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Il Cinquecento, St. della lingua italiana., Sbobinature di Storia della lingua italiana

Appunti lezioni, la questione della lingua nel '500.

Tipologia: Sbobinature

2019/2020

Caricato il 08/07/2020

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flavia-belfiore 🇮🇹

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Scarica Il Cinquecento, St. della lingua italiana. e più Sbobinature in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Lezione 05/04/2020. - Il Cinquecento. Nella seconda metà del Quattrocento, attraverso l’invenzione della stampa si diede il via ad un processo di regolarizzazione delle opere. Ciò non significa però che i testi stampati della stessa opera siano identici e in questo caso si incorre nell’ambito della filologia. Tra il 1501 e il 1502 abbiamo già le prime edizioni a stampa delle opere di Dante e del Petrarca a cura di Pietro Bembo, personaggio di prima grandezza. Risale a questo periodo anche la pubblicazione delle prime grammatiche italiane. Quello che accumuna i grammatici, come Bembo e Fortunio, è la totale ispirazione al modello classico. I grammatici del Cinquecento difficilmente segnalano uso dei termini scorretti e corretti, nulla è dato come errato. Si tratta di suggerimenti, si prediligono i termini ‘convenevoli, graziosi, leggiadri’ in contrapposizione ai termini ‘disarmonici, sconvenienti, rozzi, spiacevoli’. Si tratta di grammatiche dell’armonia, volte a conferire una piacevolezza alla lingua. Non sono grammatiche didattiche. Un fatto da segnalare è la totale separazione fra scritto e parlato. Si tratta di due realtà non comunicanti, totalmente dissociate. Per avere una mescolanza tra dialetto e forma scritta si dovranno attendere secoli successivi. Giambullari aveva proposto un’apertura al parlato, ma i tempi non erano maturi per tale svolta. Sarà con Manzoni che avvertiremo questo cambiamento, questa prontezza all’interscambiabilità. Le grammatiche dei fiorentini non hanno particolarmente successo, emergono quelle venete. La prima grammatica toscana ad avere successo è quella del Buommattei (1643). - Pietro Bembo. Bembo aveva compreso la necessità di istituire un modello da imitare per la lingua scritta. Predilige due grandi scrittori come modelli eccellenti per la lingua: Boccaccio per la prosa, Petrarca per la poesia. In questo contesto, egli inaugura il concetto di ‘norma linguistica’. Non si parla di ‘uso’ bensì di ‘modello’. Perché la parola ‘uso’ appaia si dovrà attendere la seconda metà dell’Ottocento, momento in cui il grammatico Fornaciari deciderà di utilizzarla. Conseguenzialmente, si sviluppa anche la nozione di ‘errore’. A chi si rivolge Pietro Bembo? Egli si rivolge ai dotti, a chi l’italiano lo conosce perfettamente. I destinatari delle grammatiche del Bembo sono i dotti, coloro che conoscono la lingua. Si tratta di un’impostazione retorica, egli non aveva un intento glotto-didattico, parla a chi la lingua la sa già utilizzare. Ha ispirazione ad imporre le sue idee a chi ha già delle conoscenze in ambito linguistico. La didattica dell’italiano ancora non esiste, è fuori dall’orizzonte dei primi grammatici. L’intento normativo di Bembo è evidente, ma deve poggiare su autori che hanno raggiunto le più alte vette. Quello che stabilisce è il primato della scrittura sull’oralità. Non ha importanza il parlato, bensì lo scritto. La forma scritta rimane, persiste nel tempo. Ancora oggi, gli errori della lingua parlata vengono considerati meno gravi di quelli riscontrabili nella forma scritta. Bembo predilige l’unilinguismo petrarchesco, la sua perfezione sintattica e lessicale, il suo decoro. Critica fortemente il plurilinguismo dantesco. Non condivide l’utilizzazione di termini rozzi, volgari, tratti dalla lingua quotidiana, parlata. - Gian Giorgio Trissino. Ha cercato di imporre una soluzione ‘italiana - cortigiana’. È il capofila dei nemici di Bembo. Ha proposto la sua traduzione del ‘De Vulgari Eloquentia’ di Dante. - Castiglione, Monsignor Della Casa e Machiavelli. Il ‘500 è un secolo in cui si trovano generi letterari come i dialoghi, la lirica amorosa e le novelle. In questo periodo, vanno di moda anche i libri sul comportamento che si deve tenere (ad esempio, Il Cortigiano di Castiglione in cui vengono date delle dritte su come deve comportarsi un cortigiano. Come Il Principe di Machiavelli o il Galateo di Monsignor della casa che usa un linguaggio tradizionale). Tra i tre quello più apprezzato sarà Monsignor della casa in quanto opterà per la soluzione linguistica bembiano. Machiavelli opta per la soluzione parlata. Egli è in linea con quello che poi scriverà Giambullari. Quando Giambullari scrive “la lingua che si parla e che si scrive a Firenze” Machiavelli è già morto da molti anni, la teorizzazione di questa scelta fiorentina è postuma a Machiavelli, infatti egli scrive senza un punto teorico di riferimento. Questo ci importa: noi abbiamo Giambullari che teorizza la lingua parlata, Machiavelli che la mette in pratica senza però avere una linea di riferimento a meno che non vogliamo vedere come riferimento il Leon Battista Alberti a cui tradizionalmente si attribuisce la prima grammatica dell'italiano. Machiavelli si inserisce a metà strada tra Alberti e Giambullari, però non è detto che Alberti sia stato il suo punto di riferimento in quanto egli è un umanista che scrive la grammatica italiano pensando al latino. Il Cortigiano di Castiglione viene scritto perché il Castiglione afferma che il buon cortigiano deve scrivere e parlare bene. Quindi per la prima volta inizia a balenare l'idea che è importante il modo in cui si parla. Solitamente per quanto riguarda la lingua parlata si è sempre lasciato ampio spazio agli errori, ora, con il Castiglione, ciò non avviene poiché egli afferma che il buon cortigiano deve saper non solo scrivere ma anche parlare bene. Il parlato insomma si solleva un po' alla dignità dello scritto, o lo scritto si abbassa ad un pregio del parlato (cioè la sua immediatezza). Nel caso del Galateo di Monsignor della casa abbiamo un trattato di comportamento il quale vuole andare sul sicuro per cui la sintassi è di tipo boccacciano, mentre il lessico si presenta un po' più vivace. Per definire Monsignor della casa o Castiglioni che non sono dei letterati di professione si usa il termine IDIOTI. Quando si trova la parola idiota nel '500 non dobbiamo intenderla con l'accezione che usiamo oggi, ma bisogna intendere un illetterato cioè colui che non è un letterato di professione. - PIETRO ARETINO. Uno scrittore degno di rilievo ma condannato all'oblio è Pietro Aretino. Egli merita di essere ricordato perché è stato l'iniziatore di un genere molto fortunato: il genere epistolario. Al di là dei contenuti (poiché fu uno scrittore sconcio), la prosa di Aretino è vivace e soprattutto è uno dei pochi che accoglie le parole nuove, cioè accoglie i neologismi. Per la prima, voglio Aretino, proprio perché è uno spirito vivace conia parole nuove e nel '500 troviamo molte parole coniate e inventate da lui. Sappiamo tutto ciò grazie alla presenza dei dizionari etimologici, il più importante tra questi è “Il dizionario etimologico della lingua italiana”, che ad ogni parola inserisce la “data di nascita”. Le parole nuove in una lingua arrivano o dall'interno o dall'esterno. Nel primo caso con il neologismo, nel secondo caso con il prestito da altre lingue. Il neologismo si fa attraverso i procedimenti derivativi: una base, un suffisso, un doppio prefisso ecc. (ad esempio il greco è una lingua concettuale, ad esempio “baino” posso avere “anabaino” o “catabaino”, cioè attraverso suffissi e prefissi aggiungo qualcosa in più). Il neologismo coniato attraverso procedimenti di composizione delle parole o procedimenti derivativi ha un suo interprete in Pietro Aretino che nonostante sia stato messo all'indice ha comunque questo merito. A partire da Aretino, abbiamo degli epistolari importantissimi, egli ne è l'iniziatore. L'epistolario è una scrittura non ufficiale e dunque più sincera e piacevole da leggere. - ANNIBALCARO. Secondo Leopardi, Annibalcaro (era un grande traduttore) era “l'apice della prosa italiana” così definito ne “Lo Zibaldone” (come Machiavelli viene definito uno scrittore sgrammaticato. Tutto ciò perché Leopardi è un classicista e apprezza gli autori che conoscono il latino e il greco). Anche Annibalcaro scrive delle lettere e le scrive in uno stile molto vivace. Insomma entrambi sono scrittori vivaci che hanno aperto sia le porte a parole nuove sia a parole già conosciute (o modi di dire). Il motivo per cui Leopardi apprezza Annibalcaro è perché uno scrittore apre le porte ai nuovi termini, alle parole vive. Sia Annibalcaro che Aretino sono scrittori che aprono le porte all'uso vivo e che sono scrittori di lettere che si chiamano “lettere familiari” (Petrarca scriveva “familiares”). - NICOLÒ MACHIAVELLI Se c'è un autore che ha voluto rappresentare la fiorentinità è stato Nicolò Machiavelli e lo ha fatto in una serie di opere. Leopardi ha messo in evidenza un autore non di primissimo posto, ma ha messo in risalto un autore che a parer suo era di primissima grandezza. Nicolò Machiavelli è un autore che appartiene linguisticamente al '400 ed è etichettato sotto la forma di scrittore argenteo. La particolarità di Machiavelli sta nel fatto che lui predilige la lingua parlata ovvero sia predilige quella che nelle prose del Bembo era professata da Giuliano de’ Medici (è uno degli interlocutori che partecipa ai dialoghi e che afferma che bisogna scrivere come si parla). Pietro Bembo non lo tratta benissimo, ovviamente. Machiavelli oltre a “Il Principe” e a “La Mandragola” scrive anche abbondanti lettere. Se confrontassimo le prime opere del Machiavelli rispetto alle ultime vedremmo uno scrittore molto diverso. Tra i suoi scritti c'è una escursione
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