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il Cinquecento, Maffei, Schemi e mappe concettuali di Arte

riassunto dettagliato per esame Maffei da NF, valido per 21/22, 22/23 voto esame: 30

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 22/02/2023

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maryy-mary 🇮🇹

4.6

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Scarica il Cinquecento, Maffei e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Arte solo su Docsity! Il Cinquecento, per esame Maffei Presentazione La fonte primaria della storia dell’arte sono le opere d’arte stesse, con la loro capacità di suscitare emozioni e mettere in moto l’immaginazione, oltre che di stimolare domande ed esigenze di approfondimento. Per dare risposta a queste domande, oltre alle immagini occorre attingere a fonti “secondarie”, ossia le fonti scritte che l’attività artistica ha generato. “Le fonti per la storia dell’arte” offre uno strumento di studio e di consultazione. Capitolo 1: la figura dell’artista Gli scritti di Leon Battista Alberti (1404-1472) sono il punto di partenza della figura dell’artista. Alberti diceva che il pittore doveva essere uomo buono e colto in lettere, formulando così il piano dell’ascesa sociale e del riconoscimento della professione dell’artista. La figura dell’architetto aveva già assunto un notevole spessore e quella del pittore e dello scultore si mossero di conseguenza. Ebbero notevole impatto anche le fonti antiche, riscoperte e ristudiate (Vitruvio e Plinio il Vecchio), dalle quali gli autori del ‘500 trassero spunti e forgiarono un nuovo modello culturale e comportamentale dell’artista. Dimostrare, rivendicare e difendere la dignità della professione artistica fu tra le questioni più ricorrenti nella trattatistica del periodo. Anche durante il Medioevo gli artisti godettero sempre di privilegi e furono spesso collocati all’apice della struttura gerarchica dei mestieri. La loro vera forza stava nel riuscire a rimettere in questione il confine tra finzione e realtà in modo da suscitare meraviglia e stupore nello spettatore. Alberti riconosce che “la pittura ha forza divina”, rende quasi vivi li uomini morti da secoli. Nel corso del rinascimento, l’opera, quando eccellente, viene considerata un miracolo che conferisce all’artista un’aura divina, proprio perché autore di un miracolo. Il tema dell’icona miracolosa tende a evolvere in topos letterario durante il ‘500, Si formò in breve tempo una nuova coscienza dell’essere artista. 2 topos letterari: • L’icona miracolosa= Nel Rinascimento, appunto, l’opera eccellente è considerata un miracolo e all’artista è conferita un’aurea divina come si evince dal racconto di Vasari sul Parmigianino, quando l’artista, durante il sacco di Roma (1527), fu risparmiato dai lanzichenecchi rapiti dalla sua arte. Il messaggio di questo aneddoto è quello della superiorità dell’arte rispetto alla guerra e della libertà dell’artista rispetto al potere. L’artista è aiutato, protetto e schermato dal proprio talento. • Tema della creazione= Aneddoto sul Bacco di Sansovino, Durante l’elaborazione dell’opera, il modello abbandona la condizione umana fino a perdere il sennò: diviene immobile e muto e desidera tramutarsi in statua. Come se lo scultore, da vero stregone, avesse trasferito l’energia vitale del giovane nel suo Bacco, ormai “simile alla carne”. Nel rinascimento si indagò la figura dell’artefice che assunse sempre più spessore nei testi scritti, mentre nel contesto lavorativo ciò accadde con un po’ di ritardo. Si formò una nuova coscienza dell’essere artista, quello dell’artista demiurgo. Da questi temi appare chiaro come l’artista sia accostato alla divinità, si parla infatti di culto dell’artista. • Leonardo da Vinci, Per Leonardo l’arte è figlia della natura e nipote di Dio e l’artista è signore e creatore di tutto ciò che può essere immaginato. Leonardo delinea un’immagine dell’artista come signore e creatore di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’uomo. Al pittore quindi appartene uno sguardo privilegiato sul mondo ed il potere di ricreare tutto. definisce il dio-artista (o artista-creatore) come “creatore di tutto ciò che l’uomo può pensare”. NB: artista demiurgo = dio-artista / artista-creatore • Pomponio gaurico, lo scultore è al pari di un poeta o di un oratore, ma non ha natura divina. Considera lo scultore alla pari del poeta e dell’oratore, capace quindi di immaginare e di riprodurre un’infinità di situazioni, tutte avendo come soggetto la rappresentazione dell’uomo; all’immaginazione e alla creazione dell’artista, pone il vincolo della realtà, criticando l’usanza di rappresentare fantasiose figure. 1. Francisco de Holanda sostenne che la questione della divinità fosse una caratteristica primordiale dell’essere artsta ideale il quale perseguirà il nome del divino nella pittura con stimoli che gli richiederà il divino ingegno. l’appellativo “divino” restava accessibile a pochi. 2. in Vite di Vasari il concetto di divino viene associato a spirito, ingegno o intelletto 3. Risalente al concetto di arti fattive esposto da Benedetto Varchi nel 1547. 1571 Cosimo I libera i membri dell’accademia dal vincolo delle corporazioni, quindi non furono più costretti a pagare una tassa per le vecchie corporazioni. Questo portò al distacco dell’architettura, la scultura e la pittura dalle gilde dove erano affiancate da discipline connesse contribuendo a formare una gerarchizzazione delle arti: una delle attività artistiche fino ad allora di maggior spicco come l’oreficeria diventa “arte minore” creando liti tra pittori e doratori. Ne siamo a conoscenza tramite la testimonianza del Paggi che si oppone alla parificazione a Genova tra pittori e doratori proposta nel 1590. Le differenze sostanziali tra accademia e bottega sono la durata e la preparazione offerta. L’insegnamento in accademia era volto ad una formazione migliore, più ampia e più veloce in modo che si ottenessero in poco tempo dei giovani talenti. La questione dell’insegnamento varia con le accademie in quanto la trasmissione del sapere tramite l’insegnamento tradizionale in bottega con un solo maestro non poteva dare buoni risultati. Si cerca, quindi, di adottare nuove metodologie che si scontrarono la dimensione del genio. • L’accademia romana divenne comunque un punto di riferimento per tutti gli artisti e a questa si ispirarono i Carracci per la loro accademia bolognese. • Per Paolo Lomazzo lo studio è vano per chi non è nato pittore ma è indispensabile per chi questo dono lo aveva, il “furioso naturale” e poteva canalizzare il talento nella giusta direzione solo attraverso la frequentazione dell’accademia. • Mantenere lo stato d’eccellenza raggiunto era, comunque, la principale preoccupazione e motivazione dei fondatori delle accademie. L’artista, la malinconia e il capriccio La figura dell’artista coltivata in accademia era quella del perfetto cortigiano. Ma nel Rinascimento si era fatta spazio l’idea di un artista isolato ed eccentrico, in difficoltà con se stesso e con gli altri. In opposizione all’artista accademico, ossia l’artista ben inserito a corte e in società, c’era la figura dell’artista isolato ed eccentrico, comparsa durante il Rinascimento, spesso in difficoltò con sé stesso e con gli altri. Leonardo consigliava di disegnare in compagnia per favorire l’emulazione e l’invidia ma per lui erano fondamentali i momenti di raccoglimento in solitudine, poiché propiziatori. Ciò che l’artista, per Leonardo, doveva fare era trovare un equilibrio tra isolamento ed emarginazione. Michelangelo definì la sua concessione di tempo libero come malinconia, che veniva accostata alla follia. Torquato Tasso parla della malinconia in un suo scritto affermando che essa tiene distratta la mente con pensieri, visioni e fantasmi in un continuo flusso di immagini astratte, giocando sulla confusione tra realtà e finzione. Romano Alberti formulò una visione della malinconia dicendo che per lui era fondamentale per l’esperienza artistica , per fare quello sforzo di memoria necessario per imitare la natura, dunque la realtà e non l’immaginazione. Tesi perfettamente in linea con la controriforma. Ma Tasso giocava sulla confusione tra reale e finzione, mentre l’Alberti formulò una visione della malinconia ancorata al mondo reale: restrinse il campo della pittura a “ciò che si può vedere”, eliminando il ruolo dell’immaginazione. Vasari inserisce nella sua letteratura alcuni richiami alla malinconia, celandoli dietro altri tipi di malessere (es. eccessivo caldo). Per lui la malinconia è simbolo di irresolutezza e la bizzarria, l’eccentricità sono altre facce della malinconia e quindi da condannare. L’artista modello post tridentino è Raffaello, che è in contrapposizione con la malinconia. Il primo rappresentante dell’altro ideale di artista, ossia un gentiluomo virtuoso, socievole e dinamico. La malinconia fu a volte anche coinvolta in merito a problemi di tutt’altro genere. Raffaello, indaffarato in Vaticano e incurante dei richiami di Alfonso d’Este, la usa come scusante e giustificazione del non aver ancora compiuto l’opera. L’artista e il lavoro L’artista del ‘500 fu impegnato nel giostrare i delicati rapporti con i committenti e si serve della rete di contatti con gli altri artisti per trovare nuovi lavori. I rapporti con essi erano complessi. L’artista doveva dimostrarsi uno scaltro diplomatico se intendeva ambire agli incarichi più prestigiosi, nonché un abile gestore dei propri beni se voleva assicurarsi un’esistenza più serena e stabile. È raro il rifiuto di fronte alle lusinghe dei committenti, come accadde ad Alfonso I d’Este, desideroso di ottenere un’opera da Raffaello per completare la propria collezione. La vicenda durò 3 anni e lo scambi epistolare tra il duca e il mediatore di Roma mostra quanto un artista di quel calibro potesse permettersi di trascurare committenze non gradite. Le fonti ci portano a sottolineare come la rete di relazioni tra gli artisti fosse importante per la ricerca di incarichi di lavoro, come la richiesta d’aiuto di Sebastiano del Piombo a Michelangelo dopo la morte di Raffaello. Sebastiano scrive a Michelangelo perché aspira ad essere uno degli artisti a lavorare nei Cantieri ai Palazzi Vaticani. Nelle fonti è anche ricorrente la questione dei compensi. I carteggi offrono informazioni sul rapporto degli artisti ed il denaro. Certi documenti sottolineano l’avidità di alcuni di loro, come nel caso del vecchio Tiziano, che sollecitava continuamente Filippo II; nell’ottica opposta, tali scritti possono anche essere intesi come testimonianze di mecenati poco magnanimi. I committenti consapevoli del proprio potere decisionale, stimolavano la competizione tra artisti per selezionare i candidati a cui assegnare i lavori, consapevoli di avere il coltello dalla parte del manico sul fronte del denaro. Il clima di competizione raggiunse vette altissime in alcuni contesti tanto che in occasione dei grandi concorsi erano comuni risse e gelosie. Un episodio significativo che mostra come la gelosia e la competizione influì sulla collaborazione tra artisti ci viene da Benvenuto Cellini che si lamenta in un passo di non riuscire a trovare dei collaboratori per realizzare dei lavori ed è convinto che la principale causa sia l’invidia dello scultore ufficiale del duca, Baccio Bandinelli. In più, il gruppo formatosi alla corte medicea negli anni 40 del 500 viene definita da Vasari come una setta, utilizzando un tale termine di eccezione negativa in senso di fazione avversa, di ostacolo e di impedimenti alla personale carriera. In antitesi a queste sette, Vasari colloca l’esempio di Raffaello ed i suoi collaboratori dipinti come un’isola felice in quella corte romana dove la competizione non risparmiava nessuno. Secondo quanto racconta Vasari, l’unico ambiente privo di questa maligna competizione era il gruppo di Raffaello. Infondo, Raffaello era il modello esemplare su cui Vasari e collaboratori volevano fondare l’Accademia del disegno, concepita come modello di inclusione. Raffaello: modello di un lavoro collegiale ben gestito, rispettando la giusta tempistica e soddisfacendo la fretta dei committenti. Michelangelo e Pontormo lavoravano invece diversamente. linguaggio artistico. Come scrivere d’arte? Vi fu una contrapposizione tra i trattati d’arte di forma monologica e quelli dialogici Due tipi di trattati: 1. forma monologica: criticati per trasmettere una teoria troppo scientifica e tecnica 2. dialogici: criticati per avere una teorizzazione troppo letteraria In realtà le sperimentazioni cinquecentesche furono molto più ampie: -Leonardo: Attuò il più ampio progetto dell’inizio del Cinquecento. Tutti gli studi condotti dall'artista, disegni e annotazioni venivano da lui rielaborati in vista di una loro circolazione. L'esistenza dei lettori è testimoniata da uno dei suoi scritti in cui svela il proprio modus operandi , la pratica della riscrittura, confessando le sue difficoltà di fronte ad un’interminabile impresa di tipo enciclopedico. Uno dei più importanti tentativi di rielaborazione iniziato da Leonardo e conclusa da Francesco Melzi, allievo ed amico, negli anni Quaranta del Cinquecento, è il “Libro di pittura” , un codice del fondo Urbinate della Biblioteca Vaticana. Deceduto il Melzi, nel 1570, dopo aver conquistato grande notorietà, ebbe inizio la storia della dispersione dei manoscritti. Altri trattati che vengono pubblicati negli anni 20 del 500 sono: Albrecht Durer: probabilmente stimolato dagli esempi leonardeschi si era lanciato nel 1507 in una teorizzazione della pittura. Nel trattato un posto di prim’ordine lo aveva la questione legata alla formazione del giovane pittore che doveva essere costruita su severi precetti morali. Per portare a termine la sua opera, preso da tanti impegni, ci mise molti anni : un tempo che dovette servire a rielaborare il proprio pensiero ma anche ad individuare la forma definitiva da dare alle stampe che alla fine Fu quella basata su un approccio incentrato più su argomenti specialistici. In primis matematica e geometria Cosi le 1525 uscì il suo primo volume di geometria euclidea in tedesco che illustrava i metodi di misurazione. Seguì nel 1527 un trattato sulle fortificazioni Nel 1528 un importante volume sulle proporzioni del corpo umano, stampato post- mortem. Michelangelo non apprezzava il lavoro di Durer perché sosteneva che seguendo le sue direttive si ricavassero solo figure “ritte come pali”. -Michelangelo: aveva in progetto un trattato incentrato sull'anatomia e il movimento del corpo umano, ma in realtà il maestro si mostra sempre più riluttante alla trasmissione scritta del proprio sapere, sepppur molti lo ritenessero un dovere, visti gli straordinari livelli da lui raggiunti. Fu il Condivi ad occuparsi della sua biografia. Un altro tentativo di elaborazione di una teoria legata ai precetti michelangioleschi si deve allo scultore Vincenzo Danti; anatomia, movimento del corpo umano e linee sono gli argomenti studiati e la forma prescelta fu quella monologica, insistendo sullo stretto rapporto tra testo ed immagine. Il grande assente del ‘500 fu quindi un trattato comprensivo di una dettagliata anatomia artistica, cardine del “matrimonio” fra arte e scienza, frutto della conoscenza del corpo umano e delle indagini a scopo di scoprirne la meccanica motoria, che avrebbe concretizzato il progetto di Leonardo e fornito una risposta a Durer. Il Filone Topografico Nel corso del secolo, in parallelo alla trattatistica rivolta alla teorizzazione dell’arte, crebbe anche il discorso incentrato sulle opere, con una forte componente topografica (riproduzioni in scala) che vide spesso come protagonisti i letterati. Con l’aumento delle descrizioni geografiche scritte dagli esploratori, si moltiplicò anche il genere delle descrizioni cittadine, gettando le basi per lo sviluppo di un nuovo settore editoriale, quello delle guide da viaggio. Di pari passo crescono anche le guide artistiche per far conoscere le bellezze delle opere presenti nelle città. Guide artistiche sono quelle di: 1. Gilles Corrozet, elencò le belle cose da far conoscere di Parigi 2. Pietro Summonte scrisse una lettera per riepilogare lo stato dell’arte di Napoli 3. Albertini scrisse la prima guida artistica di Firenze Il genere della guida storico artistica giunse a maturità nei due ultimi decenni del secolo in un periodo in cui si era ormai affermata la figura del viaggiatore forestiero e amatore d’arte. Il Genere Biografico, tra vita e storia Michiel scrisse Notizia delle opere del disegno, dove classificò per luogo e descrisse le opere. Ciò lo riallaccia al filone topografico, ma il metodo investigativo scelto, basato sulla raccolta di dati e visite di persona, indica un’ambizione storicizzante di tutt’altro spessore. Furono le Vite di Vasari a scoraggiare Michiel, che decise di non ultimare il proprio lavoro. Giovio aveva intrapreso la redazione degli Elogia, biografie destinate ad accompagnare la rassegna di ritratti collezionati nel museo allestito nella sua dimora. Di questo progetto sono superstiti solo le biografie di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Nella biografia di Michelangelo e Raffaello, l’autore fornisce un quadro degli ambienti artistici attorno a queste figure, ricordandone allievi e rivali: nelle sue osservazioni critiche erano già presenti concetti che avrebbero avuto una lunga fortuna, Il progetto di Giovio pareva precedere quello del Vasari, il quale in un passo de “Vite" spiega che l’idea sarebbe nata sotto suggerimento di Paolo Giovio. Nelle Vite Vasari dichiarò la biografia come genere storico. Nacque così la prima storia dell’arte. Con il successo delle Vite, Vasari si impose come scrittore. Dopo la prima edizione delle Vite, Vasari iniziò altri cantieri di scrittura tra cui un dialogo con Michelangelo, tutti accantonati per la nuova edizione delle Vite a cui aggiunse le biografie degli artisti ancora in vita : “Le vite de’ vivi”. La nuova edizione delle Vite, stampata nel 1568, si fece subito testimone di sia di una revisione sul mito michelangiolesco sia dei notevoli cambiamenti politici e spirituali. Si spinse poi oltre i confini toscani e italiani, interessandosi anche ad artisti francesi e fiamminghi, in linea con l’ideale dell’Accademia del Disegno, aperta ad artisti di ogni nazione. Niente era assente, e il suo scopo era quello di insegnare la storia dell’arte. Vasari considerava la biografia un genere storico a tutti gli effetti, in quanto per lui la storia era “specchio della vita umana”. Le Vite fu per i contemporanei spiazzante, perché audace, esauriente e vasta, inglobava storia, teoria, topografie, biografie e materiali.. Non mancarono le reazioni tese a correggere e/o completare il suo lavoro. Si dovette aspettare lo Schilderbock di van Mander (1604), per avere un’opera paragonabile alle Vite, che colmò le lacune vasariane sugli artisti fiamminghi e tedeschi. L’opera di Vasari era ricollegata al genere storiografico dei commentari, infatti viene definito commentario da Annibal Caro, uno dei revisori. Nei commentari la storia era restituita dall’autore in chiave personale. Il culmine si ha quando Benedetto Varchi tiene una lezione davanti all’Accademia del disegno, Furono coinvolti i maggiori esperti in materia presenti a Firenze, suscitando agitazione tra loro. Generò un immediata risposta da parte dei veneziani (pittura). Da Firenze e da Roma avevano risposto per scritto Vasari Bronzino e Pontormo (pittura), Tribolo e Cellini (scultura) e Michelangelo. Il dibattito si riaccese dopo la morte di Michelangelo nel 1564. E la questione del paragone ebbe il suo spazio all’interno delle Vite di Vasari. Le Parti Dell’arte Il dibattito sul Paragone stimolò la teorizzazione delle arti La teorizzazione dell’arte vede come uno dei punti principali di discussione il concetto del disegno, che permette di unire sotto un’unica bandiera tutte le arti che prima erano separate. Il disegno richiama l’idea delle arti sorelle, un concetto per mettere pittura e scultura sullo stesso gradino. Ciò era già implicito nel termine greco graphein, che racchiude in sé l’insieme delle attività grafiche: scrittura, disegno e pittura. Benedetto Varchi affermò che il disegno è l’origine, la fonte e la madre di ambe due loro. Anche Vasari si pronuncia sul disegno e sulle arti sorelle dicendo che scultura e pittura sono sorelle aventi un unico padre che è il disegno. Si raggiunse la definizione di disegno come origine universale di tutte le arti. Definito come la componente elementare generatrice della forma di tutte le cose create e all’origine della bellezza esteriore. Il Colore e La Luce La questione del colore e della luce risulta penalizzata rispetto a quella del disegno. Il colore fu giudicato come una terza parte dell’arte e quindi meno rilevante e trattato con superficialità. Cellini dice che una delle principali ragioni dell’inferiorità della pittura sulla scultura è da attribuire al colore. Ma alla fine tutti prendono le distanze dalla tematica del colore. Papa Sisto IV venne ritenuto poco intendente d’arte perché avrebbe apprezzato i colori delle pitture nella Cappella Sistina, che la maestranza dei pittori. Al contrario, Leonardo dona un posto primario al colore, ed in particolare al fenomeno delle ombre che vengono a crearsi dalla variazione dei colori facendo sì che si possano far emergere volumi e spessori. Colore e luce erano per Leonardo dei fenomeni interdipendenti. Su queste orme, Vasari punta l’attenzione sull’amicizia tra i colori, ricercandone un accordo. In parallelo, Lomazzo separa il colore dalla luce ed il primo diventa un vettore emotivo mentre la luce assume più un forte valore simbolico. L’Espressione Del Movimento e Delle Passioni Altro punto importante che viene racchiuso nell’arte è il movimento. Leonardo condusse delle indagini anatomiche sulla meccanica del corpo, indagando in maniera approfondita sul significato delle espressioni facciali e della gestualità al fine di raggiungere un grado di eloquenza soddisfacente, ossia la “teoria dei moti dell’anima".L’idea era quella dei movimenti esterni del corpo che andassero a rappresentare i movimenti interni della mente. L’Arte e La Natura Per le altre scienze l’arte era l’imitazione della natura. Ma come e in quale misura imitare la natura? Questa è una delle problematiche affrontate durante il ‘500. Tutto si articola intorno alla nozione di bello inteso come ricerca di bellezza ideale e riconoscendo quanto la natura fosse imperfetta. Vi era la teoria dell’electio, ossia la necessità di selezionare frammenti di bellezza per poi ricomporre una figura, e alla luce di questa furono spesso contrapposte natura e arte, realtà e ideale, mondo sensibile e immaginazione. L’atteggiamento dei 3 grandi maestri, Leonardo, Raffaello e Michelangelo in merito al rapporto tra arte e natura e il ruolo dell’immaginazione è come segue: • Leonardo, per creare egli ha bisogno di un supporto iniziale di un’immagine fornita dalla natura, confida come l’osservazione delle macchie, delle pietre, delle nuvole o tutto ciò che la natura avesse lasciato in disordine fosse di stimolo all’invenzione. • Raffaello è fedele alla teoria dell’electio • Michelangelo, si disinteressa del modello naturale e prende piede il concetto dell’Idea. Per il giudizio è importante sapere quanta parte dell’idea egli avesse trasmesso nell’opera. Il ruolo della fantasia viene sovrapposto a quello della natura. La problematica si era rovesciata: non si trattava più, per valutare la qualità di un artista, di sapere quanta parte della natura egli avesse corretto con la fantasia, bensì quanta parte dell’Idea egli avesse trasmesso alla sua opera. Francisco de Holanda antepone il ruolo della fantasia al modello della natura, il quale doveva essere impiegato come strumento di verifica e sostegno dell’opera. In merito alla questione dell’imitazione, le opere d’arte antiche e gli esempi forniti dai maestri rappresentarono modelli per perfezionare lo studio sulla natura. L’antichità fu un altro punto di grande ispirazione ma il rischio di rivolgersi alle opere antiche era quello del vizio, così come rivolgersi all’imitazioni dei maestri che veniva vista come una strada troppo comoda. Si inizia a diffondere la nozione negativa della parola imitatori. Per alcuni la non imitazione comportava invece la bruttezza e il bizzarro. Pietro Arentino notò come l’imitazione, in particolare quella di Michelangelo che era diventato un topos, conducesse alla perdita del proprio stile e che l’imitazione dei maestri conduceva alla ripetizione e alla poca varietà. La passione per l’antico si era già ampiamente diffusa nel 400 ma nel 500 raggiunge una posizione elevata. Nello stesso tempo in cui prendeva campo la dottrina dell’Idea, di un’arte fondata sulla fantasia dell’artista, accogliendo pure l’imitazione dei predecessori, crebbero ugualmente i sostenitori di una natura intesa come unica fonte di ispirazione. Per la Chiesa la natura era perfetta, poiché opera divina. Molti cardinali iniziarono ad accumulare statue e medaglie nelle loro case e gli appassionati erano sempre al corrente di nuovi scavi, alimentati dalle continue richieste e facendo sì che aumentassero anche le possibilità di frodi e furti. Al di fuori delle collezioni principesche, la maggior parte delle collezioni aveva parti, frammenti, delle opere. Tuttavia, l’antico era diventato un modello assoluto e secondo solo alla natura. I libri di Vitruvio sono uno dei casi più interessanti di trasmissione culturale che raccolgono annotazioni ed illustrazioni da varie esperienze culturali. Ma il primo trattato a diffondere il sistema di ordini architettonici classificati fu il volume Regole generali di architettura di Sebastiano Serlio. Se da una parte il suo successo fu sconfinato, non mancarono critiche come quella di Lomazzo che definì Serlio come colpevole per una diffusione di una regola troppo restrittiva. Stabilire delle norma faceva parte del processo fondamentale per assimilare il modello antico e superarlo. Il Ritratto Il tema del ritratto viene ripreso nel parallelismo tra pittura e poesia per analizzare i due tipi di ritratto: quello letterario e quindi scritto e quello dipinto. Fin dalle origini, al ritratto viene associata una funzione commemorativa. Vasari aveva creato una collezione di ritratti da inserire all’interno della pittura di storia. La somiglianza era il criterio fondamentale e necessario ma non più sufficiente. Si trattava di superare la natura svelando i moti dell’anima. Regole generali di architettura di Sterlio fu stampato a Venezia nel 1537. Fu il 1° trattato a diffondere in tutta Europa il sistema di ordini architettonici. L’elaborazione della regola tecnica per la realizzazione della voluta ionica fu una delle problematiche della teoria degli ordini. Dalle Fiandre alla Spagna il trattato di Serlio ebbe un grande successo. La fama gli procurò qualche detrattore come Francisco de Holanda che denigrò la libera interpretazione del testo vitruviano. Lomazzo definì Sterlio come il colpevole della diffusione di una regola troppo restrittiva, causa di una generazione di architetti dilettanti e senza genio. Stabilire un sistema di norme, frutto dello studio dell’Antico, fu fondamentale nel procedimento che mirava ad assimilare il modello antico per poi superarlo. A livello delle tipologie architettoniche, si prestò molta attenzione ai templi, ai teatri, alle basiliche, città e ville. L'ideale di villa classica come luogo ameno in contrapposizione con la vita cittadina in preda alla denigrazione morale, portò molti veneziani a trasferirsi sulla terra ferma portando alla costruzione delle ville palladiane. Non tutti però furono vittime del vitruvianesimo : Pietro Aretino non riteneva gli architetti e i committenti in grado di reiterare le prodezze dell'epoca classica. Grandi Temi All’Antica e Le Entrate Trionfali Gli apparati festivi “all’antica” conobbero nel ‘500 la loro massima espressione. L’arrivo a Firenze di papa Leone X (1515), e il trionfale percorso italiano dell’imperatore Carlo V (1536) sono un chiaro esempio. Tali feste furono importanti per l’ampiezza degli apparati effimeri realizzati con carri e archi trionfali, lasciando testimonianze scritte in cui si ritrovano riferimenti al modello antico. L’ingresso di Carlo V a Roma fu un’occasione unica per rievocare il rito imperiale, attraversando gli archi trionfali antichi. La memoria di tali eventi era affidata a svariate tipologie testuali: diari, cronache e relazioni ufficiali. L’avvento della stampa stimolò la pratica delle descrizioni ufficiali che divennero strumento di veicolo di idee. Al momento della preparazione degli apparati per le nozze di Giovanna d’Austria e Francesco de’ Medici (1565), Borghini studiò i precedenti modelli utilizzati, arrivando alla conclusione che esisteva un'impossibilità di realizzazione effettivamente all'antica a causa delle tempistiche, dei costi e per limitare l'eccessiva ostentazione del potere ducale in città. Le Grottesche Sulle grottesche vi erano opinioni contrastanti. Venivano intese come pitture in cui l’artista poteva dare libero sfogo alla sua fantasia (essendo non vincolate dalla storia) e la discussione che si venne a creare riguardava il limite dell’immaginazione, ovvero quello di fissare il confine tra falso e verosimile. Per Francisco de Holanda l’ibridazione delle forme risultava un buono spettacolo e rivelava il talento dell’artista se egli era in grado di produrre una deformazione proporzionata. L’iniziale ammirazione cedette in breve tempo il passo a sfavorevoli opinioni. Vasari la considerò pittura a grottesche ridicola, reputando migliori quelle realizzate con tecnica mista (stucco, pittura e doratura). a difesa delle grottesche, Pirro Ligorio dice che esse potevano veicolare dei significati simbolici e morali. Un'altra questione fu il luogo in cui realizzarle: Ligorio volle sfatare il mito per cui si dovevano ubicare nel sotterranei con conseguente associazione al mondo oscuro, precisando che nell'antichità decoravano le stanze più luminose. Lomazzo invece raccomandò un uso moderato e regolato, limitato ai soffitti, come suggerito anche da Serlio o nei vacui mischiando l'elogio della fantasia con il tipico horror vacui della Maniera. L’Invenzione Tra Regola e Licenza Appartenente alla fase progettuale dell’opera, la nozione di invenzione fu di grande rilievo. Per Alberti l’invenzione era da intendersi come componimento mentre per Lomazzo come idea. La collaborazione tra pittori e letterati Uniti dal concetto di invenzione gettò le basi per la ricerca di originalità per mettersi in rilievo nella società. I vescovi della Controriforma tentarono di frenarne lo sviluppo, privilegiando una maggiore chiarezza e immediatezza di lettura. Verso Una Scienza Dell’Immagine Alberti raccomandava il pittore di avvalersi della collaborazione di un letterato per mettere appunto le composizioni più elaborate. L'invenzione venne considerata parte integrante dell'attività lavorativa dell'artista. Si va quindi a formare un triangolo tra: - committente (avanzava le specifiche richieste, ordinava e finanziava i lavori) - consulente (responsabile dell’invenzione e garante del progetto a livello iconografico) - l’artista (elaboratore dell’opera e interprete in chiave figurativa dei soggetti imposti dal committente e dei suggerimenti proposti dal consigliere). Di questo genere di rapporto sono rimaste poche testimonianze, in quanto era più conveniente fornire le indicazioni di persona. Tra le rare testimonianze: la lettera scritta da Isabella d'Este a Pietro perugino nel 1505, dove gli commissiona un quadro allegorico per il suo studiolo. In questa lettera ritroviamo le richieste della marchesa con precise indicazioni iconografiche a cui il pittore doveva attenersi. Sono ridottissimi i margini d’azione lasciati al Perugini, che poteva solo eliminare alcuni elementi giudicati troppo abbondanti. Un'altra testimonianza ci dice che probabilmente Michelangelo avesse avuto carta bianca per decorare la Cappella Sistina, lo dichiara in una lettera del 1523 per Giovan Francesco Mattucci quando espone la sua idea iniziale di raffigurare gli apostoli nelle lunette e altre decorazioni nella volta. I rapporti tra artista e dotti erano talvolta complessi e conflittuali, mentre a volte collaborativi e amichevoli. Vasari ebbe importanti relazioni con una cerchia di letterati (tra cui Borghini), spesso chiamati a contribuire alla scelta dei soggetti iconografici. Il talento dell’artista si esprimeva anche attraverso la capacità di rintracciare presso i letterati del tempo le migliori indicazioni iconografiche per comporre le proprie invenzioni. Altra lettera interessante è quella che Vasari indirizza ad Annibale Caro, dove giunto il tempo delle conclusioni di un lavoro, non avendo ancora idee, sollecita Caro a trasmettergli dei soggetti. Caro risposte con un progetto sui “12 mesi dell’anno”, dichiarando di averlo prestato anche ad altri. Gi eruditi una volta elaborata un’invenzione per qualcuno, dovevano tenerne una copia, che doveva circolare tra altri eruditi/artisti/committenti, stimolando nuove invenzioni o per facili ripieghi. Invenzione: Tra Arte e Lettere Avvolte era difficile stabilire con precisione i confini dell'operato dell'artista e dell'erudito. Il rapporto tra queste due figure ogni tanto si scontrava e si sovrapponeva andando così a creare una situazione in cui uno invadeva lo spazio dell’altro. Inoltre non sempre la collaborazione si rivelava amichevole cordiale di fronte all'ingerenza dell'erudito. Un chiaro esempio lo abbiamo nella mancata collaborazione per il giudizio universale tra Michelangelo e Pietro Aretino, il quale si vide respingere, poco cortesemente, la proposta di aiuto. peggiorativa, etimologicamente derivata dal nome della dea Venere, usata in latino per indicare una bellezza perfetta. Il tema della nudità resta latente e al cuore del problema, benché tale parola non sia mai citata all’interno del decreto. In Italia il cardinale Carlo Borromeo trattò le nuove norme nel suo Instructionum, pubblicato in latino nel 1577. Esamina i canoni per la realizzazione delle nuove chiese, seguendo i dettami delle direttive tridentine, indicando le iconografie più adeguate alla decorazione degli spazi. Gabriele Paleotti, vescovo di Bologna, scrisse il suo Discorso in volgare, per arrivare ad un pubblico più ampio. Paleotti voleva tracciare una linea di confine tra arte sacra e profana e stilare una lista di soggetti proibiti. Esemplare è il capitolo in cui elenca le tipologie e le cause di ciò che considera “pitture oscure e difficili da intendersi”. Non portò a termine il suo scritto, il quale prevedeva cinque libri, lasciando incompiuta la sua opera di normalizzazione iconoclastica. Nel terzo libro avrebbe affrontato lo spinoso argomento del nudo; nel quarto avrebbe stilato una sorta di repertorio iconografico di soggetti sacri; nel quinto avrebbe affrontato il tema della decorazione dei diversi luoghi sacri , pubblici e privati. Bastarono comunque i primi due libri del Discorso per determinare una rottura con l’epoca della Maniera. Convenevolezzaovvero coerenza dell'opera rispetto al contesto in cui è posta, e utilità dell'arte e delle reliquie come mezzo per veicolare la fede furono i punti fondamentali della controriforma rispetto all'arte. Il nudo e la perfezione anatomica (il dio-giove di Michelangelo) vennero fortemente criticate così come la complessità non adatta a parlare ad un vasto pubblico eterogeneo come quello dei fedeli. Censura e Controllo Delle Immagini Il decoro veniva inteso come la coerenza di tutti gli aspetti di un'opera. Uno degli elementi che veniva più criticato nelle opere del giudizio universale e della Cappella Sistina da Richard fu la mancanza di decoro che venne poi evidenziata e condivisa da Dolce. Il tema della nudità veniva condannato perché associato al paganesimo e veniva inoltre considerato come mancanza di decoro. Il problema sorse nel 1563 quando i vescovi trattarono della questione delle arti figurative condannate dai protestanti, il decreto che ne scaturì era rivolto a chiunque esercitasse un ruolo educativo. La prima fase del decreto prevedeva che l'arte fosse intrinsecamente legata all'insegnamento religioso e quindi fosse uno strumento didattico. I criteri che dovevano essere presenti nella composizione delle opere erano quindi chiarezza e ordine. Gli affreschi michelangioleschi della Sistina sono l’esempio lampante. Pio IV prese la decisione di ricoprire con dei veli le figure del Giudizio Universale. Ma l’opera venne anche criticata per la sua confusione narratologica. inoltre venne stilata una lista di letture proibite, libri ritenuti pericolosi per il diffondersi di un determinato tipo di arte. Gli errori in ambito artistico erano ricondotti alle lacune degli artisti, considerati culturalmente non in grado di eseguire l'invenzione autonomamente. Per questo la chiesa volle che gli artisti si rivolgessero ad un erudito per sviluppare progetti di arte sacra in linea con i precetti della controriforma. Lo strumento che veniva principalmente usato dagli artisti per rivendicare la libertà di espressione era la licenza poetica. Il concetto di licenza poetica viene espresso in due forme diverse nel dialogo di Gilio: 1. Poetica libertà come termine che esprime una chiara autonomia e un'assenza totale di vincoli 2. Licenza poetica come termine che indica una libertà limitata concessa all'interno di un contesto di regole dettate da un'autorità superiore “Libertà” e “licenza” non sono sinonimi: il 1° esprime autonomia e assenza di vincoli. Il 2° indica libertà limitata, sotto regole dettate da un’autorità superiore. Cercando di non escludere totalmente l'immaginazione o l'irreale si va a definire tre tipi di pittore 1. Pittore poetico 2. pittore storico 3. pittore misto Di fronte alla censura vi furono opinioni contrastanti da parte degli artisti: Il Veronese dichiara la reclama la massima libertà d’azione nel campo dell’invenzione. Ammannati è il caso opposto, rifiutò il nudo e rinnegò le sue opere passate, dichiarando che il nudo non fosse esempio di virtuosismo e conoscenza anatomica. La Ricezione Delle Opere Le attenzioni rivolte alle opere d’arte e la nozione di pubblico subirono dei grandi sviluppi nel corso del ‘500. Indizi di una crescente considerazione nei confronti della figura dello spettatore si riscontrano nell’uso di termini scelti per indicare colui che è di fronte all’opera. Leonardo usava le parole “guardatore” o “veditore”. Spettatore era meno frequente come termine perché associato alla visione di uno spettacolo come quello teatrale. Lo spostamento verso l’utilizzo di altri termini porta ad una lenta teatralizzazione delle arti visive. si pose anche l'attenzione sul fruitore dell'opera. Conservatore Ed Esporre Le Opere D’Arte La discussione su se fosse meglio conservare le opere in un luogo riparato o esporle al pubblico scaturì quando nel 1504 la commissione dell’Opera del Duomo discute sulla collocazione del David di Michelangelo. Riporre l’opera al coperto significava salvaguardare il materiale di cui era fatta, d’altro canto esporla abbelliva il luogo e gli dava visibilità. Per Lippi e di Cosimo la decisione sarebbe dovuta aspettare a Michelangelo, il quale decise di metterlo all’aperto. L’abbellimento delle zone pubbliche, e private con i Giardini, diede la possibilità di mostrare il perfetto connubio tra arte e natura. Anche gli studioli ricevettero attenzione in quanto erano luoghi in cui potevano essere riposti parti delle collezioni. Assieme all’interesse per la decorazione dei luoghi pubblici, crebbe quella nei riguardi delle abitazioni private. Gli interni delle case di nobili/ricchi furono al centro del collezionismo. Prima le opere venivano conservate dentro gli armadietti, adesso sono ben esposte. Famoso è lo studiolo di Francesco I de’ Medici. Paolo Giovio andò oltre il concetto di studiolo e fu sua l’idea di andare a costruire un luogo per custodire ed esporre la propria raccolta artistica ad imitazione dell’antico Museum edificato da Tolomeo II ad Alessandria d’Egitto. Edificio che Giovio nominò Museo. Il passaggio dalla sfera privata a pubblica si vede quando Francesco primo dei medici smantello lo studiolo di Palazzo Vecchio per costruire la tribuna nel cuore degli Uffizi i lavori vennero continuati da Ferdinando primo dando origine alla prima galleria d'arte antica e moderna concepita come un'istituzione pubblica. Il viandante di piazza passa ad essere uno spettatore visitatore. soddisfatto di poter sostare a lungo e considerare opportunamente ogni opera. Le Collezioni Di Opere D’Arte e i Collezionisti Nel suo diario di viaggio nei Paesi Bassi, Durer registrò i vari doni, scambi e vendite di disegni, mostrando già quanto fosse florido il mercato dell’arte nei primi decenni del secolo, situazione destinata a crescere sotto l’impulso dello sviluppo economico e dell’incremento degli scambi commerciali.
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