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il cinquecento: le fonti per la storia dell'arte, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

riassunto completo del 500: le fonti per la storia dell'arte.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica il cinquecento: le fonti per la storia dell'arte e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Leon Battista Alberti: i suoi scritti furono il punto di partenza per l’evoluzione della figura dell’artista. L’idea di partenza era che il pittore dovesse essere “uomo buono et dotto in buone lettere” e da ciò si formulò un piano programmatico dell’ascesa sociale e del riconoscimento della professione dell’artista. Si delineò una nuova conoscenza del fare arte. La figura dell’architetto: già nel ‘500 aveva assunto una certa importanza e sulle sue tracce si mossero anche i pittori e gli scultori. Le fonti di Vitruvio e Plinio il Vecchio, ebbero un impatto fondamentale perché da esse gli autori del ‘500 trassero spunto e forgiarono un nuovo modello culturale e comportamentale dell’artista. Dimostrare, rivendicare e difendere la figura dell’artista divenne una questione ricorrente nel ‘500; gli Dimostrare, rivendicare e difendere la figura dell’artista divenne una questione ricorrente nel ‘500; gli aspetti e le implicazioni delle fonti, riorganizzarono e riformularono sia la patica ch IL CINQUECENTO: LE FONTI PER LA STORIA DELL’ARTE Presentazione -> i testi antologizzati sono principalmente quelli che Julius von Schlosser (autore dei primi studi sulle fonti per la storia dell’arte) definisce “letteratura artistica”: trattati, narrazioni storiografiche, riflessioni estetiche e varie tipologie di commenti artistici. CAP. 1 LA FIGURA DELL’ARTISTA Il ‘500 è il secolo in cui si cercò di dimostrare, rivendicare e difendere la dignità dell’artista, sentimento che nasce grazie al settore dell’editoria che fece riscoprire le fonti antiche, come quelle di Vitruvio e Plinio il Vecchio, che ebbero un impatto fondamentale sugli autori del ‘500 dal quale trassero spunto per un nuovo modello culturale e comportamentale dell’artista. Queste fonti riorganizzarono e riformularono sia la pratica che la teoria artistica. Leon Battista Alberti: I suoi scritti furono il punto di partenza per l’evoluzione della figura dell’artista. L’idea di partenza era che il pittore dovesse essere “un uomo buono et dotto in buone lettere” e da ciò si formulò un piano programmatico dell’ascesa sociale e del riconoscimento la professione dell’artista. Si delineò una nuova conoscenza del fare arte. La figura dell’architetto: già nel 1500 aveva assunto una certa importanza e sulle sue tracce si mossero anche i pittori e gli scultori. 1.1 L’artista divino Gli artisti godettero sempre di certi privilegi, la vera forza consisteva nella propensione a rimettere in questione il confine tra finzione e realtà, riuscendo a suscitare meraviglia e fascino. Nel corso del rinascimento il concetto di miracolo legato all’opera d’arte subì una trasformazione, associata a chi la crea. L’opera viene considerata un miracolo che conferisce all’artista un’aura divina, perché appunto è autore di un miracolo. Culto dell’artista = all’artista viene conferita un’aurea divina in quanto le opere più belle venivano considerate miracolose. Ciò è dimostrato dagli epiteti di “divino” che Vasari soleva usare per Raffaello e Michelangelo. I temi peculiari che si ritrovano nelle opere sono: 1. Tema dell’icona miracolosa: racconto di Vasari sul Parmigianino, quando l’artista, durante il sacco di Roma, fu risparmiato dai lanzichenecchi rapiti dalla sua arte -> superiorità dell’arte rispetto alla guerra e libertà dell’artista. Quindi l’artista è protetto grazie al proprio talento. 2. Tema della creazione: Aneddoto su Sansovino che si ispira evidentemente a Pigmalione. Il modello Pippo mentre posa per il Bacco vorrebbe essere una statua. Sansovino risucchia la forza vitale dal modello per trasferirla alla scultura definita “miracolosissima”. 3. Tema della resurrezione: Aneddoto del Cellini sulla fusiolone del Perseo (fusione salvata in extremis) e aneddoto sul blocco di marmo cosiddetto “morto” utilizzato da Michelangelo per la realizzazione del David, da cui poi uscì qualcosa di meraviglioso. Altri aneddoti: • Leonardo: definisce la pittura come figlia della natura e nipote di Dio, artista = creatore di tutto ciò che può essere immaginato. (Guarico: scultore = poeta/oratore ma non può avere natura divina) Pomponio Gaurico presenta simili affermazioni per quanto riguarda lo scultore, ma senza natura divina (162). Egli considera lo scultore alla pari del poeta e dell’oratore, però avendo come soggetto principale la rappresentazione dell’uomo, criticando l’usanza di rappresentare fantasiose figure. Del termine “divino” il Vasari ne dosa l’impiego. Per Michelangelo e Raffaello sostiene che li chiama così, non errano. Da qui infatti ci sarà un messaggio da parte di Giovanni Alberto Albicante a Tiziano Vecellio sugli abusi degli appellativi, in cui difende il lecito uso dell’aggettivo divino. 1.2 il pittore nobile Paolo Pino disse “chi potrebbe distinguere un uomo da un pittore? Sono forse i pittori promessi da Iddio miracolosamente?” Il pittore Fabio ordisce nel Dialogo la sua idea di pittore perfetto, allontanandosi dall’aura divina, contrapponendosi alla tendenza di mitizzare l’artista. Il personaggio che ne emerge è quello del perfetto cortigiano. Da qui la questione della nobiltà dell’arte, della pittura soprattutto. Il perfetto cortigiano di Baldassarre Castiglione aveva il dovere di praticare il disegno, volendo imitare in ciò il modello educativo nobiliare dell’antica Grecia. Tutti gli autori seguenti ricordarono quanto l’arte della pittura fosse in quel tempo praticata dai nobili, sottolineando come fosse vietata ai servi. Per molti (tra cui Andra Gilio), la causa della decadenza era dovuta al fatto che essa fosse stata lasciata in mano a gente povera e ignorante. I pittori iniziano ad avviare il distacco dall’immagine artista – artigiano, Michelangelo si autodefinisce artista. In alcuni casi gli artisti hanno raggiunto il titolo nobiliare, come nel caso di Tiziano (diventato conte palatino dall’imperatore Carlo V) o Baccio bandinelli, anche se lui non godette della stima da parte dei contemporanei, già critici verso le sue opere. Tra i più importanti artisti nobili del ‘500 c’è Michelangelo, che in una lettura si dimostra interessato ad espandere il titolo nobiliare pure ai suoi familiari. Infatti chiese al nipote di comprare una residenza nobiliare così da distinguersi dagli altri artigiani. 1.3 Professione e formazione Nel ‘500 si assiste ad una progressiva rivoluzione del rapporto tra l’artista e la bottega. Si fece più ricorrente la nazione di libertà, che insieme a nobiltà e intelletto, si opponeva al concetto di bottega, fatica e servitù. Benvenuto Cellini scrisse un’opera significativa su quella che era l’aspirazione verso una nuova condizione sociale. Si rappresenta sia la tipica organizzazione di bottega, sia l’artista voglioso di studiare per conto proprio con libertà. (cosa che lui fa, svincolandosi dalle corporazioni). In quel periodo viene fondata a Firenze l’accademia del disegno, la prima che ha modificato i rapporti con le gilde. La nascita delle accademie di arte fu la svolta. Prima di queste, si ricorda la casa di Boscano come luogo di incontri tra i maggiori studiosi, poeti, artisti e musicista in città, tra cui Leonardo Da Vinci (183), e allo stesso genere appartengono le iniziative di Baccio Bandinelli a Firenze e Roma. Nel 1563 la prima accademia d’arte, con membro fondatore Vasari. L’iniziativa si concretizzò per volontà del frate Giovanni Angelo Montorsoli. Il primo evento celebrativo fu per la festa della Trinità del 1562. L’accademia permetteva in realtà di distinguersi e acquisire un certo titolo nobiliare. Non mancarono ovviamente le difficoltà. Ma comunque rimane importante per le opere e non per le dispute (come quella sulle esequie di Michelangelo). Definita come l’accademia del fare. L’Accademia contribuì a formare una nuova gerarchia del sistema delle arti: molte attività, in particolare l’oreficeria, prima tenuta di gran conto, andarono in secondo piano, per poi essere designate e discriminate come arti minori. Nel 1571 un decreto granducale di Cosimo I esonera i membri dell’accademia dalle corporazioni, questo provoca una gerarchizzazione delle arti. Differenze tra accademia e bottega: durata e preparazione. L’accademia ti da una formazione migliore, è più ampia e più veloce. Zuccari propone nell’accademia romana una dimensione più intellettualizzante, ma la proposta viene respinta perché troppo distante dalla visione della chiesa, ma nonostante ciò l’accademia romana diventerà un modello e i Carracci si ispirarono a questa per l’accademia bolognese. Lomazzo pensa che per chi ha il dono dell’arte sia indispensabile frequentare l’accademia per poterne canalizzare il talento, ma è inutile intraprendere questo percorso se non si ha il dono. 1.4 l’artista, la malinconia, il capriccio l’artista del rinascimento è isolato, eccentrico ed emancipato. Figura opposta all’accademia. argomenti specialistici.nel 1525 uscire primo volume di geometria euclidea in tedesco, immediato fu il successo europeo ma Michelangelo criticherà questi trattati perché troppo tecnici. - Un altro tentativo di elaborazione si deve allo scultore Vincenzo Danti: un progetto molto ampio, dove viene studiata l’anatomia e il movimento del corpo umano, con la forma prescelta monologica. Le illustrazioni e commenti chiesero un lavoro enorme, la quale furono il principale scoglio da superare. Nonostante tutto nel 500 nessuno pubblicò un vero trattato d’arte, con tavole illustrative. Per l’architettura invece esistevano già questi tipi di trattati. 2.2.2 il filone topografico Nel corso del secolo crebbe un altro tipo di discorso sull’arte, incentrato sulle opere, che vide spesso protagonisti letterati. Roma diventò una delle tappe fondamentali della formazione educativa degli artisti, trasformandosi anche in topos letterario all’interno delle loro biografie. Francesco Albertini diede ai torchi quella che è da considerare la prima guida artistica di Firenze. Oltre alla trattatistica (teorizzazione dell’arte) crebbe la lettura di viaggio con una forte componente topografica (riproduzioni scala), con le annesse guide di viaggio, su cosa vedere e fare a Roma o in altre città artistiche. 2.2.3 il genere biografico, tra vita e storia L’impresa scrittoria di Michiel occupa un posto a parte nelle fonti per la storia dell’arte. La classificazione per il luogo il carattere descrittivo degli appunti contenuti nell’autografo della notizia delle opere del disegno non riallacciano al filone topografico. Scrisse la vita di pittori e scultori antichi e moderni, che non si sta un po’ perché è probabilmente scoraggiato dalla torrentiniana di Vasari. Paolo Giovio fu il primo a pensare ad un progetto biografico “gli elogia”, testo andato per lo più perduto, ma rimangono solo biografie di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Nell’opera vasariana la storia era restituita dall’autore in chiave personale. Fu un vero e proprio monumento agli artisti, clamoroso anche per la scelta di voler conferire ai toscani il primato. Con il successo delle vite, egli si impose come scrittore e avviò molte scritture. La prima edizione del 1568, le vite è il genere biografico per eccellenza. Il titolo della prima edizione viene suggerito da Giovio che incoraggiava Vasari a dare più risalto alla scrittura rispetto che alle incisioni. Per Vasari la biografia in genere storico, quindi la storia come specchio della vita umana, dunque nacque così la prima storia dell’arte. La seconda edizione “le vite dei vivi” descrive la biografia degli artisti contemporanei, gli artisti francesi e delle Fiandre. È un progetto più internazionale che nasce con l’Accademia del disegno, sotto consiglio del letterato Borghini che curò le tavole, che mise in risalto la componente storiografica e topografica. Altri contemporanei seguirono l’esempio di Vasari come: Borghini che nella sua opera “il riposo” del 1584, è un’opera dialogica che tratta le conversazioni che spiegano differenza pittura e scultura avvenuti nella villa del collezionista e mecenate Vecchietti, si parla anche degli artisti minori come Brunelleschi. Condivi: Vita da Michelangelo – Van Mander: 1604 Shilderbook, libro della pittura – Cellini: primo a scrivere un’autobiografia. CAPITOLO 3 L’ARTE: TEORIE E MODELLI 3.1 definizione e dispute Il sistema delle arti e altri fondamentali teorici -> Durante il medioevo le differenti arti erano definite assecondo del lavoro e della loro precisa collocazione all’interno del sistema di classificazione delle varie discipline. C’era una rigida divisione tra arti intellettuali e arti meccaniche e la concezione del sapere era basata sul trivium e quadrivium. Fino ad allora la pittura, la scultura e l’architettura a causa del loro carattere più pratico che teorico, facevano parte delle arti meccaniche non conveniente all’uomo libero e nobile. La volontà di nobilitare le altre discipline venne ribadita per la prima volta da Leon Battista Alberti. Un ideale tripartizione era quella della circoscrizione, componimento ricevimento dei lumi. Pacioli, un matematico, lega la pittura alla proporzione e mette in discussione il quadrivum. DeBarberi aggiunge una posizione e ci inserì la pittura. Leonardo, invece, evidenzia la dimensione intellettuale nello studio della pittura, come parallelismo tra opera divina e opera pittorica. Paolo Pino dalla pittura un posto più rilevante, come un valore dell’oggetto dal punto di vista ontologico. Negli ultimi decenni del secolo, la crisi controriformisti che la polemica sulle immagini resero impellente l’interrogarsi sulla natura dell’effetto procurato dall’arte. Nel momento in cui la chiesa stava ridimensionando il ruolo del diletto considerato ore inutile, futile e moralmente negativo. Quindi inizialmente diletto ma dopo la controriforma utilità formativa. 3.1.2 Ut pcitura poesis -> ossia il parallelismo tra poesia e pittura, una delle più importanti e ricorrenti tematiche delle fonti cinquecentesche, è l’argomento di maggior successo letterario per elevare la pittura rango delle arti liberali. Tra arte pittorica e arte poetica si trattò anche di decidere a quale delle due assegnare il primato. All’interno di questo dibattito veniva spesso chiamati in causa la complessità della raffigurazione dell’invisibile, ovvero di quei concetti più astratti. Il binomio tra Tiziana e Pietro aretino fornire più significative prode dell’interdipendenza della complementarità tra poesia e pittura. 3.1.3 il paragone -> la disputa che più animò gli ambienti accademici fu la questione del paragone tra la pittura e la scultura. Per difendere il primato dell’una o dell’altra, vennero avanzati numerosi argomenti tramandati da un autore all’altro con delle varianti più o meno originali. Le principali tematiche del discorso riguardavano l’elenco delle difficoltà delle arti. I termini di paragone per mettere a confronto erano: difficoltà, durabilità e affaticamento fisico per realizzare le opere. Il momento culmine si raggiunse nel 1547, quando il tema soggetto di una specifica lezione tenuta da Benedetto varchi davanti all’Accademia fiorentina. Varchi aveva coinvolto i maggiori esperti in materia. Questo suscitò tanto clamore con un’immediata risposta da parte dei veneziani. Nel 1549 pubblicò uno scritto in forma epistolare, più sincero rispetto a quella dialogica, includendo le lettere dei vari artisti a riguardo. Dove l’autore rivendicava il primato dei toscani. Il dibattito si riaccese nel 1564 alla morte di Michelangelo. Oltre Cellini persino Vincenzo Borghini tratto l’argomento. Il tema del paragone è a lungo dibattuto nel 500, trattato anche nelle vite di Vasari, è ripreso nel seicento da Galileo e nel 900 da Claris. 3.2 evoluzione dei principali aspetti teorici Le parti dell’arte – il disegno tra segno grafico e operazione mentale Il dibattito sul paragone fu ad ogni modo uno stimolo per la teorizzazione delle arti: la nozione del disegno fu uno dei cardini fondamentali. Il disegno richiamava l’idea delle arti sorelle (pittura scultura) un concetto ribadito da molti. Questa fu una concezione espressa da Petrarca. Castiglione e Varchi sono d’accordo sul fatto che derivino dal disegno. Per Vasari invece la scultura e la pittura per il vero sono sorelle, nate da un padre che è il disegno. Cellini sostiene che il vero disegno non è altra cosa che l’ombra del rilievo, in modo che il rilievo viene ad essere il padre di tutti i disegni e l’origine del disegno era Dio. Il disegno definita come la componente elementare generatrice costituente delle forme di tutte le cose create, necessariamente presente in tutto e quindi all’origine anche della bellezza esteriore. (Anche Bandinelli la pensava così). Per Bandinelli queste fatiche erano tutto sommato un’imitazione scalmana del gesto divino, solo attraverso il disegno a mano libera il gesto poteva mantenere la sua spontaneità. Tutti questi concetti circolavano più fra i libri che fa le varie in realtà degli ambienti artistici. La versione più laica o meglio distaccata dalla spiritualità, è quella di Lomazzo. 3.2.1.2 il colore e la luce -> la questione del colore della luce risultava penalizzata: il colore fu giudicato come la terza e ultima parte dell’arte, trattato con maggiore superficialità. Le osservazioni di Vasari in merito alla Cappella Sistina sono di fondamentale importanza perché permettono di illustrare quel dibattito in corso tra disegni e varietà di tinte e ombre di colori. Il pensiero leonardesco fu diverso, assegnando un posto di primaria importanza al colore, conscio di quanto la luce fosse essenziale per far emergere volumi e pertanto il rilievo. colore e luce erano per Leonardo dei fenomeni interdipendenti. Fondamentali per lo sviluppo che diede al pensiero di Alberti sulla questione del chiaroscuro. Nell’ambito fiorentino il colore fu la terza è l’ultima parte dell’arte. Dai colori sfarzosi si prendono le distanze perché possono ammaliare i non esperti in arte. Le voci fuori dal cuore furono quelle di Leonardo per cui il colore era molto importante, che tramite il gioco di luce e ombra può far emergere i volumi e rilievi. E quello di Dolce e Pino della scuola veneta, dove per loro il colore era importante quanto il disegno che dava verosomiglianza e prospettiva. Per Lomazzo invece luce e colori erano importanti in quanto vettori emotivi. 3.2.1.3 l’espressione del movimento e delle passioni -> la sfida del 500 era quella di dare alle figure illusione del movimento. E approfondita indagine anatomiche condotte da Leonardo sulla fornivano l’occasione di un confronto con il modello antico, ma anche fra gli artisti. L’attività di restauro occupa molti scultori. 3.3.2 l’antico e la teoria architettonica – 3.3.2.1 i vitruiviani -> sullo studio dell’antico è importante il posto occupato dei 10 libri dell’architettura di Vitruvio. Il suo trattato rappresenta uno dei più interessanti casi di trasmissione culturale dovuto a una lunga tradizione manoscritta, costituita da annotazione o illustrazioni legate ogni periodo storico. Marco Vitruvio Pollone seconda metà del I secolo a.C. È un architetto e scrittore romano, il più famoso teorico dell’architettura, ed è un eccezionale esempio di trasmissione culturale dovuta la tradizione manoscritta Antonio da Sangallo (esponente dell’accademia dei virtuosi), fu tra i primi a cimentarsi nello stabilire una nuova teoria architettonica, includendo architetti e studiosi di livello interazionale. Attorno alle sue opere di architettura, ci furono varie traduzioni e commenti di artisti e filosofi. Il progetto dell’Accademia non raggiunse per i traguardi ambiti. Una valida traduzione volgare di Vitruvio è quella fatta tra Daniela e Barbara e Andrea palladio. Marco Vitruvio Pollione è stato un architetto e scrittore romano, attivo nella seconda metà del I secolo a.C., considerato il più famoso teorico dell'architettura di tutti i tempi. Il suo trattato De Architectura è stato il fondamento dell'architettura occidentale fino alla fine del XIX secolo. L'impianto dei fori e degli edifici pubblici circostanti nelle città romane, la costruzione delle basiliche, delle terme, dei teatri, dei portici, delle palestre, dei porti e delle case, trovano interessanti esemplificazioni e precisazioni in Vitruvio. Riguardo alla storia della decorazione pittorica parietale, fondamentale è il passo che illustra la successione dei vari stili decorativi, e significative le critiche alla moda delle decorazioni architettoniche fantasiose e astratte tipiche del suo tempo. Preziose le notizie sui materiali costruttivi e sulla tecnica dei muri, degli intonaci, degli stucchi, dei pavimenti, dei mosaici, sull'uso dei colori, oltre a molte altre di carattere antiquario. 3.3.2.2. imitare, adattare o reinventare l’antico -> il volume delle regole generali di architettura sopra le 5 maniere degli edifici, di Sebastiano Serlio, fu il primo trattato a diffondere il sistema di ordini architettonici. Regola tecnica per disegnare la voluta ionica vitruviana fu una delle grandi problematiche. Il successo di Serlio fu sconfinato. La chiara fama gli procurò qualche detrattore, come Francisco Holanda, paladino per l’antico, che denigra la libera interpretazione del testo vitruviano. Lomazzo al contrario definì Serlio come il principale colpevole della diffusione di architetti dilettanti e senza genio. Stabilire un sistema di norme fu una tappa fondamentale nel procedimento che mirava prima ad assimilare il modello antico, per poi superarlo. L'idea di una licenza che superasse la regola era molto chiara del resto anche a Wender Dietterlin, autore di curiose interpretazioni antropomorfe. Palladio reinterpretò l’antico sulla base delle esigenze sociali del nuovo tempo. Ad esempio l’ideale di villa classica come luogo in contrapposizione con la vita cittadina che portò molti veneziani a trasferirsi sulla terraferma portando alla costruzione di ville palladiane. Pietro Aretino non riteneva gli architetti e i committenti in grado di rappresentare la grandezza dell’epoca classica. Si prestò molta attenzione ai templi, i teatri, le basiliche, la città è, in ambito privato, alle Ville. L'ideale della villa classica portava con sé un modello di vita rurale civilizzata, luogo dove coltivare, in armonia con la natura, l’ozio e i poderi della campagna. 3.3.3 grandi temi all’antica – 3.3.3.1 le entrate trionfali -> tra gli eventi di rilievo, si devono senz'altro ricordare l'arrivo a Firenze di Papa Leone X, nel 1515, e il Trionfale percorso italiano dell'imperatore Carlo V, al suo rientro da Tunisi nel 1536. Tali feste furono importanti tanto per le implicazioni politiche quanto per l'ampiezza degli apparati effimeri realizzati con carri e Archi trionfali. La volontà di imitare gli antichi trionfi era evidente: l'ingresso di Carlo Quinto a Roma è poi un'occasione a sé, unica per rievocare i riti imperiali, attraverso gli archi trionfali antichi. La memoria di tali eventi era affidata a svariate tipologie testuali, come cronache, diari, carteggi, relazioni ufficiale. L’avvento della Stampa poi stimolò la pratica delle descrizioni ufficiali. Al momento della preparazione degli apparati per le nozze di Giovanna d'Austria e Francesco de’ Medici del 1565, Vincenzo Borghini studiò con scrupolo I precedenti modelli utilizzati. 3.3.3.2 le grottesche -> le decorazioni pittoriche parietali grottesche hanno in sé questioni teoriche cinquecentesche. Serlio le definì come pitture in cui l’artista poteva dar libero sfogo alla propria fantasia. Un particolare tipo di decorazione pittorica parietale che affonda le sue radici nella pittura romana di epoca augustea e che fu riscoperto e reso popolare a partire dalla fine del ‘400. Raffigurazione di esseri ibridi e mostruosi -> spesso i soggetti sono molto piccoli e colorati e si fondono in decorazioni geometriche e naturalistiche (danno origini a cornici, effetti geometrici o intrecci) su uno sfondo monocromo. All’inizio vengono considerate positivamente, sono comode per la licenza artistica. Con il dictum horati, nasce il bisogno di determinare il limite dell’immaginazione del falso e del verosimile. In generale molti ritenevano più valide le grottesche realizzate in stucco. Vasari definisce questo tipo di pitture ridicole. Ligorio sfatò il mito che si dovevano trovare nei sotteranei, ma che si trovavano anche nelle stanze più luminose. Lomazzo raccomanda di eseguirle solo sui soffitti. CAPITOLO 4 L’INVENZIONA TRA REGOLA E LICENZA -> Per Leon Battista Alberti l’invenzione era da intendersi come “componimento” e “circoscrizione”, per Lomazzo si sarebbe sovrapposta al concetto di idea. Progettazione dell’opera collaborano filosofi e/o letterati rendono sempre più complesso e ricco di significati il componimento. Durante la controriforma tentò una controtendenza, chiedendo di semplificare a favore di una maggior chiarezza e di un linguaggio fruibile a tutti le opere di arta sacra. 4.1 verso una scienza dell’immagine – 4.1.1 l’artista, l’erudito e il committente Alberti raccomandava al pittore di avvalersi della collaborazione di un letterato, poiché generalmente il pittore non riceveva una vera e propria formazione umanistica. L’invenzione venne considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’attività lavorativa dell’artista. La base del processo produttivo si basa sulla triade: committente – erudito – artista. Il committente ordinava e finanziava l’opera, poteva dare indicazioni specifiche sull’iconografia. L’erudito è il responsabile dell’invenzione e garante della validità del progetto dal punto di vista iconografico. Per Alberti era una disciplina a cavallo tra arte e letteratura. L’artista elaborava il componimento nella sua globalità secondo le linee guida del committente e dell’erudito. Di questo rapporto tra artisti ed eruditi sono rimaste poche testimonianze e occorre rivolgersi alla documentazione epistolare. Tra le rare testimonianze, ricordiamo la famosa lettera scritta da Isabella D’Este a Perugino nel 1505, per la commissione di un quadro allegorico per il suo studiolo. In questa lettera ritroviamo tutte le peculiari richieste della marchesa a cui il pittore doveva fedelmente attenersi. Il Perugino poteva intervenire solo eliminando alcuni elementi della storia giudicati troppo abbondanti. Pare che Michelangelo abbia avuto carta bianca per decorare la Cappella Sistina, ma ciò non esclude la presenza dell’erudito. Lo stesso Raffaello era solito mantenere rapporti stretti con un gruppo di eminenti eruditi. I rapporti tra artisti ed eruditi erano talvolta complessi, vincolanti, conflittuali, talaltra collaborativi, amichevoli. Di particolare rilievo risulta una lettera di Borghini in risposta alle richieste del Vasari riguardo al cantiere delle cappelle vaticane. Dalle parole del Borghini s’intuisce come egli costituisse per il pittore un insostituibile punto di riferimento. Ma il priore lo invitava a rivolgersi anche ad altre persone, raccomandando di rifarsi ai grandi maestri dell’Antichità. Il talento dell’artista si esprimeva anche attraverso la personale capacità di rintracciare presso i letterati del suo tempo le migliori e più appropriate indicazioni per comporre le proprie invenzioni. Un’altra interessante lettera è quella che Vasari indirizza ad Annibal Caro, in relazione alle invenzioni per le figure allegoriche dei mesi che doveva eseguire nel palazzo di Bindo Altoviti. Giunto il tempo della conclusione dei lavori e non avendo ancora idee precise, sollecita Cari a trasmettergli rapidamente dei soggetti. Caro gli risponde citando uno estratto scritto, concernente proprio i 12 mesi dell’anno, dicendo di averlo prestato ad altri. Infatti gli eruditi, una volta elaborata un’invenzione per una determinata destinazione, dovevano tenerne una copia, per poi utilizzarla in seguito all’occasione giusta, stimolando facili reimpieghi. Alberti consiglia all’artista di creare una serena collaborazione con l’erudito, come Vasari con Borghini e altri. 4.1.2 invenzione: tra arte e lettere Il limite tra il ruolo dell’artista e dell’euridito nella fase di invenzione è labile. (non stabile) La lunga lettera di Annibal Caro resta uno dei documenti più famosi. Da ricordare allo stesso modo la lettera a Cosimo I de’Medici, nella quale Vincenzo Borghini riferisce dell’articolato apparato per le nozze del figlio Francesco, nel 1565. Sono inoltre molto rilevanti i fitti scambi epistolari tra Vasari, Bartoli e Borghini, per l’elaborazione delle decorazioni di Palazzo Vecchio. Appare difficile alle volte stabilire il confine tra operato dell’artista e operato dell’erudito. Eccessive ingerenze da parte dei letterati mal tollerate dagli artisti. Es. il rifiuto da parte di Bellini di sottostare alle indicazioni di Isabella D'Este. Spesso gli artisti facevano ricorso alla loro libertà, Durante il ‘500 ci furono dibattiti sullo scopo dell’arte, sul ruolo dell’arte sacra e sul fruitore dell’opera. Si iniziò ad utilizzare il termine “spettatore” anche per le arti visive che si stavano decisamente teatralizzando. 5.1 conservare ed esporre le opere d’arte -> Nel 1504 a Firenze, si discute della collocazione del David di Michelangelo, il pubblico ampio e distratto della piazza viene definito “viandante” e non “riguardante”. Anche se nel ‘500 la rivoluzione in merito alla considerazione dello spettatore comune, e a fine secolo si avrà l’apertura delle gallerie pubbliche. L’attenzione per la decorazione dei luoghi pubblici fa crescere anche quella per i luoghi privati (interni e giardini). Francesco I decise di esporre tutti i pezzi rari nel suo studiolo per renderli pubblici. Studiolo che venne smantellato per costruire una tribuna negli uffizi. Giovo fece costruire una dimora per far vedere le sue raccolte artistiche. Ci fu una crescente attenzione esercita dall’arte non solo sui nobili, ma anche su quelli che ad inizio secolo erano definiti viandanti e che adesso sostano ben volentieri davanti all’opera per poterla considerare. 5.2 le collezioni delle opere d’arte -> ad inizio ‘500 c’è un mercato già florido che durante il secolo crescerà ancora. La stampa d’invenzione è un mezzo privilegiato per portare a conoscenza delle nuove opere. Le traduzioni però potevano essere inesatte o reinterpretate. la circolazione di ogni tipo di opera come: piccoli oggetti, reperti antichi, grandi sculture (viaggiano per mare con apprensione di artisti e committenti). Le corti in competizione tra loro si servivano di agenti per attrarre artisti e procurarsi gli oggetti migliori. È incessante lo scambio di antichità che stimolò la produzione moderna che serviva a rimpiazzare le mancanze. Nel ‘600 a Firenze ci fu il primo tentativo di legislazione per la tutela del patrimonio. Collezioni e collezionisti esemplari -> le collezioni sono simbolo di potere, con lo sviluppo della letteratura topografica crebbero le descrizioni di queste collezioni per portarle a conoscenza ed elogiarle pubblicamente. Tra le più importanti non solo figurano quelle nobili, ma anche degli artisti-collezionisti come Vasari. 5.3 l’opera d’arte e il suo pubblico -> chi giudica l’arte? L’arte di Leonardo è un’arte giudicabile da chiunque, questa è un’idea di critica d’arte prima ancora che prenda forma. In realtà, il giudizio era rimesso solo al committente, la cui soddisfazione era il solo obiettivo dell’artista. Il committente poteva richiedere anche il parere di altri artisti, che non sempre davano opinioni obiettive. Le critiche venivano date anche alla stampa per veicolarne l’attenzione sui difetti. In generale si ampliò il panorama di chi giudicava le opere e non tutti ne avevano le capacità, questo è un aspetto trattato da molti artisti insieme alla reazione da tenere davanti alla critica. Ligorio consigliò il silenzio per non incorrere in inutili dispute. La nascita della critica d’arte -> nel ‘500 i maggiori critici sono Vasari e Aretino, hanno una conoscenza dell’arte e un lessico specifico. Vasari con “le vite” introduce giudizi tarati. Aretino invece, si impose come critico con il genere epistolare. Francisco de Holanda sottolinea come siano in pochi che possono permettersi di elevarsi a critici dell’arte, c’è bisogno di strumenti per farlo.
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