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Il contesto letterario e storico di Giovanni Verga, Appunti di Italiano

Il contesto letterario e storico di Giovanni Verga: l'età post unitaria, realismo e naturalismo francesi e verismo in Italia.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 25/06/2022

MelissaGonzato
MelissaGonzato 🇮🇹

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Scarica Il contesto letterario e storico di Giovanni Verga e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! CONTESTO STORICO E LETTERARIO di VERGA 07/01/2022 Il periodo che parte con 1857, data di pubblicazione di Madame Bovary di Gustave Flaubert, fino agli anni ottanta dell’Ottocento è caratterizzato in tutta Europa, dalle tendenze realiste nell’arte, si parla di tendenze perché sono differenti le poetiche realiste che si imposero, possiamo parlare di Realismo, Naturalismo e Verismo, che si riferiscono a sensibilità e movimenti artistici differenti tra loro secondo varie accezioni. Il termine più generico è quello di Realismo che in sostanza sottolinea la volontà e il desiderio dell’autore di rappresentare degli avvenimenti umani e naturali fornendo un quadro storicamente definito e determinato. Si tratta di una tendenza riscontrabile nell’arte di tutti i tempi, possiamo definire anche Dante un autore realista (nella Divina Commedia), anche se apparentemente nella Commedia la sua tensione è verso le altezze del cielo. Con il termine Realismo la critica si riferisce soprattutto ad una corrente letteraria e artistica della prima metà dell’Ottocento, che ebbe le sue espressioni più consapevoli nell’opera pittorica di Courbet e nella narrativa di Balzac. Nel giro di pochi anni dalla pubblicazione delle opere di Balzac e in particolare dopo i moti del 1848 il dissolversi rapido degli ideali della stagione rivoluzionaria favorì l’affermazione di una forma di realismo diversa, sicuramente anche più moderna; entrò in crisi il modello letterario romanzesco basato sulla tecnica narrativa del narratore onnisciente che organizzava e commentava il racconto. Contro l’invadenza di questo narratore, si impose un’idea di narrazione più oggettiva, una narrazione senza giudizi espliciti sulle vicende e sul comportamento dei personaggi, e molto precisa ed attenta ai dettagli. Il manifesto di questa tendenza è il romanzo di Madame Bovary (Gustave Flaubert) quest’opera si allontana dal soggettivismo e anche da un certo tipo di sentimentalismo caratteristico del romanticismo più tardo. Con Flaubert il romanzo diventa il racconto dell’esistenza di singoli individui, che è un’esistenza né eroica né particolarmente degna di nota, ma anzi sembra proprio banale e comune. La lezione di Flaubert ha condizionato, sicuramente, in modo decisivo gli scrittori che vissero l’esperienza del cosiddetto Naturalismo, una corrente che non può essere circoscritta solo all’ambito artistico e letterario, ma anzi matura in primo luogo nel contesto delle scienze esatte. Il primo ad utilizzare il termine “Naturalismo” fu il critico Hippolyte Taine che pubblicò nel 1858, un saggio che analizzava l’opera di Balzac. Taine era influenzato dalle teorie positiviste che consideravano la società, un organismo vivente che poteva essere studiato attraverso un metodo sperimentale simile a quello delle scienze e Taine vide un rapporto diretto tra la narrazione che il Naturalismo faceva e la realtà quotidiana. In sostanza, la nuova narrativa naturalista si proponeva come una sorta di documento, di tipo storico. A questi presupposti teorici si ispirano i fratelli Goncourt e anche Émile Zola (che è il maggiore esponente di questo movimento). Nell’opera di questi narratori naturalisti, viene applicato alla letteratura il metodo sperimentale e in sostanza si riproducono i metodi di analisi della medicina e della fisiologia nello studio della società in modo da poter rappresentare letterariamente il modo più oggettivo possibile. In sostanza Zola pensa che il romanziere, come il medico, debba essere considerato uno scienziato che prima osserva e studia i dati, poi formula le ipotesi che deve essere verificata, e quindi fa agire i suoi personaggi in questo contesto ambientale senza però che lo scrittore entri in prima persona nella narrazione. Il lettore, così, deve avere l’impressione che il romanzo si sia fatto da sé secondo un metodo impersonale vicino a quello che aveva già proposto Flaubert e molto lontano dai narratori della prima metà dell’Ottocento. Questo non significa che l’autore sia indifferente alla storia e alla materia che tratta, ma anzi a volte si parla di denuncia sociale e di necessità di cambiamento, come accade nel romanzo “Germinal” di Zola. Parlare di Naturalismo per la letteratura francese nella seconda metà dell’Ottocento, significa parlare principalmente di Zola e dei Goncourt. Zola in uno dei suoi libri più famosi “Teresa Raquin” del 1867, racconta di un delitto a tinte oscure e nella prefazione introduce i principi fondamentali del Naturalismo. Con questo romanzo Zola ottiene un grande successo e poi si dedica alla stesura di altre opere, sia di reportage, giornalismo e anche di narrativa. Nel 1880 viene pubblicato il Romanzo Sperimentale (di Zola) che costituisce il documento più completo ed esplicito in cui egli parla anche delle sue teorie politiche. Scriverà, poi, “La saga dei romungacarte” e altri romanzi come “Germinal”. Il valore sociale e politico dell’opera di Zola può essere riassunto nell’articolo “J’accuse”, nel quale si occupa dell’affare Dreyfus, questo è un caso giudiziario che scatena il dibattito tra la popolazione francese perché un ufficiale francese ebreo fu condannato all’ergastolo accusato di spionaggio a favore della Prussia; Zola era convinto dell’ingiustizia e si schierò in difesa di Dreyfus e denunciò l’antisemitismo che aveva portato alla condanna di Dreyfus nell’articolo “J’accuse” del 1898 che rivolse direttamente al Presidente della Repubblica in cui smascherò le macchinazioni che avevano portato alla condanna dell’innocente Dreyfus. Zola per questo venne condannato a un anno di prigione e fu costretto ad allontanarsi, rientrò in Francia nel 1899 dopo che l’innocenza di Dreyfus era stata accertata. Zola morì nel 1902 a causa dell’esalazione di una stufa difettosa, ma sicuramente sulla sua morte ci sono molti sospetti; si parla anche di un complotto della Destra, per togliere di mezzo questo scrittore un po’ scomodo. Zola, riteneva che la grande narrativa realistica non fosse più in grado di rispondere alle nuove esigenze di rappresentazione letteraria che doveva descrivere la realtà in modo da far emergere tutti i suoi aspetti (siano essi positivi o negativi); il suo obiettivo era costruire un’opera che si adattasse perfettamente al mondo moderno svelandone tutti gli aspetti e ritiene che per fare ciò lo strumento perfetto sia il romanzo. Il romanzo infatti è il più adatto perché è duttile e può registrare la storia di molteplici individui o gruppi di individui e in questo quasi gareggia con l’attività del medico e dello storico. Il romanzo per Zola deve essere uno studio sociale e deve procedere nella sua attività come uno scienziato: definisce una situazione con i personaggi in un determinato contesto e studia le conseguenze; questo è il metodo sperimentale scientifico applicato alla letteratura. Per dare maggiore valore al suo studio lo scrittore naturalista dovrà astenersi da qualsiasi giudizio, per non alterare la verità oggettiva e quindi deve anche adottare lo stile dell’impersonalità; l'intento quindi è quello di proporre il romanzo come uno studio sociale scientifico. A questo proposito i naturalisti si rivolgono ad indagare realtà degradate e scelgono come protagonisti gruppi sociali emarginati; Zola non li vuole celebrare ma nemmeno condannarli semplicemente rappresentarli e dipingerli, dipingere la loro [p. 114] MANIFESTO DEI NATURALISTI. Dichiarano che il loro è un romanzo vero. Sostengono che la gente ami i romanzi falsi, cioè frutto della fantasia del narratore. Il romanzo vero viene dalla strada, riguarda la vita della gente umile. Non vogliono raccontare vicende in cui sono prevalenti storie d'amore, di erotismo. Le persone amano le letture anodine, che non provocano disturbo, che rassicurino. I Naturalisti chiedono invece una riflessione, vogliono che il lettore sia coinvolto, provocato da ciò che legge. Raccontano per esempio la storia di una domestica che si innamora e alla fine cadrà in depressione. Lo studio che segue è la clinica dell'amore, cioè l'oggettività del racconto, la conseguenza di uno studio scientifico anche dell'interiorità di ciascuno di noi. Il romanzo si è imposto gli studi della scienza, deve ricercare l'arte e la verità. I Naturalisti sostengono di vivere in un'epoca di liberalismo, di suffragio universale, di aperture democratiche. Si chiedono quindi perchè le classi inferiori non hanno ancora diritto ad un romanzo, cioè ad un romanzo che parla di loro. E' come se il popolo non fosse degno letterariamente, come se non avesse cuore né anima.Questa esigenza di raccontare la realtà degli umili la troviamo anche in Verga. GIOVANNI VERGA Giuseppe Verga nasce a Catania nel 1840, è figlio di un proprietario terriero, di famiglia benestante. Studiò a Catania e si laureò intorno al 1870 si trasferì poi a Firenze e a Milano nel 1872. I due ambienti che caratterizzano la sua formazione culturale e umana sono: • la Sicilia • la Lombardia = polo culturale, politico ed economico dell’Italia del tempo. Giovanni Verga all’inizio scrive racconti che non sono “veristi”. I suoi riferimenti sono ancora tradizionali perché si parla di ambienti borghesi e i temi principali sono: amore, adulterio, avventura → classiche storie di ambientazione borghese o piccolo-borghese, oppure storie di avventura (modello = “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas). L’ispirazione è la letteratura provinciale. I primi romanzi di Verga risentono di questo contesto, ma il poeta dimostra già nuovo interesse per i personaggi emarginati, si occupa di disadattamento anche in ambiente borghese → Es. Storia di una capinera, (1871): storia di una monacazione forzata. Esperienza milanese. A Milano Verga entra in contatto con la Scapigliatura:che è una corrente letteraria la quale cerca di aprire la letteratura italiana alle novità europee, in particolare al maledettismo francese e la critica nei confronti della società borghese. Il nome della corrente deriva dall’obiettivo di avere uno sguardo nuovo e quindi essere fuori dagli schemi, guardare con occhi diversi il diverso e l’emarginazione. Verga si interessa alla Scapigliatura perché ha un modo diverso di rappresentare la realtà, perché ha interesse per nuovi temi: il sobborgo, le classi operaie. Entrando in contatto con la Scapigliatura matura l’esigenza di tornare in Sicilia per conoscere in maniera diversa l'ambiente da cui proviene (mondo rurale e plebe meridionale). La prima opera verista di Verga è Nedda (1874). Nedda è una sorta di bozzetto della prima narrativa verista. Nedda è una raccoglitrice di olive, orfana di padre, sua madre è come lei una raccoglitrice di olive. Questo è un lavoro a cottimo in una situazione precaria. La mamma di Nedda si ammala di malaria e questo è il motivo per cui muore; Nedda rimane incinta però la figlia morirà. Nedda è vittima dello sfruttamento del caporalato, senza nessun diritto, senza nessun tipo di istruzione. Nedda è la prima novella in cui si può parlare di questione meridionale e verismo. Verismo: - Cambiano contenuti: si parla di contadini, di povera gente, di classi umili - Cambia lo stile: Verga cerca di adattare la lingua alla cultura e al contesto socio-economico. Verga si propone di analizzare la figura del vinto nelle varie classi sociali. Il suo obiettivo principale è quello di indagare nelle classi sociali più deboli. I suoi personaggi sono tutti dei vinti: dall'ambiente socio-economico, culturale, dai pregiudizi, dalla vita. C'è un potere fortemente radicato che impedisce ai poveri di conquistare anche una minima libertà. Con il termine Ciclo dei vinti viene indicato l'insieme dei romanzi di cui avrebbe dovuto comporsi un impegnativo progetto letterario. Verga parla dei vinti, usa il plurale perché per lui tutti gli uomini sono vinti; esiste il progresso, ma lascia sul campo tante vittime. Il suo obiettivo è analizzare questa lotta per la vita, ma non come Zolà con l'intento di capire l'influsso dell'ereditarietà, ma solo di analizzare il contesto socio-economico. Per Verga nella società c'è una lotta continua tra gli individui, nella quale il più debole soccombe sempre. Verga non nega che ci siano dei vincitori, perchè gli eventi macroeconomici sono un fatto, ma se guardiamo bene anche i vincitori alla fine sono dei vinti, dalla solitudine, dall'abbandono ecc… [Pag.228] Verga parla della fiumana del progresso, per indicare il desiderio di miglioramento che riguarda tutte le classi sociali, ma come nasce? Secondo lui è necessario partire dalle classi più deboli, perché lì l'analisi è più semplice: c'è il desiderio di migliorare i bisogni primari. La povera gente è spinta da passioni molto semplici: migliorare i bisogni primari, arrivare alla pura sopravvivenza. Nei Malavoglia il desiderio di evoluzione, di cambiamento è ancora quasi lotta per la sopravvivenza (un pasto al giorno in più, riuscire ad avere un animale per il lavoro nei campi ecc..). In Mastro Don Gesualdo siamo ad un livello diverso: il protagonista cerca di affermarsi, di arricchirsi. Ne La Duchessa di Leyra avrebbe voluto trattare della vanità, né l'Onorevole Scipioni avrebbe voluto parlare della bramosia di potere, né l'Uomo di Lusso avrebbe voluto parlare delle passioni che muovono i potenti. Ma il suo progetto non verrà concluso, Verga si fermerà all'inizio della Duchessa di Leyra. Probabilmente Verga non si sente emotivamente coinvolto dalle classi sociali più agiate, che abitano il mondo cittadino, l'aristocrazia; perde la vena ispiratrice. Più si sale nelle gerarchie sociali, più le dinamiche si complicano; è più difficile conoscere le caratteristiche psicologiche, perché subentrano per esempio l'educazione, la cultura, che sono fattori esterni all'uomo che modificano gli atteggiamenti, diventano più artificiali. FANTASTICHERIA Questa novella nasce dal ricordo di un breve soggiorno del narratore insieme ad un’amica ad Aci-Trezza, che è un piccolo paese di pescatori in provincia di Catania. La signora era di estrazione alto borghese e aveva voluto fermarsi ad Aci-Trezza per la curiosità di conoscere un ambiente così diverso e lontano dal suo, da quello a cui era abituata; ma dopo solo due giorni aveva voluto interrompere il soggiorno perché si era annoiata di quella vita monotona e priva di qualsiasi mondanità. Il narratore e la giovane compagna appartengono a un mondo decisamente contrapposto a quello dei pescatori di Aci-Trezza. La distanza emerge soprattutto dall'irrequietezza della donna che è sempre in cerca di qualcosa che i suoi viaggi non riescono a darle e in contrasto anche con l’immobilità degli abitanti di Aci-Trezza che sono capaci di trovare nella loro terra “la pace serena di quei sentimenti miti, semplici che si succedono calmi e inalterati di generazione in generazione”. A questa immobilità però non corrisponde una vita felice, priva di difficoltà e di inquietudini. Il narratore a questo proposito non sa spiegare come sappiano resistere i pescatori a tante disgrazie e non sa capire come riescano a riprodursi e a tornare a vivere dopo ogni catastrofe, come i personaggi che saranno protagonisti dei “Malavoglia”. Per capire questi personaggi dobbiamo dunque guardare la loro vita dall’altro lato del cannocchiale, diventare piccini e poi osservare la loro eroicità, osservare come possano affrontare, quei piccoli esseri così forti, la loro vita. Con queste parole Verga dimostra di aderire al canone naturalista dell’impersonalità, però lo interpreta in modo originale; non è soltanto una descrizione oggettiva e scrupolosa del documento umano ma riesce ad adottare il punto di vista dei personaggi e quindi regredisce al loro livello per ricostruire la logica che li spinge all’azione. Alla ricostruzione analitica dei francesi che raccontavano così come avrebbe fatto un anatomista in un laboratorio Verga contrappone un’operazione più intellettuale, una ricostruzione a distanza, quindi l’atteggiamento di Verga è quello della lontananza e questo principio è da intendere sia in senso, strettamente, geografico sia anche in senso psicologico e fantastico; cioè Verga considera che per realizzare questo tipo di osservazione così attenta e coscienziosa, cioè un’osservazione veritiera riguardo al mondo popolare, ritiene che sia necessario starsene lontani dall’oggetto rappresentato e vederlo forse con la mente anziché con gli occhi e questo sicuramente lo aiuterà nei grandi romanzi (Malavoglia e mastro don Gesualdo) quindi osservare e raccontare in modo oggettivo e schietto, ma allontanandosi dall’oggetto della rappresentazione, vederlo con la mente e descriverlo grazie al ricordo che addolcisce i contorni. La contrapposizione tra i pescatori di Aci-Trezza e la giovane donna borghese ripropone il contrasto tra mondo borghese, che il narratore non rimpiange più e il mondo dei pescatori che sono legati al loro scoglio come l’ostrica. L’immagine dell’ostrica è il simbolo di immobilità e difesa dalle aggressioni esterne, collega l’ambiente umano a quello naturale e mostra evidente il legame del singolo al proprio ambiente che diventa, quasi, sacro e inviolabile perché naturale. Il mondo appare rappresentato, metaforicamente, come un pesce vorace pronto a divorare chiunque trasgredisca la religione della famiglia e del paese, che quindi si stacca dallo scoglio. Questa teoria troverà poi chiara applicazione nel destino dei due personaggi dei “Malavoglia” che sono Lia e ‘Ntoni. In questa novella chiaramente viene messa in evidenza la teoria dell’ostrica, un immobilismo che è collegato al contesto storico, economico e sociale della Sicilia di cui Verga si fa interprete e cantore. L’ideale dell’ostrica indica quindi l’impossibilità di spostarsi, di muoversi, di cambiare stato sociale, quindi non ci può essere mobilità sociale in questa realtà siciliana e questa riflessione nasce proprio dall’osservazione della realtà delle cose. È chiaro che, è come se Verga si allontanasse da questo contesto e lo guardasse con gli occhi del ricordo e non con l’immediatezza che invece i naturalisti avevano messo in atto. NOVELLA “ROSSO MALPELO” “Rosso Malpelo” è una novella pubblicata nel 1878, appartiene alla raccolta del 1880 in “Vita dei Campi”. Viene definita come novella RIVOLUZIONARIA. È considerata tale sia per la scelta dell’argomento che riguarda coloro che lavorano nelle cave di rena rossa; sia per la tecnica narrativa. Il narratore è un narratore interno ed impersonale; questo si capisce anche dall’inizio della novella ci fa capire che il narratore è appartenente all’ambiente che descrive nella novella, cioè la cava, che è un ambiente popolare. Il narratore però essendo interno, alla vicenda racconta la storia abbassandosi al livello culturale dei personaggi di cui parla (ARTIFICIO DELLA REGRESSIONE). L’artificio della regressione porta però anche a una regressione della lingua, ma se il narratore fosse regredito davvero alla condizione dei personaggi, avrebbe dovuto scrivere in dialetto sicialino in quanto egli stesse parlando dei minatori siciliani, però così facendo avrebbe impedito a molte persone di leggere la novella/le novelle; per questo decide di scrivere in italiano adeguando la lingua ai personaggi di cui parla. MALPELO E RANOCCHIO hanno un rapporto di amicizia. Malpelo difende e protegge Ranocchio e lo fa picchiandolo per fargli capire che se lo fa lui che gli vuole bene, faranno sicuramente peggio coloro che lo disprezzano e gli vogliono male. Ranocchio è più deriso e escluso rispetto a Rosso, ma è l’unico personaggio della novella con cui Malpelo ha un legame affettivo (oltre al padre che però muore a lavorare nella cava). Quando Ranocchio muore Malpelo si sente in colpa e responsabile dell’accaduto perché crede di avergli dato una botta troppo forte (dopo la quale lui comincia a tossire forte e a sputare sangue) che ha causato un aggravamento della sua condizione di salute. Tutti credevano che Rosso sarebbe morto in carcere, ma in realtà non è così muore nella cava come il padre ( → accade la stessa cosa del padre perché non c’è possibilità di cambiamento → pessimismo). NOVELLA CIRCOLARE perché inizia con la descrizione degli occhi di Malpelo e finisce con la descrizione dei suoi "occhiacci grigi". regredito fino ad una realtà “primordiale”. Esiste il piano oggettivo dei fatti, i fatti narrati, e il piano regressivo in sostanza Verga ci mette di fronte ad un mondo in cui apparentemente i valori autentici (amicizia, altruismo, solidarietà) non esistono e questo mondo giudica Rosso come diverso. Perché lo giudica diverso? Perché in realtà per Rosso questi valori autentici esistono, esiste l’amore per il padre, esiste l’amicizia per Ranocchio, ma in questo mondo prevale per tutti gli altri la lotta per l’esistenza e quindi è un mondo in cui i valori sembrano essere limitati esclusivamente a Rosso. La complessità di questa novella nasce anche dal fatto che il popolo sfruttato sta dalla parte degli sfruttatori, cioè in sostanza condivide la mentalità utilitaristica di coloro che li sfruttano. Tutta la società è un ricettacolo di crudeltà ed ingiustizia; anche Rosso accetta la violenza di questo sistema, perché non si oppone, però riesce a svelarne l’ipocrisia e i meccanismi ed infatti sarà vittima di questi meccanismi. Rosso Malpelo nella produzione dei romanzi e delle novelle di Verga occupa il grado più basso della scala sociale: è il mondo dei dannati, della terra, dei cavatori di rena e Rosso dalla profondità della terra guarda il mondo e lo giudica. Rosso è diverso da Jeli che guardava in modo nostalgico ricordando le campagna di Tebidi; Rosso odia le notti di luna, rifiuta la campagna e accetta soltanto la sciara anche nella sua desolazione perché è in perfetta sintonia con il mondo dei minatori e della loro vita. Malpelo non è un debole e non è neppure un ingenuo (come invece era Jeli); lui potrebbe essere definito come il più intellettuale dei personaggi verghiani perché riesce a capire come funzionano i rapporti sociali. In questa novella non c’è nessuna possibilità di salvezza, anche il rapporto con la natura è violento, così come è violento il rapporto con la società. Quello che domina in questa novella è l’interesse economico, ci rendiamo conto che l’interesse economico unisce madre e sorella di Rosso che si occupano del figlio e del fratello soltanto per interesse economico e questo interesse, appunto, unisce il mondo della famiglia a quello della cava, il padrone e gli operai. L’unico che vuole davvero bene a Rosso è il padre che però muore nella cava. La conseguenza è che Rosso non si può permettere di essere un bambino e diventa precocemente saggio, anzi diventa lui stesso un maestro, diventa il maestro di Ranocchio e nel rapporto con Ranocchio si sdoppia, di solito è silenzioso mentre con lui diventa chiacchierone, accetta le botte dagli altri e le dà all'amico per insegnargli a vivere. Costruisce il suo rapporto con Ranocchio come se Rosso fosse il maestro e l’amico l’allievo. Il cardine su cui ruota la novella è anche la seconda morte, quella del Grigio; il rapporto con l’asino è esemplare dei rapporti umani. L’asino è il più sventurato degli animali, va picchiato perché non può picchiare lui e se potesse farlo ci pesterebbe sotto i piedi e ci staccherebbe la carne a morsi. Questa è una profonda lezione di vita ed è l’unica possibilità di interpretare il mondo da parte di Rosso. Questo è uno dei momenti più cupi di pessimismo della riflessione di Verga sulla morte, l’umile asino dopo la sua morte diventa il simbolo della condizione di riposo della morte rispetto al dolore e alla sofferenza della vita. Lo spettacolo orrendo del Grigio è uno dei più potenti e dei più crudeli della novella e Rosso in questa occasione pronuncia una massima Leopardiana: “se non fosse mai nato sarebbe stato meglio”. JELI IL PASTORE In questa novella si confrontano due mondi: da una parte c’è il mondo della natura, la storia individuale del pastore, il ritmo lento delle stagioni con cieli immensi e pianure sconfinate; e dall’altra parte il mondo della società che viene considerata dallo scrittore come un mondo di ipocrisia ed egoismo. Jeli il pastore non è un primitivo, ma è un asociale, un essere autosufficiente che si impone quasi come un individuo eccezionale, capace di parlare con i cavalli, di conoscere il corso dei venti e capace di fare qualsiasi tipo di lavoro, ma soprattutto è capace di voler bene in modo del tutto disinteressato. Quindi è inevitabile che un individuo di questo genere, nel momento in cui entra in contatto con il mondo “civile”, un mondo dominato dal calcolo, dal desiderio di sopraffazione e da quella legge di economicità, in questo contatto con il mondo finisce per essere travolto e quindi dopo le varie disavventure (la morte del cavallo, il tradimento di mara) Jeli perde la sicurezza che aveva nel suo mondo naturale, dove ogni cosa sembrava avere il suo significato ben preciso. Nel tentativo di cercare un’armonia precedente ai fatti che lo hanno turbato è costretto a soccombere alle leggi di una società che non comprende e reagisce a queste leggi con violenza e con istinto o con un rapporto quasi inevitabile di causa ed effetto. Il racconto si snoda attraverso i piani di un narratore colto e del personaggio, ci sono discorsi diretti e anche indiretti liberi a cui sono affidati i pensieri e le parole del personaggio. Anche in questo caso, come in “Rosso Malpelo”, la novità più evidente è la presenza di un narratore popolare che trasferisce fatti e giudizi nella cultura e nella mentalità contadina, deforma così la figura del pastore e usa nei suoi confronti definizioni volgari e violente. Sul narratore popolare però prevale la voce di Jeli, il personaggio, che apre gli occhi su un mondo che non capisce fatto di menzogne, di intrighi e nel quale non riesce e non vuole integrarsi, fino al punto che preferisce l’omicidio all’integrazione e al compromesso. Il punto di vista nella novella è di volta in volta del narratore colto e del narratore popolare oppure del personaggio stesso che parla. In particolare possiamo parlare di focalizzazione interna al personaggio e questo colpisce perché usa, sì, il discorso indiretto libero ma quasi siamo di fronte a un “monologo interiore”. La novella può essere suddivisa in sequenze molto lunghe e troviamo alcune sequenze, la vita infantile di Jeli, la morte del padre e la partenza di Mara, la fiera di San Giovanni, il licenziamento di Jeli, la festa paesana, jeli che accetta il lavoro come pecoraio, il matrimonio di Mara e Jeli, il tradimento e il tragico epilogo. Importante, nella novella, è anche la presenza del folclore che è in particolare la presenza di proverbi e feste particolari. Il proverbio è molto frequente nella narrativa verghiana ed è un elemento folclorico che assume anche un lavoro strutturale e formale; serve a Verga nell’intento di affidare spesso i commenti e le valutazioni o comunque una sommaria narrazione al narratore popolare che esprime una coscienza e una cultura popolare; ad esempio nella parte finale vediamo che la rivelazione del primo tradimento di Mara che si lascia baciare dal figlio di Massaro Oneri avviene nella festa di San Giovanni della sacra rappresentazione, cioè quando viene tagliato il collo a San Giovanni “che avrebbe fatto pietà agli stessi turchi, e il santo sgambettava come un capriuolo sotto la mannaia” a questo punto è facile scorgere nella decollazione di San Giovanni, quasi una prefigurazione della tragedia Jeli omicida che sgozzerà Don Alfonso come un capretto. Un gesto cruento per comprendere il quale dobbiamo dare peso a questo ricordo quasi inconscio di quella notte del tradimento e del trauma che è rimasto legato nella psicologia del pastore. Questo tragico epilogo può essere spiegato in vari modi; alcuni hanno trovato una spiegazione psicoanalitica perché diciamo che non si comprende come un uomo così mansueto ed ingenuo possa improvvisamente sgozzare un uomo, soprattutto perché amico di infanzia, la morte di Don Alfonso secondo alcuni è una morte-punizione di un individuo che ha commesso un peccato sociale e questo peccato sociale è la sessualità non permessa. Don Alfonso viene sgozzato come un capretto e assume la figura di vittima sacrificale, l’immagine del capretto è l’animale tipicamente sacrificale. Jeli uccide perché l’omicidio è per lui più naturale dell’accettazione di un mutamento della sua vita; lui non è capace di accettare un cambiamento della vita immobile in cui crede e in cui si trova rassicurato ed oltretutto è stupito per la condanna da parte della società per lui è assolutamente inconcepibile ed incomprensibile la condanna. Questo stupore lo riconduce all’ingenuità originaria e alla solitudine che non può più essere accettato in modo naturale e a questo punto viene costretto ad essere isolato dal resto del mondo. In questo modo si ribadisce una sorta di incomunicabilità tra il mondo della natura (che lo aveva accolto, con cui era riuscito a stabilire una profonda relazione) e il mondo della storia (mondo della giustizia che però per lui vive come un’ingiustizia, il mondo della storia è il mondo dell’ipocrisia e dell’inganno, delle leggi economiche a cui lui non riesce ad assoggettarsi). ● [p.236] OTTICA DEL PAESE = ha il compito di straniare il punto di vista dei Malavoglia, che vengono considerati sciocchi perché rispettano principi e valori, senza applicare la legge dell’interesse, che regola tutti i rapporti all’interno del paese. Per il paese la sventura peggiore non è la morte di un figlio, di un marito o di un padre, ma è la perdita del carico di lupini, della barca, della casa. Per il paese Padron ‘Ntoni che piange la morte di Bastianazzo non ha senso. Lotta per la vita e per la sopravvivenza domina i rapporti tra i paesani. ● STORIA: irrompe in maniera brutale nelle vicende del romanzo, es. la battaglia di Lissa in cui muore Luca, la leva obbligatoria per ‘Ntoni. La storia provoca trasformazioni negative, il ritorno alla condizione iniziale. ● MANCANZA IDILLIO: il mondo rurale non è romanticamente perfetto, non è realtà in cui tutti vivono l’idillio, è un mondo di dolore, di sfruttamento, di fatica. La famiglia si ricompone, ma solo in parte. Quali sono i valori autentici? Nei lettori lo straniamento è a rovescio, il lettore si sente più vicino ai Malavoglia che al paese, ma finiamo per idealizzare questa famiglia. OBIETTIVO SCRITTORE: non è totalmente raggiunto, se consideriamo che l’autore voleva descrivere le emozioni delle classi sociali basse. Sembra che ci sia un’eccessiva idealizzazione della famiglia. FOTOGRAFIA DELLA REALTÀ: non è un caso che Verga fosse appassionato di fotografia. Ci sono molte immagini di Verga con la propria macchina fotografica in giro per i paesi siciliani. Aveva obiettivo di fissare immagini reali.
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