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Il Cinquecento - Marazzini, Appunti di Letteratura Italiana

Il cinquecento - Marazzini La lingua italiana. Storia, testi, strumenti.

Tipologia: Appunti

2012/2013

Caricato il 17/02/2013

-cleo-
-cleo- 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il Cinquecento - Marazzini e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Il Cinquecento TRA ITALIANO E LATINO Nel Cinquecento il volgare raggiunse un vero e proprio successo tanto da essere utilizzato da autori massimi della nostra tradizione letteraria quali Ariosto, Tasso, Machiavelli, Gucciardini, ecc. Nonostante i progressi del volgare però nel Rinascimento il latino rappresentava ancora il livello di cultura più alto esso veniva utilizzato in ambito giuridico (nelle verbalizzazioni si usava il volgare), filosofico, medico e matematico, mentre al volgare rimaneva l’ambito umanistico. In questo secolo vi fu la prima stabilizzazione normativa: si stamparono le prime grammatiche dell’italiano e furono realizzati i primi lessici. Alle volte lessici e grammatiche si fusero in una sola opera come Le tre fontane. I dizionari ebbero grande successo in quanto gli scrittori volevano scrivere in maniera corretta e i lettori iniziavano ad interessarsi allo studio e alla conoscenza di ciò che leggevano. Questo portò alla fine della lingua di coinè. PIETRO BEMBO E LA “QUESTIONE DELLA LINGUA” Nel 1501 Menuzio stampò due classici, Virgilio e Orazio, preferendo un formato editoriale tascabile e il carattere corsivo detto aldino. Contemporaneamente , sempre in formato tascabile, uscì in formato piccolo, il Petrarca curato da Bembo (Menuzio si allontana dalla grafica latineggiante). L’anno dopo, nel 1502, l’editore pubblicò la Commedia (Terze Rime) curata da Bembo, mentre scriveva gli Asolani. Dieci anni dopo Bembo scrisse le Prose della volgar lingua, [Pubblicata a Venezia nel1925] che si pose a risposta della questione centrale di quel tempo: La questione della lingua. Le prose sono divise in 3 libri, idealmente collocato nel 1502, fu scritta in forma di dialogo, vi prendono parte quattro personaggi ognuno dei quali è portatore di tesi differenti sulla lingua. - Giuliano de’ Medici, continuità con il pensiero dell’Umanesimo Volgare; - Federico Fregoso, espone tesi storiche presenti nella trattazione; - Ercole Strozzi, espone le tesi degli avversati in volgare; - Carlo Bembo, fratello dell’autore e portavoce delle idee di Pietro. Nelle Prose viene svolta un analisi storico-linguistica secondo la quale il volgare sarebbe nato dal fenomeno del superstrato, ma le barbarie non erano irreversibili, anzi l’italiano stava andando via via migliorandosi. Quando Bembo parla di lingua volgare non indica il toscano parlato a lui contemporaneo, ma bensì il toscano letterario trecentesco dei grandi autori. Egli affermava di fatto che la lingua si apprende sono grazie allo studio dei grandi modelli scritti. Requisito necessario per la grande nobilitazione del volgare era il rifiuto della popolarità. Per questo lui si ispira maggiormente a Petrarca, Boccaccio (nella sintassi latineggiate) e un po’ meno a Dante i quanto nell’inferno sono presenti numerosi turpiloqui. L’ ultimo libro delle prose era una vera e propria grammatica, sempre sotto forma dialogica. ALTRE TEORIE: “CORTIGIANE” E “ITALIANE” Teoria cortigiana: Calmeta: Il volgare migliore è quello usato nelle corti italiane e in particolar modo in quello di Roma. Il volgare doveva essere appreso sui testi dei grandi autori trecenteschi e poi affinato alla corte di Roma. Mario Equicola: aveva parlato in un primo tempo di una lingua capace di accogliere vocaboli di tutte le regioni, con una coloritura latineggiante, il cui modello stava nella lingua della corte di Roma. Lo stesso Equicola nel De natura de amore (1525) affermava di aver utilizzato una lingua definibile come “commune”. Sostenitore di Equicola Baldassar Castiglione nel Cortegiano. Bembo obiettava ai sostenitori della lingua “commune” che questa lingua non sarebbe stata omogenea. La teoria del letterato vicentino Giovan Giorgio Trìssino, strettamente legata allo studio del De Vulgari Eloquientia di Dante (Dante rifiuta il fiorentino come lingua lettearia), presenta analogie con quella cortigiana, da cui tuttavia va distinta. Nel 1529 pubblicò il Castellano, dialogo in cui sosteneva che la lingua poetica di Petrarca era composta da vocaboli provenienti da ogni parte d’Italia, e non era quindi definibile come fiorentina, ma bensì come Italiana. Trissino inoltre aveva proposto una riforma dell’alfabeto con l’introduzione di due segni del greco, epsilon e omega, che dovevano differenziare la e e la o aperta da quella chiusa. LA CULTURA TOSCANA DI FRONTE A TRISSINO E BEMBO Contro le tesi di Trissino si pone un giovane Machiavelli, con Dialogo o Discorso intorno alla nostra lingua. In questo testo breve, brillante e vivace, Dante dialoga con Machiavelli e si scusa riparando così agli errori commessi nel De Vulgari eloquentia. Inoltre nello stesso trattato Machiavelli parla di alcuni letterati non toscani che vogliono indebitamente farsi maestri di lingua, critica rivolta indirettamente a Trissino. Benedetto Varchi attraverso l’Hercolano, riuscì, dopo aver ricevuto il perdono della corte medicea, a tornare a Firenze e a diffondere il bembismo nella città. In verità però la rilettura di Benbo condotta da Varchi non fu affatto fedele, anzi si rivelò una vero e proprio tradimento delle promesse di Bembo. Varchi infatti esaltava il parlato e affermava di non ispirarsi alla Bibbia (come Dante), ma bensì alla filosofia naturale. Per Varchi al varietà delle lingue non era spiegata con la maledizione babelica, ma bensì con la naturale tendenza al cambiamento umano. Per Varchi il modello ideale di lingua era il fiorentino. STABILIZZAZIONE DELLA NORMA LINGUISTICA Nel Cinquecento vi furono le prime grammatiche e i primi vocabolari, nelle quali si riflettono le proposte teoriche e in particolare quella di Bembo. Bembo però era stato anticipato da Giovan Francesco Fortunio letterato friulano che nel 1516 stampò ad Ancona le Regole Grammaticali della volgar lingua. In seguito uscirono le grammatiche basate sul bembismo, come Osservazioni nella volgar lingua di Ludovico Dolce. A Firenze si ebbe solo la Grammatica di Giambullari, de la lingua che si parla e si scrive a firenze,
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