ai preziosi materiali che u�lizzavano e grazie al pres�gio dei commi�en� (da ricchi esponen� della società, al clero, ai principi e ai sovrani). Ma la vera forza era la meraviglia e il fascino che le loro opere suscitavano nello spe�atore. Lo stesso Leon Ba�sta riconosce che la pi�ura �ene in sé la forza divina. Un secolo dopo, anche Paolo Plinio ribadisce il medesimo conce�o definendo la pi�ura come la più alta invenzione degli uomini, nonché una divina invenzione. Nel corso del Rinascimento, il conce�o di miracolo legato all’opera d’arte non fu più solo associato al suo contenuto figura�vo, ma anche al suo creatore. L’opera eccellente viene considerata un miracolo che a�ribuisce/conferisce al suo ar�sta un’aurea divina, in quanto autore di un miracolo. Il tema dell’icona miracolosa tende ad evolvere in topos/tema le�erario nel 500, come a�esta il racconto di Vasari sul Parmigianino: durante il saccheggio di Roma del 1527, Parmigianino fu risparmiato dai lanzichenecchi in quanto rapi� dalla sua arte (lavorava sulla “Visione di San Gerolamo”). L’ar�sta quindi è aiutato, prote�o e schermato dal proprio talento. Altro aneddoto vasariano racconta la medesima situazione durante l’assedio di Rodi, nel quale Protegene viene risparmiato e difeso dal nemico, in ammirazione di fronte alla sua opera. Il messaggio di questo aneddoto è la superiorità dell’arte e dell’ar�sta nei confron� della guerra e la libertà dell’ar�sta rispe�o al potere. Un altro aneddoto, sempre vasariano, riguarda la scultura di Sansovino: il modello di cui si servì per la realizzazione del “Bacco”, mentre posava voleva essere una statua. Sansovino, come uno stregone, risucchia l’energia vitale del giovane modello per trasferirla alla scultura definita “simile alla carne” e “miracolosissima”. Il topos della risurrezione di un’opera d’arte, riuscita alla perfezione malgrado il materiale scarso o danneggiato so�olinea le facoltà acquisite dall’ar�sta. Un esempio è il “David” di Michelangelo, scolpito in un blocco di marmo malconcio e “morto”, diventando quasi una sorta di miracolo. Queste tes�monianze tes�moniano l’aurea divina dell’a�o crea�vo dell’ar�sta. Da ques� temi appare chiaro come l’ar�sta si sia accostato alla divinità, si parla infa� di culto dell’ar�sta. Si formò in breve tempo una nuova coscienza dell’essere ar�sta e l’evoluzione di una figura che da ar�fex/artefice mutava in alter deus/altro Dio (ar�sta creatore), affermandosi un’analogia tra dio-ar�sta e ar�sta-creatore. Per Leonardo l’arte è figlia della natura e nipote di Dio e la figura del pi�ore si riveste di un’aurea divina in quanto è signore e creatore di tu�o ciò che può essere immaginato. Per Pomponio Guarico lo scultore è al pari di un poeta o di un oratore, quindi capace di immaginare e di riprodurre un’infinità di situazioni, tu�e però avendo come sogge�o principale o esclusivo la rappresentazione dell’uomo. Egli però non gli a�ribuisce una natura divina. Il nome “divino” restava però accessibile a pochi, il Vasari, nelle “Vite”, a�ribuisce il termine solo a Raffaello e Michelangelo. L’uso del nome “divino” risulta un segnale dell’a�uazione di un culto dell’ar�sta. La presenza del termine divino, seppure legata a pochi ar�s�, tes�monia l’inizio di un a�eggiamento di culto nei confron� dell’ar�sta, sopra�u�o per quanto riguarda la figura di Michelangelo. 2. Il pi�ore nobile Il pi�ore Fabio, nel “Dialogo”, traccia la sua idea di pi�ore perfe�o, allontanandosi da quell’aura divina che ne impedisce una definizione più concreta a livello sociale, ma contrapponendosi alla mi�zzazione dell’ar�sta e alla nozione di genio: ne emerge la figura del perfe�o cor�giano. La decadenza dell’arte negli anni preceden�, secondo Andrea Gilio, era da ricondurre al fa�o che l’arte fosse pra�cata da “gente povera e ignorante”. Fra le discussioni intorno alla condizione dell’ar�sta si delineano due �pi di nobiltà dell’arte: una sociale e l’altra morale. In alcuni casi gli ar�s� hanno davvero raggiunto il �tolo/statuto nobiliare, è il caso di Tiziano o Baccio Bandinelli, anche se quest’ul�mo non gode�e mai dell’ammirazione dei contemporanei, già cri�ci verso le sue opere. Tra i più importan� ar�s� nobili del 500 c’è Michelangelo, caso esemplare dell’evoluzione della figura dell’ar�sta, il quale in una le�era al nipote svela la preoccupazione in merito al rango sociale della famiglia e delle sue origini, tanto che il Vasari pur non convinto, affermava la discendenza della famiglia di Michelangelo dai Con� di Canossa. In par�colare la volontà di dis�nguersi dagli ar�giani “di bo�ega”. Michelangelo fu consapevole dello straordinario statuto sociale raggiunto grazie alla propria arte. Fra i primi, u�lizza la parola ar�sta al posto di artefice (usata fino ad allora), dando alla parola una dimensione nuova, nobile e intelle�ualizzata. Non si tra�a solo di una modifica del termine, ma di un distacco dall’immagine dell’ar�sta-ar�giano. Per molto tempo con�nuò ancora a prevalere l’uso del termine “artefice”, mentre “ar�sta” si affermò soltanto alla fine del 700 in parallelo alla nascita della nozione di “belle ar�”, nonostante per Michelangelo la figura dell’ar�sta era da ritenersi pari a quella del poeta, perché convinto di professare un’arte liberale. Michelangelo fu il primo promotore di se stesso e difensore dello statuto sociale dell’ar�sta. 3. Professione e formazione Mentre stava prendendo avvio una mutazione dell’immagine dell’ar�sta, nel 500 si assiste�e anche ad una rivoluzione conce�uale tra ar�sta e bo�ega. Comincia ad affermarsi il conce�o di libertà, fondamentale secondo Romano Alber�, l’arte era da considerarsi liberale perché rendeva l’uomo libero di poter liberamente proferire ciò che vuole. Nobiltà, intelle�o e libertà si opponevano a bo�ega, fa�ca del corpo e servitù. Gli ar�s� mano a mano si svincoleranno dalla so�omissione dal legame delle bo�eghe dove dovevano formarsi. Una delle tes�monianze più significa�ve è l’opera di Benvenuto Cellini, che con�ene una delle tes�monianze più significa�ve dell’aspirazione verso una nuova condizione sociale. Nell’opera emerge la volontà di dipingere un’immagine liberale di sé stesso. Da una parte si coglie la �pica organizzazione della bo�ega alla quale l’orefice è so�omesso sopra�u�o per la ques�one legata al guadagno; dall’altra si presenta l’ar�sta voglioso di studiare le an�chità per conto proprio, dichiarandosi “nato libero”, “lavorante libero”, non appartenente a nessuno. Ciò illustra una situazione di transizione sociale in cui l’artefice tende a svincolarsi dalla stru�ura corpora�va della professione. Il racconto di Cellini pone l’a�enzione su un tema diba�uto in quegli anni, ovvero la libertà dalle corporazioni. Per quanto riguarda la formazione, il fenomeno più rilevante nel 500 è la nascita delle accademie d’arte, che segnano lo svincolarsi dell’ar�sta dalle vecchie gilde. Tra le principali abbiamo l’”Accademia Leonardo da Vinci” a Milano, la prima volta che il nome di un ar�sta venne associato al termine “accademia”. Il termine “accademia” subì un profondo cambiamento di significato tra 400 e 600. Nel 1563 nacque a Firenze la prima accademia d’arte fondata da Vasari, l’“Accademia del disegno”, della quale egli ci parla nelle “Vite”. L’”Accademia del disegno” era nata come una ristre�a cerchia, un’élite di ar�s� so�o la protezione del duca. Il suo scopo era fornire una solida formazione per i giovani, perme�endo di dis�nguersi e di acquisire un �tolo di nobiltà culturale. All’interno non mancarono dispute e risse tra i vari ar�s�/componen�, dovute principalmente alla problema�ca coabitazione tra le diverse specializzazioni, sopra�u�o tra pi�ori e scultori. (Nota è la disputa sul primato delle ar� che avvenne durante la preparazione delle esequie di Michelangelo). Le elezioni dei nuovi membri erano sogge�e a contestazioni e Borghini, il primo luogotenente, dopo solo un anno chiese di essere sos�tuito a causa degli strani capricci degli artefici, non essendo in grado di placare le discussioni. Borghini, in un documento so�olinea come l’Accademia del Disegno non fosse paragonabile alle altre in quanto era un’is�tuzione innova�va, definita “accademia del fare”. l’importanza di dis�nguere l’accademia del disegno di Firenze dalle altre, per la produzione di opere piu�osto che per le dispute. Egli invitava gli ar�s� a non prendersi per dei veri accademici, ma a concentrarsi sulla realizzazione delle opere, in quanto sono accademie produ�ve dove si disegna e si lavora, facendo le opere non con le parole. Il principio del fare so�olinea una differenza tra erudi� (che sa e non fa) e ar�s� (colui che produce). L’Accademia promosse le tre ar� del disegno, provocando una gerarchizzazione delle ar�: una delle a�vità ar�s�che fino ad allora di maggior spicco come la doratura diventa “arte minore” creando li� tra pi�ori e doratori. Con l’“accademia del fare” prendeva forma una nuova concezione di accademia, non più fondata sul diba�to, ma con lo scopo di formare una nuova generazione di ar�s� in grado di far prosperare le ar� nella Firenze medicea (Cosimo I De Medici). Per raggiungere questo scopo serviva un nuovo insegnamento in quanto quello tradizionale, ossia quello nelle gilde e nelle bo�eghe, non poteva dar esito a buoni risulta�. L’insegnamento in accademia era volto ad una formazione migliore, più ampia e più veloce. Zuccari al fine di massimizzare l’insegnamento propose un programma di studio innova�vo e ben curato, volto ad introdurre una dimensione più intelle�ualizzante che formasse l’ar�sta in tempi più rapidi, in un ambiente però non accogliente segnalate anche nel �tolo della nuova edizione. Borghini spronò il Vasari a compiere nuovi studi, nuove indagini e viaggi per documentare con più precisione le opere e le scoperte tecniche, tra cui quella della pi�ura ad olio. Questa nuova opera di Vasari così completa ed esauriente, generò reazioni e risposte dei suoi contemporanei, tu�e volte a completare e/o correggere il suo lavoro: - Guglielmo della Porta elaborò un tenta�vo di risposta, rimasto però incompiuto. -Borghini nel suo “Riposo” inserì brevi cenni biografici degli ar�s� tra�a�. -Condivi realizzò “Vita di Michelangelo” in opposizione alla biografia vasariana. -Karel Van Mander compose lo “Shilderbook”, unica opera paragonabile a quella del Vasari, che colmava le lacune vasariane sugli ar�s� fiamminghi e tedeschi. -Benvenuto Cellini scrisse un'autobiografia nella quale prevale l’autoreferenzialità. CAPITOLO 3: L'ARTE: TEORIE E MODELLI 3.1 Definizioni e dispute. -Il sistema delle ar� e altri fondamen� teorici Durante il Medioevo le ar� erano definite a seconda del loro valore e della loro collocazione all’interno del sistema di classificazione delle varie discipline e vigeva una rigida divisione tra a�vità intelle�uali e specula�ve, non finalizzate al guadagno, e manuali/meccaniche e/o lega� all’a�vità fisica. A par�re dal Rinascimento venne messa in discussione la concezione del sapere, fino ad allora rigidamente basata sulla formula del trivium e quadrivium. Fino a questo periodo pi�ura, scultura e archite�ura facevano parte delle a�vità meccaniche a causa del loro cara�ere più pra�co che teorico e quindi non convenien� all’uomo libero e nobile. Fu Leon Ba�sat Alber� tra i primi a tentare di nobilitare le discipline, come era avvenuto per l’archite�ura, già considerata arte liberale. Luca Pacioli, matema�co toscano, mise in discussione il quadrivium e legò la pi�ura alla proporzione (disciplina discendente dalla matema�ca). Jacopo de Barbari pose la pi�ura in o�ava posizione nelle ar� liberali, subito dopo l’astronomia e contribuì a diffondere la problema�ca della considerazione della pi�ura come arte liberale. Anche negli scri� di Leonardo troviamo la volontà di esprimere un giudizio riguardo alla posizione e al valore della pi�ura. Egli intendeva dimostrare che la pi�ura fosse da considerarsi come una scienza, ossia un “discorso mentale”. Egli affermava inoltre la necessità di ricorrere all’esperienza, madre di ogni certezza. Leonardo promosse la fase di studio della pi�ura evidenziandone la dimensione intelle�uale. Interrogarsi sui procedimen� di trasposizione del mondo visivo implicava uno studio approfondito della percezione visiva, rintracciando la costruzione matema�ca delle forme e i teoremi fondamentali. Una volta superato il problema della posizione gerarchica delle discipline ar�s�che, restava da definire l’arte in sé, le sue par� e il suo fine. Paolo Pino spostò l'a�enzione sul valore dell'ogge�o realizzato dal punto di vista ontologico, dando alla pi�ura il posto più rilevante nella gerarchia delle realizzazioni umane. Lodovico Dolce riprese la nozione di mimesis, la quale perme�eva di accomunare la pi�ura e la poesia. Ulteriore discussione vi fu a�orno alla suddivisione della pi�ura e all'ideale tripar�zione alber�ana (circoscrizione, componimento e ricevimento dei lumi). Leonardo organizzava la sua arte in “10 vari discorsi con i quali conduce al fine le sue opere”, partendo dalla coppia tenebre/luce si giunge alla vita grazie al moto, con evidente parallelismo tra opera divina e pi�orica. Infine fu fa�a anche una riflessione sul fine delle ar�, uno dei temi più frequen� fu la nozione di dile�o, ma dopo la controriforma venne aggiunto un ulteriore fine che è l'u�lità forma�va. -Ut pictura poesis ??? La do�rina dell’Ut pictura poesis, ossia il parallelismo tra pi�ura e poesia, teorizzato da Lodovico Dolce, fu una tema�ca ricorrente nel 500 e fu l’argomento di maggior successo per elevare la pi�ura al rango delle ar� liberali. Il rapporto/legame tra poesia e arte si esprimeva nella figura dell'ar�sta-poeta. Secondo Lomazzo non esisteva pi�ore che non fosse anche poeta. Nel clima di compe�zione riguardo al primato tra pi�ura e poesia, �pico di questo secolo, nacque una disputa sul tema della complessità della raffigurazione dell'invisibile. Il binomio Tiziano- Pietro Are�no fu prova dell'interdipendenza e complementarietà tra poesia e pi�ura. -Il paragone La disputa più animata del 500 in ambito ar�s�co, fu il paragone tra pi�ura e scultura. A sostegno dell'una o dell'altra si puntava l'a�enzione sulla difficoltà, la durabilità dell’opera e l'affa�camento fisico per realizzare le opere. Il culmine della disputa si raggiunse nel 1547, quando Benede�o Varchi tenne una specifica lezione all'accademia fioren�na. A dimostrazione della sua posizione super partes, Varchi coinvolse i maggiori esper� in materia della ci�à. Nel 1549 Varchi pubblicò il volume includendo le le�ere degli ar�s�. Lo scri�o era in forma epistolare, molto più sincero della forma dialogica. Il tema del paragone fu a lungo diba�uto nel 500 e tra�ato anche nelle Vite e venne ripreso nel 600 da Galileo e nel 900 da Claris. 3.2 Evoluzione dei principali aspe� teorici -Le par� dell'arte ■ Il disegno tra segno grafico e operazione mentale Il diba�to sul paragone è servito da s�molo per la teorizzazione delle ar�. La nozione di disegno fu uno dei cardini e che riunì so�o la propria bandiera quelle ar� che prima erano separate dal sistema corpora�vo; il disegno richiamava all’idea delle ar� sorelle, che pose sullo stesso piano pi�ura e archite�ura, concezione già espressa da Petrarca, secondo il quale pi�ura e scultura erano “ar� cognate”. Anche Cas�glione e Varchi ritengono che ambedue derivino dalla stessa fonte: il disegno. Vasari nel “Proemio di tu�a l'opera” ribadisce questo conce�o, affermando che la scultura e la pi�ura sono sorelle, nate dallo stesso padre: il disegno. Bandinelli aggiunge che all’origine del disegno vi è Dio, il primo creatore. Il disegno è definito come la componente generatrice e cos�tuente della forma di tu�e le cose create e presente in tu�o, quindi all’origine della bellezza esteriore. Più pragma�ca è la definizione del disegno di Alessandro Allori come semplice linea di contorno. Dal momento che in natura la linea non esiste, la so�gliezza della linea serviva a cancellare la dimensione materiale del disegno per meglio dare un’illusione o�ca della realtà. Nel processo di intelle�ualizzazione del disegno, emergeva una tensione tra l’astrazione del conce�o e la manualità dell’azione, ossia tra mente e mano, con il rischio di svalutare la dimensione pra�ca dell'arte, ossia l’aspe�o esecu�vo. Per evitare questo mol� cercarono di innalzare la pra�ca del disegno ad esercizio mentale, reputando nobile anche la fa�cosa esercitazione della mano. Giovan Ba�sta Armenini riuscí a ribaltare la problema�ca esaltando il valore del lavoro manuale, che serviva a risvegliare la mente e a tenere viva la memoria. Per Bandinelli l'esercizio della pra�ca era un'imitazione in scala umana del gesto divino. ■ Il colore e la luce La ques�one del colore e della luce risultava penalizzata nel diba�to che assegnava il primato al disegno. Sopra�u�o in ambito fioren�no il colore fu giudicato come la terza e ul�ma parte dell'arte, quindi meno rilevante e tra�ato con maggiore superficialità. In generale c'è una presa di distanza dai colori sfarzosi capaci di ammaliare i non esper� d'arte. Il pensiero di Leonardo è però ben diverso: egli assegna al colore un posto di primaria importanza una grande a�enzione legata al gioco di luce e ombra capace di far emergere volumi e rilievi. L’a�enta osservazione della natura lo aveva portato ad indagare la variabilità del colore a seconda delle ombre e delle distanze. Per Leonardo luce e colore erano fenomeni interdipenden�. Fondamentale fu la tecnica dello sfumato da lui ideata, ossia la combinazione di luci ed ombre applicata ai lineamen�. Anche nella scuola veneta (Lodovico Dolce, Paolo Pino) il colore (tonale) assume la stessa importanza del disegno perché in grado di dare verisimiglianza e prospe�va. In oppisizione all’idea leonardesca e veneta, Lomazzo separa il colore dalla luce e tes�monia la nuova importanza di luce e colore come ve�ori emo�vi. -L'espressione del movimento e delle passioni Tra le ques�oni più importan� del 500 vi fu la sfida di conferire alle figure l'illusione della vita a�raverso l’impressione del movimento. La formula magica della “figura piramidale, serpen�nata”, enunciata da Lomazzo, ma a lui tramandata da un allievo di Michelangelo, venne ritenuto il segreto per raggiungere tale scopo. Spesso però il ricorso troppo frequente al modello enunciato da Lomazzo era contrario al principio della varietà delle espressioni. Leonardo, oltre ad uno studio della meccanica del corpo umano, condusse anche una ricerca più psicologica, la cosidde�a “teoria dell'espressione delle passioni”, ossia uno studio del significato delle espressioni facciali e della gestualità. Questa teoria confermava l’idea che i movimen� del corpo, compresi i muscoli facciali, fossero causa� dai movimen� interni della mente. L'arte e la natura -La ques�one dell'imitazione della natura e dei maestri. La ques�one di come e in quale misura imitare la natura rappresentò una delle problema�che del 500. Tu�o si ar�cola intorno alla ques�one del bello ideale e riconoscendo l’imperfezione della natura. Perciò l’imitazione della natura deve passare a�raverso la selezione di frammen� di bellezza (teoria dell’elec�o). Le principali teorie in merito all'imitazione della natura sono: 1) Teoria dell'elec�o: l'ar�sta deve selezionare dei frammen� di bellezza per riprodurre una figura intera (aneddoto pliniano delle vergini di Crotone: Zeusi doveva dipingere una Venere, per fare ciò fece condurre a sé 5 vergini e di ognuna colse un par�colare e lo riprodusse per la sua Venere). 2) Dis�nzione aristotelica di Dan� tra ritrarre, ovvero riprodurre la realtà e imitare, ovvero trasfigurarla. 3) Teorie di Leonardo, Raffaello e Michelangelo: -Leonardo prende ispirazione dall'osservazione della natura (osservazione delle macchie, delle pietre, delle nuvole ecc), in quanto la natura imita se stessa. Egli, anche quando procede verso l’invenzione parte sempre da un’immagine naturale. -Raffaello si rivela un contemporaneo Zeusi, fedele alla do�rina dell'elec�o. -Michelangelo è portavoce del trionfo dell'idea perché nel blocco di marmo vede già contenuta l’idea e non imita. L'opera non deve assomigliare alla realtà (imperfe�a), ma all'ideale dell'ar�sta. Idea poi sviluppata dall'allievo Francisco de Holanda, il quale raccomandava di bendarsi gli occhi durante la pi�ura per non perdere quel divino furore e l’immagine che abbiamo in mente a causa della vista della natura. La natura non doveva essere esclusa, ma doveva essere impiegata in un secondo tempo per canalizzare l’invenzione, ossia come strumento di verifica e di sostegno alla creazione. La chiesa ripudiava questa opinione in quanto la natura era espressione divina e quindi perfe�a. 4) Altra fonte di ispirazione furono i modelli di epoca classica, l’An�chità, e le opere dei grandi maestri (vedi anche modello del maestro nella bo�ega). Per Dolce l'importante era saperli regolare con “buon giudizio” altrimen� rappresentavano solo una scorciatoia ed era considerato rischioso. Al crescere della nozione di invenzione, si diffuse anche l’opinione nega�va nei confron� degli “imitatori”. Ci sono varie idee a riguardo. Alcuni, come per Giulio Camillo l'imitazione di un maestro, che rappresenta la perfezione in un determinato periodo storico, conduce ad una classificazione storico-cronologica ed era un modo per progredire, mentre invece seguire il modello della natura comportava un’involuzione ar�s�ca. Per Dan� imitare la perfezione di Michelangelo significava progredire. Ma non tu� erano d’accordo: Pietro Are�no si espresse nega�vamente sulla valanga di imitatori di Michelangelo che, nel far questo, perdevano il proprio s�le. Questo an�cipava il giudizio nega�vo legato ai Manieris�. Il dipingere alla maniera di implicava ripe�zioni di modelli e poca varietà, si vedevano sempre forme simili. Accanto alla do�rina dell’idea, ossia di un’arte fondata sulla fantasia dell’ar�sta, che pur accoglieva il conce�o dell’imitazione dei predecessori, si fa strada il conce�o della natura come unica fonte di ispirazione degli ar�s�. Ciò è sostenuto anche dalla Chiesa che sos�ene la perfezione della natura, in quanto opera divina. -Il ritra�o Il ritra�o cinquecentesco ha funzione commemora�va e la ricerca della verosimiglianza è necessaria per riconoscere colui che viene rappresentato, ma non sufficiente per la rappresentazione delle idee. Per soddisfare questa teoria è infa� importante anche far trasparire i temperamen� e i mo� dell'anima di colui che viene ritra�o. Spesso l’impronta della natura diventa ingombrante e si giunge alla conclusione paradossale che i ritra� migliori sono talvolta quelli meno somiglian�, che danno vita all’animo del personaggio. -L'emergenza di nuovi generi Il primato per la figura umana mise in secondo piano sia la pi�ura di paesaggio che la natura morta. Tu�avia nel 500 ritorna questa �pologia di pi�ura, diventando genere autonomo e indipendente, in modo diverso rispe�o a come veniva raffigurata nel 400, ossia come contenitore e sfondo dell’azione. Negli scri� di Leonardo e Bo�celli emerge l'importanza che per lui riveste il paesaggio. In generale i due nuovi generi divennero importan� in quanto criteri valuta�vi per dis�nguere le varie scuole pi�oriche. Spesso la scuola fiamminga era cri�cata per l'eccessiva minuziosità dei paesaggi a discapito della storia e dell'invenzione. Paolo Pino al contrario, sicuro della difficoltà di tali realizzazioni, spostava l'a�enzione sul fascino dei paesaggi nordici. Un ruolo ancor più marginale era dato alla natura morta, relegata ad accessorio dell'opera principale fino a quando compare anche questa come genere (Caravaggio 600). -Il bello, la grazia, la sprezzatura. Ques�one della bellezza e dell’idea del bello. Ci sono due teorie sull’idea della bellezza: una che fa capo ad Aristotele e una a Platone. Quella di Aristotele fa riferimento ad una bellezza esteriore (armonia delle forme e delle proporzioni). Quella di Platone fa riferimento alla bellezza dell’animo e quindi al conce�o di grazia che può esserci anche in assenza di una bellezza fisica e che quindi è più difficilmente rappresentabile. Per Varchi la bellezza platonica era superiore a quella aristotelica, in quanto di origine divina. Per Dan� solo dall'armonia delle forme si sarebbe originata la bellezza d'animo. Le considerazioni sui temi di grazia e bellezza produssero delle conseguenze: • l'interpretazione più arbitraria delle proporzioni, lasciando più spazio all'invenzione dell'ar�sta, alla licenza, ossia alla liberta dell’ar�sta di rappresentare certe forme interpretandole in modo personale. • La sprezzatura: la grazia doveva essere trasmessa a�raverso la spontaneità dei ges�. Quindi l'ar�sta doveva realizzare l'opera in breve tempo, senza eccessive elaborazioni. 3.2 L'an�co: un modello, una passione. -L'alba dell'archeologia • Scavi, scoperte, smanie La cultura an�quaria era già sviluppata nel 400, ma raggiunse il culmine nel 1500, quando si scatenò una vera e propria la passione per l'an�co. Tan� facevano viaggi verso oriente (la Grecia) per raccogliere reper� an�chi e trovare tes�moniante. Nel fra�empo a Roma emergevano mol� res� an�chi, tra cui 1506 venne ritrovato il gruppo del Laocoonte a Roma. Nonostante questo, una vera e propria frenesia e smania archeologica colpì non solo le famiglie nobili, ma anche i cardinali, i quali con�nuavano ad accumulare statue e medaglie nelle loro dimore, scambiando pezzi con i collezionis� tanto da essere ritenu� quasi sacri. Questo fenomeno sviluppò un mercato fiorente che era alimentato da con�nui scavi (spesso vi erano frodi, truffe e fur� d'arte). Nel tenta�vo quindi di far fronte a tale problema, ci furono dei controlli per il traffico dei reper� an�chi tanto che Paolo III fece un provvedimento che proibiva l’uscita di materiali an�chi dalla ci�à senza autorizzazione. • L'an�co: studio, conservazione e restauro La passione e lo studio dell'an�co sono affronta� con una metodologia che è alle origini dell’archeologia moderna e la conoscenza an�quaria divenne un requisito indispensabile per gli ar�s�. L'an�co divenne il secondo modello di riferimento dopo la natura. Spesso si creavano gare tra ar�s� per riprodurre le opere ritrovate come nel caso della sfida lanciata da Giulio II su chi riuscisse a fare una copia più perfe�a del Laocoonte. Nacque il bisogno di conservare e catalogare i reper�, non solo quelli presen� a Roma, ma anche quelli di Firenze, così come la necessita di restaurarli. Non mancarono infa� gli interven� dire� sulle opere: restauri, completamen� o reinterpretazioni ecc. (come nel caso di Ganimede di Cellini). Ricostruire le opere nella loro interezza, era anche un modo, secondo Vico, per riconfermare il legame tra la cultura Greca e Italiana, da dove in quegli anni stavano rispuntando radici di una cultura comune. -L'an�co e la teoria archite�onica Are�no era stato superato il limite del decoro, facendo riferimento al Giudizio Universale di Michelangelo, e probabilmente prendendosi la rivincita visto che il maestro rifiutò l'aiuto dell'Are�no nella fase di invenzione. P. Are�no si schierò quindi dalla parte di coloro che biasimavano l’opera di Michelangelo. Lodovico Dolce in linea con le polemiche espresse dall'Are�no definì “disones�ssime” le figure del Giudizio, in confronto alle opere di Raffaello. In opposizione alla teoria iconoclasta luterana, al termine del concilio, la chiesa riconobbe l'importanza e il ruolo forma�vo dell'arte figura�va nella catechesi. Vennero emanate le linee guida dal cardinale e arcivescovo di Milano, Borromeo e dal vescovo di Bologna Paleo�. Paleo� voleva tracciare una chiara linea di confine tra arte sacra e profana che normalizzava il rapporto quo�diano dei fedeli con l’arte. Il vescovo di Bologna non portò a termine il suo scri�o (diviso in 5 libri). Oltre a questo tra�ato, intraprese la stesura di un indice di sogge� proibi�. Convenevolezza, ovvero coerenza dell'opera rispe�o al contesto in cui è posta, e u�lità dell'arte e delle reliquie come mezzo per veicolare la fede, furono i pun� fondamentali della controriforma rispe�o all'arte. Il nudo e la perfezione anatomica (il Dio-giove di Michelangelo) vennero fortemente cri�cate così come la complessità non ada�a a parlare ad un vasto pubblico eterogeneo come quello dei fedeli. -Censura e controllo delle immagini Gli affreschi di Michelangelo della Sis�na cos�tuirono un caso significa�vo anche per quanto riguarda le soluzioni pra�che decise per rimediare allo sdegno generale che si era creato di fronte all’imbarazzante mancanza di decoro. L’ammirazione generale che circondava l’ar�sta ritardò le scelte sul da farsi e rese più complessa la ricerca di compromessi. Le tensioni causate dall’opera di Michelangelo portarono anche ad una possibile distruzione dell’opera. Il Giudizio non fu mai abba�uto, ma rappresentò uno dei problemi da risolvere che venne elencato nei 33 “decre� urgen�” alla chiusura del Concilio di Trento. In seguito alla controriforma la chiesa operò una censura, ossia Pio IV decise di ricoprire con dei veli realizza� da Daniele da Volterra i corpi del Giudizio. Gli ar�s� di trovarono di fronte a un vero e proprio ostacolo dal momento che la Chiesa era interessata principalmente all’invenzione e le richieste di maggior chiarezza delle opere e di maggior semplicità nell’esposizione andavano in direzione opposta al gusto per il complesso e alle invenzioni originali �piche dell’epoca della Maniera. La novità è ora sinonimo di sospe�o. Inoltre venne s�lata una lista di le�ure proibite, libri ritenu� pericolosi per il diffondersi di un determinato �po di arte. Gli errori in ambito ar�s�co erano ricondo� alle lacune degli ar�s�, considera� culturalmente non in grado di eseguire l'invenzione autonomamente, quasi dimen�cando la collaborazione tra ar�sta ed erudito circa la materia iconografica. La prima causa degli errori è la confusione tra sacro e profano, la seconda è il mancato rispe�o della convenienza e infine l’assenza di confini tra il vero, il falso e il favoloso. Per questo la chiesa volle che gli ar�s� si rivolgessero ad un erudito per sviluppare proge� di arte sacra in linea con i prece� della controriforma. “poe�ca Libertà” e “licenza poe�ca” non sono sinonimi: per libertà si intende un’autonomia e un’assenza totale di vincoli, mentre per licenza indica una libertà limitata concessa all’interno di un contesto di regole de�ate da un’autorità superiore. CAPITOLO 5. LA RICEZIONE DELLE OPERE. Oltre al diba�to sul fine dell'arte e sul ruolo dell'arte sacra, nel 500 si pose l'a�enzione anche sul fruitore dell'opera e quindi sulla nozione stessa di “pubblico”, indizio di una crescente considerazione nei confron� della figura dello spe�atore. Leonardo, sensibile alla ques�one della percezione visiva, usava alternare la parola “riguardatore” a quella di “veditore”, spesso in associazione con “occhio”, organo essenziale della teoria leonardesca. Da Paolo Pino in poi si privilegiò la parola “riguardante”. Tu� termini che indicano un’osservazione a�enta ed interessata, ma che non specificano il �po di ogge�o guardato. Poco frequente invece l’impiego in ambito ar�s�co o archite�onico il termine “spe�atore”, che richiamava essenzialmente alla visione dello spe�acolo, solitamente teatrale, fes�vo o in riferimento alle entrate trionfali. Mentre si intensificarono i diba�� sul fine dell’arte e sul ruolo dell’arte sacra, si prestò una maggiore a�enzione alla figura del fruitore dell’opera. Si iniziò ad u�lizzare il termine “spe�atore” anche per le ar� visive che si stavano decisamente teatralizzando. 5.1 Conservare ed esporre le opere d'arte. Quando nel 1504 a Firenze si discuteva della collocazione del David di Michelangelo, il pubblico ampio e distra�o della piazza era definito “viandante” e non “riguardante”. Eppure in questo secolo si compie una vera e propria rivoluzione in merito alla considerazione dello spe�atore comune che porterà alla fine del secolo l'apertura delle gallerie pubbliche. Ma la ques�one a�orno alla quale emerse un vero e proprio diba�to, a�estando già una certa idea di tutela conserva�va, fu se lasciare la statua del David all’esterno o al riparo? Mol� esper� pensavano fosse necessario tenerla al coperto a causa del marmo che era considerato di non eccelsa qualità; altri volevano invece collocarla all’aperto per una maggiore visibilità e esposizione. Per Filippino Lippi e Piero di Cosimo la decisione sarebbe dovuta spe�are all’autore stesso dell’opera. L’ul�ma parola fu quindi quella di Michelangelo. Contemporaneamente all'a�enzione per la decorazione dei luoghi pubblici, crebbe anche quella per i luoghi priva�, non solo interni, ma anche esterni: giardini, cor�li e logge divennero i luoghi preferi� dove esporre opere, ma anche dove costruire spe�acolari giochi d’acqua con fontane, organi idraulici e automi. Quanto agli interni, nasce l’idea di avviare una collezione e alles�re uno studiolo. Francesco I nel suo studiolo decide di non nascondere tu� pezzi rari negli armadie�, ma di esporli per una più comoda visione. Paolo Giovio, al fine di stupire il pubblico, andò ben oltre il conce�o di studiolo e fece costruire una dimora per custodire le sue raccolte ar�s�che e che aveva nominato “museo”. Infine Francesco I decise di smantellare lo studiolo in favore della cos�tuzione di una tribuna nel cuore degli Uffizi, una primordiale galleria d'arte pubblica dovuta alla crescente a�razione esercitata dall'arte non solo sui nobili, ma anche su quelli che ad inizio secolo erano defini� viandan� e che adesso sosta volen�eri e a lungo davan� all'opera per poterla considerare. 5.2 LE COLLEZIONI DI OPERE D'ARTE E I COLLEZIONISTI -La circolazione delle opere d'arte Il mercato dell'arte era già florido all'inizio del secolo e des�nato a crescere ancora nel giro di poco tempo, come a�esta Durer nel suo diario di viaggio nel quale egli registrava i vari doni, scambi e vendite di disegni, pi�ure e incisioni. Per rendere note le opere dei grandi ar�s�, la stampa d'invenzione e di traduzione furono i veicoli privilegia�, che spesso però non risultavano abbastanza fedeli all’originale o addiri�ura reinterpretavano l'opera stessa. Insieme alle stampe troviamo i rotoli di disegni, facilmente trasportabili. Nonostante i cos� di trasporto e l’ingombro delle opere anche quelle più ingombran� riuscirono a circolare (ne è un esempio la “Fontana Pretoria” che fu smontata in cen�naia di pezzi e trasferita via mare da Firenze a Palermo). La circolazione delle opere andava dai piccoli ogge� o reper� an�chi alle grandi sculture che spesso viaggiavano via mare (sopra�u�o nel Mar Mediterraneo) e richiedeva molte precauzioni creando apprensione per ar�s� e compratori. Infa�, alcuni naufragi causarono irrimediabili perdite, come è avvenuto al cardinale Jean du Bellay. Le cor� in compe�zione tra loro si servivano di agen� per a�rarre ar�s� e procurarsi gli ogge� migliori. Questa crescita del mercato d’arte e preoccupò Firenze e l’enorme richiesta di an�chità, difficile da soddisfare, s�molò anche la produzione e il commercio delle opere moderne, che serviva a rimpiazzare le mancanze. Solo nel 600 a Firenze venne fa�o un primo tenta�vo di legislazione per la tutela del patrimonio: l’Accademia del Disegno riceve�e l’incarico di proibire l’esportazione delle opere di 18 grandi maestri fuori Firenze. -Collezioni e collezionis� esemplari La storia delle collezioni delle grandi cor� europee è stata ricostruita a�raverso gli inventari che sono ricchi di de�agli ed offrono informazioni riguardo alla costruzione delle opere e alla rete di relazioni tra acquis� e doni diploma�ci. Le collezioni divennero simbolo di potere e con lo sviluppo della le�eratura topografica crebbero le descrizioni di queste collezioni per portarle a conoscenza ed elogiarle pubblicamente. Con Vasari nasce la figura dell’ar�sta collezionista. Gli ar�s� riuscivano a raccogliere opere grazie allo scambio di doni con colleghi e amici tanto che alcuni riuscirono a costruire delle dimore dove esporre le proprie raccolte. Tra le più importan� non solo figurano quelle dei nobili, ma anche degli ar�s�-collezionis� come Vasari, Giulio Romani ecc. 5.3 L'OPERA D'ARTE E IL SUO PUBBLICO -Chi giudica l'arte? In Leonardo era già presente l'idea di cri�ca d'arte prima ancora che prendesse forma, ovvero di un'arte giudicabile da chiunque. Infa� egli non si concentrava solo sulla fase crea�va, ma anche sulla ricezione delle opere stesse. Il ruolo di primo giudice spe�ava però all’ar�sta. Leonardo raccomandava l’uso dello specchio, alternando i diversi pun� di vista per s�molare il pensiero cri�co specialmente riguardo alla costruzione prospe�ca o alle proporzioni delle figure. Dopodichè occorreva so�oporre l’opera al giudizio degli altri e Leonardo invitava il pi�ore a non so�oporsi a tale prova. Nella prassi però il giudizio del lavoro ul�mato era lasciato solo al commi�ente, la cui soddisfazione era il solo obie�vo dell'ar�sta. Spesso però il commi�ente chiedeva il parere di altri ar�s� per quan�ficare i compensi e valutare l’opera compiuta in qualità di esper�, che per convenienza o compe�zione potevano dare opinioni non obie�ve. Le cri�che vennero date anche alle stampe per veicolare l'opinione e puntare l'a�enzione sui dife�. Francesco Bocchi illustra l’evoluzione della cri�ca d’arte, ovvero la ricerca degli errori dell’ar�sta. Egli afferma che i giudizi umani si sono perfeziona� a tal punto che chiunque si sente in grado di esprimere il proprio giudizio sulle opere d’arte. In generale si ampliò il panorama di chi giudicava le opere e non tu� ne avevano le capacità, questo fu un aspe�o tra�ato da mol� ar�s� insieme alla reazione da tenere dinnanzi alla cri�ca. Acce�are la cri�ca di un ampio pubblico per poi apportare le correzioni rappresentava una grande prova di umiltà in contrasto con le nuove ambizioni di libertà degli ar�s�. Un esempio di tale situazione nasce a�orno alla figura di Michelangelo durante i suoi ritocchi sul David. Mol� per non incorrere in inu�li dispute preferirono il silenzio, a�eggiamento consigliato anche da Ligorio. -La nascita della cri�ca d'arte Pochi erano i veri intenditori di cri�ca d’arte, tu�avia Francisco de Holanda riconosce il primato agli italiani, so�olineando come fossero in grado di fornire delle osservazioni per�nen�. I maggiori esponen� della cri�ca d'arte Cinquecentesca sono Vasari e Pietro Are�no. Il primo con le Vite seppe introdurre giudizi tara�, il secondo si impose come cri�co u�lizzando il genere epistolare. Il loro contributo fu notevole e all'altezza della situazione visto anche il bagaglio di conoscenza dell'arte e del suo lessico specifico. Francisco de Holanda so�olinea infa� come siano pochi a potersi perme�ere e ad avere gli strumen� per parlare di arte rispe�o a quan� effe�vamente lo facessero. La crescente a�enzione per le ar� è a�estata dalla presenza di elenchi di opere e di ar�s�. Questo genere di liste è il più delle volte avare di commen�. Tra gli elenchi più rilevan� vi sono le liste di Francisco de Holanda. FONTI .1 LA FIGURA DELL’ARTISTA 1.. L’ARTISTA DIVINO • Il miracolato Parmigianino (Vasari) Nel corso del Rinascimento, il conce�o di miracolo legato all’opera d’arte subì una sorta di traslazione e tale conce�o venne associato anche al creatore dell’opera. L’opera quando eccellente viene considerata un miracolo che dona all’ar�sta un’aura divina, in quanto autore di un miracolo. Tale tema del miracolo è a�estato da un noto aneddoto vasariano: mentre i lanzichenecchi stanno saccheggiando Roma nel 1527 Parmigianino viene risparmiato in quanto sta lavorando alla Visione di San Girolamo (Londra Na�onal Gallery), des�nata alla cappella funebre del marito di Maria Bufolini. L’episodio è legato alla dimensione miracolosa dell’opera con un’allusione alla protezione della Vergine raffigurata da Parmigianino. Ma non è tanto il sogge�o del dipinto a lasciare gli intrusi interde�, quanto la bellezza del fare arte e dell’opera stessa. L’ar�sta dunque è aiutato, prote�o e schermato dal proprio talento. • Le piacevoli pazzie di Pippo (Vasari) Altro aneddoto vasariano riferito al Bacco (Museo Nazionale del Bargello) di Jacopo Sansovino, commissionato nel 1511. Racconta il comportamento del giovane Pippo che servì da modello a Sansovino. Durante l’elaborazione dell’opera il ragazzo abbandona la condizione umana fino a perdere il senno/ragione, stando nudo di fronte al lui per l’intera giornata. Immobile e muto, vuole trasformarsi in una vera e propria statua, come se lo scultore fosse uno stregone e avesse risucchiato l’energia vitale del giovane per trasme�erla al Bacco. Lo stare nudo o la troppa concentrazione nell’immedesimarsi nel Bacco, lo fece impazzire: salì sopra un te�o nudo e fece altre pazzie. La statua fu ritenuta la più bella del maestro. • La no�e della creazione (Cellini) L’a�o della creazione viene tema�zzato da un racconto di Cellini che descrive la dura realizzazione del Perseo, che fu un vero e proprio calvario: la bo�ega prese fuoco e rischiò di crollare tantoché Cellini si ammalò e fu costre�o a lasciare i collaboratori finire l’opera, i quali commisero un grave errore che compromise gli esi� della fusione. La fusione dell’opera venne salvata in extremis da Cellini e rappresenta una vera e propria risurrezione. • Risuscitare un morto (Vasari) Il topos della risurrezione di un’opera d’arte riuscita alla perfezione malgrado il materiale scarso o danneggiato, è significa�vo delle facoltà dell’ar�sta. Un famoso brano vasariano racconta l’aneddoto della realizzazione del David di Michelangelo scolpito in un marmo malconcio e morto. Il marmo gli venne ceduto pensando che qualsiasi cosa se ne facesse fosse meglio di come era rido�o in quel momento. Michelangelo riuscì a fare resuscitare un pezzo di marmo morto. • Il pi�ore demiurgo/creatore (Leonardo Da Vinci) Passaggio di Leonardo nel quale definisce la figura del pi�ore di un’aurea divina, un ar�sta demiturgo, ossia “signore e creatore” di “tu�e le cose che possono cadere in pensiero all’uomo”. Al pi�ore appar�ene da una parte uno sguardo sul mondo che abbraccia mari e mon� e dall’altra il potere di ricreare tu�o tramite il pennello. Da Vinci tocca la ques�one dell’ogge�o della natura, riconoscendo all’ar�sta la facoltà di res�tuire “ciò che è ne l’universo per essenzia, presenzia o immaginazione”. • Una mente divina (Leonardo Da Vinci) La natura divina del pi�ore ha la possibilità di generare qualsiasi cosa: animali, piante, fru�, paesi, campagne, mon� ecc… • Lo scultore “euphanatasiotos” e “catalep�kos” (Pomponio Gaurico) La posizione di Pomponio Gaurico presenta ambizioni intelle�ualizzan� per quanto riguarda lo scultore, ma senza a�ribuirgli una natura divina. Egli considera lo scultore alla pari del poeta e dell’oratore, capace di immaginare e di riprodurre un’infinità di situazioni, tu�e però avendo come sogge�o principale la rappresentazione dell’uomo. Il passo di Pomponio Gaurico illustra varie virtù, qualtà e competenze che deve avere lo scultore ideale secondo l’autore: Deve essere in grado di euphantasiotos, ossia capace di immaginare infini� aspe� di un individuo: sofferente, ridente, ammalato, moribondo, angosciato e così via… Capacità indispensabile anche ai poe� e agli oratori. Deve essere anche catalep�kos, ossia capace di accogliere ed imitare le forme ideali, concepite nella sua mente, di tu� i modelli che vorrà ritrarre. Lo scultore ha l’obbligo di cogliere le forme ideali di tu� i modelli per rappresentare l’uomoF 0 E 0 fine dello scultore. • Divino o messer? (Giovanni Alberto Albicante) Le�era di G.A. Albicante a Tiziano Vecellio sull’abuso degli appella�vi e sul rischio della loro banalizzazione (a�eggiamento �pico della società delle cor�), in cui difende l’uso dell’agge�vo “divino” per Tiziano ed è scri�o in risposta alle ingiurie di Pietro Are�no. Secondo G.A. Albicante Tiziano merita il nome divino. • Senza epiteto (Benede�o Varchi) Per Benede�o Varchi nessun epiteto si addice al caso eccezionale di Michelangelo. Nella frase tra�a dal proemio si rivolge a Michelangelo senza altro �tolo o nome alcuno in quanto non sa trovare nessun epiteto/ a�ributo che ne renda gius�zia. • Le lodi del poeta (Ludovico Ariosto) In questo canto dell’Orlando furioso, Ludovico Ariosto fornisce un elenco deli ar�s� del suo tempo: Leonardo, Mantegna, Bellino, Raffello, Tiziano… • La salma di Michelangelo (Vasari, Borghini, Giun�)
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