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Il Cinquecento - Storia moderna, Appunti di Storia Moderna

Il Cinquecento: la crisi dell'Italia e del Rinascimento, i regni di Portogallo, Francia, Spagna e Inghilterra, l'impero germanico e ottomano, le scoperte...

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 07/02/2021

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Scarica Il Cinquecento - Storia moderna e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! L’Europa alla fine del ‘400 e le esplorazioni geografiche Crisi dell’Italia e Rinascimento La caduta di Costantinopoli (1453) aveva avuto come riflesso per l’Italia la cessazione di decennali ostilità e la costituzione di una lega di prìncipi, che dalla pace di Lodi (1454) sino alla discesa di Carlo VIII (1494) aveva assicurato un lungo periodo di tranquillità, sotto la regia di Lorenzo il Magnifico. L'importanza della pace di Lodi consiste nell'aver dato alla penisola un nuovo assetto politico-istituzionale che – limitando le ambizioni particolari dei vari Stati – assicurò per quarant'anni un sostanziale equilibrio territoriale e favorì di conseguenza lo sviluppo del Rinascimento italiano. Essa poggiava sull’equilibrio di cinque Stati regionali, cioè il ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la signoria medicea di Firenze, lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli; entro l’orbita di queste entità politiche ruotavano le realtà minori della penisola, fra cui il Ducato di Savoia, il ducato di Ferrara in mano agli Estensi, quello di Urbino sotto i Montefeltro, il Marchesato di Mantova, possesso dei Gonzaga, la Repubblica di Genova, quella di Lucca e quella di Siena. Tuttavia, la pace di Lodi non venne scrupolosamente osservata, un equilibrio destinato a cessare, precario, specialmente dopo la morte di Lorenzo de’ Medici. Con la discesa di Carlo VIII, però, l’Italia si mostrò essere un giardino aperto: i francesi passarono con facilità l’intera penisola, con una vera passeggiata militare, entrando a Firenze dove scoppiò una rivolta antimedicea che ripristinò la Repubblica, presto dominata dalla vigorosa figura del frate Girolamo Savonarola, il quale per quattro anni instaurò un governo ad un tempo popolare e teocratico (Cristo fu proclamato re di Firenze e la città venne sottoposta ad un bagno collettivo di purificazione spirituale, tra continue prediche, processioni e funzioni religiose). Nel 1498, Savonarola fu condannato ad essere bruciato vivo, mentre a Firenze subentrava un regime oligarchico filo-francese. Dopo la sosta in toscana, i francesi giunsero a Napoli. Nel 1495 si costituì una coalizione antifrancese per arginare la minaccia della potenza tra Milano, Venezia e il papa Alessandro VI. A questo punto, Carlo VIII non poté far altro che dare l’ordine della ritirata. Anche se l’impresa di Carlo VIII si dissolse nel nulla, l’Italia aveva dimostrato la sua debolezza. fino a quando si costituì una lega tra Milano, Venezia e il papa dopo la quale, Carlo VIII ordinò la ritirata. Un trauma per la penisola italica che anticipa i numerosi successivi, dalla scoperta dell’America e quindi alla confutazione di duemila anni di scienza alla riforma luterana, alla caduta della potenza di Venezia fino alla scoperta dell’Italia medievale, che non aveva vissuto il Rinascimento: il tratto drammatico di un’Italia che ha visto il Rinascimento solo in pochi centri. I regni di Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra Il fenomeno politico che caratterizza il ‘400 è la formazione di grandi monarchie in Occidente. Questo accade in Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra, mentre non troviamo lo stesso fenomeno nei paesi sottoposti all’impero cioè Italia e Germania, che si presenteranno a lungo come un mosaico di diverse realtà politiche. Quanto agli altri stati europei i paesi baltici, la Polonia e la Russia apparivano defilati, quasi ininfluenti rispetto al fluire della storia. All’origine di queste monarchie di furono numerosi conflitti che crearono nelle rispettive popolazioni una coscienza nazionale: nella penisola iberica a scatenare questa spinta aggregante è la reconquista, la lotta contro il regno musulmano, durata all’incirca sette secoli, quando Carlo Magno respinse gli arabi al di là dei Pirenei creando la cosiddetta Marca spagnola, fino al 1492, che segnò la caduta dell’ultimo regno musulmano di Granada. Nella penisola iberica si formarono 3 regni principali: il Portogallo, la Castiglia e l’Aragona, tre monarchie. o Il Portogallo retto dalla dinastia degli Aviz riuscì a salvaguardare la sua indipendenza senza soccombere alla forza centripeta castigliana: da qui partiranno le grandi esplorazioni oceaniche tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo: Ceuta, nella costa marocchina fu conquistata nel 1415, nel 1419, toccò alle Azzorre, poi l’Infante (principe ereditario) Enrico il Navigatore iniziò la lenta esplorazione del litorale africano che si concluderà nel 1487 allorché Bartolomeo Diaz doppiò l’estremità meridionale del continente, denominato Capo di Buona Speranza. A questo punto, la via delle spezie era aperta e con essa iniziava un nuovo capitolo nella storia del Portogallo e dell’Europa intera. o L’anno 1493 fu deciso per il forte e compatto regno di Castiglia: la conquista di Granada pose fine alla guerra contro i musulmani (i cosiddetti moriscos); sull’onda della mobilitazione religiosa furono espulsi dalla Spagna gli ebrei (attivi nel settore dei traffici) e fu scoperto il Nuovo Mondo. A questo punto la Castiglia assurse a potenza mondiale. Il processo virtuoso che si era innescato nel 1479, in seguito al matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, non avrebbe portato all’unione dei regni ma solamente al vantaggio della Castiglia, che si trovò a beneficiare dei nuovi domini americani. L’azione di Cristoforo Colombo, che portando il vessillo della fede al di là dell’oceano non fece che proseguire idealmente la “crociata” (i conquistadores). L’America divenne suo monopolio e così anche i relativi commerci. o L’Aragona invece rimase esterna a tutto questo e seguì piuttosto una direttrice mediterranea che comprendeva Baleari, regni di Sardegna, Sicilia e Napoli. La guerra dei Cent’anni, combattuta contro l’Inghilterra invece, costruì la coscienza francese. Dall’interminabile conflitto la Francia uscì vittoriosa sia nei confronti dell’Inghilterra, sia nei confronti dei suoi alleati borgognoni; ne derivarono notevoli ingrandimenti territoriali nelle Fiandre e nella zona renana. A completare l’ingrandimento della corona francese intervenne poi l’estinguersi della casa d’Angiò, che permise alla monarchia di assorbire la Provenza e più tardi, con il matrimonio di Carlo VIII e Anna di Bretagna anche questa vasta regione. Inoltre, lo Stato francese constava di un apparato burocratico centralizzato e organizzato, di un clero asservito alla dinastica e sulla migliore cavalleria d’Europa. Il vertice amministrativo era formato dal consiglio del Re che presiedeva la cancelleria di corte e la tesoreria; la principale imposta era costituita dalla taille che gravava sulle persone fisiche e sui beni fondiari ma la vera forza si basa principalmente sulla forza esercitata sulla chiesa nazionale, gallicana, in base ad una sorta di concordato stipulato tra Francia e Santa Sede nel 1438 (fu riconosciuto al sovrano il diritto di nominare vescovi e abati = disporre ampiamente delle ingenti ricchezze ecclesiastiche). Questo permise alla Francia un rapido rafforzamento del potere centrale, che vede nell’esercito la sua più autentica forza, in particolare nella cavalleria, che Carlo VIII scagliò sul panorama italico, assecondando prima le forze europee con la cessione di varie possedimenti territoriali. Dopo la guerra dei Cent’anni, l ’ Inghilterra era uscita stremata e per di più sconfitta: ciò scaturì nella crisi dinastica conosciuta come la guerra delle Due Rose (1455-1485), così chiamata per il distintivo portato dai fedeli dell’una e dell’altra famiglia: una rosa rossa per i Lancaster e una rosa bianca per gli York. La guerra si risolse in una sorta di suicidio collettivo che provocò lo sterminio delle due famiglie rivali e si chiuso con un compromesso, rappresentato dalla salita al trono di Enrico VII Tudor, unico discendente dei Lancaster e sposato ad una York. Evitando di convocare il Parlamento, Enrico Tudor riuscì ad instaurare un regime che presentava già alcune caratteristiche dell’assolutismo. Di pari passo con lo sviluppo della flotta mercantile, a partire dalla seconda metà del XV secolo si manifestò nel paese una profonda trasformazione economica, concernente la proprietà fondiaria. Iniziava il fenomeno delle chiusure, enclosures, cioè l’erosione delle proprietà comuni ove i contadini potevano godere degli antichi diritti collettivi di cacciare, pascolare, pescare, far legna, procurarsi il fieno. Queste proprietà furono progressivamente privatizzate, soprattutto da un nobile e ricco borghese e convertite in pascoli per ovini. Questo perché l’incremento demografico faticava a manifestarsi dopo la peste del 1348, e una scarsa popolazione significava limitata richiesta di cerali e quindi prezzi più bassi dei prodotti agricoli; pertanto conveniva ai proprietari convertire a pascolo i terreni, anche per la forte espansione del mercato della lana. La corona inglese, ponendo forti dazi sulle esportazioni di lana grezza al di là della Manica, attenuò i rapporti di dipendenza dal ricco mercato fiammingo che costituiva il terminal dei convogli mercantili mediterranei, a loro volta collegati con gli empori siriaci delle cui vertice stava l’imperatore, ma questa struttura era temperata da una forte coesione sociale, che individuava il bene supremo nell’appartenenza alla comunità. Anche loro pensavano che la fine del mondo fosse imminente. Fu questa stessa idea che permise con pochi uomini e armi nel 1519 a Cortes di travolgere decine di migliaia di guerrieri. Questo pessimismo fu un importante alleato dei conquistadores, quando Hernan Cortés sbarcò sul suolo messicano nel 1519, anno anche della circumnavigazione del globo di Ferdinando Magellano, superando la punta estrema del continente sud americano e attraversando poi il Pacifico sino a toccare le Filippine; la spedizione sarebbe tornata in Spagna nel 1522, realizzando finalmente il sogno di Colombo di raggiungere l’Asia. Nella conquista, Cortés adoperò l’astuzia e la ferocia, sottomettendo tutti al proprio volere e distruggendo tutto. Qualche anno dopo toccò all’Impero inca, nella parte meridionale del continente, fra il Perù e la Bolivia, dove nel 1532 arrivò Francisco Pizarro, assetato dal denaro, il quale distrusse tutto, lasciando vittime e città saccheggiate. L’incontro-scontro fra Europa e America Secondo la tripartitica concezione biblica del tempo, vi erano 3 razze discendenti, non c’era posto per gli americani, non erano nel disegno provvidenziale. Si spiegano così le inconsulte distruzioni, come pure la riduzione in schiavitù degli indios, quasi sempre sotto la forma giuridica dell’encomienda, cioè ai colini spagnoli veniva affidato un territorio da sfruttare e gli abitanti indigeni erano obbligati a prestare il loro lavoro e pagare dei tributi senza essere tutelati da nessuna legge; col pretesto di istruirli e convertirli nella religione cattolica, gli encomenderos ottenevano la tutela degli indigeni presenti nelle terre della loro signoria e il più delle volte li sottoponevano a uno sfruttamento illimitato. A causa del lavoro coatto e delle malattie portate dai bianchi, la popolazione indigena subì un calo così imponente da rasentare un genocidio. Lontano e male informato, il re di Spagna poteva fare poco per impedire tali crimini, sarà soprattutto ad opera di Bartolomé de Las Casas, che nel 1542 Carlo V concederà nuove leggi per la tutela dei diritti degli indios. L’impero coloniale spagnolo si estese rapidamente all’interno del continente americano che fu diviso in due vice regni: quello della Nuova Spagna- attuale Messico e America centrale-, Nuova Castiglia –dal Perù fino all’Argentina. Tutto veniva scelto dal Consiglio delle Indie, un organismo istituito a Madrid nel 1524 col compito di sovrintendere al governo delle colonie; il commercio era invece monopolizzato dalla Casa de contratacion, a Siviglia. INTERSCAMBIO TRA VECCHIO E NUOVO CONTINENTE: ne abbiamo tratto immense ricchezze, quali oro, scoperta di miniere d’argento alimentarono il flusso di metalli preziosi verso la Spagna. Quanto all’agricoltura, gli encomenderos favorirono l’allevamento del bestiame importato dall’Europa; la tradizionale coltivazione del mais fu sostituita con prodotti redditizi, quali caffè, cacao, canna da zucchero, tabacco. Oppure l’introduzione della triade mais-patata- fagiolo che ebbe grandissima diffusione per l’alta resa, salvandoci dalle carestie anche in prospettiva delle grandi pestilenze. A nostra volta, la conversione in massa degli indios portò ad un cattolicesimo diffuso che favorì la tolleranza fra le etnie e ha evitato l’insorgere di fermenti razzisti. L’età di Carlo V La fine della “libertas italiae” Tra la metà del XV e del XVI secolo in Italia si consolida il passaggio dalla signoria al principato, con l’avvio di un processo di unificazione del territorio, consentendo la formazione di Stati regionali. Questo processo vede l’affermarsi di una struttura di governo articolata su un apparato centrale e su uffici periferici. Tutto ciò non interessa il Mezzogiorno. Questo processo s’incrocia con l’esigenza di assicurare il reciproco rispetto e di garantire una prospettiva di sviluppo pacifico. A tal scopo si conclude il 9 aprile 1454 a Lodi un trattato di pace al quale aderirono Milano, Venezia, Firenze e lo stato della Chiesa e il Regno di Napoli: “bona libera, et sincera unione tranquilla et perpetua pace”, assicurava il possedimento dei loro territori e li impegnava al reciproco aiuto in presenza di attacchi esterni. Non mancarono tensioni ma si riuscì a mantenere la pace, almeno per i quarant’anni successivi. Nel 1492 morirono due protagonisti di quel trattato, Lorenzo De’ Medici e il pontefice Innocenzo VIII. Il successivo papa Rodrigo Borgia, eletto con il nome di Alessandro VI, favorì il tentativo del figlio Cesare, detto il Valentino, di crearsi uno stato tra Marche e Romagna, che si spezzò in seguito alla morte del padre nel 1503 - favoritismi e nepotismi, oggetto di indagine anche Niccolò Machiavelli, sulle virtù del principe, necessarie all’acquisizione del potere. Nel 1494 con la morte di Gian Galeazzo Sforza, lo zio Ludovico detto il Moro, reggente del ducato si proclamò signore. L’usurpazione richiedeva una legittimazione, che fu trovata nella Francia. Da allora si avviò la tendenza a richiedere l’aiuto delle maggiori potenze europee, sottovalutandone però la superiorità delle nascenti monarchie nazionali e le ambizioni territoriali: basti pensare alla discesa di Carlo VIII nel 1494. Carlo VIII rivendicava il diritto di successione sul regno di Napoli, in virtù della discendenza angioina. Carlo VIII fece il suo ingresso a Napoli nel febbraio 1459, senza aver incontrato resistenza nel lungo tragitto compiuto. Qui trovò un’accoglienza favorevole da parte dei baroni del regno, sottoposti a dura repressione da parte di Ferrante d’Aragona. La campagna militare di Carlo aveva beneficiato del favore politico della maggior parte degli stati italiani, a cominciare dal ducato di Milano , concretizzando il suo successo in un’invasione della penisola, ovvero l’inizio delle guerre d’Italia. Questo suscitò reazioni che trovarono sbocco nella Lega antifrancese (Venezia, Milano, Firenze, lo Stato Pontificio, Spagna e l’Impero). La lega sconfisse i francesi a Fornovo, ma questi ‟ultimi aggirarono l’accerchiamento e si rifugiarono ad Asti; Ferdinando d’Aragona recuperò il controllo sul regno, grazie all’intervento spagnolo e veneziano. La discesa di Carlo VIII aveva però provocato altre situazioni destabilizzanti: Firenze, nel 1494 era scoppiato un moto che portò alla cacciata di Piero de’ Medici, responsabile di aver spianato la strada alle truppe francesi; ciò portò all’instaurazione di un regime basato su un Consiglio Grande, che eleggeva un organo più ristretto, il Consiglio degli Ottanta- spirito comunale e riforma religiosa, contro la corruzione religiosa e civile, come nel caso della repubblica fallimentare del frate domenicano Girolamo Savonarola. Tuttavia le mire francesi sull’Italia tornarono a manifestarsi, trovando appiglio nell’alleanza con Venezia, interessata a Cremona e Ghiara d’Adda. Nel 1499 Milano viene occupata dai francesi, rivendicata da legami dinastici con i Visconti, alla guida prima degli Sforza. Inoltre Luigi XII concluse il Trattato di Granada con Ferdinando di Napoli, che prevedeva la spartizione del regno di Napoli fra spagnoli e francesi, finendo poi sotto l’intero dominio spagnolo, dopo battaglia di Cerignola del 1503- dominio spagnolo nel Mezzogiorno. Con l’elezione di papa Giulio II lo stato della chiesa mirò a ripristinare l’integrità dello stato della Chiesa, ricreando un suo dominio, opponendosi a Venezia. Nel 1508 si formò la lega di Cambrai da Luigi XII per recuperare dai veneziani i territori milanesi; da Ferdinando il Cattolico per i porti pugliesi controllati dalla Serenissima e dallo stesso imperatore Massimiliano. Nel 1509 la lega sconfisse ad Agnadello, presso Crema, Venezia, aprendo una grave crisi politica nella serenissima. Tuttavia la preponderanza di Luigi XII preoccupò papa Giulio II che si adoperò per un’intesa con Venezia, dalla quale aveva ottenuto la restituzione dei territori romagnoli e la garanzia di libera navigazione nell’Adriatico oltre alla rinuncia di tassazione del clero. Il papa coinvolse anche spagnoli, svizzeri e impero nella costituzione della Lega Santa nel 1511. Si crearono i presupposti per la restaurazione della signoria medicea, che avvenne nel 1512. Ne conseguì inoltre l’entrata diretta della Confederazione elvetica nei conflitti in atto nella penisola. Ma non finì perché vi fu una nuova spedizione a opera del nuovo re Francesco I, per arginare le mire espansionistiche svizzere sui territori milanesi. Questi, con il consenso di Venezia, si proclamò duca di Milano e sconfisse le truppe svizzere il 13 e 14 settembre 1515: la Confederazione riuscì a mantenere soltanto la Contea di Bellinzona e i territori del Canton Ticino. La pace di Noyon del 1516 sancì il raggiungimento di un parziale equilibrio basato sull’assegnazione del ducato di Milano alla Francia e del dominio spagnolo nel regno di Napoli. Sulla scena Europea sorsero nuovi motivi di competizione, a causa dell’elezione a imperatori di Carlo V il 28 giugno 1519. La concezione imperiale di Carlo V comprendeva la guida e la ricomposizione della cristianità, specialmente dopo la riforma luterana, all’insegna di una monarchia universale, basata sulla fede e la giustizia. L’imperatore voleva ottenere Milano e il ducato di Borgogna. All’inizio degli anni venti del 500 si creò uno schieramento favorevole alle ragioni dell’‟imperatore, composto da papa Alessandro VI, dal re d’Inghilterra Enrico VIII e dalla repubblica di Venezia. Ma la Francia dovette rinunciare a Milano dopo la sconfitta di Pavia il 23 e 24 febbraio 1525 e il successivo accordo di Madrid del 1526. Tuttavia l’accordo fu sconfessato e nel maggio 1526 si delinearono nuove alleanze, con la Lega di Cognac, formata dalla Francia, da Venezia e dal nuovo papa Clemente VII. Sull’imperatore gravava anche l’offensiva mossa dai turchi, alleatisi con Francesco I nei Balcani e in Ungheria. Nel 1527 i lanzichenecchi- mercenari tedeschi al servizio di Carlo V- saccheggiarono Roma e il papa fu costretto a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo. Tra le prime conseguenze vi fu il ripristino della repubblica di Firenze. Inoltre dopo la sconfitta francese, nel tentativo di riconquistare il regno di Napoli, la lega di Cognac dovette arrendersi alla superiorità imperiale. Nel 1529 Clemente VII firmò la pace di Barcellona con la quale riconobbe a Ferdinando d’Asburgo la corona di Boemia e Ungheria. Francesco I con la pace di Cambrai rinunciò ai domini italiani, mantenendo però la Borgogna. A rendere ancora più importante questo nuovo ordine, fu l’incoronazione di Carlo V da parte del pontificie, a Bologna nel 1530. Il papa instaurò il sostegno dell’imperatore per ripristinare la signoria medicea. Dopo la presa di Firenza, nell’agosto del 1530, l’imperatore proclamò Alessandro de Medici, nipote del papa, duca della repubblica. La sua uccisione, avrebbe portato alla successione Cosimo I, consolidando il principato mediceo. Per la questione di Milano, Francesco II Sforza sarebbe tornato alla guida del ducato, che dopo la sua morte sarebbe passato ai domini imperiali. Francesco I occupò alcuni territori del ducato di Savoia e il nuovo papa Paolo III Farnese assegnò al figlio naturale Pier Luigi Parma e Piacenza. Questo fu ucciso da congiurati incoraggiati dal governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, il quale prese possesso di Piacenza in nome dell’imperatore. Tra il 1554-55, Siena fu cancellata da parte di Firenze, e si trovò divisa tra grandi famiglie filofrancesi e filospagnole; poi fu reintegrata nello stato mediceo. All’operato di Filippo II, designato erede dal padre Carlo V, all’indomani della sua abdicazione, alla corone di Castiglia e d’Aragona, delle colonie americane, dei domini italiani della Franca Contea e dei Paesi Bassi, si deve condurre la definitiva stabilizzazione della situazione italiana. A Filippo I, fratello di Carlo V, furono affidati i territori austriaci e le corone di Boemia e Ungheria. Nel contesto Europeo Filippo II arrivò al conflitto con la Francia che sottoscrisse la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559, con la quale rinunciava alle aspirazioni sull’Italia. Si afferma cosi l’egemonia spagnola sull’Italia. La costruzione dell’impero di Carlo V Carlo giungerà ad essere proclamatore di Castiglia e dei regni iberici nel 1516 e, nel 1519, imperatore del sacro romano impero. La Spagna dei Re cattolici era un unione di regni originariamente diverse che attraverso un lungo percorso storico facevano capo a due sovrani: Ferdinando e Isabella. Nel 1504, alla morte di Isabella, Ferdinando governò il regno di Castiglia in nome della figlia Giovanna, che aveva iniziato a dare segni di squilibrio mentale, che peggiorò dopo la morte di suo marito Filippo il Bello, tanto da essere rinchiusa nel castello di Tordesillas. Alla morte del vecchio sovrano, lasciò i regni iberici a Carlo, figlio di Filippo e Giovanna. Il sacro Romano impero gli deriva dal ramo paterno, in quanto suo nonno Massimiliano I d’Aragona fu imperatore. Fin da subito si evidenziano due gruppi che cercano di condizionare il giovane Carlo (nato nel 1500): o filofrancese: formato dagli uomini della corte di Bruxelles, cercava di mantenere buoni rapporti con la Francia e di assicurarsi la neutralità dell’Inghilterra. All’azione di questo gruppo si deve la pace di Noyon. o partito spagnolo: preoccupato dello spazio che Carlo accordava ai borgognoni e timoroso dell’insofferenza che manifestava la nobiltà castigliana. Il 28 giugno 1519 Carlo viene eletto Imperatore e lascia la reggenza spagnola a Adriano Florensz. Carlo sviluppa nello stesso anno una politica dj alleanze matrimoniali tese a rafforzare strategicamente la sua politica. Alla fine del 1520 vi sarà un doppio matrimonio: suo 1510 come inviato del suo ordine a Roma. Durante il suo insegnamento aveva esposto alcuni principi in contrasto con l'ortodossia cattolica: la Bibbia doveva essere l'unico testo di riferimento della vita cristiana e l'uomo, in quanto peccatore, poteva trovare la salvezza solo attraverso la fede in Cristo. Quindi: o La salvezza non era legata alla gerarchia sacerdotale, essendo il sacerdozio di tutti i fedeli; o I veri sacramenti erano quelli istituiti da Cristo, cioè battesimo, penitenza ed eucarestia. In quegli stessi anni in Germania si era diffusa la vendita delle indulgenze. Leone X aveva nominato il giovane Alberto di Brandeburgo, arcivescovo di Magonza commissario per le indulgenze della Germania settentrionale; e nel 1515, per pagare i diritti alla cancelleria a Roma sulla diocesi di Magonza, gli era stato concesso di cedere una parte dei proventi delle indulgenze ai banchieri Fugger. Un predicatore domenicano, Johann Tetzel, incaricato di propagandare l’efficacia delle indulgenze iniziò la sua azione, sostenendo che l’indulgenza si poteva comperare, senza confessione e senza penitenza. Tale dottrina era in netto contrasto con il pensiero di Lutero: il monaco agostiniano sosteneva che la salvezza poteva venire solo dalla fede; non erano le opere buone a creare un buon cristiano, ma solo un buon cristiano poteva fare opere buone. Lo scontro fu inevitabile. Lutero scrisse 95 tesi sulla Disputa pubblica sulla virtù delle indulgenze e il 31 ottobre 1517 ne affisse il testo sulle porte della chiesa di Wittenberg. Tradotte dal latino al tedesco diventarono popolarissime. Le tesi affermavano l’importanza della dottrina della salvezza mediante la fede, negavano l’importanza delle indulgenze per il perdono dei peccati, negavano il potere del papa sulle anime del purgatorio; inviate a Roma furono condannate alla ritrattazione. Nel 1519 Leone X condannò le posizioni di Lutero con la bolla Exsurge Domini, ammonendolo a desistere. Principi e Impero La risposta di Lutero fu affidata a tre scritti, che furono considerati i manifesti della riforma: Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, Della libertà di un cristiano, Della cattività babilonese. Lutero trova l'appoggio di due grandi correnti culturali: umanesimo e nazionalismo. Quasi tutti gli umanisti tedeschi si schierarono con Lutero. Con un gesto simbolico bruciò, il 10 Dicembre 1520, i testi del diritto canonico e la copia della bolla pontificia. Leone X rispose scomunicando Lutero e i suoi seguaci. Era iniziata la riforma. Lutero accettava solo due sacramenti, ovvero il battesimo e l'eucarestia dato che, leggendo il Nuovo Testamento in greco si rese conto che la traduzione in latino aveva degli errori e si rese conto che la penitenza non era un sacramento istituito da Dio. Così facendo aveva negato il sacerdozio e ridotto l'importanza della messa alla sola Cena del Signore, affermando che Dio era presente in ogni cosa e in quel momento accettava di rivelarsi (consustanziazione). Ne derivava infine l’abolizione del celibato ecclesiastico, in quanto il sacerdote diventava come gli altri fedeli. Carlo V convocò alla Dieta di Worms del 1521Lutero, che discusse le sue tesi. Fu poi portato al sicuro nel castello dell'elettore di Sassonia, mentre pochi giorni dopo Carlo V lo metteva al bando dell'Impero. Lo scontro era diventato politico fra l’imperatore e i principi tedeschi. Dalla Germani alla Svizzera Negli stessi anni di Lutero, a Zurigo un altro riformatore, Zwingli, predicava le sue idee le quali credevano solo nell'autorità delle sacre scritture, unica fonte della fede. Nel 1522 iniziò una serie di prediche in cui attaccava il celibato ecclesiastico, respingeva l’autorità del concilio e del papa; inoltre superando Lutero riduceva il culto della messa a una semplice lettura del Vangelo seguita dalla predica e dalla Cena del Signore, considerata solo una commemorazione. Egli negò la messa cattolica e il culto delle immagini. Le idee di Zwingli si diffusero a Basilea e a Berna; ma provocarono anche la reazione ei cantoni cattolici, Lucerna, Uri, Schwitz, Unterwalden, Zug, che si unirono in una lega difensiva contro Zwingli. Nel 1529 si incontrò con Lutero ma non fu possibile raggiungere un intesa sull'Eucarestia. Questo incoraggiò Carlo V che aprì una Dieta di Augusta il 20 giugno 1530, alla quale erano stati invitati i capi delle chiese riformate e i rappresentanti del mondo cattolico. L’imperatore stabilì l'applicazione della giurisdizione vescovile in tutto l’impero cosicché si formò nel 1531 la lega di Smalcalda tra principi luterani e le città svizzere e tedesche, per la difesa della riforma. Zwingli si ritrovò in guerra contro i cantoni cattolici e nella battaglia di Kappel morì; di conseguenza la svizzera restava divisa tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Calvino Compiuti gli studi teologi e di diritto a Orleans e a Parigi, entrato in contatto con le tesi luterane, Giovanni Calvino sosteneva che i riformatori si richiamassero semplicemente al vangelo. Solo la rivelazione contenuta nella Bibbia assicurava ai fedeli la conoscenza di Dio. Solo la fede poteva portare alla salvezza, dono della Grazie di Dio, estesa solo ad un certo numero di eletti. Chiamato a Ginevra riuscì a realizzare una società modellata sui suoi principi teologici e religiosi. La Chiesa di Ginevra fu amministrata da un’assemblea dei pastori e dei rappresentanti delle città (concistoro), che doveva sorvegliare con rigore la condotta dei fedeli. La visione dell'uomo e della storia di Calvino erano più pessimisti di quelli di quella di Lutero, con il quale entrò in contrasto. La salvezza poteva avvenire solo nel libero dono di Dio (predestinazione) mentre il battesimo e l'eucarestia furono ridotti a semplici funzioni simboliche. Il prescelto doveva quindi impegnare ogni sua forza nella vita civile e nell’organizzazione religiosa: egli accentuò l’aspetto etico della vita cristiana, predicando la necessità della disciplina, della condotta, dell’impegno nella vita quotidiana e nel lavoro. A differenza del luteranesimo egli sostenne la necessità di una Chiesa organizzata sul modello di quella da lui creata a Ginevra. Polemizzò più volte con Lutero e i protestanti, condannò i movimenti dissidenti come gli anabattisti e fece arrestare e condannare a morte come eretico il medico spagnolo Michele Serveto, per aver negato il dogma della Trinità. Ginevra era divenuta la capitale della riforma militante, che si diffuse lentamente: in Francia acquistò notevole influenza dove i suoi seguaci furono chiamati ugonotti. Calvino collegò strettamente religione e politica: egli sostenne che là dove il principe non riconosceva la libertà religiosa e i precetti del Vangelo, era possibile la resistenza e la ribellione. La riforma in Inghilterra e in Europa Entrato in conflitto con Roma a causa di un divorzio non concesso, Enrico VIII fece dichiarare nullo il matrimonio con Caterina D’Aragona, si sposò con Anna Bolena nel 1533 e fu scomunicato da Clemente VII. Il re negò l'autorità del papa con un atto del parlamento (Act of sumpremacy) che faceva del sovrano il capo della chiesa anglicana SCISMA DELLA CHIESA ANGLICANA. Scomunicato nuovamente da Paolo III, il sovrano fece giustiziare i capi dell'opposizione cattolica (i cardinali Fischer e Moro) e soppresse gli ordini religiosi incorporandone i beni nella corona. Questi avrebbero dovuto aderire alla chiesa luterana ma Enrico VIII fece approvare dalla Camera dei Lords l’Atto dei sei articoli, una professione di fede più vicina al calvinismo. Anche la pubblicazione del Book of Common Prayers (1548) sotto il regno di Edoardo VI. Nonostante ciò la chiesa anglicana si affermò solo con il regno di Elisabetta I (1558-1603). I vescovi furono nominati dal Re, il Parlamento controllò la predicazione e l'amministrazione dei sacramenti e il celibato ecclesiastico fu abolito nel 1571. Elisabetta I divenne la paladina dei calvinisti olandesi, impegnandosi nella difesa dell'Unione di Utrecht, contro la repressione spagnola. Nell'Europa settentrionale la riforma di affermò per volontà dei diversi sovrani, come avvenne nel caso della Danimarca, Norvegia, Svezia. La riforma in Spagna e in Italia In Spagna e in Italia il dibattito intorno ai temi della Riforma mantenne un carattere estremamente religioso diffondendosi soprattutto in circoli culturali ristretti, senza trovare alcun sostegno presso le corti. Il pensiero di Erasmo in Spagna conobbe un successo strepitoso: tale spirito aveva portato il clero spagnolo a impegnarsi nel tentativo di una riforma più vasta da estendere anche alla Chiesa di Roma. Solo dopo il 1537, dopo la condanna degli scritti di Erasmo, iniziò la repressione erasmiana in Spagna: molti rientrarono nell’ortodossia, altri invece passarono al luteranesimo, dopo aver abbandonato il paese. In Italia il centro più importante dei seguaci di Erasmo si creò a Napoli per opera dello spagnolo Juan de Valdese tra il 1533 e il 1541: era un mistico che credeva come Lutero nella dottrina della sola fide e trovò dei sostenitori in Pietro Martire Vermigli, Bernardino Ochino, generale dei cappuccini, Pietro Carnesecchi, Giulia Gonzaga e Vittoria Colonna. Un altro centro importante fu Ferrara dove la moglie di Ercole II D'Este, Renata di Francia, aveva creato un circolo culturale sensibile alle influenze protestanti, dove accolse alcuni studiosi in fuga dalla Francia, come Marot, Calvino o Rabelais. Tuttavia la reazione del marito, ostile alla propaganda della Riforma, allontanò gli esuli e la duchessa fu costretta ad una posizione passiva. Dopo il 1550 l'Inquisizione iniziò la repressione dei dissidenti. La risposta cattolica e la nascita di nuovi ordini religiosi I tentativi di riforma in Italia furono accompagnati anche da una forte reazione cattolica. Gli anni del pontificato di Paolo III videro anche l’istituzione del S. Ufficio. Il 21 luglio 1542 Paolo III, con la bolla Licet ab initio, creava una congregazione di sei cardinali, tra cui Carafa, per cercare e punire gli eretici con l’aiuto del braccio secolare, ovvero dei tribunali laici. Seguì poi nel 1559 la pubblicazione del primo Index librorum prohibitorum, nel quale si riportavano tutte le opere giudicate eretiche o immorali. Nel frattempo continuarono le fondazioni di nuovi ordini: dopo i teatini fu la volta dei barnabiti, somaschi con lo scopo di provvedere agli orfani, nel 1540 nacque l'ordine degli ospedalieri di Giovanni di Dio, chiamati Fatebenefratelli, nella seconda metà del cinquecento apparvero i ministri degli Infermi di Camillo de Lellis, i chierici regolari minori, gli scolopi. Il successo dei Fatebenefratelli due fu spettacolare: avevano aperto 22 ospedali in Italia. Al di sopra di tutti questi si innalzò l'ordine più celebre: i gesuiti di Ignazio di Loyola nel 1534 a Parigi e riconosciuto da Paolo III con il nome di Compagnia di Gesù (Societas Jesu, SJ). Il gesuita fu per molti il tipo dell'ecclesiastico puro, devotissimo al papa. L'ordine si occupò dell'educazione nelle scuole secondarie e nelle università, fondò numerosi collegi e raggiunse notevoli risultati nella formazione dei ceti della classe dirigente. L'azione dei gesuiti si spinse quasi subito al di fuori dell'Europa: in India, Cina, Giappone dove fu forte lo slancio missionario di Francesco Saverio e di Matteo Ricci. Solo i cappuccini ebbero altrettanto successo: incarnando la spiritualità francescana vivevano di elemosine prendendosi cura dei poveri e dei malati, diventando, in Germania, “i soldati spirituali della Controriforma”. Il concilio di Trento fra disciplinamento e rinnovamento In Concilio di Trento convocato da Paolo III si aprì il 13 dicembre 1545. Città scelta come incontro per la vicinanza con la Germania. A presiedere il concilio erano stati scelti tre cardinali di prestigio: Giovanni Maria del Monte (papa Giulio III), Ercole Gonzaga, Marcello Cervini (pontefici per poche settimane come Marcello II). Il concilio si svolse in 3 distinti periodi per un totale di 25 sessioni: tre anni il primo, dal 1550-1552 il secondo, dal 1562- 63 il terzo. Nel primo periodo i padri del concilio assunsero una posizione di difesa intransigente sul piano dottrinale. Si incontrano due volontà: Carlo V teso alla ricerca di un dialogo e Paolo III ormai rassegnato e intento a riaffermare l'ortodossia cattolica. Venne confermato il simbolo della fede, l’elenco dei testi ispirati, il dogma del peccato originale, gli effetti del battesimo, il dogma della giustificazione, condannando la teoria della predestinazione, l’importanza del libero arbitrio, l’importanza dei 7 sacramenti istituiti da Cristo. Per un breve periodo, a causa di una epidemia di tisi e del rigido clima trentino, il concilio fu spostato a Bologna. Il concilio si riunì nuovamente e si riaffermò la dottrina della transustanziazione (trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo durante l’eucarestia), poi venne riformata la disciplina del clero: impose l’obbligo di residenza nella propria diocesi, condannò il nepotismo, vietò il cumulo dei benefici ecclesiastici, obbligo di indossare l’abito clericale, riservò la confessione e la predicazione a una licenza concessa dal vescovo. Inoltre l’accesso al sacerdozio venne regolato da alcune garanzie: 25 anni di età e capacità e cultura prima di prendere gli ordini; fu imposta la clausura nei monasteri femminili, proibito l’allontanamento dal convento senza autorizzazione, i vescovi si occupavano del controllo sui monasteri. non alterare gli equilibri politici dei territori soggetti, evitando di introdurre novedades che potessero modificare i rapporti tra i ceti sociali. Il governo aveva il suo cuore a Madrid e traeva impulso dall'azione del re. Gli affari di stato, le più importanti questioni politiche ed i problemi amministrativi passavano all'esame dell'apparato polisinodiale cioè l'insieme dei vari consigli, forme collegiali che esprimevano il loro parere in una consulta inviata al re, cui spettava la decisione finale. A lato dell'apparato operava una rete di uffici centrali con compiti specifici, specie in materia di prelievo fiscale, pagamenti a terzi e relativa contabilità, approvvigionamenti, movimentazione di truppe, registrazione ed esecuzione degli ordini reali. Risultano importanti, nell'era di Filippo II, gli uffici di segreteria e i loro titolari: i segretari erano due tipi: quelli addetti al singolo consiglio o a una giunta e quelli privati. Gli addetti privati erano scelti dal sovrano e lo aiutavano dell'organizzazione del suo lavoro quotidiano. Nei regni spagnoli a partire dal 500 in ciascun territorio operavano organi delegati dell’amministrazione centrale che assistevano i viceré e i governatori. Un importante funziona politica svolgevano le assemblee rappresentative (le cortes nei diversi regni spagnoli e i parlamenti in quelli italiani); accanto a questa rete periferica dei poteri centrali operavano i diversi organi locali, spesso in concorrenza e in contrapposizione. Il conflitto con l'impero ottomano Nel percorso di espansione l'impero ottomano e quello spagnolo si trovarono in conflitto nel Mediterraneo e nell'Europa centro-orientale. Seppur diversi, questi due imperi dovettero affrontare lo stesso problema di gestioni di un impero che agglomerava diverse tradizioni e culture. L'impero turco fece convivere fedi religiose diverse dalla sua ma oppose resistenza alla penetrazione sciita. Mentre l'impero spagnolo si mostrò meno tollerante verso tutte le fedi religiose. Bisogna considerare che nei gruppi dirigenti spagnoli il problema religioso faceva tutt'uno con quello politico. La presenza di una minoranza araba (moriscos) veniva collegata ad una identità politica diversa: si immaginava che quelle comunità mantenessero continui rapporti con una rete di informatori turchi e che fossero pronte a far man forte in occasione di un ipotetico sbarco sulla penisola iberica. All'inizio del Cinquecento, l'impero ottomano, si impegnò in una lunga politica di ampliamento territoriale attraverso una triplice direttrice di avanzamento: 1) lungo i Balcani incorporando Serbia, Bosnia e Valacchia investendo il regno d'Ungheria 2) conquista delle isole del Mediterraneo orientale, sottratte all'influenza genovese e veneziano (Rodi e Cipro) 3) guerra di corsa nel basso Mediterraneo. Nello stesso periodo la Spagna era impegnata a contenere le incursioni turche nel Mediterraneo. Tra il 1535 e il 1560 si aprì una nuova fase di scontri tra le forze spagnole e quelle turco barbaresche: Tunisi fu persa e ripresa e occupata dai barbareschi; Algeri tornò in mano barbaresca mentre Tripoli fu riconquistata dalla flotta musulmana. Per difendersi, la corona spagnola mise in piedi la strategia dei “presidi fissi”, ovvero strutture difensive che consentivano la mobilitazione rapida di milizie territoriali in grado di respingere gli attacchi nemici. Inoltre fu deciso di portare l'attacco direttamente contro la flotta turca. Nel 1570 il sultano attaccava Cipro e il Pontificie Pio V spinse per una crociata contro l'antico nemico, unendo le forze nella Lega Santa. Filippo II in difficoltà per la rivolta dei moriscos e impegnato sul fronte dei Paesi Bassi accettò di costituire l’alleanza con gli altri stati cattolici. Lo scontro avvenne a Lepanto il 7 ottobre 1571 e registrò una vittoria della flotta cristiana (il mito della Gerusalemme liberata). Tuttavia non fu salvata Cipro cosicché che Venezia concluse una pace separata nel 1573. La spagna invece stipulò nel 1578 una pace, costretta dalle difficoltà interne e dai costi di mantenimento della flotta. Il problema delle minoranze etniche e religiose in Spagna In Spagna sopravviveva una piccola comunità musulmana che manteneva saldamente il suo passato, ciò costituiva un punto sensibile della società spagnola. A seguito della caduta di Granada nel 1492, ultimo regno arabo in Spagna, i re Cattolici Fernando e Isabella avevano concesso ai moriscos una serie di clausole che salvaguardavano i diritti di proprietà, l'esercizio della fede religiosa e i loro costumi ed usanze. Già nel 1500 queste garanzie erano state in gran parte ritirate e l'alternativa era la conversione forzata a cristianesimo e l'emigrazione fuori dalla Spagna. Ciononostante c'è chi non si ostinava a perdere le sue garanzie, ma negli anni sessanta le vessazioni contro la popolazione moresca continuarono per mezzo di leggi proibizioniste nei confronti dei costumi e degli usi moreschi, senza contare il maggior peso fiscale. Ciò portò alla ribellione del 1568 in cui i moriscos si ritirarono sulle montagne e lottarono al loro modo con imboscate e attacchi ai villaggi. Tuttavia la rivolta si spense nel corso del 1570. Repressa con durezza la rivolta, il governo decise di disperdere quelle comunità, fuori dalla regione granadina. L'ossessione per i moriscos –etnia altamente prolifica- venne risolta solo con Filippo III e l'espulsione dalla Spagna, con la cacciata del 1609. L'altra minoranza perseguitata fu quella degli ebrei, perseguitati in Spagna più duramente che altrove, dove veniva concesso loro di vivere concentrati in talune aree della città (ghetti). I programmi di conversione forzata avevano condotto alla formazione di un gruppo sociale chiamato conversos o marranos. A vigilare sul loro comportamento era addetto il consiglio della santa inquisizione. Per coloro che resistevano alla fede giudaica fu varato un decreto di espulsione del 1492 che colpì 150 mila ebrei. Tuttavia ci fu anche chi si convertì e nelle varie generazioni non si distinse più fra “cristiani vecchi” e “cristiani nuovi”, i quali nella prima metà del Cinquecento conseguirono notevole successo negli affari, aumentando di conseguenze le ingiurie e le limitazioni nei loro confronti (la purezza del sangue). La successione portoghese Fin dal XVI secolo, il Portogallo, attraverso una aggressiva politica di navigazione, aveva occupato gli arcipelaghi di Madera, le Canarie e le Azzorre e inoltre controllava il Brasile, il cui territorio fu diviso in capitanie, ciascuna affidata ad un capitano affinché operasse la colonizzazione e ripartisse le terre tra coloni. La terza colonizzazione portoghese era stata la rotta delle Indie aperta da Vasco de Gama con la circumnavigazione dell’Africa. Sul piano della politica Giovanni II aveva consolidato l’autorità della monarchia accrescendo il demanio regio e controllando l’irrequieta nobiltà lusitana attraverso una forte centralizzazione. La dinastia degli Aviz aveva sempre cercato di stringere rapporti saldi con la monarchia castigliana, attraverso strategie matrimoniali incrociate. Nel 1519 il re portoghese Emanuele I, alla morte della moglie sposò Eleonora, sorella di Carlo V, nel 1521, il suo successore Giovanni III sposò Caterina, sorella dell’imperatore; a sua volta Carlo V aveva sposato Isabella di Portogallo e da questa unione nacque Filippo III, che a sua volta sposò Maria di Portogallo. Nel 1552 Giovanni, fratello di Maria, aveva sposato Giovanna, sorella di Filippo II, da quest’ultima unione era nato Sebastiano, futuro re del Portogallo, che nel 1568 salì al trono. Nel 1578, il giovane Sebastiano sbarcò con un esercito sulla costa nordafricana, per una crociato contro gli infedeli, ma fu sconfitto in un massacro. Gli successe lo zio, il cardinale Enrico, che morì però a causa dell’età avanzata e le condizioni di salute. Salì al trono Filippo II, zio del defunto re Sebastian. Con l’entrata dell’esercito a Lisbona, il Portogallo sarebbe stato unito alla Spagna, conservando una notevole autonomia. Filippo II si impegnò a rispettare tutte le leggi dei sovrani precedenti, a nominare solo cittadini portoghesi nelle cariche istituzionali e a spendere nel paese tutto ciò che veniva prelevato dal fisco. I conflitti tra Spagna e Inghilterra La monarchia cattolica di Filippo II fu, nella seconda metà del Cinquecento, la maggior potenza politica europea. Furono tuttavia complessi i rapporti con il regno d’Inghilterra. Dopo la riforma voluta da Enrico VIII era salita al trono la cattolica Maria Tudor, figlia di Enrico e la prima moglie Caterina d’Aragona. Filippo II si sposò nel 1554 con Maria Tudor, palesando in tal modo la sconfitta del protestantesimo. Con l'ascesa di Elisabetta I, i rapporti cambiarono radicalmente: la regina inviò sussidi e aiuti di ogni tipo ai protestanti francesi (ugonotti) e allo stesso tempo sostenne i ribelli dei Paesi Bassi. La rottura tra le due professioni venne formalizzata nel 1571 con la pubblicazione dei Trentanove Articoli che marcava nettamente le differenza dottrinarie con la Chiesa di Roma. Si arrivò anche al conflitto sulle rotte marine, dove la regina autorizzò la guerra di corsa contro i galeoni spagnoli, che trasportavano merci e metalli preziosi tra le colonie e la madrepatria: Francis Drake nel 1587 attaccò le navi spagnole nel porto di Cadice. Nello stesso periodo si incoraggiavano le fondazioni di colonie sulla costa orientale nord-americana e nel 1583-83 fu costituita la prima, Virginia. Anche sul fronte dei Paesi Bassi, Elisabetta, firmando un trattato di assistenza con le Sette Province Unite, inviò truppe inglesi al comando del duca di Leicester. Quando nel 1587 fu scoperta e stroncata l’ennesima congiura che Maria Stuart aveva tentato di organizzare, Elisabetta la condanno alla pena capitale. Filippo II decise di attaccare l’Inghilterra, il piano originario prevedeva due distinte linee di operazione: la prima di natura navale che mirava all’isola di Wight, mentre la seconda attraversava il canale della Manica e a sbarcare sul suolo inglese. Filippo II, poiché disponeva della flotta portoghese riuscì ad allestire Invincibile Armata, ma tuttavia furono sconfitti. Il declino della Spagna La fedeltà delle élite locali nei confronti di un progetto comune al ruolo della monarchia cattolica, anche nella penisola iberica venne messa a dura prova. Questo progressivo distacco si accentuò durante il regno di Filippo III poiché diminuì il ruolo dei consigli ed emerse il ruolo decisivo del collaboratore più intimo al sorano, il valido. Con l'emergere del valido l'equilibro fra sovrano e apparato statale si era profondamente alterato; si registrò anche un forte recupero della nobiltà, che sia Carlo V che Filippo II avevano tenuto a freno nell’esercizio del potere politico. Con l’inizio del regno di Filippo III tanto il valido (il duca di Lerma) quanto l’intero apparato di governo, compresero le difficoltà che attraversava la Spagna, tanto da firmare a Madrid la pace con Londra nel 1604 e si stipulò una tregua con le provincie olandesi nel 1607. Nel 1617 Filippo II rinunciò a tutti i suoi diritti sull'eredità degli Asburgo d'Austria. Tutto ciò era visto come una rinuncia alla identità della monarchia. Tuttavia la Spagna aveva bisogno di un momento di respiro. La situazione economica era in recessione:  Andamento demografico negativo, anche per effetto dei cicli epidemici;  L’agricoltura risenti dei fattori climatici;  Sistema produttivo entrò in crisi la moneta impiegata in modo improduttivo, cioè per pagare le spese belliche; la moneta buona quindi non rimaneva nel paese ma andava a beneficio di altre economie europee. In particolare, l’industria manifatturiera che poteva giovarsi dell’abbondanza di una materia prima, la lana, regolata dalla Mesta, una potente organizzazione transumante delle pecore- entrò in crisi. Gli effetti di questa destrutturazione economica si avvertirono con ritardo, poiché l’arrivo dei metalli preziosi americani continuava ad alimentare il meccanismo degli scambi, fornendo una forte liquidità del sistema economico. L’economia spagnola veniva fortemente sollecitata dall’aumento della domanda globale delle merci che si registrava in tutta Europa e che richiedeva adeguati mezzi di pagamento, cioè quantità elevate di monete con cui saldare il circuito degli scambi che si realizzava tra la domanda e l’offerta, in tal modo però esso andò incontro ad un processo prima di inflazione e poi di stagnazione. Ciò fu la causa dei numerosi casi di bancarotta, a causa della mancata restituzione di denaro ai creditori. L’Inghilterra e i Paesi Bassi L'Inghilterra di Enrico VIII Nel 1534 Enrico VIII proclamò il distacco della Chiesa anglicana dall’obbedienza a Roma, dopo aver ricevuto il rifiuto di divorzio da parte di Clemente e fece condannare Tommaso Moro, che si opponeva; poi incamerò tutti i beni del clero. Successivamente si risposò diverse volte, uccidendo la sposa precedente. Già Enrico VII Tudor aveva promosso una politica favorevole alla borghesia mercantile, che proprio allora stava aprendosi al traffico L'aumento demografico tra il XV e il XVI secolo comporta un aumento della richiesta di prodotti agricoli e materie prime, tutto ciò ci collega al paesi baltici. Il rifornimento di grano veniva dall'Ucraina come pure il legname e i minerali scandinavi. Tuttavia bisogna passare per gli stretti di Sund e Belt, creando naturali conflitti. Questi contrasti portarono alla dissoluzione dell'antica Unione di Kalmar, sorta nell'ormai lontano 1397 conglobando i regni di Danimarca, Norvegia e Svezia. L'unione si spezzò e nel 1523 il re Cristiano II venne deposto con la forza e furono costituiti due distinti regni: quello di Danimarca, dal 1536 comprendente anche la Norvegia, e quello di Svezia. La Danimarca, grazie alla favorevole posizione geografica, poté concorrere con olandesi e inglesi attraverso la creazione, nel 1616, della Compagnia danese per le Indie orientali. Solo nel 1660 Copenaghen perse il monopolio degli stretti e inoltre un'altra conseguenza fu la trasformazione da monarchia elettiva in ereditaria. La Svezia era guidata da Gustavo Vasa che favorì l’introduzione del protestantesimo nel paese, creò un esercito permanente e trasformo la monarchia da elettiva a ereditaria ed inoltre il suo successore non evitarono di coinvolgere il paese nelle guerre. Per questo motivo si trovò in un periodo di instabilità dovuto ai conflitti con i danesi e con i russi. Ciò facilitò il Riksdag (parlamento) a riprendere il potere perduto. Con l'incoronazione del re successivo, Gustavo Adolfo, la Svezia sarebbe entrata prepotentemente nella grande politica europea. La Svezia era ricca di miniere di ferro e rame ed era caratterizzato da una notevole coesione sociale. Il Regno di Polonia Paese vastissimo, in gran parte agricolo e basato sul possesso fondiario in cui la rivoluzione dei prezzi rafforzò il potere dei nobili. Questo era possibile perché le prestazioni obbligatorie dei contadini nei confronti del proprietario non ridotte alla corresponsione di canoni di denaro o in derrate ma prevedevano di norma tre giorni gratuiti di lavoro come forma di prestazioni obbligatori, per i padroni. Tale prassi era stata sancita giuridicamente con la riduzione dei contadini allo stato servile: i coloni infatti non potevano abbandonare il proprio villaggio e quindi in una fase di surriscaldamento dei prezzi finì per rafforzare la forza economica della nobiltà polacca. Sigismondo II Augusto riconobbe la forza della nobiltà locale mentre la tolleranza religiosa aveva permesso il diffondersi dell'eresia luterana che però nella seconda metà del Cinquecento lasciò spazio ai gesuiti, facendo diventare la Polonia un baluardo della Contro riforma. Con la dinastia iagellonica, la Repubblica di Polonia si sarebbe trasformata da una monarchia ereditaria in elettiva con i sovrani tenuti all’osservanza dei Pacta conventa e non di rado scelti tra le grandi case regnati europee; il potere venne restringendosi nelle mani della Dieta, l’assemblea dei nobili che con il Liberum vetum poteva bloccare qualsiasi iniziativa di legge. A consolidare il trionfo cattolico contribuirono i successi riportati in politica estera grazie ad una convergenza tra la corona e la grande nobiltà dei magnati. La Santa Russia degli zar Tra gli stati dell'oriente europeo, la Russia nel Cinquecento, era quello che contava meno. La Russia intratteneva rapporti durevoli con l'Occidente, tuttavia alcuni casi del Quattro - Cinquecento risulteranno rilevanti. Con la caduta di Costantinopoli del 1453 e con il matrimonio dell'ultima erede dell'Impero Bizantino Sofia Paleologo con Ivan III abbiamo il presupposto per l'incoronazione a zar di Ivan IV nel 1547 che segna anche la cerimonia in stile bizantino. Mosca da allora divenne la Terza Roma. Lo Zar poteva sentirsi il piccolo padre dei contadini e padrone assoluto della nobiltà e del clero, la cui fedeltà consolidata con la creazione del patriarcato di Mosca che rese la chiesa russa “autocefala “cioè indipendente dall’antico patriarcato di Costantinopoli. Terribile fu Ivan IV verso i boiari ma soprattutto con i contadini, contro di loro istituì una classe sociale chiamata opricnina ai quali impose la sua autorità assoluta; distribuendo parte delle terre dei boiari in cambio dei servizi nell’amministrazione locale e nel servizio militare territoriale. Durante tutto il XVI-XVII la Russia subì grandi mutamenti a causa di Turchi, Svedesi e Polacchi. I turchi nei Balcani Nell'area Balcanica l'espansionismo ottomano aveva registrato notevoli progressi, soprattutto ad opera di Selim I, conquistando la Siria e l'Egitto nel 1517 e di suo figlio Solimano il Magnifico che dopo aver strappato Rodi, i suoi reparti si dirigevano a Vienna. Sotto di lui l'Impero islamico raggiunse la massima espansione territoriale mentre, sul piano culturale, Istanbul diveniva una metropoli cosmopolita. La situazione vedeva gli ottomani stabilmente insediati in Transilvania, Ungheria e Bosnia. Vi era poi la repubblica di Venezia che controllava la Dalmazia, le isole Ionie, Creta e, fino al 1570, Cipro. Non raggiunsero mai la Dalmazia ma si insediarono in Albania e Bosnia Erzegovina. Questo triplice confine veneto- turco-austriaco segnò per secoli uno spartiacque non solo politico ma etnico e religioso culturale. Economia e società nel Cinquecento La demografia La congiuntura economica della prima età moderna è caratterizzata dall'avvicendarsi di due fasi di segno opposto. La prima copre l'intero Cinquecento e si presenta come un movimento espansivo che tocca tutti i settori della vita economica, un movimento che allarga lo spazio economico verso il mondo americano e verso l’oriente. Questa fase espansiva sembra esaurirsi attorno al terzo - quarto decennio del Seicento e in questi anni l'Europa entra in una fase di stagnazione, che gli storici definiscono crisi generale. L'elemento che innesca lo sviluppo economico cinquecentesco è certamente l'aumento della popolazione. La grande crisi demografica di metà Trecento, dovuta alla peste nera del 1348, aveva generato una caduta drammatica della popolazione. Solo durante il Cinquecento il recupero demografico poteva dirsi pienamente raggiunto. Si può supporre che agli inizi del Cinquecento la popolazione non superasse i 50 milioni di abitanti mentre agli inizi del Seicento aveva raggiunto gli 80 milioni; le cause di questo aumento non vanno individuate in una riduzione della mortalità ma in un aumento della natalità dovuta alla favorevole congiuntura economica. I meccanismi che regolavano l’incremento demografico erano di diversa natura: l’offerta di terre disponibili, la precarietà dei raccolti, il livello dei prezzi alimentari; da fattori esterni quali i cicli epidemici o malattie e la mortalità infantile. Il fenomeno più significativo fu una decisa accelerazione del processo di urbanizzazione lungo tutto il Cinquecento. Emerge sempre più il ruolo egemone delle città capitali. Le città offrivano maggiori opportunità di lavoro e la possibilità di acquistare la cittadinanza concedeva tutele e diritti che gli abitanti delle campagne non avevano. I Sovrani cercavano di mantenere le città ben approvvigionate anche in tempi di carestie. Le attività agricole Nel mondo preindustriale le attività agricole hanno occupato il primo posto delle attività economiche. Nell'agricoltura era infatti impegnata fino al 70% della popolazione attiva: la terra era la fonte principale della ricchezza (F.Braudel “terra come grande aspirazione”). La distribuzione delle proprietà era fortemente disuguale: la proprietà contadina, nel corso del Cinquecento, si ridusse progressivamente a favore delle grandi aziende appartenenti alla nobiltà, a gruppi della borghesia urbana e agli enti ecclesiastici. Terra gravata da numerose imposte e obblighi verso il signore feudale, lo stato e la chiesa. Questa ampia fascia di poteri gestiti in modo dispotico aumentava la precarietà della vita dei contadini e alimentava un ricorrente fenomeno migratorio verso le città. La condizione di vita delle famiglie contadine era al limite della sussistenza: bastava mezz'ora di tempesta per ridurre alla fame una comunità. A rendere meno precaria la situazione era la possibilità di sfruttare le terre comuni, su queste terre il cui uso era regolato da consuetudini o statuti. Quando nel corso del Cinquecento e del Seicento i villaggi e le comunità, sotto l'attacco dei signori, perderanno il controllo e l'uso di queste aree demaniali, la vita dei contadini diventerà ancor più dura. Il crescente aumento della popolazione sollecitò l'aumento della domanda dei beni alimentari, soprattutto cereali. Tuttavia i sistemi agrari erano organizzati in modo rigido, la fertilità della terra era limitata alle regioni piovose e gli strumenti del lavoro agricolo erano piuttosto semplici. In questa situazione la risposta alla crescente domanda si realizzava attraverso un sistema di agricoltura estensiva, l'estensione delle superfici coltivabili, nel complesso però si rivelò insufficiente a far fronte alle esigenze alimentari dei paesi maggiormente interessati alla crescita demografica. Nel corso della prima età moderna, la dieta si impoverì per il diminuito consumo di carni e la prevalenza dei cereali. È la cosiddetta “dieta mediterranea”. Il quadro dei consumi alimentari variava in funzione della fascia dei redditi, in base ai contesti geografici e climatici. Il minor consumo di proteine poteva essere compensato da altri prodotti come olio, burro, formaggi e legumi. Lungo le aree costiere l’integratore proteico era il pesce e la sua conservazione poteva avvenire o per mezzo della salatura o dell’affumicamento. L’agricoltura del 500 incontrava dei limiti oggettivi che la conducono a crisi di sussistenza. Quando in un decennio i cattivi raccolti si susseguono per due - tre anni le scorte si esauriscono e i prezzi cominciano ad aumentare e una fascia crescente di consumatori si rivolge ai cereali minori. Il prezzo di questi comincia a salire ed un numero massimo di consumatori viene ridotto alla fame. In queste condizioni le difese biologiche si riducono e le classi più deboli sono quelle più esposte ai pericoli malattie ed epidemie. Ad aumentare l’intensità di queste crisi agrarie vi fu un radicale cambio del clima che si registra nel corso del secolo, noto agli storici con il nome di “piccola glaciazione”. Le attività industriali Le attività industriali sono tutte quelle attività rivolte alla trasformazione delle materie prime o semilavorate in prodotti finiti, cioè in merci che vengono offerte sul mercato. Possiamo individuare tre diversi modelli di organizzazione della produzione industriali, attraverso la combinazione degli elementi che formano il processo industriale: Industria domestica: attività di trasformazione svolte dai singoli componenti di una famiglia per la produzione di prodotti non agricoli. Non si trattava di una produzione rivolta al mercato ma rivolta alle esigenze domestiche: lavorazione della lana, del cotone e di altre fibre. Modello diffuso sia in età medievale che in età moderna. La persistenza di questo modello è dovuta ad un problema di costi ma soprattutto coloro che necessitavano di prodotti di questo tipo vivevano per la maggior parte in villaggio erano obbligati a provvedere in prima persona a tali esigenze. Artigianale: produzione di prodotti manufatti realizzati all'interno di una bottega dal singolo lavoratore e dai suoi collaboratori. La produzione è rivolta al mercato che si svolge sia nelle città che nelle comunità minori. L’unità produttiva si svolge in una bottega e fa capo all’artigiano. Occorre inoltre la presenza di un piccolo capitale di avviamento con cui provvedere alla locazione della bottega, l’acquisto della materia prima e il pagamento della forza lavoro. Importante la presenza di corporazione, strutture associative che raggruppavano artigiani che svolgevano lo stesso mestiere. Nel modello di produzione artigianale convivevano tre distinte funzioni (lavoratore, imprenditore, mercante) ma nell'età moderna si assiste ad una loro progressiva separazione. Quando la separazione di queste tre funzioni si consolida si sviluppa l'industria a domicili: il mercante decentra in laboratori domestici alcune fasi del ciclo produttivo. Il mercante imprenditore è a capo di una vera e propria azienda. Grande industria accentrata: organizzazione del lavoro svolta da grandi masse di dipendenti con apporti di capitali elevatissimi e una strumentazione tecnica piuttosto elaborata (costruzioni edilizie o cantieri navali, miniere o manifatture tessili). Osservando la produzione industriale tra Cinque e Settecento rileviamo due elementi peculiari. Da un verso il settore industriale non assorbe una grande quantità di addetti, dall'altro le corporazioni verranno abolite con la caduta dell'ancien regime mentre il modello artigianale e domestico sopravvivranno. Le attività commerciali Seppur lo sviluppo economico in questi anni stia maturando, prendendo atto della complessità di soddisfare il fabbisogno della popolazione, in queste economie preindustriali svolge un ruolo determinante l'autoconsumo: nel complesso delle quantità prodotte dell'agricoltura una parte notevole non viene immessa sui mercati ma trattenuta a vario titolo dai produttori. Tutti i prodotti nei mercati cittadini provenivano da un aria non più distante di 60 km, in quanto gli scambi si svolgevano su base principalmente regionale o provinciale. Proprio questa ineguale allocazione delle colture alimenta la necessità degli scambi, sia tra aree regionali ma anche quello a lunga distanza, sul fronte dei commerci internazionali. L'espansione del commercio marittimo cinquecentesco
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