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Il culto del littorio - Emilio Gentile, Schemi e mappe concettuali di Storia Contemporanea

Questo documento sintetizza in modo molto efficace e in modo schematico il libro "il culto del littorio" di Gentile. Ideale per chi vuole/deve leggere il libro, ma non ha il tempo di leggerlo per intero.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 08/02/2023

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Scarica Il culto del littorio - Emilio Gentile e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Emilio Gentile - Il Culto del littorio Premessa Sotto il governo fascista, per due decenni, tutta l’Italia (dalle grandi città ai piccoli paesi) si trovò a celebrare le feste della nazione (anniversari del regime, il culto dei caduti, la glorificazione degli eroi, la consacrazione dei simboli, le apparizione del duce…). Il popolo e i paesi erano avvolti da una serie di simboli presenti ovunque (dall’urbanistica al paesaggio, dall’arte al costume, dalle macchine ai monumenti, dagli abiti ai gesti) che imprimevano l’emblema del fascio littorio. L’universo simbolico del fascismo che portava, attraverso culti laici, a celebrare una nuova religione che portava alla sacralizzazione dello stato e alla creazione di un uomo nuovo, credente e praticante nel culto del fascismo. Ciò si forma e si istituisce tra le due guerre diventando un culto collettivo mirante al coinvolgimento di tutto il popolo italiano nei miti e nei riti del regime. La religione della patria, comunque, comparve già con gli albori del Risorgimento. Con la fine della seconda guerra mondiale, la religione fascista, da un piano nazionale, passò a un piano europeo e mondiale, in un quadro di conflitto in cui fascisti e antifascisti interpretarono sempre più radicalmente come “guerra di religione”. Introduzione - Alla ricerca di una religione civile per la Terza Italia Creato lo stato nazionale, i patrioti italiani del Risorgimento, si posero, come meta più alta, il rinnovamento civile e morale degli italiani. Volevano trasformare popolazioni politicamente divise, dall’epoca della caduta dell’impero romano, in un popolo di cittadini liberi educandoli alla fede e al culto della “religione della patria”. Come tutti i movimenti romantici, l’idea di nazione considerata come un’aura sacrale, elevandola a suprema entità collettiva, a cui il cittadino deve dedizione e obbedienza fino al sacrificio della propria vita. La “divinità” della patria era il principio sul quale si era venuto formando, dalla fine del Settecento, la coscienza del nazionalismo moderno. Da ciò si sviluppò, a partire dalla rivoluzione francese, l’idea dello Stato come educatore del popolo nel culto della nazione. Per i patrioti francesi, allievi di Rousseau, era inconcepibile uno stato senza religione, in quanto su di essa si fondavano l’unità morale dei cittadini e la dedizione dell’individuo al bene comune. Per Rousseau, infatti, lo Stato nazionale doveva riunire “le due teste dell’aquila” (potere politico e potere religioso) istituendo una propria “religione civile” per ricondurre tutto all’unità, senza la quale non ci sarebbe né un governo né uno stato ben costituito. Il compito dello Stato è essere supremo custode della morale e della religione, essendo Stato educatore capace di restaurare l’unità del corpo politico e di formare cittadini virtuosi, inculcandogli il dovere civico e l’obbedienza verso lo stato. Per fare ciò, Rousseau considerava utile rinnovare l’usanza dei Greci e dei Romani, istituendo feste collettive che infondessero nel popolo sentimento dell’unità morale e l’amore assoluto della patria. La sacralizzazione della nazione, avviata in Europa dalla rivoluzione francese, pose in una nuova prospettiva i rapporti fra politica e religione, conferendo carattere religioso alla politica e una missione educatrice allo Stato. Iniziò così un’epoca di rivalità tra “religione civile” e religione tradizionale. Questa rivalità coinvolse soprattutto l’Italia, in quanto, a causa della presenza della religione cattolica, fu più ardua e contrastata la ricerca di una “religione della patria” su cui fondare l’unità morale della Terza Italia. Il problema della religione civile fu, per i patrioti italiani fin dall’inizio del Risorgimento, uno dei problemi centrali che persistette anche dopo l’unificazione, influenzando sempre e in qualche modo definitivamente, l’unificazione della storia italiana fino alla seconda guerra mondiale. - RELIGIONI CIVILI DEL RISORGIMENTO: Tracce della ricerca di una religione civile per la Terza Italia sono reperibili durante tutto il corso del Risorgimento. Alcuni elementi nel settarismo carbonaro e soprattutto nella massoneria. Altri elementi si trovavano nel pensiero degli utopisti e dei riformatori giacobini (provenivano direttamente dalla nuova religione della rivoluzione francese). I giacobini italiani, credenti nel mito 1 della rivoluzione come rigenerazione morale, consideravano inscindibile il nesso fra rivoluzione politica, rivoluzione sociale e trasformazione religiosa. Questo avrebbe dovuto portare a una nuova religione laica, con appropriate celebrazioni e riti per educare i cittadini al rispetto delle leggi e all’amore del bene comune. Il movimento politico-religioso dei giacobini italiani fallì, ma il mito rivoluzionario della politica come rigenerazione morale, affidata all’azione pedagogica dello Stato e al culto di una religione patriottica, mise radici nella cultura politica. Ciò riemergerà più volte durante la storia italiana, ad esempio: nel misticismo politico di Mazzini e nel fascismo stesso. La ricerca di una religione civile non fu condotta solo nell’ambito della cultura laica o rivoluzionaria. Ci furono anche tentativi da parte di alcuni intellettuali e politici cattolici. Nella visione di un nuovo cattolicesimo convertito al progresso moderno e all’idea nazionale, Gioberti disegnò una religione civile che aveva le sue basi nella tradizione cattolica, su di essa avrebbe dovuto formarsi la coscienza nazionale della Terza Italia, destinata ad avere un primato civile e morale nel mondo delle nazioni. Ma i tentativi di conciliare “religione della patria” e religione cattolica, si infransero dal momento in cui la Chiesa si impose in modo intransigente contro il movimento rivoluzionario e contro il nuovo Stato nazionale. Ciò provocò: da una parte un senso di allontanamento da parte dei cattolici verso il nuovo Stato, dall’altra una radicalizzazione, in senso laico, della ricerca di una “religione della patria”. Per Mazzini, il problema della “religione della patria”, era l’essenza stessa della rivoluzione nazionale, più importante della rivoluzione politica, perché solo essa trasforma le loro tendenze e rattempera gli atti. Lo Stato nazionale doveva essere la creazione di una rivoluzione politica e religiosa, compiuta dagli italiani rigenerati dalla “nuova fede” della patria. La Terza Italia, unita in repubblica, nell’ideale disegno di Mazzini, si configura come una teocrazia democratica, fondata su una concezione mistica e religiosa della nazione e sull’unità di fede del popolo. Per Mazzini, infatti, non poteva esserci unità politica senza unità morale, e non poteva darsi unità morte senza fede comune e senza coscienza di una missione. Dio e popolo erano i capisaldi di questa ideologia politica: il dio mazziniano era un “Dio politico”, il popolo da lui idealizzato era una associazione concepita come comunità mistica di credenti, uniti nel culto della “religione della patria”. Per Mazzini, la missione della Terza Italia era quella di preparare la strada per l’avvento di una umanità di nazioni libere, affratellate in un’armonia universale in cui il centro è Roma, culla della civiltà in cui la civiltà periodicamente si rinnova. Redenta dall’assolutismo papale e divenuta capitale dell’Italia unita, Roma sarebbe stata sede di un concilio delle nazioni, che avrebbe fondato la nuova unità religiosa dell’Europa. - LO STATO SENZA ANIMA: Perciò, dopo la realizzazione dell’unità attraverso la monarchia, Mazzini creò il nuovo stato liberale perché il popolo non fu rigenerato dalla nuova fede nella religione della patria (l’anima della nazione). Dall’opposizione del radicalismo mazziniano allo Stato liberale, ebbe origine il mito del Risorgimento come “rivoluzione incompiuta”, perché all’unità politica mancava l’unità morale di una fede comune. Mazzini fu sconfitto, ma la sua eredità fu tenuta viva fra i discepoli repubblicani. Il suo influsso, tuttavia, si diffuse come un lievito in ambienti culturali e politici differenti (circolò anche se non sempre si era consapevoli): continuando così ad alimentare l’esigenza di una religione civile. Il mito della “rivoluzione italiana” come resurrezione spirituale e morale, realizzata grazie al sacrificio dei martiri caduti per la “religione della patria”, fu il tema unificante di quell’insieme complesso di miti, culti e idee (chiamato radicalismo nazionale) che invocò continuamente la rivoluzione da cui far sorgere la “nuova Italia”, portatrice di una nuova civiltà nel mondo. Il mazzinianesimo diede un notevole contributo alla sacralizzazione della politica. La sua religione ebbe indiretta influenza sulla formazione della teologia politica fascista. Mazzini, però, manuteneva salda l’affermazione del principio della libertà del cittadino e della dignità individuale. Se si fosse realizzato ciò, sarebbe stato difficile conciliare la libertà dell’individuo con la dedizione alla patria, con il misticismo politico della comunità nazionale e con l’unità della fede. È un problema che Mazzini lascia insoluto, ma che riappare ogni volta che si avanza l’esigenza di una religione civile per una società democratica. - COME FARE GLI ITALIANI?: L’Italia monarchica e la Terza Italia di Mazzini erano due cose diverse. Nonostante il mazzinianesimo volle la conquista dell’unità, nel nuovo Stato non vi era traccia del suo misticismo politico. La classe dirigente, anche se non fu animata dl pensiero religioso di Mazzini, dell’Italia 2 Ma c’erano motivi più profondi che impedirono a questi tentativi rituali di istituzionalizzare una liturgia nazionale. Questa religione doveva adorare la nazione, ma in realtà lo stesso mito della nazione era fonte di divisione e conflitti invece che di unità; in quanto la Terza Italia aveva ereditato dal Risorgimento visioni contrastanti e antagoniste di ciò che avrebbe dovuto essere la religione civile degli italiani. La “religione della patria” fu sempre contrastata da Mazzini e dai democratici, a loro volta promotori di un culto della patria che veniva praticato in opposizione alla liturgia monarchica. Con l’avvento della “religione socialista” ci fu una conquista delle masse contendendo con successo alla religione nazionale. Ma forse i motivi principali della mancata istituzione di una “religione della patria”, da parte dei liberali, furono altri: l’assenza di un supporto organizzativo e dell’entusiasmo di un movimento collettivo, la mancanza di sensibilità democratica per l’azione di massa, la scarsa disponibilità culturale a concepire e ad attuare un processo di mobilitazione delle masse attraverso l’uso sistematico di riti e simboli. La concezione razionalista e liberale della politica, la fondamentale diffidenza per la massa non incoraggiavano i dirigenti della Terza Italia ad un impegno convinto e costante nella costruzione di un culto politico di massa (Crispi fu un’eccezione fra gli statisti della Terza Italia). Per la classe dirigente, una piazza piena di persone poteva essere un potenziale pericolo per l’ordine pubblico, per questo non si favorì l’istituzione di periodici riti di massa per celebrare il culto della patria che aveva lo scopo di nazionalizzare le masse di cui si aveva così paura (un controsenso). - LA RELIGIONE DEI COLTI: Con l’inizio del nuovo secolo, pur non smettendo la pratica delle celebrazioni patriottiche, si converte ad una pratica di governo che non persegue ideali religiosi di rigenerazione morale (anche se la ricerca di una religione civile rimane un problema molto sentito da intellettuali e politici che coltivavano un alto ideale di nazione) ma si proponevano di formare la coscienza dell’Italia moderna. L’elaborazione di una nuova religione laica era considerata dall’avanguardia modernistica del primo Novecento una condizione necessaria per la rigenerazione culturale e morale degli italiani. Il problema religioso fu al centro delle tormentate meditazioni di quel seminario laico di cultori dello spirito: la “Voce” di Giuseppe Prezzolini, egli fu teorico di una religione dell’umanesimo integrale, fondata sull’idealismo di Croce e di Gentile, che doveva soppiantare, nelle coscienze e nelle istituzioni, la declinante religione cattolica, divenire la nuova fede dell’italiano moderno. La ricerca di una nuova religione secolare trovava in questi gli adepti più appassionati, sensibili ai tormenti dell’anima moderna. La maggior parte di loro, aspirava però a una religione intellettuale, culturalmente aristocratica, che ignorava la creazione di una liturgia nazionale, con riti e simboli. Preferendo la costruzione di biblioteche all’erezione di monumenti. Fu nel circolo di questi cultori dello spirito che si formarono alcuni dei futuri credenti della religione fascista, come lo stesso futuro capo di questa religione. Mussolini, in quel periodo si professava ateo militante e praticava uno sguaiato anticlericalismo, ma frequentava con un certo interesse i problemi della religione. Per Mussolini, il socialismo non era solo una concezione scientifica, ma doveva essere una cultura integrale, per formare la coscienza dell’uomo nuovo attraverso la forza della “fede”. Il futuro duce allora non attribuita molta importanza al rituale, considerandolo un aspetto secondario della religione, ma usa spesso metafore della tradizione cristiana per definire la sua concezione del partito rivoluzionario, come ecclesia di credenti e di militanti. - UNA LUCE DALL’ORIENTE: Nel Novecento, cambiò la religione per secolarizzare le masse, in quanto essa perse tutto ciò che di liberale e di umanitario, per avanzare decisamente e lucidamente la proposta di una religione politica che assolutizzava il culto della patria come divinità vivente (movimento nazionalista). La luce per la nuova fede veniva ai nazionalisti dall’estremo Oriente. Enrico Corradini, fondatore del movimento, guardava con ammirazione la “religione degli eroi e della natura”, come esisteva in Giappone, compiendo atti di autoadorazione (culto degli eroi, dell’imperatore e della natura) integrando così l’individuo nella collettività e consolidavano una coscienza nazionale, capace di sfidare e vincere in guerra il grande impero russo (il Giappone è il Dio del Giappone, forza attinta nelle sue stesse viscere). Corradini proponeva di istituire una religione della nazione, imitando la tradizione dei culti nazionali della rivoluzione francese. In questa religione aveva un ruolo importante il culto degli eroi, non come generica rimembranza e rimpiato, ma come attiva celebrazione della divinità della nazione ed eccitamento alla vita. La nuova religione doveva essere il fattore di fusione dell’individuo con la nazione, traendo la sua vitalità dallo spirito 5 degli eroi e dal sangue di coloro che si immolarono per essa nelle guerre che scandiscono il ritmo dell’ascesa verso la grandezza. - LA CONSACRAZIONE DEL SANGUE: Nel nazionalismo entra il simbolo del sangue salvifico purificatore e salvificante, insieme al mito della violenza rigeneratrice. Nazionalismo che soffre di un complesso di inferiorità in quanto nella tradizione nazionale non ci furono grandi guerre e grandi vittorie, ma presente anche nella tradizione rivoluzionaria, in quanto non c’erano rivoluzioni senza la violenza purificatrice. Il rapporto fra violenza e sacro è presente nel processo di sacralizzazione della politica sotto forma di guerra e di rivoluzione. Attraverso questi due venti catastrofici avviene la rigenerazione dell’uomo, attraverso la lotta e il sacrifico si forma “l’uomo nuovo”. Il mito della “rivoluzione italiana” alla viglia del conflitto europeo (guerra + rivoluzione) doveva portare alla creazione della “nuova Italia”, sacralizzando la politica. Nella “generazione del 1914” era molto viva, in tutta Europa, l’aspirazione a dare un fondamento di religiosità laica alla politica, per realizzare una “rivoluzione dello spirito”. I giovani, assetati di miti e di una motivazione per una causa, si aspettavano dalla guerra o da una rivoluzione il sorgere di nuove idealità, di un nuovo spirito religioso capace di rigenerare, anche con la violenza, una società ritenuta materialistica e decadente. Alla vigilia della guerra era dominante la percezione della crisi epocale di una società ormai prossima a uno di quegli eventi catastrofici che precedono e preparano le grandi trasmutazioni di valori, e il sorgere di nuove forme di spiritualità, di religione, di civiltà. Molti giovani parteciparono alla guerra per trascendere i meschini motivi della vita d’ogni giorno. In effetti, l’esperienza del dolore nelle trincee portò a un risveglio del sentimento religioso tradizionale, ma anche nazionale, in quanto i martiri che diedero la propria vita per la patria diedero vigore alla “religione civile” attraverso una propaganda patriottica. Il mito dell’esperienza della guerra diede un’altra spinta decisiva alla sacralizzazione della politica, apportando nuovo materiale per la costruzione di una religione nazionale con miti, riti e simboli nati nelle trincee. La religione della patria formata: dalla simbologia cristiana della morte e della resurrezione, culto degli eroi e dei martiri, dedizione alla nazione, mistica del sangue e del sacrificio. Attraverso questi miti si rinforzò il mito della rivoluzione come rigenerazione morale e il mito della politica come missione salvifica che doveva rinnovare tutte le forme dell’esistenza. La politica doveva fare in modo di realizzare questa rivoluzione, non manovrando però la banalità dell’ordine tradizionale. Il maggior contributo alla costruzione di una religione nazionale, di questo periodo, fu Gabriele D’Annunzio, il quale grazie a metafore della tradizione cristiana, classica e ai culti delle trincee elaborò una raffinata retorica politico-religiosa che impregnò il linguaggio e la mitologia del nazionalismo rivoluzionario prodotto dalla guerra. La sua partecipazione alla campagna interventista portò alla formazione di nuovi “spazi sacri” (le piazze in cui si manifestava come la piazza del Campidoglio). Il poeta recuperò i miti delle religioni civili del Risorgimento e la coscienza della romanità, li fuse insieme ottenendo una nuova teologia politica celebrante il dogma della patria con i propri simboli. Arte e politica si fusero, soprattutto durante l’avventura di Fiume, per realizzare un “ordine lirico”, un nuovo “regno dello spirito”, celebrando come esaltazione di una nuova vita il culto dei caduti in guerra, martiri che avevano fecondato col loro sangue la resurrezione della patria. Nel XX secolo, ci fu il culto dei caduti, presenti in diversi nazionalismi, diede nuovo impulso alla santificazione della nazione. Questo è testimoniato dai cimiteri di guerra e soprattutto dalla diffusione dei monumenti alla memoria dei caduti della Grande guerra. La diffusione del culto dei caduti, diede per la prima volta una dimensione veramente nazionale all’attività rituale e simbolica dedicata alla “religione della patria”. Gran parte di questa attività si manifestò con l’edificazione di monumenti dedicati alla memoria dei caduti, che sorsero numerosi in ogni parte d’Italia, per iniziativa di comuni, di associazioni patriottiche e combattentistiche, di gruppi di cittadini. L’inaugurazione del monumento (nuovo “spazio sacro”della comunità) fu occasione per celebrare i riti patriottici che coinvolgeva più o meno la popolazione. Ciò fu culminante con la cerimonia della salma del Milite Ignoto, la bara fu trasportata nella capitale sotto l’Altare della patria il 4 novembre 1921. La bara passò attraverso diverse città e venne accolta, ovunque, da ali di gente d’ogni ceto che rendeva omaggio in ginocchio al passaggio del feretro. Le cerimonie nella capitale, probabilmente, furono probabilmente il rito patriottico più solenne mai celebrato dalla Terza Italia. L’apoteosi del Soldato ignoto è il ritorno alla religione della patria (affermato dall’Illustrazione 6 italiana). Il 10 novembre, i fascisti resero omaggio alla tomba del Milite Ignoto, per celebrare la conclusione del loro congresso che aveva sancito la trasformazione del movimento di massa del partito. I fascisti si consideravano i principali artefici del ritorno della nazione alla “religione della patria”. Nonostante tutto, essi ebbero parte notevole nel preparare la base per l’istituzione ufficiale di una liturgia nazionale attorno al mito della Grande guerra e alla “resurrezione” della patria. Un nuovo altare era stato innalzato per celebrare il culto della nazione. Il fascismo se ne appropriò per collocarvi, in nome della patria, gli idoli della sua religione. Primo Capitolo - La “Santa Milizia” Quando sorse il movimento fascista, ci fu un atteggiamento favorevole ad accogliere e sostenere una religione nazionale: fra i reduci che avevano sacralizzato l’esperienza della guerra, fra gli intellettuali in cerca di fede, fra i giovani assetati di miti e smaniosi di dedizione e di azione, fra la borghesia patriottica, che si considerava custode dei valori della tradizione risorgimentale. Agli inizi del movimento fascista, era composto da un gruppo di reduci e giovanissimi, accomunati dal richiamo ai miti dell’interventismo, della guerra e della “rivoluzione italiana”. - LE ORIGINI DEL CULTO FASCISTA: Per lo storico francese Emile Durkheim, ogni religione inizia da un collettivo entusiasmo e si basa su una serie di valori, tradizioni, credenze e pratiche relative al loro culto conferendo un carattere sacro a simboli che rappresentano l’oggetto delle credenza. L’origine del fascismo è inquadrata correttamente dallo storico francese. Il fascismo ebbe quello “stato di effervescenza collettiva” che fu indotto dalla guerra, in quanto, a seguito di essa, nacquero dei movimenti: il combattentismo, l’arditismo, il futurismo politico, il fiumanesimo, i quali volevano realizzare la “rivoluzione italiana” combattendo “i nemici interni” e la vecchia classe dirigente volendo raggiungere unità morale e spirituale della nuova Italia. Inizialmente i primi fascisti erano uniti da una comune esperienza di fede (interventismo e la guerra) vissuta in uno stato di esaltazione e di vitalismo che i fascisti traducevano in un senso di missione rigeneratrice della nazione, per la difesa e l’affermazione delle loro idealità patriottiche, assolutizzate e sacralizzate. I militanti fascisti provenivano da diversi movimenti, ma erano tutti accomunati dal culto della nazione e dal mito della guerra, inoltre nella formazione della mitologia fascista si insediarono i miti principali della cultura politica italiana emersi durante la lunga ricerca di una religione civile per la “nuova Italia”, dagli albori del Risorgimento fino alla Grande guerra. Il fascismo si presentava come l’erede e il continuatore del radicalismo nazionale, il protagonista della lotta per l’interventismo, interprete dei combattenti, il difensore della vittoria e l’avanguardia della “nuova Italia” nata nelle trincee. Per “rivoluzione italiana” non si intendeva il sovvertimento sociale e l’abbattimento dei pilastri fondamentali della classe borghese, che esso dichiarava di proteggere contro il socialcomunismo, ma significa creare una comunità forte e unita, capace di conquistare un nuovo primato e di svolgere una missione di civiltà per rinnovare nei tempi moderni lo spirito e la grandezza della romanità. Su questo nucleo originario si formò la religione fascista, codificando questi miti in un insieme coerente di credenze, in una religione laica incentrata sulla sacralità della nazione. Inizialmente il fascismo non si differenziò dalle precedenti manifestazione di religione nazionale, però, ciò che lo rese diverso, è che sorse dall’esperienza come milizia armata. Per la sua natura di partito-milizia, il fascismo costituiva una novità nella ricerca della religione nazionale: diviene per la prima volta il credo di una massa, in cui non devono esserci culti antagonisti che saranno puniti e messi al bando dalla comunità della nazione. Fin dalle prime manifestazioni, il fascismo affiancò alla sacralizzazione dell’idea di nazione un largo uso di riti e simboli. Anche gli altri movimenti politici non ignorarono ciò (repubblicani, socialisti, popolari, nazionalisti…) ma non avevano però uno sviluppo metodico, né uno sviluppo di massa, né un’estensione territoriale così ampia come fece il fascismo. Nell’elaborazione della propria mitologia, il fascismo prese miti e rituali anche da altri movimenti integrandoli con i propri. Il fascismo non si preoccupava dell’originalità dei propri miti, ma guardavano all’efficacia dell’azione che aveva lo scopo di rafforzare l’idea di identità del movimento, come valido strumento contro i “nemici della nazione” e per convincere chi ancora non ne fa parte. Gran parte dei simboli e dei riti, avveniva in modo spontaneo, in quanto la scelta e l’acquisizione di essi non era guidata dal movimento, ma dai singoli che sceglievano i simboli più adatti e, per imitazione, trasferito ad altri gruppi diventando così patrimonio comune del composto ed eterogeneo 7 l’organizzazione, la cultura e lo stile di vita tipici dello squadrismo, insieme con il complesso di riti, miti e simboli che dall’esperienza squadrista erano scaturiti, e che rimasero pressoché inalterati fino alla caduta del regime. Il movimento fascista era riuscito a monopolizzare il patriottismo, presentandosi con successo alla borghesia e ai ceti medi come il salvatore dell’Italia dalla “bestia trionfante”, del bolscevismo. Nel 1922, lo scenario di molte città italiane cambiò. Prima c’erano grandi cortei con bandiere rosse o bianche, che, dal 1922, si erano sostituiti con il tricolore e con i vessilli neri del fascismo. I riti fascisti (cortei, adunate di migliaia di persone, celebrazione solenne dei funerali, cerimonie in memoria dei “martiri” fascisti, benedizione dei gagliardetti e giuramento dello squadre) divennero uno spettacolo quasi quotidiano. Alla vigilia della marcia su Roma, il fascismo pensò, con la sua opera, di aver rigenerato moralmente gli italiani trasformandoli in un popolo compatto senza rivalità tra le parti. La politica dello Stato totalitario si dedicherà al progetto di trasformazione del carattere degli italiani. - UNA RELIGIONE POLITICA AL POTERE: Con la vittoria del fascismo, nessuno osava ostentare pubblicamente il proprio dissenso verso il culto della patria. Questo mutamento di clima, apportato dal fascismo, percepibile anche nella retorica dei monumenti di guerra. Sulla religione nazionale vegliava ora una milizia armata. Le piazze e i monumenti diventarono “spazi sacri” dove si riconosceva il “salvatore dell’Italia”. La restaurazione del culto patriottico veniva ora imposto alle masse proletarie che l’avevano ignorato o respinto. La borghesia patriottica plaudì al governo fascista per aver finalmente istituito la religione civile della nazione, con una rivoluzione incruenta che aveva riportato disciplina e unità al paese. Questa religione civile, fin dalle sue origini, mostrava di essere una nuova religione che, mescolando ambiguamente i simboli della patria con i simboli di un partito, rivelava la vocazione totalitaria di una esordiente religione politica, che si apprestava a servirsi degli altari della patria per celebrare, in un nuovo Stato integralista, il culto del littorio. Secondo Capitolo - La Patria in camicia nera La restaurazione fascista non fu di certo un restauro del culto della patria ottocentesco. Quando però, tra i credenti della “nuova religione”, ci si rese conto, nel momento in cui il fascismo toglieva le libertà individuali, di ciò pochi di essi protestarono e reagirono a ciò. Questo denota una sostanziale differenza tra il culto della patria ottocentesco e il fascismo, infatti, nella religione civile durante il Risorgimento e nell’Italia liberale, era fondamentale il legame indissolubile tra libertà e nazione. La seduzione del nazionalismo fu più forte della fede nella libertà, e fece accettare il fascismo come paladino e restauratore della “patria risorta”. In questa patria, che si voleva risollevare dalla guerra e che si voleva porre sugli altari, solo chi era in camicia nera poteva adorarla e venerarla. Ciò fu reso evidente dal momento in cui si istituì la liturgia della patria, che fu solo la base per istituzionalizzare il culto del littorio. Nell’istituzione della liturgia fascista, anche se schematicamente, si possono individuare due fasi: 1. Fra il 1923 e il 1926, in cui il fascismo è impegnato a conquistare, con il monopolio del potere, il pieno controllo dell’universo simbolico dello Stato; 2. Fra il 1926 e il 1932, in cui la liturgia fascista si consolida, incorporando anche il culto della patria. Il fascismo segue dunque due procedimenti: l’azione che gli permise di conquistare e consolidare il monopolio del potere, vi è un procedimento diretto a riconsacrare i simboli e riti dell’unità nazionale e della “patria risorta” (culto della bandiera, festa dello Statuto, glorificazione della Grande guerra); mentre l’altro è diretto ad introdurre, nella simbologia e nella liturgia dello Stato, i simboli e i riti della religione fascista, attraverso una graduale simbiosi che finì col fascistizzare la “religione della patria”. - IL CULTO DELLA BANDIERA: Per instaurare ufficialmente una liturgia di Stato, il governo fascista diede un grande rinnovamento al simbolismo statale e patriottico, rimettendo in auge anche l’uso delle uniformi per i membri del governo. Mussolini voleva una restaurazione dei simboli. Innanzitutto, Mussolini voleva reintrodurre i festeggiamenti degli anniversari nazionali (celebrati in modo solenne), in più ogni comune doveva tener conto, nei bilanci comunali, della spesa necessaria per celebrare queste 10 ricorrenze. Inoltre, fu resa obbligatoria l’esposizione della bandiera nazionale negli uffici governativi e nei comuni. Fino al 1922 non vi erano disposizioni circa l’uso della bandiera. Le amministrazioni di partiti antimonarchici, si rifiutarono di esporre il tricolore nelle ricorrenze nazionali. Il fascismo rispose a ciò con un decreto del 24 settembre 1923, con il quale fu resa obbligatoria l’esposizione del tricolore, in occasione di feste o di lutti, per uffici di province, comuni e per le associazioni. Il culto della bandiera non rimase confinato negli uffici pubblici, nelle cerimonie militari, nelle celebrazioni di piazza. Il 31 gennaio 1923 il ministero della Pubblica istruzione disponeva l’obbligo del rito del saluto al tricolore nelle scuole. Ogni scuola doveva avere una bandiera, custodita dal capo dell’istituto e affidata, durante le cerimonie, ad un alfiere scelto fra gli scolari migliori. Ogni sabato, al termine delle lezioni, e alla vigilia delle vacanze, gli scolari dovevano rendere omaggio al vessillo con il saluto romano, accompagnando il rito col canto corale di inni patriottici. Come padrini per la cerimonia di consegna, erano prescelti i mutilati o gli invalidi di guerra (considerati i figli prediletti della stirpe), per stabilire così un legame simbolico tra i testimoni dell’eroismo e le nuove generazioni. Il deputato fascista toscano e sottosegretario alla Pubblica istruzione e ideatore del mito Dario Lupi, disse che la bandiera doveva essere da loro accolti come la “nova eucarestia” e il saluto romano doveva essere praticato con religione vera. Le altre iniziative di Lupi furono: l’obbligo di esporre nelle classi i ritratti di Cristo e del Re; incoraggiò la partecipazione delle scolaresche alle gare di canto corale degli inni nazionali; incitò le scuole ad effettuare pellegrinaggi alla tomba del Milite Ignoto. Un’altra proposta sua fu quella di onorare la memoria dei caduti (pratica antichissima), ma che tornò in onore a causa della strage della Grande guerra, in quanto i superstiti voleva dimostrare la loro riconoscenza verso i morti. Dal 30 novembre 1922, ogni paese e borgo, doveva creare un Viale o un Parco della rimembranza, piantando un albero per ogni caduto in guerra. Questo rito doveva essere compiuto dalle scolaresche. Monumenti viventi inseriti nella vita urbana, le “selve votive” simboleggiavano la spirituale comunione tra i vivi e i morti per la patria, luoghi sacri al culto della nazione, da cui i fanciulli sarebbero stati educati alla “santa emulazione” degli eroi. Questa pratica sembrò avere un discreto successo. In più, per appassionare ancora di più gli studenti alla patria, si istituì una guardia d’onore, formata da scolari, cui venne affidata la custodia dei monumenti e delle “selve votive”. Con queste iniziative, si politicizzò la scuola attraverso l’introduzione di questi riti e di questi simboli, esaltando soprattutto, attraverso la Grande guerra, il fascismo. Dal 13 febbraio 1923, una circolare dispose che anche fossero dedicati degli alberi votivi anche ai martiri fascisti. L’istituzione della guardia d’onore fu solo un primo passo per militarizzare l’educazione scolastica, poi, attraverso altre riforme, la scuola sarà uno dei luoghi privilegiati per l’insegnamento dei dogmi e la pratica dei riti del culto del littorio. Il rito della bandiera divenne un rito quasi quotidiano, soprattutto nella capitale, ci furono numerose sagre della bandiera promosse dalle forze armate, dalle associazioni combattentistiche, dai fascisti. Piazza Venezia e l’Altare della patria divennero il “centro sacro”, dove si celebravano frequenti riti di benedizione e consegna delle bandiere. Per gli oppositori del fascismo, questo rito era solamente una retorica festaiola. Per i fascisti, chi disprezzava questo simbolo era indice di vigliaccheria. Da giornali fascisti e filofascisti, il culto verso la bandiera era molto di più di un semplice rendere omaggio alla patria: non era più possibile essere indifferenti o peggio ancora ostili alla sacralità della patria. Il fascismo voleva affermarsi un partito diverso, l’unico che consacrava la patria e in più il fascismo esprimeva la volontà della “nuova Italia” sorta dalla guerra, e unico interprete della volontà della nazione. - FESTE DELL’UNITA’ NAZIONALE: Nel momento in cui il fascismo prese il potere, arricchì il calendario delle feste laiche dello Stato, fissandone le modalità di celebrazione. Oltre alle feste dello Statuto del 20 settembre e del 4 novembre (istituita il 23 ottobre 1922), furono aggiunte tra le guerre civili: il 24 maggio (anniversario dell’entrata in guerra) e il 21 aprile (Natale di Roma) per celebrare la giornata del lavoro in sostituzione della festa del Primo maggio. Negli ultimi anni, la festa dello Statuto fu trascurata anche nella capitale, il 3 giugno però ci fu una ricorrenza molto festeggiata (imbandieramento degli edifici pubblici, cortei, discorsi e riviste militari nelle città sedi di guarnigione, alla presenza delle autorità civili e religiose). Da notare però il basso rilievo che la pubblicistica fascista diede a queste cerimonie. In realtà, il fascismo non mostrò mai interesse per la festa dello Statuto nell’ambito della istituzionalizzazione del culto del littorio. La cerimonia fu celebrata mantenendo il suo carattere monarchico e militare. L’elemento fascista entrò a far parte della rivista militare solo con una rappresentanza della Milizia e delle organizzazioni giovanili fasciste. L’anniversario dello Statuto non si prestava ad essere incorporato nella liturgia fascista, 11 come accadde invece per gli anniversari della Grande guerra. Nella capitale, la cerimonia rimase integralmente monarchica, mentre nelle altre città subì una progressiva contaminazione da parte fascista, con la larga partecipazione delle organizzazioni del partito. La festa monarchica nelle province finì per confondersi con le altre cerimonie del regime, pur restando l’esercito il principale protagonista della manifestazione. Quanto alla festa del 20 settembre del 1923, il fascismo voleva eliminare dalla manifestazione tutto ciò che era democratico e anticlericale, trasformandola in un’occasione per esaltare un ideale collegamento fra la conquista del 1870 e la “marcia su Roma”. Negli anni successivi, la festa fu ricordata sempre in tono minore, finché nel 1930, dopo una serie di puntigliose polemiche fra Mussolini e il Vaticano, fu sacrificata sull’altare della conciliazione, e venne abolita. - LA FASCISTIZZAZIONE DEL CULTO DELLA PATRIA: Un ruolo importante per il fascismo ce lo ebbe la Grande guerra e tutte le ricorrenze collegate ad essa (con i riti per gli anniversari dell’intervento e della vittoria). Nel momento in cui il fascismo prese il potere, esso si impegnò molto per sviluppare il mito della guerra, un mix di eroismo e di martirio consacrata alla divinità della patria. Nella sua prima riunione, il governo Mussolini, su proposta del presidente, deliberò di celebrare il 4 novembre con modalità che nel corso degli anni non cambiarono molto. Nella mattina del 4 novembre, dopo una funzione che si faceva nella chiesa di S. Maria degli Angeli, con la partecipazione del re accompagnato da tutti i grandi ufficiali dello Stato, i membri del governo e il presidente si recarono in piazza Venezia, dove furono accolti da una grande folla. Mussolini e i membri del governo salirono fino all’Altare della patria e qui resero omaggio al Milite Ignoto sostando per un minuto in ginocchio. Il gesto fu giustificato teatrale da qualche osservatore straniero, ma l’importanza del suo significato simbolico, come espressione del misticismo politico fascista, non fu trascurato. Sei mesi dopo, con la stessa solennità, si festeggiò l’anniversario dell’entrata in guerra che vedeva l partecipazione delle forze armate, delle associazioni dei combattenti, dei mutilati, degli invalidi, delle madri dei caduti, delle vedove e degli orfani di guerra, e naturalmente del partito fascista. Ovunque la ricorrenza fu festeggiata con imbandieramento di edifici pubblici e privati, cerimonie e cortei accompagnati da bande al canto di inni patriottici, che si concludevano spesso con l’inaugurazione di un monumento o una lapide ai caduti, e con orazioni inneggianti alla patria risorta e al nuovo governo nazionale. Forte l’immagine della resurrezione a seguito della Grande guerra, in cui la patria risorge dopo la crocifissione (battaglia di Caporetto) fino alla vittoria (Vittorio Veneto). Il mito della guerra diventò mito di fondazione nell’universo simbolico fascista sia per quanto riguarda gli aspetti rituali del culto del littorio, sia per quanto riguarda gli aspetti epici, sviluppati nell’invenzione di una “storia sacra” per la religione fascista. Il fascismo fu espressione di un’aristocrazia morale e spirituale del popolo insorta a reclamare “la propria croce per salire il calvario della redenzione”. I riti della fascistizzazione del culto della paria, che iniziò con il rito della Grande guerra, mirava ad assimilare i movimenti patriottici affini (combattentismo, arditismo, fiumanesimo) imprimendovi il marchio del littorio. Il culto della patria, per il fascismo, fu un’arma fondamentale per la conquista del consenso, ma fu un’arma che usarono anche gli antifascisti contestando al governo fascista la pretesa di essere l’unico depositario dei valori combattentistici, e l’unico interprete della nazione. Fra il 1923 e il 1925, gli anniversari della Grande guerra furono occasione per tensioni e scontri fra oppone concezioni della patria, come era già accaduto nell’Italia del postrisorgimento. Per il fascismo, conquistare il monopolio del culto della patria significava contenderne la celebrazione ai movimenti combattentistici antifascisti, che potevano egualmente e a giusto titolo reclamare il diritto di essere legittimi custodi del mito della guerra e della “religione della patria”. Così il fascismo iniziò la sua guerra dei simboli che ebbe il suo momento culminante durante le manifestazioni per il 4 novembre 1924. In molte città italiane, erano presenti controdimostrazioni dei combattenti antifascisti, ciò non si verificò più nel momento in cui si instaurò il regime del partito, in quanto si eliminarono le opposizioni. Per l’anniversario della Vittoria, nel 1925, fu predisposto un rigoroso servizio di vigilanza per evitare che si presentino manifestazioni di piazza in contrasto con quelle ufficiali, istituito dal partito fascista. Fascistizzati i vertici delle associazioni combattentistiche, si potè procedere senza ostacoli alla incorporazione dei riti della “patria risorta” nel culto del littorio, anche se alle associazioni della Grande guerra fu lasciato il posto d’onore nelle cerimonie, con una parte principale nell’organizzazione delle manifestazioni. Alla fascistizzazione dei riti, corrispose la fascistizzazione definitiva della storia. Nel 1930, l’incorporazione del rito del 24 maggio nel culto del littorio fu sancita a Milano con una grande adunata nazionale di combattenti, mutilati e invalidi. Mussolini, dopo aver acceso, con gesto sacerdotale, la fiamma sacra sull’ara nel “tempio dei caduti” ricevette dal presidente dei mutilati 12 negli edifici, arrivando all’Altare della patria, dove si rese omaggio al Milite Ignoto, poi nella piazza del Quirinale il re assisteva dal balcone al corteo, il quale fu salutato romanamente da Mussolini e ricevette l’omaggio del corteo. La sera, Mussolini offrì un solenne ricevimento a palazzo Venezia in onore del re, con oltre duemila invitati (principi reali, diplomatici, membri del governo e del parlamento, ufficiali dell’esercito, della milizia, della marina, rappresentanti del partito fascista…). La “glorificazione della Rivoluzione fascista” come la definì il giornale mussoliniano, era una sorta di “Festa della federazione” del fascismo: segno di forza che impersonava i simpatizzanti e che intimoriva gli avversari. La festa, inoltre, sigillava l’unione indissolubile fra fascismo e Stato nazionale, trasformando una commemorazione di partito in una festa di Stato. Gravità dell’avvenimento in quanto si mescolò Stato e partito, questo a conferma dello “spirito totalitario” del fascismo, deciso a imporre agli italiani il credo della sua religione (Stato = fascismo, quindi chi non è fascista non italiano). Di questo si rese conto Giovanni Amendola. Con la crisi del 1924, dovuta all’assassinio di Giacomo Matteotti, il Gran Consiglio deliberò di celebrare il secondo anniversario della marcia con manifestazioni meno clamorose, curando in special modo l’aspetto militaresco delle cerimonie, che comprendevano il giuramento della Milizia al re in due grandi adunate a Milano e a Roma il 28 ottobre, manifestazioni pubbliche in sede di partito il 29 con conferenze di propaganda; una seduta straordinaria celebrativa in tutti i comuni fascisti e nelle province per il 30, e la manifestazione aviatoria nella capitale per il 31. La crisi, che stava colpendo il partito in quegli anni, in cui molte associazioni combattentistiche si distaccarono dal partito, fece sì che la celebrazione fosse solo un carattere d partito senza chiamare in campo altri partiti. Gli organi centrali dei combattenti e dei mutilati deliberarono infatti di non partecipare alla manifestazione. Mussolini volle comunque conferire carattere di ufficialità all’anniversario, disponendo le stesse modalità di celebrazione previste per le feste civili, impresa la vacanza per l’intera giornata del 28 negli uffici governativi, sospensione delle udienze giudiziarie e chiusura delle scuole pubbliche. Le cerimonie furono uno spettacolo di forza contro tutte le opposizioni. Ai militi fu chiesto di giurare anche verso il re. Si arrivò alla fascistizzazione dello Stato e con la definitiva identificazione della religione fascista con la “religione della patria”. Fra le novità della celebrazione, vi fu il rito dell’apposizione del fascio littorio da parte delle amministrazioni pubbliche sulle opere compiute dal governo fascista. Fu inoltre prescritta, per i fascisti, la camicia nera per tutta la durata delle manifestazioni. L’anno successivo, l’anniversario del 28 ottobre fu incluso nella liturgia dello Stato come giorno festivo a tutti gli effetti civili. Nel 1923, le cerimonie, tenute la domenica 25 marzo, furono limitate a discorsi e cortei senza ufficialità, intonati al tipo della commemorazione tradizionale, anche se prevalse nei discorsi l’esaltazione della rivoluzione fascista e la sua determinazione a non arrestarsi davanti alla restaurazione del vecchio regime. Mussolini si limitò a ricordare l’anniversario con un paio di telegrammi, che richiamano i fascisti al dovere della disciplina. Probabile che la crisi che stava dilacerando il partito fascista in quel momento, fra beghe, dissensi e rivolte, fosse poco propizia ad una grande celebrazione. L’anno successivo l’anniversario cadde di domenica, nel pieno della campagna elettorale, con un partito fascista che aveva ritrovato una certa unità interna. Conferito un carattere di ufficialità fra la direzione del PNF e la Presidenza del consiglio, che prevedeva un corteo di sindaci fascisti, con i labari dei loro comuni, al Milite Ignoto e al Quirinale, seguito da un discorso di Mussolini e da un ricevimento offerto dal regio commissario al Campidoglio. Mussolini volle anche l’imbandieramento e l’illuminazione degli edifici pubblici. Il partito organizzò cortei e discorsi in ogni città, e, inoltre, si celebrarono i “martiri fascisti” con il rito dell’appello. A Milano, fu inaugurato un monumento ai caduti fascisti e fu scoperta una lapide sul palazzo di piazza S. Sepolcro per ricordare ai posteri chi aveva dato inizio al movimento fascista. Nel 1925, la nascita del fascismo fu rievocata con manifestazioni d’impronta militaresca, che dovevano essere “solenni e ammonitrici per amici e nemici”. Negli anni successivi, la partecipazione dispose anche la presenza dei ministri fascisti alla cerimonia e la dispensa dal servizio dei funzionari fascisti per consentire loro di partecipare alle celebrazioni. Nel 1930, il 23 marzo, per la liturgia del calendario fascista, fu conferito il carattere di solennità civile. - IL CALENDARIO DEL REGIME: Dal 1923, Mussolini, quando firmava i suoi documenti, accanto all’anno cristiano, aggiunse l’indicazione “anno primo dell’era fascista”. Uso che si diffuse presto tra i fascisti. L’anniversario del 28 ottobre venne salutato come l’inizio dell’Era fascista. L’anno dopo, il ministro della Pubblica Istruzione chiese di mettere, accanto all’anno scolastico, la datazione della rivoluzione fascista. Mussolini accolse l’idea e decise di aggiungere la datazione dell’era fascista anche negli atti ufficiali dell’amministrazione dello Stato. Ciò portò ad alcuni dubbi per quanto riguarda la numerazione annuale dell’Era fascista. Il re decise che il primo anno iniziasse dall’anno 15 successivo (l’anno andava dal 28 ottobre al 27 ottobre). Mussolini accettò le disposizioni del sovrano. Dopo il 1926, il culto del littorio, divenuto liturgia dello Stato fascista, fu istituzionalizzato con regole rigide che ne definivano le modalità di svolgimento. La prima conseguenza di ciò fu il divieto della spontaneità dell’organizzazione di feste, riti e manifestazioni di massa, che ripetendosi in modo disordinato, danneggiano la serietà del simbolo liturgico e compromettevano la funzione sacralizzante e pedagogica che ad esso il regime assegnava. Le cerimonie dovevano essere rare e solenni. Nel 1926, Mussolini, sollecitato da Emilio Bodrero, fece sì che i prefetti controllassero le manifestazioni pubbliche inquadrandole e facendo in modo che si limitino quelle non ufficiali incanalando risorse ed energie nelle celebrazioni ufficiali. Per disciplinare la materia, ci furono fatti dei provvedimenti legislativi. Poiché non si ottenne l’effetto desiderato, Mussolini decise di vietare dal 7 novembre 1927 all’8 maggio 1928 tutte le manifestazioni non ufficiali per evitare che le autorità siano distratte dai loro doveri. Queste misure non riguardavano il culto del littorio, ma ne disciplinano rigorosamente le modalità di svolgimento. I segretari federali dovevano limitare le cerimonie troppo frequenti, perché questo distraeva dai propri doveri quotidiani, le cerimonie erano per l’anniversario della “marcia su Roma” e per l’anniversario della fondazione dei fasci. Il Gran Consiglio fissò il calendario del regime in cui le celebrazioni erano tre: 1. 23 marzo: esaltazione e affermazione delle forze giovanili; 2. 21 aprile: celebrazione delle forze della produzione e del lavoro; 3. 28 ottobre: rievocazione e la esaltazione dell’avvenimento che ha concluso, con la vittoria della Rivoluzione, molti anni di lotte e di sacrifici. Terzo Capitolo - L’Arcangelo Mondano Dopo la marcia su Roma, il fascismo accentuò il suo carattere di religione laica, nei riti, miti e simboli. Allo stesso tempo si presentò come restauratore della religione cattolica in un’epoca di agnosticismo, di ateismo e di materialismo. Dal 1921, Mussolini esaltò la fede cattolica e gli italiani dovevano appartenere a questa religione. I fascisti però non esitarono a orientare la loro religione verso il culto del littorio, in una popolazione che è per la maggior parte cattolica. Il fascismo per Mussolini è, oltre al partito, una religione che è prodotto di una razza. - LA RELIGIONE RIVELATA: La grande diffusione del fascismo, partito che aveva solo tre anni, si prestava facilmente ad essere rappresentato come un miracolo, dovuto alla fede predicata da Mussolini e dai suoi seguaci e diffusa con il sacrificio in un’Italia devastata dalla bestia trionfante del bolscevismo. Ci furono sempre più crociati che lottarono per sconfiggere il drago rosso (il bolscevismo), salvando l’intera umanità. Il carattere religioso del fascismo fu enfatizzato nella prima fase del governo, fra il 1923 e il 1926, per legittimare il monopolio del patriottismo e di conseguenza anche il monopolio al potere. Ogni avversario del fascismo diventava così un nemico della “religione della patria”. Da qui ne deriva la persecuzione per chi non si dedicava totale e in modo definitivo al culto nazionale. Con queste premesse, svanì la possibilità di conciliare il culto della nazione con il culto della libertà, come era stato per i patrioti rinascimentali, cresceva invece l’intolleranza della religione fascista e la fascistizzazione dello Stato, che cominciò ad avviarsi la sua sacralizzazione. - UNA TEOLOGIA POLITICA PER LO STATO NUOVO: Prima della marcia su Roma, il fascismo era un gruppo squadrista aggressivo, anarchicheggiante e non era ancora presente il sentimento di una fede comune subordinata alle regole di una chiesa (tempo eroico in cui si doveva lottare e distruggerei vecchio ordine liberale), da quando prese il potere invece ci fu un’istituzionalizzazione del sistema di credenze e di valori espressi dal fascismo (tempo di costruzione in cui bisognava lavorare per costruire il nuovo ordine). Si passava dalla religione come sentimento di immediata esperienza vissuta, alla religione come sistema di credenze, come fede definita e regolata secondo i dogmi di una teologia politica codificata. La religione rivelata è venuta al punto di scrivere i suoi codici e di costruire i suoi templi. Occorrono dottori e costruttori . 1 L’istituzionalizzazione della religione fascista avvenne attraverso quegli intellettuali che erano concordi nel voler conferire allo Stato un carattere di laica religiosità, conferendogli caratteri G. Bottai, Disciplina, in “Critica fascista”, 15 luglio 19231 16 pedagogici utili per l’educazione delle masse per la formazione di una coscienza nazionale. Nel fascismo, come nel Risorgimento, si trattava di fare degli italiani una Nazione e uno Stato, cercando di istituire una visione, operosa nelle coscienze medesime, di “unità nazionale” e di “validità etica dello Stato” . Murri e altri, videro nel fascismo il movimento più prossimo al loro 2 ideale di religione secolare che doveva finalmente formare l’anima della nazione. Decisivo fu l’apporto di Giovanni Gentile, il quale contribuì alla trasformazione da primitiva religiosità laica dello squadrismo a un più robusto sostegno culturale, convinti che il fascismo fosse la ripresa della rivoluzione morale sognata da Mazzini. Gentile, filosofo che si convertì al fascismo nel 1923, fu il principale teologo dello Stato nuovo. Egli si sentì impegnato come erede spirituale dei “profeti del Risorgimento” ad operare politicamente per dare una fede e un’anima allo Stato italiano. Il fascismo realizzava il progetto di religione politica ideato da Mazzini nelle forme adatte all’Italia moderna, avendo superato con il sacrificio rigenerandosi con il sangue versato nella Grande guerra. Per Gentile, la dottrina fascista doveva essere totalitaria, affinché non si distingua da ogni concezione della vita. Inoltre bisognava creare uno Stato nuovo in cui integrare, in modo totalitario, le masse della nazione. Lo Stato, per Gentile, non era solo l’educatore delle masse, ma era anzi il creatore stesso della nazione come unità morale del popolo. Il fascismo si prefiggeva di raccogliere le masse ancora assenti dalla politica per “fare gli italiani” . 3 Nel regime, la definizione del fascismo come religione dello Stato divenne uno dei fondamenti della sua cultura e lo ritroviamo ovunque. E la prova che il fascismo era una vera religione, come il cristianesimo era il coraggio del fascista di fronte alla morte che portava ad annullare l’attaccamento alla vita mondana . 4 Questa società trovava la sua organizzazione nello Stato totalitario, in cui l’idea fascista doveva perennemente concretizzarsi, diventando istituzione e fede collettiva. - IL “VERO PARADISO”: Le determinazioni dell’ “idea fascista” convergevano tutte verso la sacralizzazione dello Stato, di fronte al quale la fluidità della religione si irrigidiva in un dogma che non consentiva elasticità di interpretazioni. Le dichiarazioni della dottrina fascista, stilata da Mussolini con la collaborazione di Gentile, erano perentorie sulla sacralità dello Stato di fronte all’individuo: per il fascista nulla esiste al di fuori dello stato. Il fascismo è totalitario nel senso che è sintesi e unità di ogni valore. Lo Stato è assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo . 5 Camillo Pellizzi, uno dei più sensibili interpreti dei miti fascisti, immaginava lo stato come “un soggetto mistico, un arcangelo mondano”. Bottai afferma che uno Stato eroico è la terrena espressione d’un pensiero eroico. La sacralizzazione dello Stato non circolava solamente all’interno di ambienti intellettuali, ma esso era onnipresente affinché controllasse e trasformasse la coscienza collettiva. Nelle scuole elementari, si insegnava agli alunni che “il vero paradiso è ove si fa la volontà di Dio, che viene sentita anche attraverso la volontà dello Stato ”. 6 Alla sacralizzazione dello Stato educatore e alla propaganda della fede partecipavano tutte le istituzioni del regime, dalla scuola ai sindacati, ma il ruolo principale spettava al partito, cui era affidato il compito di alimentare “nel popolo il culto dello stato” per mutare il “gelido rapporto fra il sovrano e il popolo, in un rapporto religioso di devozione”, al fine di trasformare i sudditi in fedeli” . 7 R. Murri, Fede e fascismo, Milano 1924, p.23. Cfr. P.G. Zunino, Romolo Murri e il fascismo, in “Fonti e 2 documenti”, n.14, 1985, pp. 631-667 P. Pedrazza, Facciamo gli italiani, in “Il Popolo d’Italia”, 5 giugno 19243 S. Gatto, Di fronte al passato, in “Il Raduno”, aprile 1928, riportato in Id., 1925. Polemiche del pensiero e 4 dell’azione fascista, Roma 1934, p. 61; cfr. anche Id., Fascismo è religione, in “La Rivolta Ideale”, 13 settembre 1925. Mussolini, La dottrina del fascismo, p. 1295 Nazzareno Padellaro, Il libro della terza classe elementare, Roma 1936, p.656 M. Maraviglia, Alle basi del regime, Roma 1929, p.367 17 religioso della Chiesa, per la sua autonomia e per la sua universalità. Il fascismo però cercava di non porsi come antagonista della religione cattolica, in quanto ciò avrebbe compromesso la stabilità del regime, ma tentò di integrarla nel proprio universo mitico. La religione cattolica, per il fascismo, era la “religione del padri” (una tradizione), invece che la "religione dell’uomo” rivelata da Dio. La religione cattolica veniva rispettata come una ierofania della romanità, creazione della stirpe italiana e patrimonio essenziale della sua tradizione. Gentile spiegava che l’universalità ed eternità sono i caratteri della romanità. Sulla Roma dello Stato (Tutto degli uomini, fuori del quale l’uomo nulla trova che abbia valore) si appoggia e ne trasse valore una nuova Roma, quella del cristianesimo, che portò a una svalutazione dello Stato e alla creazione di un nuovo impero che è politico ma soprattutto religioso, in cui il Vescovo di Roma è il nuovo Cesare. Così la Roma dello Stato si disgregò. Il Risorgimento volle poi abbattere la Roma papale, avendo paura però che poi Roma si ridusse a semplice sede del Governo di uno stato particolare, avendo il timore di perdere l’autorità di parlare e di farsi ascoltare da tutti i popoli civili. La “terza Roma cercava il suo verbo per salvare Roma eterna, e salvare se stessa”. Per Gentile, solo con il fascismo questa ricerca fu esaudita perché “Mussolini ha sentito la grandezza del passato immanente ed eterno dell’Italia romana e cristiana”, facendo risorgere e ricongiungendo il culto della “Roma dello Stato” con il culto della “Roma della Chiesa” conferendo agli italiani una missione universale. Con questa visione del rapporto fra romanità, cattolicesimo e fascismo, Gentile indicava al fascismo la via per conquistare, come religione dello Stato, eternità e universalità, proponendogli di fondere in sé la “Roma dello Stato” con la “Roma della Chiesa”, per trarre da questa sintesi le fondamenta di una nuova civiltà universale, considerando il cattolicesimo parte costitutiva e inseparabile dell’identità italiana, nel comune richiamo alla romanità. - I ROMANI DELLA MODERNITÀ: L’ideale fascista richiamava al modello della religione nella “Città antica”, nella quale era concesso il culto di ogni religione basta che esca non fosse in contrasto con la religione dello Stato . La 16 civiltà romana aveva fondato la sua grandezza “sulla viva consapevolezza dell’esistenza di un ordine al quale deve sottomettersi ogni momento dell’esistenza. Il fascismo voleva far rivivere “lo spirito della potenza creatrice di Roma che nella famiglia, nella religione, nell’educazione militare, nelle leggi seppe infondere un sacro rispetto al principio della subordinazione del singolo alla collettività . 17 Il mito di Roma e il mito del duce furono le credenze mitologiche più pervasive di tutto l’universo simbolico fascista. La passione per Roma non era condizionato dall’amore e dal rispetto archeologico per una originale identità da recuperare e da restaurare, perché non si fece problemi a distruggere monumenti dell’antichità. Il fascismo si considerava una ripresa della romanità nel XX secolo, ed aspirava a conquistare, come la “Roma dello Stato” e la “Roma della Chiesa”, un suo frammento di eternità lasciando nella storia le vestigia della Roma di Mussolini. Il fascismo si poneva come idrofobia della romanità, cercando di creare attraverso simboli, riti e miti “l’italiano nuovo”. Il culto della romanità nasceva dal “mistero della continuità di Roma”. Insieme al mito della romanità abbiamo il mito dell’uomo nuovo, che il fascismo voleva forgiare per renderlo degno erede spirituale dei romani, pronto a costruire una “nuova civiltà”, modellata sullo spirito dei romani. Il fascismo aveva l’ossessione del tempo. Voleva combattere il tempo imprimendo per sempre nella storia il suo segno. Per questo la religione gioca un ruolo importante perché è una scintilla di eternità. La sfida poteva essere vinta solo con la fede nella religione fascista e con la totale sottomissione alla guida del duce, che plasmava il carattere degli italiani per creare una razza di dominatori e di conquistatori. L’obiettivo del fascismo era quello di forgiare il nuovo italiano, il regime non esitò ad entrare in conflitto con la Chiesa. Il motivo era che il fascismo voleva rivendicare il monopolio dell’educazione delle nuove generazioni. Cfr. Gentile, Il mito dello Stato nuovo cit., pp.237-26816 F. Ciarlantini, Il Fascismo e la Romanità, in “Augustea”, 21 aprile 193817 20 Quarto Capitolo - Liturgia dell’“armonico collettivo” La religione fascista portò all’istituzionalizzazione di una liturgia di Stato che non era solo per i militanti del partito, ma per tutti gli italiani volenti o nolenti. Gli atti simbolici del fascismo, che si trasformarono dal passaggio dall’andata al potere alla trasformazione del regime, lo legittimano come salvatore della patria e unico interprete della volontà generale della “nuova Italia” sorta dalla guerra. Il fascismo monopolizzò gli spazi sacri integrandoli nel culto del littorio. I suoi riti servono per terrorizzare gli avversari, convincere gli indecisi e creare senso di identità e di coesione dei fascisti stessi. Dagli anni Venti, il regime consolida il suo potere e limita le manifestazioni collettive sottoponendole a un rigido controllo e formalizza il culto del littorio entro un rigido cerimoniale, definito dal partito. Il fascismo, a questo punto, vuole rivolgersi alle case esterne al partito, mostrando all’esterno un’immagine di unità. La liturgia fascista serviva a legittimare il potere e a manipolare e controllare le masse: ma esprimeva anche valori e fini propri della cultura fascista. - MITI POLITICI E POLITICA DEI MITI: L’istituzione della liturgia dello Stato fu conseguenza della concezione fascista delle masse, basata sulla convinzione che nella massa predomina il sentimento, non la ragione, solo attraverso il sentimento si riesce a suscitare desideri e le incitano all’azione per realizzare i fini del regime. Il fascismo era perfettamente consapevole dell’importanza dell’approvazione della masse nella politica moderna e il consolidamento del suo potere dipendeva da questo. Per questo era importante il mito che puntava alla costruzione di una nuova civiltà, attraverso la rievocazione di emozioni. Questa idea del mito era l’argomento diffusa nella cultura fascista, era un punto di riferimento quasi obbligato ogni qual volta si parla di massa e di educazione delle masse. Il mito incita le masse a compiere gesti eroici, il mito, attraverso un l’ingaggio semplice ma imperativo, diventa una fede. Il mito, veniva considerato dai fascisti come un potente e indispensabile motore e fattore dell’azione politica. Un nuovo Stato e una nuova civiltà si fondano e si perpetuano attraverso l’azione di miti divenuti fede collettiva della massa. Il mito fungeva da unificazione spirituale collettiva per nazionalizzare le masse. Bisognava indottrinare e convertire con metodi totalitari: non si può conciliare la libertà dell’individuo con l’unità morale della nazione. Bisognava convertire le masse ed eliminare chi si opponeva ad accettare il primato dello Stato creando così un armonico collettivo. - I TRALIGNATI DISCEPOLI DI ROUSSEAU: La liturgia di massa e l’organizzazione totalitaria erano necessarie per promuovere la mobilitazione delle masse e per conquistare il loro consenso. Il fascismo doveva diventare essenziale per l mentalità degli italiani trasformandosi in tradizione e costume, suscitando e alimentando l’entusiastica partecipazione delle masse alla vita del regime. Analogia tra fascismo e rivoluzione francese, in quanto entrambi furono promotori della religione dello Stato e della centralità di esso nella vita dei cittadini. - RITI DELLA COMUNIONE DI MASSA: I riti e i simboli, che scrivevano per creare ligiano nuovo, venivano celebrati durante tutto l’anno fascista secondo il calendario del regime. Oltre ai riti classici (feste dell’unità, della monarchia e della Grande guerra, del Natale di Roma…) se ne aggiungevano altre come le manifestazioni per la campagna d’Etiopia, i viaggi in Italia del Duce, le innumerevoli apparizioni al balcone di palazzo Venezia per esaudire le invocazioni della folla. Le celebrazioni del culto del littorio veniva organizzate dal regime fascista e sotto il controllo della polizia, evitando turbamenti, soprattutto nelle grandi città. La celebrazione aveva una “severa impronta militare” per dare a tutti “l’idea della formidabile compagine di forze che stanno alla base della Rivoluzione fascista”. Nei cortei il posto d’onore era riservato alle madri vedove e agli orfano dei caduti, ai decorati, ai mutilati. Dopo la celebrazione dei caduti nella guerra e nella rivoluzione, si metteva il simbolo del fascio nelle opere pubbliche. Le cerimonie dovevano essere sobrie. I fascisti dovevano indossare la camicia nera e doveva radunarsi per il ricordo dei caduti. Venne fatto un film su Mussolini, proiettato in tutte le colonie e in tutti i capoluoghi, il duce sarebbe diventato un mito vivente. Negli anni successivi, il rituale non subì modifiche sostanziali. Alla vigilia di ogni anniversario il partito dava disposizioni per la celebrazione, divisa nei due tempi del rito e della festa per 21 distinguere il sacro dal profano. Il rito si celebrava alla mattina: c’erano le cerimonie religiose e marziali: messa in memoria dei caduti della guerra e della rivoluzione, sfilata di tutte le organizzazioni fasciste davanti alle autorità civli e militari, l’omaggio ai monumenti dei caduti fascisti e dei caduti della Grande guerra, la lettura del messaggio del duce, l’ascolto nelle piazze del suo discorso radiodiffuso. La festa avveniva nelle ore pomeridiane con balli, canti, gite campestri…La scenografia per le cerimonie mescolava simboli tradizionali e moderni. Nella capitale la coreografia rituale era la sintesi simbolica tra antico e moderno (parate militari nei monumenti romani). Nel anniversari inoltre i fascisti indossavano la camicia nera, l’uniforme dell’organizzazione di appartenenza, le decorazioni. Alla sera i fascisti si trovavano nelle loro sedi per un momento di fraternità. Le celebrazioni più solenni si svolgevano nella capitale alla presenza del duce in piazza Venezia, che dal 1929 divenne residenza di lavoro del duce. Questa piazza divenne la piazza della rivoluzione, sintesi di tutte le piazze di Italia, collocata fra i templi antichi della romanità e i templi dell’italianità, meta di pellegrinaggi in cui i pellegrini invocava l’apparizione del duce. La liturgia di massa non si limitava alle cerimonie fasciste, ma era presente in ogni festa locale (sagre, sport, mostre). Il fascismo si appropriò delle feste tradizionali (Befana fascista, il Natale del duce…). Il fascismo non si pose, a differenza del nazismo, in opposizione al cattolicesimo, ma inglobò la tradizione religiosa sotto il culto del littorio. Il fascino si appropriò anche delle sagre tradizionali della vita rurale (festa dell’uva). Il fascismo alimentava il culto delle tradizioni legate alla vita dei campi, ma non ebbe, come il nazismo, una religione della natura; la natura nel culto del littorio è la natura domata, redenta e feconda dal lavoro dell’uomo. La natura, in quanto tale, non faceva parte del culto fascista, ma vi era presente nelle scenografie per la rappresentazione dei suoi riti. Il fascismo, inoltre, dava grande importanza alle attività ginniche, in quanto esse avrebbero aiutato a forgiare l’italiano nuovo, preparando il fisico e temperando il carattere del cittadino virile e virtuoso, credente e combattente per la patria. Anche questo serviva per dimostrare l’unità morale, anche lo sport, come le mostre, serviva per fare propaganda. - L’ITALIANO NUOVO PER LA NUOVA CIVILTÀ: I fascisti, per i loro riti collettivi, si vantavano di aver rinnovato l’estetica della massa e consideravano i loro riti e miti proiettati verso il futuro. Pensavano di aver creato, grazie alla rivoluzione, una nuova civiltà. Lo scenario dei riti fascisti era quello di una massa di persone che esaltano la gloria del fascismo e del suo capo. Il fascismo sosteneva di aver redento la folla trasformandola in una massa liturgica che partecipava con gioia e con fede alla celebrazione dei riti del regime. Inoltre, il fascismo voleva una riforma anche per quanto riguarda il costume (questo tratto rimarrà fino alla caduta del regime). Lo stile era concepito come un’espressione della religione fascista. Il fascismo cercò anche il consenso della folla fondamentale per la stabilità del regime e la volontà del fascismo era di plasmare le masse. Ancora una volta, il fascismo, probabilmente senza rendersene conto, ricalcava le orme della rivoluzione francese: pedagogia ispirata all’idea della rigenerazione morale del popolo, alla concezione dello Stato educatore, al mito dell’uomo nuovo, alla sacralità della patria, alla “passione dell’unità”. Lo Stato, per mezzo della forza morale della fede e dell’influenza pedagogica della liturgia, aveva il potere di agire sul carattere dell’uomo e trasformarlo. Il progetto del fascismo era quello di forgiare gli italiani e negli Trenta, il fascismo non si presentava più come interprete della nazione, ma come creatore di un nazione nuova. Il regime cercava di escogitare nuove forme di mobilitazione e di propaganda per riuscire nell’impresa. Nel 1932, vennero istituiti i “raduni domenicali” dove gli oratorio indicati facevano propaganda delle idee fasciste. Nel 1935 venne istituito il “sabato fascista”, in relazione all’applicazione della settimana lavorativa di 40 ore: il pomeriggio del sabato doveva restare libero per permettere alle organizzazioni del regime l’educazione politica e l’addestramento militare. Le due principali attività pedagogiche per la formazione dell’uomo nuovo aveva il loro giorno di celebrazione. Si comincia a comprendere che italiano vuol dire fascista, e che fascista vuol dire uomo integrale . 18 R.N., Sabato fascista, in “Gioventù fascista”, 30 marzo 193518 22 - ETERNARE IL “TEMPO DI MUSSOLINI”: Il fascismo fu posseduto da una vera e propria mania per la monumentalità. Mussolini stesso chiariva il significato della monumentalità come parte integrante del culto del littorio. A Mussolini piaceva l’architettura in quanto “massima fra tutte le arti, in quanto contiene tutto” . 24 Il mito del costruire serviva per durare superando la sfida del tempo. Gli architetti fascisti dovevano creare uno stile fascista che fosse sacro, in modo che il popolo si rendesse conto di ciò e affinché si creasse un clima adeguato per il culto del littorio. C’erano poi diverse proposte di architetti entusiasti dell’epoca nuova (Eternale di Palanti: l’obiettivo era quello di eternare la rivoluzione fascista) che erano gigantesche ed esagerate. L’elemento che obbligatoriamente doveva esserci è il fascio. Ci furono tanti monumenti che glorificarono la vittoria e i caduti della Grande guerra: tra questi ricordiamo la Casa del Fascio (a Como: sede del partito, sede degli uffici del partito e centro della vita politica e sociale dell’ “armonico collettivo”, luogo di venerazione del culto dei martiri e la scuola di indottrinamento nei dogmi della religione fascista), centro della vita del partito santificato dalla presenza del sacrario dedicato ai caduti fascisti, che lo rendeva un “tempio mistico”, dove questi erano venerati ed “esaltati in muto raccoglimento”. Il centro della Casa del Fascio era il sacrario, sede del misticismo fascista. Ogni fascio sentiva l’esigenza di avere una casa. Ogni progetto presentato prevedeva l’esultazione di Mussolini, visto come nuovo Romolo, in quanto fondatore di un nuovo impero. Per il palazzo del Littorio fu scelto il progetto di Del Debbio, Foschini e Morpurgo che doveva sorgere nella zona del Foro Mussoliniani. I lavori per la costruzione furono iniziati il 28 ottobre 1938, poi furono interrotti a causa della guerra, ma nonostante ciò il partito vi portò la sua sede per un breve periodo. Anche l’esposizione romana universale (EUR) non venne completata. L’EUR doveva celebrare la superiorità dell’Italia ripercorrendo i suoi ventisette secoli di storia dalla romanità all’epoca di Mussolini. L’apertura era prevista per il 1942, dopo l’auspicata vittoria dell’Asse. L’EUR doveva essere il centro monumentale della nuova Roma, in questo progetto furono coinvolti tuti gli italiani. Nella città nuova (EUR) avrebbe avuto sede permanente la mostra della romanità e le mostre dedicate alle istituzioni del regime e agli aspetti della vita sociale, culturale, economica, produttiva, scientifica dell’Italia fascista. La città doveva essere bianca e di notte doveva essere molto illuminata. La monumentalità dell’EUR proponeva, in questa prospettiva, un nuovo esempio di sincretismo simbolico tra fascismo e cattolicesimo nel mito della romanità. In quanto anche la religione contribuì nella costruzione dell’italiano nuovo, venne inoltre dedicato un tempio dedicato a SS. Pietro e Paolo. Ma il vero centro spirituale della città nuova era la mostra permanente della civiltà italiana da Augusto a Mussolini. Solo con Mussolini, dopo Augusto, Roma ha una missione politica universale. E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, Milano 1932, p.20524 25 Sesto Capitolo - Il “nuovo Dio d’Italia” Il culto del fascismo ruotava attorno al mito e al culto del duce, però non è Mussolini l’origine della religione fascista. L’inizio fu che un gruppo di persone sentiva questo carisma missionario che, all’inizio, non veniva da Mussolini. Il culto di Mussolini nacque dopo, quando la religione fascista si istituzionalizzò, anche se la figura del duce aveva una propria autorità. Grazie a ciò, la figura del duce assunse sempre più importanza fino a diventare il centro del culto del littorio (dopo il 1925). - IL MITO E IL CULTO: Attorno alla figura del duce abbiamo la presenza di miti. Nel caso di altri capi carismatici, come Stalin e Hitler, mito e culto si sono sviluppati simultaneamente all’interno dei loro movimenti e in funzione di questi. Nel caso di Mussolini il mito ha preceduto il culto, ma si è manifestato con diversi aspetti prima della nascita del fascismo e della sua ascesa al potere. Ci furono diversi miti sulla figura del duce in periodi diversi della sua vita ed ebbero origine da diversi ambienti e situazioni politiche e culturali: • Mito socialista di Mussolini: all’età di 29 anni, da sconosciuto dirigente di provincia del partito socialista, balzò sulla scena nazionale come l’“uomo nuovo” della corrente rivoluzionaria che prese la guida del partito nel congresso di Reggio Emilia del luglio 1912. Mussolini era l’idolo delle masse socialiste; • Mito interventista di Mussolini: antigiolittista e divenne l’eroe delle avanguardie politiche e culturali dell’interventismo, come futuro rinnovatore nazionale. Mussolini veniva chiamato duce anche prima della nascita del fascismo come movimento di massa, veniva chiamato così in quanto veniva considerato come leader della sinistra. Per la maggior parte dei primi fascisti, il duce era D’Annunzio, al quale si rivolgevano spesso. Dopo il congresso del novembre 1921 (anno in cui ci fu la trasformazione del movimento in partito), Mussolini divenne il duce dei fascisti, anche se ciò non implicava un’autorità dittatoriale (come invece riuscì ad ottenere Hitler nello stesso anno, in quanto era a capo del partito nazionalsocialista). La figura di Mussolini si affermò tra i fascisti, più per le capacità politiche fu per le capacità carismatiche. Mussolini venne accettato come duce quando ci si rese conto che nessuno poteva competere con lui nella guida del partito. Nelle varie crisi che investirono il fascismo (fra il 1923 e il 1925) ci furono fascisti che respinsero l’identificazione tra fascismo e mussolinismo. Furono proprio queste crisi a far crescere il mito del Duce, esaltati in quanto unico fattore di coesione sociale per tutti i fascisti. Ad assicurare la stabilità e la coesione fu proprio la figura del duce. Il primo catechismo di dottrina fascista si conclude con domande e con risposte sul duce e con il giuramento fascista. Nel 1932, Mussolini devenne definitivamente capo del PNF. Nel 1938 il nuovo catechismo di dottrina fascista, aggiornato con la nuova sezione sulla difesa della razza, Mussolini venne considerato “il creatore del fascismo, il rinnovatore della società civile, il Capo del popolo italiano, il fondatore dell’Impero ”. Mussolini, capo del partito, si identificò ormai indissolubilmente con lo stato, 25 possiamo definirlo quindi cesarismo totalitario. Il mito del duce, che iniziò a seguito della marcia su Roma, non fu costituito solo da elementi interni al fascismo ma anche esterni. - IL CULTO DEL CAPO: Le basi per istituire il culto del duce iniziarono a partire dall’istituzionalizzazione della regione fascista, in cui i fascisti doveva al duce obbedienza, dedizione e riconoscimento del duce come fondatore e massimo interprete del fascismo e della sua missione storica. Per la sua grandezza, Mussolini venne paragonato ai più grandi personaggi storici (Cesare, Augusto, Mazzini, Garibaldi…). Mussolini venne glorificato e presentato come il più grande degli uomini. Anche sposarsi e procreare era un atto di obbedienza e di dedizione al duce. Tutto era rivestito della pedagogia mussoliniana. Mussolini per i fascisti appariva come il creatore della nuova società (armonico collettivo). Quindi “il mussolinismo è religione”, nel senso che la fede nel duce è “la fase preparativa di un religiosismo italiano, di una italianità religiosa ”. 26 Il primo libro del fascista, Roma 193825 P. Orano, Mussolini da vicino, Roma 1928, pp. 21-2426 26 - IL DUCE E I GERARCHI: I fascisti che credevano nel fascismo non risolvevano il fascismo nel mussolinismo, anche se consideravano il mussolinismo essenziale per gettare le fondamenta della nuova civiltà. Il culto del duce iniziò appieno dopo l’istituzione del fascismo, quando furono eliminate le resistenze. I gerarchi (Grandi, Bottai, Balbo, Farinacci, Bastianini, Cianetti) anche nel momento in cui capirono che Mussolini era prigioniero del suo stesso mito, gli rimasero fedeli perché si sentivano partecipi del progetto del duce che sarebbe entrato a far parte della storia. La sua smisurata personalità avrebbe segnato il destino degli italiani e dell’intera umanità e aveva il compito di creare una nuova società plasmandone le coscienze. I collaboratori più stretti di Mussolini percepivano, nei confronti del duce, sentimenti di identificazione e di dedizione con il duce, che scaturivano dall’averne fatto, come scrive Bottai, una ragione di vita. Il problema era: come evitare che la mitizzazione di Mussolini, pur ritenuta necessaria ai fini della politica totalitaria, finisse col far dipendere il futuro dello Stato totalitario dal suo fondatore? Questa domanda venne avvertita più volte dai fascisti, poi si resero conto della potenza fagocitatrice del mussolinismo verso il fascismo, ma si arresero di fronte alle capacità del duce che dimostravano la sua grandezza e la sua missione. - LA FEDE DELLA GENTE COMUNE: La crisi italiana del primo dopoguerra evasa creato un contesto adatto per la diffusione del culto popolare dell’Uomo provvidenziale che sappia riportare ordine nel paese. Con la prese del potere di Mussolini, le persone pensarono che l’Uomo provvidenziale avrebbe riportato l’ordine e la pace nel paese dopo decenni di sconvolgimenti politici e sociali senza precedenti. Per l’opinione pubblica borghese, egli era il salvatore della patria e il restauratore dello Stato, per il ceto popolare che non aveva subito violenze dal fascismo, egli appariva come un figlio del popolo che non aveva nascosto le sue origini popolari ma he anzi le ostentava e per questa era ammirato e gli si poneva speranza e fiducia. Mussolini fece in modo di cercarsi l’approvazione popolare, visitando, come presidente del Consiglio, in lungo e in largo l’Italia anche le zone più remote e più isolate. Così le persone più umili avevano la percezione di essere più vicine al potere e che potesse finalmente essere ascoltata ed esaudita. La stampa fascista contribuì alla formazione del mito affermando che i viaggi di Mussolini servivano per riconsacrare quelle terre alla patria. Prima del delitto Matteotti, scrisse Ferruccio Parri, Mussolini era posto su un piedistallo inconscia, poi dopo il delitto il mito del fascismo subì una forte scossa ma non crollò. Passato questo momento di crisi, il mito popolare si rafforzò grazie all’uso della propaganda. Inoltre il duce instaurò un legame con il popolo grazie ai sui incontri o durante le sue visite. Queste visite vena una scaletta, una scansione (invocazione, attesa e apparizione) e ciò contribuì a rendere l’evento qualcosa di sacro, come se fosse un culto. - IL NUME PROTETTORE: La visita del duce era percepita dalle masse come la venuta di un messia apportatore di bene, al quale si chiedevano grazie. L’incontro delle folle con il duce divenne un evento centrale e dominante nella liturgia fascista. Nei suoi discorsi alle folle, Mussolini annunciava le sue decisioni, per il quale il duce chiedeva il consenso plebiscitario del popolo, dando a questo l’impressione di essere partecipe delle scelte del suo capo. Il discorso del duce era un momento centrale, in quanto rivelatrice della volontà del nume e di manifestazione oracolare della volontà della nazione. Il duce nell’Agro pontino dopo la bonifica, si presentò come potente ma benevolo nume benefattore, che scendeva dall’alto del suo altare per parlare amichevolmente con la gente, pronto ad ascoltare, confortare, esaudire. Mussolini si compiaceva anche di fare visite improvvise e private, dando l’impressione alla gente che egli potesse essere ovunque, apparire ovunque, in qualsiasi momento, quasi miracolosamente. Il culto mussoliniano riscosse crescenti consensi fra il popolo e fu un fenomeno costante fino alla seconda guerra mondiale circa, anche se non in modo uniforme in tutti i ceti sociali. Il mito ebbe scarsa influenza in quei ceti che avevano subito violenze fasciste e che erano legati alla tradizione repubblicana, comunista o socialista. Nei ceti più umili invece il culto fascista ebbe molto successo, a Atal punto che paragonarono il duce a Cristo. Era visto come un uomo della provvidenza, fisicamente vicino alle masse e dotato di straordinari poteri taumaturgici e benefici. Il culto popolare del duce fu l’elemento più importante della liturgia fascista. Più cresceva l’insofferenza per l’invadenza totalitaria del partito fascista e più crescevano le critiche ai gerarchi perché Mussolini era protetto da una sfera di fiducia. Il duce era considerato 27
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