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Il contenuto delle norme internazionali, Dispense di Diritto Internazionale

Il contenuto delle norme internazionali

Tipologia: Dispense

2015/2016

Caricato il 16/01/2016

michela.santolo
michela.santolo 🇮🇹

5

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Scarica Il contenuto delle norme internazionali e più Dispense in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! Il contenuto del diritto internazionale come insieme di limiti all'uso della forza internazionale ed interna degli stati Sebbene il contenuto del DI attuale sia incredibilmente vasto, esso si snoda intorno a un filo conduttore e informato ad un'idea direttrice in base alla quale puà essere sinteticamente descritto; tale idea è che il contenuto del DI è costituito da un insieme di limiti all'uso della forza da parte degli stati, sia verso l'esterno che all'interno. Per forza internazionale intendiamo la violenza di tipo bellico o operazioni militarri;più difficile è la definizione di forza interna, intesa come potere di governo esplicato dallo stato sugli individui e sui loro beni. Quella di potere di governo delimitato da DI è una nozione studiata in riferimento al potere che lo stato esercita nel suo territorio, ma va considerata da un punto di vista più generale in riferimento al poter di imperio ovunque esplicato. Questo potere non può identificarsi semplicemente con l'esercizio della coercizione, quella che per la dottrina anglosassone è la jurisdiction to enforce; sebbene parte della dottrina sostenga questa tesi, così come anche noi abbiamo fatto precedentemente, alla luce di una più attenta analisi ci sembra che anche la sentenza dichiarativa di un giudice, una legge ecc possano essere un comportamento illecito. Tuttavia, così come il potere di governo limitato da DI non è solo quello materiale, non è neppure ogni manifestazione della sovranità dello stato: attività normativa astratta, esplicata in leggi o atti normativi. Finchè al comando astratto non segue applicazione a un caso concreto non può parlarsi di violazione del DI; il contenzioso relativo alle violazioni del DI, come dimostrato dalla prassi, è su questioni concrete. L'attività normaiva astratta non interessa il DI nemmenoq uano è oggetto di una convenzione internazionale. Se consideriamo il caso di qualsiasi convenzione che prevede che lo stato disciplini una materia con legge, la violazione della convenzione avviene per la non adozione della legge; è anche sostenuto che se anche c'è la legge e non vi è poi applicazione da giudici o organi amministrativi, la convenzione è rispetata. E' una tesi paradossale che mostra come è discutibile l'idea che per il DI può avere rilievo anche la sola attività normativa dello stato. Il potere di governo di cui parliamo è a metà strada quindi tra attività normativa e esercizio della coercizione materiale. Non basta l'emanazione di comandi concreti, legislativi, giurisdizionali o amministrativi, che ci sembra essere la tesi anglosassone secondo cui il DI pone limiti alla jurisdiction to prescribe o legislative jurisdiction. A noi sembra che l'attività di mero comando, anche se indirizzata a determinate concrete o questioni concrete, non ha rilievo per il DI se non è accompagnata dall'attuale possibilità di agire coercitivamente per farl arispettare. Questa possibilità sussiste a seconda delle circostanze,ma è sempre legata alla presenza delleperosne o beni coinvolti dal comando concreto. Possiamo concludere che il potere di governo delimitato dal DI è qualsiasi misura concreta di organi statali sia avente natura coercitiva sia in quanto suscettibile di essere coercitivment attuata; può dirsi che il DI pone limiti alla forza interna degli stati. Che si tratta di forza internazionale o interna, ciò che il DI limitate è l'azione esercitata dallo stato su persone o cose. Si dice che ci sono fenomeni che essendo incoercibili sfuggono al potere dello stato: comunicazioni via radio, attività spaziali, comunicazioni in rete. In questi casi ci cembra che il punto di riferimento della disciplina internazionalistica restino le persone e le cose; diritti e obblighi internazionali di cui lo stato è titolare presuppongono sempre la sua possibilità di governare, magari solo nei luoghi di partenza o arrivo, le attività umane. La mteria dei limiti all'uso della forza internazionale è importante soprattutto per l'eccezione a questo divieto, cioè la legittima difesa. La sovranità territoriale La prima norma consuetudinaria in tema di delimitazione del potere di govenro delo stato è quella sulla sovranità territoriale. Si consolidò con la fine del Sacro Romano Impero, con cui cessò ogni dipendenza degli stati dall'Imperatore e dalla Chiesa; la sovranità territoriale venne concepita come un diritto di proprietà dello stato o meglio del sovrano che ha per oggetto il territorio. Quadri: il territorio era tutto: gli individui e le cose. L'idea di potestà di governo era così legata a quella di territorio che si utilizzava anche per giustificare l'utilizzo del potere di governo oltre il proprio territorio. Si discute sulla natura giuridica internazionale del territorio: chi afferma che è l'oggetto di un diritto reale dello stato, come la proprietà; chi ritiene che il territorio non è un bene patrimonialistico ma segna solo l'ambito della potestà di govenro dello stato; chi mescola le due. E' una disputa solo teorica perchè non cambia il contenuto della norma internazionale. Può dirsi che tale norma attribuisce a ogni stato il diritto di esercitare esclusivamente il potere di governo sulla comunità territoriale, cioè sugli individui nel territorio. Parallelamente ogni stato ha l'obbligo di non esercitare il proprio potere su quelo di altri; in ogni caso la vilazione della sovranità territoriale si ha solo se vi è presenza fisica e non autorizzata dell'organo straniero nel territorio. Il potere di governo dello stato territoriale è anche libero nelle forme e nei modi del suo esercizio e dei suoi contenuti. In linea di principio lo stato è libero nel suo territorio di fare ciò che vuole ma tale libertà è andata restringendosi con l'evolversi del DI moderno. Quasi tutte le norme internazionali che si sono formate comportano una serie di limiti sempre più fitti al potere di governo: i limiti alla libertà dello stato sono in massima parte Nella materia dei diritti umani si sono formate norme consuetudinarie = principi generali di diritti riconosicuti dalle Nazioni civili; a differenza delle convenzioni, il diritto consuetudinario protegge un nucleo fondamentale e irrinunciabile di diritti umani; si tratta del divieto delle c.d. gross violations = tortura, trattamenti degradanti, lavoro forzato etc; ne fanno parte i crimini internazionali (genocidio, crimini di guerra). Sull'appartenenza di questi divieti al DI generale, anzi al jus cogens internazionale, concordano tutti gli stati. Non è invece prevista dal diritto consuetudinario l'abolizione della pena di morta, nonostante le forti pressioni dell'opinione pubblica mondiale. L'obbligo degli stati di rispettare i diritti umani è un obbligo negativo o di astensione = gli orgnai statali sono tenuti ad estenersi dal ledere tali diritti e, per il DC a compiere gross vilations. Allo stesso tempo è un obbligo positivo o di protezione = lo stato deve vigilare affinchè tali violazioni non sia commesse. Le norme sui diritti umani vengono in rilievo anche riguardo la protezione delle minoranze e delle popolazioni indigene. Le minoranze sono definibili come un gurppo numericamente più esiguo del resto della popolazionedello stato cui appartiene e che ha caratteristihce culturali, fisiche, o storiche diverse dal resto del paese; la necessità della loro protezione nasce dalla 1GM. E' affidata al DC e norme sulla materia sono in quasi tute le convenzioni sui diritti umani. Le convenzioni multilaterali che si occupano specificatamente della materia invece nonsono molte; spesso le norme su una determinata minoranza si trovano in accordi bilaterali tra lo stato in c'è la minoranza e lo stato cui essa eticamente appartiene; es: Italia accordi De Gasperi- Gruber sul Sud Tirolo. Alla amteria dei diritti umani si applica la regola del rpevio esaurimento dei ricorsi interni: regola mutuata dalle norme internazionali sul trattamento dello straniero = la violazione delle norme consuetudinarie su diritti umani non può dirsi consumata finchè esistono nell'ordinamento dello stato offensore rimedi edeguati e effettivi per eliminare l'azione illecita o fornire all'individui offeso una congrua riparazione. La punizione dei crimini internazionali commessi da individui La caratteristica delle norme riguardanti i crimini internazionali, generali e convenzioni, è che esse creano una responsabilità propria delle persone fisiche che li commettono, concorrendo alla formazione della soggettività internazionali di questi ultimi. Il che non esclude la contemporanea responsabilità degli stati nel caso in cui gli individui siano anche loro organi. Oggi la comunità internazionale si sta organizzando per attuare la punizione dei crimini internazionali individuali con l'istituzione di tribunali internazionali; una notevole prassi giurisprudenziale ha caratterizzato fin ora i due Tribunali per i crimini commessi nella ex Iugoslavia e nel Ruanda, mentre scarsa è stata l'attività della Corte penale internazionale. La punizione è quindi in gran parte affidata ai tribunali interni nell'esercizio della sovranità territoriale. Secondo una ripartizione che risale all'Accordo di Londra del 1945 che istituì il Tribunale di Norimberga pe rl apunizione dei crimini nazisti, i crimini internazionali si possono dividere in crimini contro la pace, contro l'umanità e di guerra. Oggi vi è un elenco più dettagliato negli artt.5-8 dello Statuto della Corte penale internazionale, che prevede 4 tipi di crimini: genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, crimini di agressione. Genocidio art.6: riprende la definizione dell'art.2 della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, secondo cui è tale la distruzione totale o parziale di un grupo nazionale, etnico, razziale o religioso. Crimini contro l'umanità art.7: i seguenti atti, purchè perpetrati come parte di un esteso o sistematico attacco diretto contro una popolazione civile: omicidio, riduzione in schiavitù, deportazione........ vedi libro. Crimini di guerra art.8: sono considerati crimini di guerra se commessi durante un conflitto armato sia internazionale sia interno, sia da appartenenti ad un esercito sia da civili, sia contro militari sia contro la popolazione civile. Oltre a includere crimini già inclusi in quelli contro l'umanità, inserisce atti specifici del tempo di guerra come la vilazione del diritto umanitario di guerra, l'arruolamento forzato dei prigionieri, presa di ostaggi, attacchi intenzionalmente diretti alla popolazione e obbittivi civili. La competenza della Corte si estende a tutti questi atti quando "in particolare" essi facciano parte di un piano o un disegno politico o una serie di crimini analoghi commessi su larga scala. C'è da chiedersi se anche crimini isolati siano da considerare internaizonali in tempo di guerra; la risposta dovrebbe essere positiva anche se ci si pone dal punto di vista del DC. Aggressione: è stata definita in una decisione degli stati parti dello statuto dopo la sua entrata in vigore e la sua definizione riprende quella data dall'Assemblea generale dell'ONU ma l'entrata in vigore è stata rimandata. Questo elenco di crimini corrisponde alla communis opinio della comunità internazionale e ha riscontro nella prassi delle Corti interne dei vari stati oltre che in quella delle corti internazionali. Si tratta di crimini individuali che anche se inizialmente disciplinati convenzionalmente sono tali anche per il DC. Per l'aggressione non esiste una prassi significativa, ad eccezione della punizione dei criminali nazisti, sebbene la punizione risentì del carattere apocalittico con cui la guerra si era presentata. A dedurre da questo precedente si può forse concordare con Cassese: l'aggressione è qualificabile come crimine internazionale idivisuale oslo se è su larga scala o ha conseguenze gravi. Spesso l'individuo che commette un crimine internazionale è organo del proprio stato; ciò comporta una duplice responsabilità internzionale: dell'individuo organo, che è la punzione del colpevole, e quella dello stato, che è molto più labile. In cosa differisce la punizione dell'individuo che ha commesso un crimine internazionale, da quella di un crimine comune, quando a punirlo è la corte interna? Ci si chede se il Di consuetudinario abbia un principio di giurisdizione universale ( cioè ogni stato ha la facoltà di procedere alla punizione ocunque e verso chiunque abbia commesso il crimine). Per il DI generale, lo stato è sempre libero di esercitare la giurisdizione sui suoi cittadini, mentre può sottoporre lo straniero a giudizio penale solo se sussiste un colelgamento con lo stato del giudice, collegamento dato in generale dal principio di territorialità; principio variamente temperato dalla possibilità di punire reati più gravi anche dallo straniero all'estero. Nel caso della giurisdizione universale invece ci si chiede se la necessità del collegamento venga meno anche nei confronti dello straniero. Ovviamente la raatio di questa giurisdizione è che lo stato che punisce il crimine persegue l'interesse della comunità internazionale. Secondo la prassi la giurisdizione universale è da ammettere per il DI consuetudinario, ma a condizione che il criminale straniero sia nel territorio dello stato al momento che debba essere sottoposto a giudizio e se non è richiesto dallo stato nazionale di punirlo. Tale norme va coordinata con quelle perche prevedono l'immunità dei capi di stato e di governo e di vari altri organi stranieri finchè sono nell'esercizio delle loro funzioni. La giurisdizione universale può esercitarsi anche quando il colpevole è catturato all'estero illegittimamente; ed è libero altresì lo stato di escludere che i crimini internazionali, che esso vuole punire, vadano in prescrizione. NB: lo stato può ma non deve punire, può ma non deve considerare il crimine come imprescrittibile; dal punto di vista pratico non c'è molta differenza tra semplice facoltà e obbligo, perchè in materia penale gli obblighi internazionali restano inattuati se mancano le norem interne che indichino in maniera precisa la fattispecie delittuosa e le pene da comminare. La punizione dei crimini internazionali deve avvenire nel rispetto dei diritti umani fondamentali. - pag 221-222- Si discute se il terrorismo sia crimine internazionale; il terrorismo, secondo una norma consuetudinaria consolidata, consiste nella commissione di un atto criminale con l'intento di terrorizzare la popolazione di uno stato e sempre che l'atto trascenda i confini di un singolo stato. Non sono terroristici gli atti commessi da cittadini nel loro stato, quelli commessi da movimenti di liberazione di territori sotto dominazione straniera ( si pensi alla Cisgiordania, obbiettivi comuni; tale istituto, che non è limitato alla cooperazione economica, è descritto nella Dichiarazione di principi dellAssemblea generale sul nuovo partenariato per lo sviluppo dell'Africa, in cui è incoraggiata la cooperazione economica tra paesi sviluppati e africa ma anche tra i paesi africani. Limiti al potere di governo dello stato in materia economica esistono rispetto al trattamento dello straniero. Sono da registrare tentativi fatti in dottrina per individuare limiti di diritto generale, svincolati dalle norme sul trattamento degli stranieri. I tentativi più interessanti si riferiscono alla irrogazione di sanzioni in base alla legislazione antitrust, a quella riguardante il commercio internazionale o a condizionare l'amministrazione di società estere. Si è affermato (Luttazzo) che lo stato non deve interferire negli interessi economici di stati stranieri, o che questi interesi devono essere oggetto di una ponferazine e avere il sopravvento se sono meritevoli di maggiore tutela rispetto a quelli nazionali (Meessen) o che ciascuno stato debba esercitare il proprio potere in materia in esame nei limiti ragionevoli (Mann, Roth). Tutto ciò è stato detto per reagire alla "dottrina degli effetti" secondo cui la giurisdizione dello stato si radicherebbe ogniqualvolta un atto produce effetti all'interno del territorio nazionale , indipendentemente da dove e da chi l'atto sia compiuto. Grazie a questa dottrina gli USA hanno giustificato l'applicazione della propria legislazione antitrust ad imprese all'estero: misure di embargo pe ril gasdotto siberiano tra URSS e EU, misure al commercio con Cuba,Iran e Libia; situazione molto contestata ma che oggi è mutata, in quanto la teoria degli effetti è stata adottata dalle leggi e dalla giurisprudenza di diversi paesi. E' ancora da stabilire quando un'attività industruale produce effetti sostanziali sul piano interno; la prassi è poco chiara e spesso il ricorso alla dottrina in esame è solo un pretesto per obiettivi protezionistici (Adolphsen). La valutazione della materia dal punto di vista del DI generale, gli effetti sostanziali prodotti nello stato che adotta sanzioni contro le imprese straniere costituiscono il contatto idoneo a giustificare l'esercizio del potere di governo sugli stranieri. Inutile dire che se l'impresa colpita non ha beni nel territorio dello stato sanzionante il suo intervento è velleitario. - Quanto qui sostenuto è in linea con la tesi di Picone secondo cui il DI generale in materia economica ha solo carattere strumentale, limitandosi ad imporre agli stati obblighi di informazione e consultazione sulle misure prese.- In tema di protezione dell'ambiente sono importanti i limiti alla libertà di sfruttamento delle risorse per ridurre i i danni causati dalle attività inquinanti. La libertà di sfruttamento incontra limiti di carattere consuetudinario? Da più parti si sostiene che lo stato ha l'obbligo di evitare che il suo territorio sia utilizzato in modo da danneggiare il territorio di altri stati; normalmente questo problema è sollevato sotto il profilo della responsabilità dello stato territoriale: ci si chiede se sussiste una responsabilità per danni oltre frontiera, se va considerata come responsabilità da atto illecito o se sorgw anche se l'attività nociva è lecita, e se la responsabilità ha carattere assoluto o presuppone la colpa dello stato territoriale. Approfondiamo solo la questione se il DI consuetudinario impone l'obbligo di non compiere atti nocivi: se l'indagine ha esito positivo la responsabilità che deriva dalla violazione dell'obbligo sarà una responsabilità da illecito; se ha esito negativo si dovrà stabilire se si può configurate una responsabilità da atti leciti. Questo problema si è posto prima nei rapporti di vicinato, soprattuto riguardo l'utilizzo dei fiumi internazionali, modificazioni sull'aflfusso delle acque al territorio di uno stato contiguo, immissioni di sostanze tossiche etc; oggi si pone soprattuto riguardo l'inquinamento atmosferico derivante da attività pericolose che producono danni a distanza: centrali atomiche, esperimenti nucleari, industrie chimiche etc. Riguardo tali attività il principio n.21 della Dichiarazione di Stoccolma del 72, adottata dalla converenza di stati sull'ambiente umano indetta dalle NU, principio dipreso l n2 dalla Dichiarazione della Conferenza di Rio del 92, secondo cui gli stato hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse naturali conformemente alla loro politica sull'ambiente e hanno l'obbligo di assiurarsi che le attività esrcitate sotto la loro sovranità non danneggino l'ambiente": Queste dichiarazioni non hanno forza vincolante; si può dire che il loro obbligo corrisponda al DI consuetudinario? Risposta positiva da la dottrina, citiamo decisioni di corti internazioneli: - Sentenza arbitrale degli USA e Canada del 41 nell'affare della Fonderia di Trail. - Sentenza della CIG secondo cui l'obbligo di non inquinare deriva da un corpo di regole del DI dell'ambiente; non si capisce se la corte si riferisce al DC o alle convenzioni in materia ambientale; la formula è stata interpretata nella sentenza arbitrale del 2005 fra Belgio e Paesi Bassi nel caso del Reno di ferro nel senso che si è di fronte a un principio emergente. Manca una significativa prassid egli stati che deponfa per l'obbligo in questione; come ha notato Bodansky, l'opinione espressa quasi all'unanimità dalla dottrina e avallata dalla giurisprudenza non corrisponde alla prassi degli stati ma rappresente un ideale collettivo della comunità internazionale. Gli stati sono sempre restii ad ammettere la propria responsabilità e se a volte hanno indennizzato le vittime, spesso hanno sottolineato ilc arattere grazioso dell'indennizzo. I paesi in sviluppo, sia con qualche apertura recente, sono attaccati ancora al principio della sovranità permanente sulle risorse naturali. In conclusione esiste una spinta da parte della giurisprudenza internazionale alla formazione di una norma consuetudinaria o di un principio emergente, ma deve ancora consolidarsi come prassi degli stati. Diverso è il caso specifico delle acque comuni, di cui è vietato qualsiasi utilizzo capace di nuocere agli altri utilizzatori: prassi diffusa, nche se ci sono manifestazioni contrarie come la Dichiarazione del Procuratore generale Harmon del 1895 sul diritto degli USA di deviare il fiume Rio Grande a danno del messico; molto citata è la sentenza arbitrale del 1957 tra Spagna e Francia nel caso del Lago Lanoux sulla pretesa della Francia di deviare le acque del lago sottraendole all'uso comune. Gli obblighi di cooperazione sono previsti per gli usi nocivi del territorio in generale, come l'obbligo dello stato sul cui territorio ci sono fenomeni di inquinamento di informare gli altri stati e l'obbligo per tutti di adottare in accordo misure preventive. - p 236- Diversi sono gli obblighi degli individui, fisici o giuridici, o dello stato, sul piano interno: se un indistria pubblica o privata danneggia il territorio di un altro stato, può essere chiamata a risponderne innanzi ai giudici di questo stato nel normale esercizio della sovranità territoriale, o innanzi aiu giudici dello stato dal cui territorio proviene l'inquinamento. Quando si fa riferimento al principio del "chi inquina paga" come principio di DI, si ha riguardo proprio della responsabilità di diritto interno; tale principio è previsto dal n.16 della Dichiarazione di Rio del 92 e adottato in varie convenzioni internazionali, si limiterebbe comunque ad imporre allo stato di usare atrumenti affinchè sia fatta valere la responsabilità dell'inquinatore. Ci si chiede se lo stato non sia obbligato dal DI generale a gestire razionalmente le risorse del suo territorio secondo i principi dello sviluppo sostenibile, della responsabilità intergenerazionale, dell'approccio precauzionale; la risposta, in assenza di prassi, è positiva, e può parlarsi (Gestri) di una tendenza che va affermandosi. - pa 138- Sul piano del diritto pattizio ci sono molte convenzioni internazionali, a carattere universale o regionale, che si occupanod ella lotta all'inquinamento. Per gli usi del territorio che possono nuovere al territorio o alle comunità sottoposte alla giurisdizione di altri stati ricordiamo: nell' UNEP la Convenzione di Stoccolma del 2001; nel quadro della commissione economica delle NU per l'Eu la convenzione del 79 sull'inquinamento atmosferico a lunga distanza: art.3 obbligo di scambi di informazioni, ricerca e monitoraggio; art.5 obbligo di consultazioni tra le parti contraenti interssate; nel quadro dell'IAEA le due convenzioni del 1986 sulla tempestiva notifica degli incidenti nucleari e sull'assistenza in caso di incidenti nucleari; la Convenzioni di Basilea del 1989 sul controlo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e della loro eliminaizione. Nel tema della protezione degli interessi patrimoniali degli stranieri vi è il problema del rispetto dei debiti pubblici con questi contratti dallo stato predecessore nel proprio diritto interno nei casi di mutamento di sovranità; la dottrina tradizionale, vista la prassi incerta, era favorevole alla successione nel debito pubblico; tale opinione è stata respinta dai paesi in via di sviluppo. Nella prassi recente, in particolare quella relativa allo smembramento dell'URSS e della Cecoslovacchia, si nota la tendenza all'accollo da parte dei paesi subetranti. La disciplina dell amateria segue i principi valevoli per la successione nei trattati. Il DIC non prevede limiti perl'ammissione degli stranieri; rivive la norma sulla sovranità territoriale che comporta la libertà dello stato di stabilire la propria politica di immigrazione, permanente o temporanea. Il problema sorge quando lo stato, nell'impedire l'ingresso degli stranieri, viola i diritti umani fondamentali tutelati anche dal DC; la precisazione è importante soprattutto per l'immigrazione clandestina. Per il DC lo stato può espellere gli stranieri con modalità non oltreaggiose e che gli si debba concedere un lasso di tempo ragionevole per regolare i propri interessi (ripetto del dovere di protezione). Limiti particolari in tema di espulsione derivano da convenzioni internazionali, soprattutto quelle sui diritti umani: - art.3 convenzione delle NU contro la tortura o altre pene del 1984: obbliga gli stati a nonestradare o espellere una persona verso paesi in cui può essere torturata. - implicitamente nella giurisprudenza della CEDU art.2 : vedi sopra. - art.3 della convenzione europea dei diritti dell'uomo. - la Corte ha anche ricavato l'oblbigo di non espellere dall'art.8 della convenzione: rispetto della vita privata e familiare quando l'espulsione comporterebbe una rottura dell'unità familiare. Con l'intensificarsi dei flussi migratori ha grande importanza la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo del 1967 sui rifugiati, entrambi ratificati da 145 stati. Secondo l'art.1 lo status di rifugiato spetta a chi teme a ragione che nel proprio paese possa essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche; il rifugiato è obbligato al rispetto delle leggi dello stato di rifugio e ha diversi diritti tra cui quello di non essere discriminato dalla razza (art.3), praticare la propria religione (art.4) accedere ai tribunali (art.16) assistenza (art.20) ottenere il documento di viaggio per circolare negli stati contraenti (art.28); il più importante è l'art.33: principio del non-refoulement = il rifugiato non può essere espulso verso territori dove la sua vita o libertà è minacciata. Secondo un interpretazione evolutiva dell'art.33, ricavata dalla prassi, questo principio di applica in ogni caso in cui il rifugiato può essere sottoposto nel suo paese a trattamenti contro i principi fondamentali. La prassi evolutiva ha assorbito la figura del rifugiato con quella del richiedente asilo politico, anche solo sul piano terminologico; il diritto d'asilo territoriale non è previsto da una convenzione a carattere universale ma da atti internazionali prici di forza vincolante: dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e la dichiarazione sull'asilo territoriale, adottate dall'Assemblea generale delle NU. Sul piano regionale la convenzione di caracas del 1954 promossa dall'Organizzazione degli stati americani. Nella costituzione italiana l'oblbigatorietà del diritto d'asilo è sancita dal comma 3 dell'art.10. Implicito nel principio non-refoulement che al richiedente lo status deve avere un lasso di tempo per dimostrare i motivi della richiesta. Le convenzioni di stabilità prevedono l'oblbigo di ciascuna parte contraente di riservare alle persone fisiche o giuridiche condizioni di particolare faovre sia in tema di ammissione che per l'esercizio di attività professionali. Importanti sono le norme sul diritto di stabilitmento contenute negli artt 46 ss del TFUE che mirano a una totale parificazione tra cittadini e stranieri nel territorio UE e riguardo i cittadini degli stati membri; a questo fine vi è la cittadinanza europea, disciplinata dagli artt.9 ss del TUE e prevista dalla carta europea dei diritti fondamentali: comporta il diritto di circolare liberamente nell'UE di partecipare alle elezioni locali nello stato membro in cui risiede di votare nello stesso stato per i rappresentanti al parlamento europeo. Se lo stato non rispeta le norme sul trattamento dello straniero compie un illecito internazionale verso los tato cui appartiene lo straniero. Istituto caratteristico di questa materia è quello della "protezione diplomatica"; ciò significa che lo stato cui appartiene lo straniero può assumere la difesa del proprio suddito sul piano internazionale: può agire con proteste, minacce di contromisure, proposte di arbitrato o ricorso a istanze giurisdizionali internazionali per ottenere la cessazione della vilolazione e il risarcimento per il danno. Per far ciò lo straniero deve però aver esaurito tutti i rimedi previsti dal'ordinamento dello stato territoriale, purchè adeguati ed effettivi, secondo la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni; finchè questi rimedi esistono le norme sul trattamento degli stranieri non possono considerarsi violate. Questo istituto ha oggi carattere residuale: una volta esauriti i ricorsi interni e avvenuta la violazione, è necessario che non ci siano rimedi internazionali efficaci azionabili dagli stranieri lesi. Il diritto della protezione diplomatica è un diritto di cui è titolare nell'ordinamento internazionale lo stato e non il suddito, ed è quindi da escludere che ciò sia una manifestazione della personalità internazionale dell'individuo.. Lo stato può anche rinunciare ad agire e sacrificare l'interesse del suddito ada ltri interessi, anche se in dottrina, non in prassi, si sta affermando l'oblbigo dello stato di esercitare tale protezione inc aso di gravi violazioni dei diritti umani. Questo istituto è oggetto di contestazione, limitatamente ai rapporti economici facenti capo a stranieri, dagli stati in sviluppo; questi si rifanno alla vecchia dottrina Calvo (internazionalista e diplomatico argentino che la abbozzò nel XIX secolo): le controversie sul trattamento degli stranieri sono di esclusiva competenza dei Tribunali dello stato locale. Vi si sono ispirati gli stati latino-americani, inserendo nei contratti con imprese straniere una clausula di rinuncia alla protezione del proprio stato (clausula Calvo). Alla stessa dottrina si ispira l'art.2 della Carta dei diritti e doveri economici degli stati, riguardo la nazionalizzazione di beni stranieri, lett c: ogni controversia sull'indennizzo dovrà essere regolata in conformità alla legislazione interna dello stato nazionalizzante e dai suoi tribunali, a meno che glis tati interessati non convengano liberamente di ricercare altri mezzi pacifici sulla base dell'eguaglianza sovrana degi stati medesimi. A nostro avviso nessuno può costringere uno stato, accusato di vilazione delle norme sugli stranieri, a trattare la questione sul piano internazionale o a risolversa tramite arbitrato se questo non ha preventivamente e liberamente assunto obblighi convenzionali a riguardo, ma nessuno può nemmeno vietare allo stato straniero di protestare. - Questo istituto, in particolare nei paesi in sviluppo, è in declino. Nella prassi si diffondono strumenti che garantiscono i rischi sugli investimenti all'estero, sopratutto contro espropriazioni e nazionalizzazioni, e che evitano, sia per interesse dei paesi esportatori che importatori, una radicalizzazione dei conflitti sul piano internazionale. Uno di questi strumenti è un'asicurazione accordata ai propri nazionali dello stato esportatore. Importante è anche l'attività dell'ICSID, istituito con la Convenzioe di Washington nel 65: al centro fa capo un sistema di conciliazione e arbitrato per le controversie tra privati investitori e sati che ricevono l'investimento.- Dato che lo stato che esercita la protezione diplomatica agisce nel suo proprio interesse, ci sembra che acquisti grande importanza il ruolo del giudice interno: al contrario di quanto possa sembrare lo straniero può essere più garantito contro le violazioni del DI perpetrate verso di lui dai giudici dello stato territoriale piuttosto che dall'azione diplomatica da parte del proprio sato nazionale. Se i giudici dello stato territoriale amministrano rettamente e secondo la giustizia e opernao in uno stato che garantisce l'osservanza delDI, pososnoe vitare che lo straniero ricorra alla protezione del proprio stato. La protezione diplomatica spetta infatti a organi del potere estero, di solito organi del potere esecutivo e che quindi possono essere condizionati da motivi politici relativi alle relazioni internazionali. Implicito è che la protezione diplimatica può essere esercitata sia in difesa di una persona fisica che di una persona giuridica, come una società; la naizonalità delle persone giuridiche non è però così ben definita. Per le società commerciali ci si chiede se si devva guardare a criteri formali o legali come il luogo di costruzione o quello della sede, cui tradizionalmente si lega - L'art.39 della CV del 61 prevede che quando la missione è finita le immunità continuano a sussistere finchè il diplomatico lascia il paese; la norma è conforme al DC. Per gli stati terzi, la convenzione all'art.40 prevede solo l'inviolabilità personale nei paesi atrtaversati per recarsi nel paese di accreditamento. Esenzione fiscale: esclusivamente per e imposte dirette personali. Le immunità spettano agliagenti diplomatici, cioè i capi-missione; si estendonoa nche alle famiglie degli agenti di chi fa parte di questo personale. L'art.37 CV, con una norma che è dubbia nella corrispondenza al DIC, estende le immunità anche al perosnale tecnico e aranne gli impiegati che sono cittadini dello stato territoriale. Per il DIC queste immunità spettano anche alle supreme autorità degli stati che si occupano delle relazioni internazionali, capid i stato, di governo e minstri degli esteri. -p262-263- L'immunità dalla giurisdizione ratione personae copre anche crimini internazionali, sempre solo durante la funzione; in tal caso è da ritenere che l'immunità funzionale essa deve soccombere rispetto all'esigenza della punizione di tali crimini, poichè i crimini internazioneli sono commessi proprio dagli organi supremi dello stato, sarebbe assurdo negare che possa essere punito l'agente diplomatico o un individuo cui spettano immunità diplomatiche. La prassi è orientata in questo senso; è da citare anche la sentenza del Tribunale federale svizzero del 2012, caso Nezzar, ex ministro dell difesa algerino responsabile di sperizioni e tortura. Controversa è la questione se per qualsiasi organo statale il DI preveda immunitò funzionale; la tesi affermativa argomenta che s el'organo agisce nell'esercizio delle sue funzioni, la sua attività va imputata allo stato e questo deve risponderne; la prassi tuttavia non depone in questo senso e ha grandi ambiguità. Sicuramente ci sono categorie di individui che non sono capi di stato, di governo o ministri degli esteri, cui l'immunita è riconosciuta: per i consoli non è prevista nessun'altra immunitò salva l'inviolabilità dell'archivio consolare. L'immunitò funzionale è riconosciuta ai corpi di truppa, mentre non è riconosciuta agli agenti segreti. Per gli altri organi è stato dimostrato (De Sena) dalla prassi che esistono casi, come intrusioni non autorizzate di agenti di polizia in territorio straniero, di sconfinamenti aerei o cattura di criminali all'estero, in cui l'immunità dalla giustizia penale è esclusa. Anche secondo noi la prassi non depone nel senso del riconoscimento dell'i mmunità funzionale agli organi dello stato, in particolare possiamo interpretala così: l'immunità funzionale sussiste per la giurisdizione civile, comprese azioni di risarcimenti per crimini commessi dall'organo: lo stato per il quale l'organo ha agito può essere sottoposto alla giurisdizione straniera, se poi è immune, come per i risarcimenti per azioni qualificabili come atti jure imperii, è sempre possibile chiamarlo a rispondere sul piano internazionale. L'immunità è da escludere per l'esercizio della giurisdizione penale: la sua ratio sta nel fatto che lo stato, come persona giuridica, difficilmente può essere considerato come penalmente responsabile. Infine vi è il problema se il funzionario può invocare come esimente l'ordine del superiore, problema risolto alla luce della legislazione penale dello stato del giudice. - p 264- Per lgi organi statali stranieri che non hanno immunità funzionale valgono le comuni norme sult rattamento degli stranieri. Il trattamento degli stati stranieri Se e quali limiti ci sono per lo stato territoriale dal principio di non intervento negli affari interni e internazionali di un altro stato? E' un principio di cui è difficile precisare l'esatto contenuto in quanto giuridico, essendo spesso enunciato solo a fini di propaganda politica. Molto non si ricava neanche dalla Dichiarazione di principi dell'Assemblea delle NU contenuta nella ris. 1981 n 36/103 e dedicat alla materia: la dichiarazione si occupa di quasi tutti i settori disciplinati dal DI, dall'autodeterminazione ai diritti umani. Il principio ha perso via via la sua autonoma sfera di applicazione con l'affermarsi di più pregnanti regole generale che ne hanno assorbito le fattispecie; la più importante è il divieto della minaccia o dell'utilizzo della forza, che prima erano le principali fattispecie regolate da questo principio. Riguardo le sue possibili applicazioni, che si risolvono in limiti al potere di governo che lo stato ha nel proprio territorio, sono importanti gli interventi dello stato che condizionano la politica interna e internazionale di un altro stato, come misure di carattere economico. La CIG si è pronunciata nella sentenza del 1986 sulla controversia sulle azioni degli USA contro il Nicaragua nel senso che l'interruzione di un programma di aiuto allo sviluppo o il divieto delle importazioni dal paese che si vuole colpire non sono sufficienti per un'ipotesi di illecito intervento negli affari di un altro stato. Secondo noi se queste misure sono prese contemporaneamente e hanno il solo scopo di influire sulle scelte dello stato, devono essere considerate vietate. Ci si chiede infine se da questo principio deriva l'obbligo di impedire che nel proprio territorio si tengano comportamenti che possono turbare indirettamente l'ordine publbico di stati stranieri. Sono lecite manifestazioni di condanna e critica verso uno stato straniero ma ci sono pareri discordi dovuti a una prassi confusa e in cui è difficile separare gli aspetti giuridici da quelli politici. A noi sembra che la rgola generale che copra ogni tipo di attività non sia ricostruibile; cosa che non esclude che singole norme possano essersi formate su singole fattispecie. Forse l'unica regola consuetudinaria di cui è sicura l'esistenza è quella contro gli atti di terrorismo. Gli stati stranieri sono assoggettabili alla giurisdizione civile dello stato territoriale = può uno stato essere convenuto in giudizio davanti alle corti di un altro stato per es. per inadempienza contrattuale? Hanno lavorato sul tema la CDI e un comitato ad hoc dell'Assemblea generale delle NU, alla fine una convenzione di codificazione, convenzione delle NU sull'immnità giurisdizionale degli stati e dei loro beni, è stata adottata dall'Assemblea nel 2004, sebbene oggi non è ancora in vigore ed è stata firmata solo da 15 stati. Alla fine dell'800 e agli inizi del secolo scorso, la teoria universalmente accolta sul problema del trattamento degli stati stranieri si ispirava al principio par in parem non habet iudicium ed era favorevole all'immunità assoluta degli stati stranieri dalla giurisdizione civile. La giurisprudenza italiana e belga, dopo la 1GM, hanno inziato un'inversione che ha portato alla rvisione della regola dell'immunità assoluta, con l'elaborazione della teoria del'immunità ristretta o relativa, che oggi si considera comunemente ammessa tanto da corrispondere allos tato del DIC. Secondo questa teoria l'esenzione degli stati stranieri dalla giuridizione civileè limitata agli atti jure imperii ( = attraverso cui si esplica l'esercizio delle fx pubbliche statali) e non agli atti jure gestionis o jure privatorum ( = atti che hanno carattere privatistico). La distinzione tra questi due tipi di atti rispecchia le incertezze della distinzione tra diritto pubblico e privato e non è sempre facile applicarla ai casi concreti. Anche qua il DC dà ampio magine all'interprete, cioè il giudice interno; può sostenersi che in caso di dubbio debba concludersi a favore dell'immunità anzichè della sottoposizione dello stato straniero alla giurisdizione. Ciò è confermato nella giurisprudenza interna che è incline ad ampiare invece che restringere la sfera delgi atti jure imperii. Questa tendenza a considerare l'immunità la regola e la giurisdizione l'eccezione è anche all abase della convenzione delle NU che non differenzia esplicitamente gli atti jure imperii dagli atti jure gestionis, ma afferma il principio dell'immunità ed elenca una serie di eccezioni in cui lo stato straniero può esser convenuto in giudizio. L'elencazione comprende le controversie su transazioni commerciali (art.10), i contratti di lavoro (art.11), danni a persone o cose (art.12), alla proprietà e possesso (art.13), alla proprietà industriale (art.14). Uno dei campi in cui la distinzione tra i due atti è difficile è quello delle controversie dilavoro; si tratta di giudizi instaurati da lavoratori che hannola nazionalità dello stato territoriale ,per lavoro presso le ambasciate e istituti di cultura stranieri. Difficile stabilire quali aspetti del rapporto di lavoro devono essre qualificati come pubblicistici o privatistici ai fini dell'immunità. In realtà la distinzione tra questi atti non fu escogitata, quando si cominciò a reagire contro l'immunità assoluta, in relazione a questi rapporti, e la sua applicazione a questi va criticata. Nulla da obbiettare se il lavoratore ha la L'immunità dalla giustizia civile è prevista anche per gli enti territoriali e persone giuridiche pubbliche; ulteriore prova che a formare la persona dellostato per il DI concorrano tutti quelli che esercitano il potere di governo nella comunità statale. La teoria dell'immunità ristretta va applicata sia al provedimento di cognizione che a quelli di esecuzione e cautelari su beni detenuti da uno stato estero: l'esecuzione forzata è ammissibile solo se è esperita su beni non destinati a pubblica funzione. - p 278- Senza fondamento nel DI è la dottrina del Act of State: una corte interna non può rifiutarsi di applicare una legge o un altro atto di sovranità straniero; le corti di uno stato, anche nei giudizi tra privati, non possono controllare la legittimità internazionale o interna di leggi, sentenze e atti amministrativi stranieri che vengono in rilievo nei giudizi medesimi. Questa dottrina è nata nei paesi di common law, ebbe molta risonanza negli USA all'epoca delle nazionalizzazioni cubane negli anni '60, per l rifiuto della giurisprudenz americana di sindacare la legitimità internazionale di tali nazionalizzazioni e riconoscere i diritti delle società americane espropriate. Es: caso Sabbatino, deviso dalla Corte Suprema nel 1964 con cui il legislatore volle sottrarre le nazionalizzazioni al'applicazione della dottrina dell'Act of State. Questa dottrina affiora qua e là ella giurisprudenza; in realtà è più che altro un principio di autolimitazione da parte delle corti, giustificata dalla necessità di non creare imbarazzo al proprio governo nei rapporti con i governi stranieri. E' quindi da condannare nella parte in cui si risolve nella non applicazione del DI da parte dei giudici. -p280- Il trattamento delle OI Ulteriore limite ala sovranità territoriale sono le norme sul trattamento delle OI, che riguarda soprattutto lo stato in cui ha sede ma anche gli stati in cui gli organi dell' org si trovano ad operare. Per il trattamento dei funzionari non esistono norme consuetudinarie che impongono agli stati di concedergli particolari immunità, perchè solo tramite convenzione lo stato può essere obbligato in tal senso. Le disposizioni convenzionali al riguardo si trovano nelle convenzoni istitutive e in accordi conclusi dall'org con gli stati membri o non membri. Dal DC sono regolate le immunità dei rappresentanti degli stati in seno agli organi delle OI. - Per i funzionari delle NU la Carta sancisce all'art.105 par 2 un principio generale di immunità "per l'esercizio indipendente delle loro funzioni", lasciando all'AG il compito di proporre agli stati membri la concusone di accordi di dettaglio. Tra quelli vigenti: la Convenzione generale sui privilegi e le immunità delle NU del 1946; la Conv del 1946 tra ONU e Svizzera. Generalemnte questi accordi contengono due tipi di norme: descrivono in modo dettagliati il tipo e l'ampiezza delle immunità; rinviano alle norme di DIC relative alle immunità diplomatiche. Le norme sulle immunità dei funzionari dell'UE sono contenute nel Protocollo sulle immunità e i privilegi dell'UE del 1965, in vigore dal 67. Per le immunità dei rappresentanti degli stati, la materia è regolata da accordi relativi a ciascuna org ed è stata anche oggetto di una Conv di codificazione promossa dalle NU: la Conv del 1975 sulla rappresentanza degli stati nelle loro relazioni con le OI di carattere universale; essa riconosce le immunità diplomatiche ai membri delle missioni permanenti presso le org.- Lo stato in cui opera un funzionario internazionale, di cui non è però cittadino, a proteggerlo con le misure preventive e repressive previste dalle norme consuetudinare previste dagli stranieri. La violazione di tale obbligo da luogo all'esercizio della protezione diplomatica da parte dello stato nazionale medesimo. Esiste anche nei confronti dell' org cui il funzionario appartiene? Attualmetne un obbligo di protezione del funzionario c'è nei confronti dell' Org. ma che questa può agire sul piano internazionale nei confronti dello stato territoriale solo per risarcire i danni arrecati (protezione funzionale) e non quelli arrecati all'individuo, perchè in questo caso è lo stato nazionale che agisce in protezione diplomatica. Questa non può dirsi una norma consuetudinaria consolidata, ma la prassi recente va in questo senso. Anche le OI sono immuni dalla giurisdizione civile dello stato territoriale. Questa immunità degli stati ma oggi si considera prevista da una norma consuetudinaria autonoma, anche se ci sono voci contrarie. Questa norma si trova nell'attribuzione della personalità internazionale all'ente, nelle norme dei loro statuti istitutivi. Un problema importante per le OI è quell'dell'immunità sulle controversie di lavoro. Questa è un evoluzone necessaria per assicurare al lavoratore magiore tutela; evoluzione nel senso che l'immunità è esclusa se l'OI nonha, nell'ordinamento interno, un organo, di natura giudiziaria, che offre le sue gfaranzie di indipendenza e imparzialità. Simili organi esistono nelle orf più importanti: nelle NU c'è il Tribunale che giudica in primo grado, il ribunale del Conenzioso Amministrativo e un Tribunale d'Appello; nell'UE per le controversie di lavoro c'è un'apposita Corte, il Tribunale della funzione pubblica. Il diritto internazionale marittimo Libertà dei mari e controllo degli stati costieri sui mari adiacenti Il mare territoriale è sottoposto alla sovranità dello stato costiero; l'acquisto di tale sovranità è automatico e sancito dall'art.2 dela Conv Montego Bay.7. - Precedentemente sostenevamo l'impossibilità di equiparare il mare territoriale al territorio faceno leva sulla mancanza di un'intesa tra gli stati sul confine esterno del mare territoriale: alcuni stati volevano che fosse ristretto a 3 miglia dalla costa, altri a 6 fino a 200 miglia; ritenevamo quindi che nei mari adiacenti alle proprie coste lo stato avesse poteri non delimitati spazialmente ma funzionalmente e quindi esercitabili quando era necessario. Uno dei risultati della Terza onferenza sul diritto del mare è che il limite è di 12 miglia, MB art.3. Secondo la dottrina formatasi tra 1 e 2 GM lo stato ha il diritto di esercitare vigilanza doganale in una zona contigue al mare territoriale; dottrina estesa alla vigilanza sanitaria e di immigrazione dall'art.24 CV 1958 e trafusa nell'art.33 MB che in una zona contigua al suo mare territoriale lo statocostiero può: prevenire la violazione delle proprie leggi fiscali, doganali sanitarie e d'immigrazione; di reprimere tali violazioni. L'art.303: nella zona contigua lo stato può controllare la rimozione di reperti archeologici, come prevede anche l'art.8 della Conv sulla protezione del patrimonio culturale sottomarino del 2001 dell'UNESCO. La larghezza massima della zona contigua è 24 miglia marine secondo l'art.33. Tale disposizione corrisponde al DI? Noi sosteniamo che, limitatamente alla vigilanza doganale, il potere dello stato incontra, per il DI, un limite funzionale: può fare tutto il necessario per prevenire e reprimere il contrabbando nelle acque adiacenti alla costa; la distanza non è importante, purchè non si trattidi una distanza che faccia perdere ogni idea di adiacenza, è necessario che ci sia un contatto tra la nace e la costa, costituito dal trasbordo delle merci di contrabbando dalla nace su imbarcazioni locali, se ilc arico deve sbarcare nel territorio costiero o dalla particolare pericolosità sociale della merce. La prassi mostra la tendenza a non tener conto delle distanze ma per la repressione del contrabbando. Quando si vule sostenere chela vigilanza dohanale può essere esercitata solo in spazi determinati si ricorre alla teoria della presenza costruttiva: se la nave che è in acque internazionali ha contatti con la costa è come se si trovasse negli spazi sototposti al potere di governo dello stato costiero. Il DIC consente sia misure preventive che repressive; la tesi sotenuta da vari autori secondo cui ci si deve limitare alle prime è smentita dala prassi internazionale. Da dove misurare le 12 miglia. Il problema è stato oggett di varie norme della MB art.5 ss, norme che si ispirano alla prassi consolidata. L'art.5 MB fissa il principio generale secondo cui la linea di base è data dalla linea di bassa marea. L'art.7 riconosce la possibilità di derogare a questo principio ricorrendo al principio delle linee rette, ciu legittimità è riconosciuta dalla CIG nella sentenza del 1951. Il principio delle linee rette segna il confine congiungendo i punti spporgenti dela costa. L'art.7 non è preciso sul limite di sporgenza, prescrive solo un occupazione effettiva della piattaforma, e, a differenza del diritto sul territorio e mare territoriale, ha natura funzionale = solo nella misura strettamente necessaria per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma. Questa dottrina è abbastanza iniqua se si pensa se si pensa che alcuni stati non hanno tale piattaforma, ma è stata superata dall'introduzione della ZEE che comporta l'attribuzione allo stato delle risorse del fondo marino fino a 200 miglia dalla costa. Un grande problema riguarda la delimitazione della piattaforma tra stati che si fronteggiano o contigui. L'art.6 della C di Ginevra stabiliva che, salvo diversa volontà delle parti, dovesse ricorrersi al criterio dell'equidistanza: tracciare una linea i cui punti sinao equidistanti dai punti delle rispettive linee di base del pare territoriale e attribuisce a ciascuno stato tutte le zone di piattaforma che siano vicine a un qualsiasi punto della linea di base del suo mare territoriale. Secondo la sentenza della CIG del '69 nel caso della delimitazione della piattaforma continentale del Mare del Nord, il criterio dell'equidistanza non è imposto dal DIC e può essere messo in pratica solo con una ccordo tra le parti, accordo che deve ispirarsi a principi di quità; l'opinione della corte è stata recepita della MB art.83. La sentenza del '69 non parla della situazione tra gli stati prima della conclusione dell'accordo; a nostro avviso prima dell'accordo nessunos tato può pretendere l'uso esclusivo delle zone di piattaforma; inconcludente ci sembra l'art.83 MB che al par.3 si limita a dire che in questa circostanza gli stati devono concordare degli arrangiamenti pratici provvisori. Che senso ha subordinare l'accordo all'equità? Quando l'accordo è concluso è effettico sia se è equo che no, a meno che non si ritenga l'equità una regola di jus cogens, cosa da escludere.Occorre rionoscere che la giurisprudenza internazionale, tenendo conto dell'equità e delle particolarità geografiche, ha indicato una serie di requisiti pratici (..) che possono essere tenuti presente dai negoziatori o dalla CIG oa ltri tribunali internazionali se sono chiamati a procedere alla delimitazione. Questi criteri hanno carattere correttivo rispetto a quello dell'equidistanza che è il criterio- base. Si sono poi aggiunti i poteri dello stato nella ZEE, istituto da considerare di DC. Se ne occupa gli art.55ss di MB; la zona può estendersi fino a 200 miglia marine dalla linea di base del mare territoriale; dat al'estensione, anche per la ZEE è importante la delimitazione tra stati frontisti o contigui, che può avere ad oggetto sia la piattaforma che la zona ed è disciplinata dall'art.74 MB, identico all'art.83 sulla piattaforma. Secondo la sentenza della CIG del 2001 par.244 ss, in caso di delimitazione contemporanea della piattaforma e della ZEE la linea deve essere unica. E' chiaro che se avvengono in momenti diversi non si può imporre una linea unica. L'orientamento emerso dalla Terza Conferenza, sotto la spinta dei paesi in sviluppo, sui poteri dello stato nella ZEE è nel senso dell'attribuzione allo stato costiero del controllo esclusivo su tutte le risorse economiche della zona, esclusività accettata anche per la pesca (artt.61 e 62 MB) e che trovano risocntro nelle leggi interne secondo cui lo stato deve fissare la quantità massima di risorse ittiche sfruttabili, determinare la propria capacità di sfruttamento e contenire la pesca agli stranieri nel quadro degli accordi conclusi con gli stati di appartenenza. Per quanto riguarda gli stati diversi da quello costiero nell'ambito della ZEE, l'opinione difesa dalle potenze di tradizione maritti,a è che l'attriuzione allos tato costiero non deve pregiudicare la partecipazione degli altri stati a possibili utilizzazioni della zone: tutti devono godere della libertà di navigazione. C'è un cotrasto sulla gerarchia delle regole applicabili alla zona: chi sostiene che la libertà dei mari deba essere la regola prima e fondamentale, chi invece ritiene che i poteri dellos tato costiero siano la regola. A nostro avviso è difficile inquadrare la situazione di altri stati nella ZEE in termini di libertà sui mari; si deve riconoscere che l'introduzione della zona rompe la disciplina tradiziona caratterizzata dall'eccezionalità della tutela degli interessi dello stato costiero e dall'applicazione della libertà dei mari. I diritti hanno carattere funzionale= all'uno e agli altri sono contentii solo le attività indispensabili per lo sruttamento delle risorse. - p303- I poteri dello stato nella ZEE si confrondono con quelli della dottrina della piattaforma; solo oltre 200 miglia si pone il problema se los tato costiero può mantenere la sua giurisdizione; MB art.76 e 82 corrisponde alla communis opinio che stabilisce di si, agigungendo che parte di quanto lo stato ricava dallos fruttamento tra le 200 miglia e il limite estremo della piattaforma deve essere versato all'Autorità internazionale dei fondi marini. L'art.76 della convenzione istituisce una commissioni cui gli stati sono obbligati a comunicare che l'estensione della loro piattaforma supera il limite delle 200 miglia, commissione composta da 21 esperti in geologia e regolata dall'Annesso n 2 della convenzione che ha solo potere di raccomandazione. Il mare internazionale e l'area internazionale dei fondi marini Gli spazi marini oltre la zona economica ono privi di tutela da parte degli stati costieri. La convenzione di MB parla di "alto mare" (art.86 ss) ma è una terminologia impropria, è più adatto parlare di "mare internazionale" per parlare degli spazi marini sottratti al controllo totale o parziale di unsingolo stato. Nel mare internazionale vi è applicazione del principio della libertà dei mari = tutti gli stati hanno eguale diritto a trarre dal mare internazionale tutte le utilità che può offrire; non hanno avuto seguito le pretese di alcuni stati che vogliono assicurare una limitata presenza dello stato costiero nel mare al di là della zona economica. Ciò può avvenire solo tramite l'azione di ogni stato nei confronti delle proprie navi o con la cooperazione internazionale; esistono accordi regionali e subregionali che la attuano e che spesos danno vita a OI (Conv di Ottawa istitutiva dell'Org delle pescherie dell'Atlantico di Nord Ovest NAFO); questi accordi possono solo imporre misure di conservazione o assegnare queote di pesca ma non vincolano glis tati terzi. Tuttavia ogni stato può utilizzare liberamente il mare senz sopprimere le possibilità delgi altri stati, in quanto il mare è res communis omnium. Le risorse minerarie del fondo e sottosuolo del mare internazionale (noduli polimetallici, croste di ferro e manganese e solfati polimetallici) sono oggetto di una risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU del 1970 che le ha dichiarate patrimonio comune dell'umanità, ormai accettato da tutti gli stati e fa parte del DIC. Come avviene lo sfruttamento nell'interesse di tutte l'umanità? con lacostruzione di un OI la assicura, anche se assicura una remunerazione degli investimenti necessari per attuare l'estrazione delle risorse. E' nata l'Autorità internazionale dei fondi marini, di cui si occupa la parte XI (art.150 ss) MB e l'Accordo applicativo adottato dall'AG ONU; questo accordo in realtà modifica, a favore degli stati industrializzati, la parte XI della conv per le procedure e per la messa in opera dello sfruttamento; inoltre dichiara all'art.2 di voler prevalere, in caso di incompatibilità, sulla parte XI; ciononostante Accordo e parte XI sono comunque un tutt'uno. L'accordo è entrato in vigore nel 96 e ha prodotto una generale partecipazione all'intera convenzione,r endendo possibile la costituzione dell'Autorità, inoltre, art.7: esso è applicato in via provvisoria anche agli stati firmatari che hanno dichiarato di non volervi partecipare prima della ratifica della convenzione, per es: USA, ma essendo un'applicazione provvisoria la sua partecipazione è finita nel 98. Gli organi principali dell'Autorità internazionale sono l'assemblea, il consiglio, ils egretariato e l'impresa, che è un organo operativo con cui partecipano direttamente allo sfruttamento; tutte le attività di sfruttamento avvengono secondo le linee genrali della parte XI: ogni sito deve essere diviso in due parti: una attribuita allo stato che l'ha individuata, un all'aimpresa, che agirà nel quadro di joint ventures. La navigazione marittima Il principio generale delr egime internazionale delle navi è che ogni nave è sotto il potere dello stato di cui ha nazionalità: la nave è territorio dello stato (territoire flottant), ma questa concezione ès tata oggetto di molte critiche teoriche. La cosa importante è però l'individuazione del principio consuetudinario, per la quale è sufficiente dire che lo stato della bandiera ha diritto all'esercizio esclusivo del potere di governo sulla comunità navale, attraverso il comandante o le proprie navi da guerra. Il comandante è da considerare, per il DI, come un organo dello stato e ha quindi poteri coercitivi -p317-318- Il primo problema sulla tutela dell'ambiente marino è se il DI impone obblighi di non inquinare le acque e gli oceani. Per il DC la soluzione è la stessa circa l'obbligo di non produrre danni al territorio di altri stati. Non ci sono elementi della prassi che inducono ad affermare l'esistenza di obblighi simili nemmeno riguardo gli spazi marini. L'art.192 MB in apertura della parte sull'inquinamento dichiara che gli stati hanno il dovere di proteggere e preservare l'ambiente marino, sancendo così il principio non codificatorio ma tendente allo sviluppo progressivo del DI. La stessa convenzione non da al principio un significato pregnante dal punto di vista giuridico, se si considera che l'art.235, in tema di responsabilità da inquinamento, sopo aver accennato alla responsabilità degli stati conformemente al DI, si preoccupa soprattutto che gli stati predispongano sistemi adeguati di ricorsi per un congruo risarcimento dei danni; anche qui l'accento è posto sulla responsabilità civile di diritto interno. Passando al D convenzionale e agli accordi universali e regionali. essi contengono una serie di divieti, dettagliati e non, di comportamenti capaci di inquinare le acque marine; questi riguardano soprattutto navi ma anche individui fisici o giuridici, e sono destinati ad operare nell'ambito degli ordinamenti interni degli stati contraenti e nei limiti in cui questi ordinamenti si conformano alle convenzioni che li prevedono. Il secondo problema che riguarda il DC consiste nello stabilire quale stato può esercitare il porprio potere di governo di sulle navi per impedire fenomeni di inquinamento. La soluzione, per il D, non può non conformarsi ai principi che abbiamo esposto nel DI marititmo; a imporre divieti saranno lo stato bandiera e nelle zone a giurisdizione nazionale, lo stato costiero., che potrà esercitare il suo potere sulle altre navi solo per prevenire o reprimere attività inquinanti delle proprie acque interne o territoriali; nelle ZEE questo potere sarà circoscritto alle attività inquinanti suscettibili di danneggiare le risorse naturali ma in pratica si estrinsecherà con misure analoghe a quelle adottabili nel mare territoriale. Ai principi di DC corrispondono le norme degli accordi internazionali, quando stabiliscono quali delle parti contraenti abbiano il diritto di controllare che i divieti previst siano osservati; anche queste convenzioni affidano il controllo solo allo stato bandiera o a quello costiero. Infine vi è la possibilità per lo stato di intervenire eccezionalmente su una nve altrui in mare internazionale per prendere misure per impedire danni al proprio litorale. L'art.221 MB ammette qeusta possibilità, riportata ad una consuetudine internzionale. La prassi sviluppatasi dall'incidente della Torrey Canyon del '67 conferma questo punto di vista. La convenzione di Bruxelles del '69 regola la materia; è stata ratificata dall'Italia e conferma il diritto dello stato costiero di intervenire, dopo consultazione con altri stati interessati. Il protocollo di Londra del '69 ha esteso questi diritti e obblighi derivanti dalla convenzione all'inquinamento da altre sostanze. Gli spazi aerei e cosmici Le norme sulla navigazione aerea si modellano su quelle marittime; prima furono dedotte per analogia, poi si sono consolidate per consuetudine. Principi generali 1- Art.1 Convenzione di Chicago del 1944 istitutiva dell'ICAO: prevede che la sovranità dello stato si estende allo spazio atmosferico sovrastante il territorio e i lmare territoriale. 2- Lo spazio che non sovrasta il territorio e il mare deve restare libero all'utilizzazione di tutti i paesi, così che ciascuno possa esercitare il proprio esclusivo potere di governo sugli aerei con propria nazionalità. Per sovranità estesa allo spazio atmosferico sovrastante ilt erritorio si intende la possibilità di regolare il sorvolo: stabilire quali sono le zone che non vanno sorvolate, indicare le rote o impedire il sorvolo del proprio territorio da parte di aerei stranieri. Per il resto vale lo stesso principio che si applica alle navi: tutto ciò che riguarda la vita della comunità aerea e che non implica un contatto con la comunità territoriale, sfugge a qualsiasi diritto di controllo da parte dello stato territoriale. Occorre notare che la contrapposizione tra territorialità dello spazio atmosferico sovrastante il territorio e libertà di quello che sovrasta l'alto mare non è rigida; dopo l'introduzione di motori a reazione e l'aumento della velocità degli aerei, è nata la prassi delle "zone di identificazione" che si estendono per centinaia di miglia sopra l'alto mare intorno alle coste; gli stati costieri impongono gli aerei stranieri l'obbligo di sottoporsi a identificazione; quelli che si sottraggono all'osservanza di questi obblighi devono pagare sanzioni o possono anche essere abbattuti. Da ciò deduciamo un limite al principio della libertà dello spazio atmosferico extraterritoriale: un certo esercizio del potere di governo sugli aerei altrui è consentito esclusivamente per esigenze di difesa. - Non sembrano esistere altri limiti; secondo la Corte dell'UE invece non esistono elementi sufficienti per affermare che il principio di DIC relativo al potere degli stati bandiera sulle navi possa applicarsi per analogia anche agli aerei. In realtà la Corte doveva solo stabilire se le emissioni di gas derivanti dal trasporto aereo potevano essere oggetto di quote al pari di quelle terrestri, cosa che non ha nulla a che fare con le norme sul potere di governo.- Alla navigazione cosmica si applica, per analogia, il principio sulla libertà di sorvolo degli spazi nullius: lo stato che lancia un satellite o una nave spaziale ha diritto di governo esclusivo su di essi. Per lo spazio sovrastante il territorio non è applicabile il principio dell'estensione della sovranità territoriale; come mostra Quadri nonha senso parlare di sorvolo del territorio da parte di mezzi cosmici. Sta di fatto che nella prassi internazionale mai lo stato che ha lanciato satelliti si è ritenuto obbligato a richiedere il preventivo consenso di altri stati. Il regime degli spazi cosmici è stato oggetto di diverse convenzioni multilaterali prmosse dall'ONU e che si ispirano a questo principio di libertà; fondamentale è il trattato del 1967 sui "principi relativi alle attività degli stati in materia di esplorazione e utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, inclusi la luna e altri corpi celesti" ratificato da molti stati tra cui l'Italia. Secondo il Trattato:lo spazio extra-atmosferico non può essere sottoposto alla sovranità di uno stato (art.1 e 2), ne sancisce la denuclearizzazione (art.4) definisce gli astronauti come inviati dell'umanità, impegnando gli stati a dare assistenza in caso di incidenti o pericolo (art.5), prevede la responsabilità dello stato nazionale e dello stato dal cui territorio un oggetto spaziale è lanciato per i danni procurati alle attività cosmiche (art.6 e 7) e attribuisce allo stato in cui l'oggetto è registrato piena giurisdizione e controllo su di esso. Anche per spazi atmosferici e cosmici si parla di risorse naturali: utilizzazione degli spazio per fini di radio e telecomunizazione, soprattutto frequenze d'onda e orbite usate dai satelliti. Questo utilizzo va aumentando con la commercializzazione dello spazio: presenza di imprese commerciali soggette al diritto del proprio stato. Questa libertà è un aspetto della più generale libertà relativa a questi spazi e che vale anche pe rla navigazione; dopo la 1GM per le radiocomunicazioni anche per lo spazio atmosferico sovrastante il territorio dello stato, in deroga al principio della sottoposizione di questo spazio alla sovranità territoriale. Unico limite di tale libertà è la libertà altrui, ma assume un significato particolare in presenza di risorse limitate rispetto cui l'utilizzazioni non può ispirarsi al criterio del "primo arrivato, meglio servito" (prior in tempore, potior in jure). Per le radio e telecomunicazione sono limitate sia lo spettro delle onde radio che l'orbita geostazionaria, quella intorno all'equatore in cui i satelliti ruotano con lo stesso periodo di rotazione dell terra; si dice possa contenere al massimo 1800 satelliti. Inoltre aumentano i rottami orbitali che si prevede in futuro possano ostacolare la navigazione spaziale. Il principio riguardo l'utilizzazione dell'orbita geostazionaria e dello spettro delle onde è ribadito dall'art.44 della Costituzione dell'ITU: gli stati si sforzerannod i limitare il numero delle frequenze e di utilizzare le frequenze stesse e l'orbita geostazionaria in maniera razionale e economica per permettere un accesso equo ai diversi paesi. In base ad esso si è sviluppata una disciplina molto dettagliata e limita e coordina l'attività degli stati. Le regioni polari Le regioni polari non sono soggette alla sovranità di alcuni stato; il continente antartico è internazionalizzato: vige il regime di libertà più un complesso di norme che ne disciplinano l'utilizzazione.
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